La prima
struttura venne fondata nel 1768, nell’omonimo villaggio di Mongiana
in Calabria Ultra 2 (odierna provincia di Catanzaro) nella zona di
Serra di San Bruno, e potenziata nel 1814 dal Capo
dell’Amministrazione degli “Stabilimenti Calabresi per la
Manifattura delle Armi” il colonnello Niccolò Landi con la
denominazione di “Real Fabbrica di Canne”. Sfornava annualmente in
media 1.442 canne per fucile e 1.212 canne per pistola, venne in
seguito abolita la loro produzione nel 1820 restando solo in essere
la fonderia.
Nel 1850
per volontà del direttore Pietro La Tour, con la consulenza di
tecnici francesi, e su disegno dell’ingegner Fortunato Savino, Re
Ferdinando II approvò l’istituzione di una “Fabbrica per ferri e
lamine per i cilindri”, posta tra i fiumi Ninfo e Allaro; sorse in
concomitanza della nascita del “Real Opificio per Armi Bianche di
Sparanise”.
Nacque
così il “Villaggio Siderurgico di Mongiana”, primo complesso
siderurgico della penisola italiana, che comprendeva altre alla
fonderia, le ferriere di San Bruno, San Carlo, Ferdinandea e Real
Principe oggi non più esistenti, che dava lavoro, compreso
l’indotto, a circa 2.000 operai. La fonderia e lo stabilimento
siderurgico occupava un’area di 12.000 mq, con 3 alti forni per la
produzione della ghisa, 6 raffinerie, 3 forni Wilkinson, che
lavoravano il minerale dei giacimenti calabresi di Pazzano ricchi di
ferro e grafite. La fabbrica d’armi occupava un’area di 4.000 mq.
Gli opifici disponevano di motori idraulici azionati dai fiumi Ninfo
e Allaro, sviluppando una potenza di 100 HP,mentre i carrelli che
alimentavano gli altiforni erano mossi da una macchina a vapore che
utilizzava a “recupero” i gas degli stessi altiforni. La legna che
serviva ad alimentare i forni veniva fornita dai boschi vicini e
tramite una razionale amministrazione forestale si rispettavano le
fasi e i periodi di rimboschimento. Il complesso era diretto da un
Tenente Colonnello d’Artiglieria, oltre agli ufficiali e impiegati
civili , erano occupati 280 operai carbonieri, 100 mulattieri e 100
artificieri tutti “paesani” cioè addetti civili del luogo, onde
evitare eventuali trasferimenti estenuati degli addetti dal proprio
domicilio alla sede di lavoro e rendere così il tutto possibilmente
meno gravoso. Ogni forno produceva 40 cantaja di ghisa al giorno (1
cantaja corrisponde a 89,8 Kg). I materiali finiti venivano
utilizzati dall’Esercito e dalla Marina, il prodotto era di
eccellente qualità, superiore a quello francese ed inglese, infatti
la ghisa di prima fusione secondo l’Istituto di Incoraggiamento
“è di tal pregio da non temere il confronto con quella di Bofort,
inoltre si vogliono dire bellissimi i saggi d’acciaio di
cementazione che nulla lasciano a desiderare”.
Nel 1853
durante lo svolgimento dell’Esposizione Internazionale tenutasi a
Napoli venne assegnata al complesso siderurgico di Mongiana la
medaglia d’oro dal Corpo Accademico del Real Istituto
d’Incoraggiamento alle scienze per “saggi di ferri di prima
fabbricazione e per lavori di ferro fuso”. . La spedizione dei
manufatti a Napoli veniva effettuata utilizzando il porto di Pizzo,
cui si arrivava attraverso un sentiero che passava da San Nicola di
Crissa e dal bivio dell’Angitola, sentiero che poi sarebbe divenuto
la regia strada borbonica delle Serre. Nell’ultimo anno del Regno,
il 1860, la produzione toccò le 40.000 cantaja di ghisa.
Alla
caduta del Regno e con il suo inserimento nello Stato Italiano fu
progressivamente diminuita la produzione, privilegiando le industrie
del Nord Italia, Nel 1860, in occasione dell’annessione al Piemonte,
Mongiana fu teatro di una sommossa contro il nuovo governo, guidata
dagli operai delle Ferriere: scesero in piazza, assaltando la sede
della Guardia Nazionale, calpestando il tricolore, quindi,
sequestrando la tromba al capomulattiere, chiamarono a raccolta
l’intera popolazione, che si riversò per le strade inalberando la
bandiera bianca con i gigli, infransero lo stemma sabaudo posto
nella casa del governatore, scendendo alla fonderia, presero la
statua di Francesco II e la portarono in processione per il paese,
collocandola nella sua vecchia posizione. Al colonnello garibaldino
Massimino destò viva impressione soprattutto la partecipazione delle
donne; ma nel 1875 la ferriera venne acquistata dal senatore ex
garibaldino Achille Fezzari che, dopo aver sfruttato quel che
restava, chiuse l’impianto nel 1881. Scomparve così un’azienda che
era stata per il Regno delle Due Sicilie il primo e più grande polo
siderurgico d’Italia, seguito venti anni dopo dal mostro dell’I.L.V.A.
diventato poi Italsider.
Oggi del
suo antico splendore resta solo l’edificio principale di stile
neoclassico disposto su tre piani per meglio sfruttare la caduta
dell’acqua convogliata da un canale, una coppia di colonne in ghisa,
l’atrio, tutti elementi completamente stravolti da uno sconsiderato
e falso restauro stilistico.
Ciro La
Rosa
febbraio
2008 |