"NAVI DI LEGNO CON EQUIPAGGI DI FERRO CONTRO NAVI DI FERRO CON EQUIPAGGI DI LEGNO" Lissa, isola nel mare Adriatico, è la più lontana dalla costa dalmata, conosciuta nell'antichità come Issa, più volte citata dai geografi greci. Fu base navale della Repubblica Veneta fino al 1797.
Il "fatal 1866" iniziò politicamente a Berlino con la firma del patto d'Alleanza fra l'Italia e la Prussia l'8 di aprile,
che miravano rispettivamente alla conquista di Venezia, ed a
sottrarre all'impero asburgico il controllo sugli Stati tedeschi.
Come contromossa, alla fine di aprile del 1866 l'Austria cominciò la
mobilitazione dell'esercito e della flotta. Il 16 giugno scoppiò la guerra fra Prussia e Austria.
Il governo italiano dichiarò guerra il 20 giugno 1866, "ma già da
sei settimane erano cominciati i preparativi da parte della Regia
Marina. Il comando della squadra navale era stato affidato
all’ammiraglio conte Carlo Pellion di Persano, nonostante la sua
scarsa volontà di assumere questo incarico. Aveva già sessant'anni,
nel 1865 era stato nominato senatore a vita dopo essere stato
ministro della Marina, aveva fatto le leggi per la nascita di una
flotta corazzata moderna, ma sapeva bene che non erano ancora stati
costruiti gli uomini per questa flotta. […] Fra gli ammiragli
c'erano attriti e gelosie, come pure fra i comandanti delle unità.
[…] Gli equipaggi non erano preparati e […] gli ufficiali dei quadri
intermedi erano perlopiù ignoranti e privi di esperienza".
La baldanza degli italiani si
infranse pochi
giorni dopo, il 24 giugno, a Custoza ove l'esercito fu sconfitto dall'esercito asburgico (nel quale militavano anche
Veneti).
Fra il 16 e il 28 giugno le armate prussiane invasero l'Hannover, la Sassonia e l'Assia ed il 3 luglio ci fu la vittoria dei prussiani a Sadowa. Due giorni dopo l'impero asburgico decise di cedere il Veneto alla Francia (con il tacito accordo che fosse poi dato ai Savoia) pur di concludere un armistizio. In Italia furono però contrari a tale proposta che umiliava le forze armate italiane e, viste le penose condizioni dell'esercito dopo la batosta di Custoza, puntarono sulla marina per riportare una vittoria sul nemico che consentisse loro di chiudere onorevolmente
la guerra.
"Il 25 giugno 1866 la flotta
arrivò ad Ancona, luogo stabilito come base operativa, e qui le navi
cercarono di organizzarsi, pur fra grandi difficoltà. La città delle
Marche, inoltre, non era un porto molto adatto per ospitare una
grande squadra navale: era una rada aperta, con moli di dimensioni
ridotte e senza grandi difese fisse che la facessero assomigliare a
una vera base navale. Anche qui Persano, non appena arrivato,
cominciò a tempestare il ministro della Marina Angioletti perché […]
fosse accelerato l'arrivo dell'Affondatore, nave da lui ritenuta
indispensabile per affrontare la flotta austriaca.
Nel frattempo, Persano proseguiva con l'addestramento dei fuochisti
e dei cannonieri, ma la mattina del 27 giugno 1866 l'avviso
Esploratore - che era di guardia allargo - entrò a tutto vapore
nel porto segnalando che gli austriaci erano in vista. La Re
d’Italia aveva un incendio nei depositi di carbone, la Re di
Portogallo non riusciva a far partire le macchine; la
Terribile aveva la metà dei cannoni, l'Ancona non era
pronta a combattere, la Carignano era senza cannoni,
Palestro e Varese avevano dei meccanici che non sapevano
far funzionare le macchine. Il resto della flotta stava carbonando
in confusione. Tuttavia, San Martino, Maria Pia,
Castelfidardo e Carignano (benché senza cannoni)
manovrarono per uscire dal porto. Al largo, l'ammiraglio Tegetthoff
incrociava con sei fregate corazzate e una pirofregata: per tre ore
andò avanti e indietro, pronto all'azione e in attesa che la flotta
italiana, superiore sulla carta, accettasse lo scontro, ma invano.
Persano sostenne in seguito che aveva intenzione di adescare la
flotta avversaria e distruggerla, ma se questo era il suo piano non
se ne vide neanche l'inizio.
Invece s'imbarcò sull'avviso Esploratore, ordinò alle quattro
corazzate di formare una linea di fila e le fece dirigere in
direzione opposta a quella della flotta austriaca, tenne un
Consiglio di guerra sulla Carignano per decidere se e come si
dovesse attaccare, poi tornò in porto quando ormai gli austriaci se
n'erano andati. […]"
La
Marina Militare Austriaca era nata nel 1797 con il nome era estremamente significativo di "Oesterreich-Venezianische Marine" (Marina Austriaca e Veneziana). Equipaggi ed ufficiali provenivano nella maggior parte dei casi dall'area veneta dell'impero, con tutto il loro apporto di tradizioni nautiche, militari e storiche. La lingua corrente a bordo delle navi era il
Veneto, a tutti i livelli. Nel 1849, dopo la rivolta capitanata da Daniele Manin,
fu dato corso alla "austricizzazione":
nella denominazione ufficiale della Marina l'espressione "veneta" fu
tolta, e ci fu un notevole ricambio tra gli ufficiali, nel 1850 la
lingua tedesca divenne a bordo
"primaria" in luogo del Veneto.. Ma questo cambiamento non poteva incidere più di tanto, e non si può quindi dar certo torto a Guido Piovene, il grande intellettuale veneto del novecento, che considerò Lissa l'ultima grande vittoria della marina veneta-adriatica.
I marinai infatti continuavano ad essere reclutati
su base volontaria nell'area veneta dell'impero asburgico, ed
a bordo il veneto continuò ad essere la lingua corrente, usata abitualmente anche dall'ammiraglio Wilhelm von Tegetthoff che aveva studiato (come tutti gli altri ufficiali) nel Collegio Marino di Venezia.
Non vi fu mai alcuna
sollevazione filo-sabauda tra gli equipaggi veneti della flotta austriaca, nemmeno quando si cominciò a parlare della cessione della Venezia all'Italia.
Perfino Garibaldi s'infuriò "perché i Veneti non si erano
sollevati per conto proprio, neppure nelle campagne dove sarebbe
stato facile farlo!".
La
Marina
Italiana, come accennato, subiva la rivalità fra le sue due componenti, la napoletana e sarda. I comandanti delle tre squadre nelle quali l'armata era divisa, l'ammiraglio Persano, il vice ammiraglio Albini ed il contrammiraglio Vacca erano separati da profonda
inimicizia.
E la lettura del quotidiano francese "La Presse" è estremamente interessante: "Pare che all'amministrazione della Marina italiana stia per aprirsi un baratro di miserie: furti sui contratti e sulle transazioni con i costruttori, bronzo dei cannoni di cattiva qualità, polvere avariata, blindaggi troppo sottili, ecc. Se si vorranno fare delle inchieste serie, si scoprirà ben altro".
"Ad
Ancona accorsero Agostino Depretis e Alfonso La Marmora per convincere Persano
ad agire.
Il presidente del Consiglio gli ordinò il 7 luglio di attaccare gli
austriaci, sbarcare sulla loro costa e occupare l'isola di Lissa, in
mezzo all'Adriatico. L'8 luglio Persano si decise all'uscita in mare
con la flotta e per cinque giorni andò senza una meta precisa e
senza cercare di sfidare la flotta austriaca che si trovava nella
base di Pola. Il 14 luglio 1866 la flotta tornò ad Ancona, con gli
ufficiali in piena rivolta e i marinai fuori di sé dalla rabbia e
dalla vergogna. Persano si giustificò ancora con l'assenza dell'Affondatore,
promettendo meraviglie quando avesse avuto questa unità ai suoi
ordini.
Infine arrivò l'ordine del re, insieme a quello di Depretis:
doveva attaccare Lissa, anche se non aveva mappe dell'isola e nemmeno un piano
operativo. Ma che cosa era Lissa? Era un'isola aspra e boscosa, distante circa
30 miglia dalle coste dalmate: era lunga circa 13 km e larga 6 km, nel 1866 era
abitata da 4.200 civili. Era una posizione d'importanza strategica ed era stata
potenziata dagli austriaci con 9 forti e 11 batterie, molte di queste sistemate
in posizione molto elevata sul mare, con un totale di 88 cannoni. Fra questi, i
maggiori erano pezzi da 24 libbre rigati e mortai da 48 e 60 libbre ad
avancarica. La guarnigione era di 1.883 uomini, fra reparti da sbarco della
marina e artiglieri da costa. […]
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La corazzata Palestro |
Il 16 luglio Persano, con riluttanza, diede alla sua squadra
l'ordine di prendere il mare. Aveva con sé tutte le unità corazzate
allora in servizio, meno l'Affondatore, con l'avviso
ausiliario Flavio Gioia inviato in avanscoperta a Lissa.
La sua flotta era così composta:
- divisione del contrammiraglio Vacca: Carignano (nave
ammiraglia), Castelfidardo e Ancona;
- divisione dell'ammiraglio Persano: Re d’Italia (nave
ammiraglia), Palestro e San Martino;
-
divisione del capitano di vascello Riboty: Re di Portogallo
(nave ammiraglia), Varese, Maria Pia, Terribile e
Formidabile.
Era presente anche la squadra comandata dal vice ammiraglio Albini,
composta da 4 pirofregate, 1 pirocorvetta, 5 avvisi, 3 cannoniere, 1
nave ospedale e 2 trasporti.
Persano
era, però, sicuro che la sua forza da sbarco fosse insufficiente,
composta da 500 marinai e 1.000 soldati. Aveva avuto la promessa di
un altro battaglione di fanteria da sbarco, due compagnie del genio
e 1.500 soldati, ma non erano ancora arrivati ed era dovuto partire
lo stesso, anche senza sapere quale fosse la forza a difesa
dell'isola.
Alle ore 15 del 16 luglio partì da Ancona e il Messaggero fu
inviato a fare una ricognizione di Lissa, con una finta bandiera
britannica. Al ritorno di questa nave Persano ricevette la notizia
che Porto San Giorgio, Porto Manego e Comisa - i maggiori approdi
dell'isola - erano ben difesi da batterie poste in posizione
elevata. Era già il 17 luglio e l'ammiraglio dispose che l'attacco
doveva avvenire all'alba del 18 luglio 1866.
Vacca, con le sue tre corazzate e l'avviso Guiscardo, doveva
bombardare Comisa, Albini con le unità non corazzate doveva
attaccare Porto Manego; il comandante Sandri, con le cannoniere,
doveva tagliare il cavo telegrafico che collegava Lissa con la
vicina isola di Lesina; l'avviso Esploratore doveva fare la
sorveglianza a nord, l'avviso Stella d'Italia ad ovest. Il
resto della flotta, al comando di Persano, doveva assalire Porto San
Giorgio, la località principale di Lissa. La conclusione di questo
piano, però, era il fatto che, se la flotta italiana fosse stata
attaccata d'improvviso, si sarebbe trovata divisa in quattro gruppi.
Molto tempo fu perso per dare gli ordini e, di conseguenza, le
operazioni iniziarono alle 10 del 18 luglio, così Tegetthoff ebbe
tutto il tempo di essere avvisato dell'arrivo degli italiani.
Alle 11 iniziò l'azione a fuoco e arrivò anche la pirofregata
Garibaldi con altri soldati e l'informazione che altri erano in
arrivo. Alle 15 saltarono in aria due depositi di munizioni
all'entrata di Porto San Giorgio e alcune batterie smisero di fare
fuoco, ma il consumo di munizioni della flotta italiana era stato
elevato: la sola Re d'Italia aveva sparato 1.350 colpi. Arrivò anche
la corvetta Guiscardo e il comandante annunciò che Vacca non aveva
potuto fare alcunché perché i forti erano troppo in alto. Gli fu
quindi ordinato di lasciare una sola nave a Comisa, per tenere
impegnata la guarnigione, e portare tutte le navi a rinforzare
Albini. A quel punto, però, arrivò da Porto Manego questo ammiraglio
con le sue navi in legno: aveva fatto un debole tentativo contro gli
austriaci, ma, quando tre proietti avevano colpito la sua nave
uccidendo due uomini e ferendone tre, aveva concluso che le sue
unità non potevano fare niente contro i forti austriaci e così, con
un raro esempio di disobbedienza, aveva abbandonato la posizione
assegnata. Il fallimento di Albini fece andare su tutte le furie
Persano […]. Alla fine accettò la versione di Albini e gli ordinò di
sbarcare le sue truppe a Porto Karober, presso Porto San Giorgio.
All'interno di questa località c'erano due forti, la batteria della
Madonna e quella del Telegrafo, ancora non colpite. Vacca ricevette
l'ordine di entrare nel porto con Castelfidardo e San
Martino, ma erano ormai le 18, i cannonieri erano esausti e
Persano sospese l'azione, rimandando tutto al giorno dopo.
Al tramonto inviò l'avviso Ettore Fieramosca ad Ancona
chiedendo rinforzi e alle 22 arrivarono le cannoniere annunciando il
taglio del cavo telegrafico, ma ormai era tardi: Tegetthoff aveva
ricevuto la notizia della presenza della flotta italiana e aveva
ordinato alla guarnigione di Lissa di resistere. Persano non si era
posto il problema dell'arrivo della flotta austriaca, sicuro che
Tegetthoff non avrebbe osato affrontare una squadra di forza
superiore, per cui diede le disposizioni per il giorno dopo, sicuro
di non essere attaccato dal mare: Terribile e Varese
dovevano assalire Comisa, Formidabile entrare in Porto San
Giorgio con l'appoggio delle tre corazzate di Vacca; lui stesso, nel
frattempo, avrebbe assaltato i forti esterni. Durante la notte,
però, gli austriaci lavorarono sodo per rimettere a posto le
batterie distrutte.
Al mattino del 19 arrivò infine il tanto atteso Affondatore,
insieme alle pirofregate Carlo Alberto e Principe Umberto,
con un convoglio di truppe che portò la forza da sbarco italiana a
2.600 soldati, cioè 800 in più della guarnigione austriaca. La
forza, se condotta con abilità, sarebbe stata sufficiente per
conquistare l'isola, ma questa dote era del tutto assente nei
comandanti italiani.
Il piano di Persano, nel frattempo, andava sviluppandosi: alle 15 la
Formidabile entrò nel porto accolta da un violento fuoco degli
austriaci e iniziò l'azione contro la batteria della Madonna ad una
distanza di circa 150 m. Vacca seguì, ma la specchio d'acqua del
porto era troppo ristretto e la batteria era coperta dalla
Formidabile, per cui uscì senza aver combinato niente.
Al tramonto del 19 luglio la nave si ritirò dall'azione senza essere
riuscita a distruggere la batteria, ma dopo aver combattuto con
coraggio e determinazione. Il suo comandante, Simone Pacoret di
Saint Bon, poté fare a Persano un rapporto orgoglioso, ma pesante
nei risultati: aveva a bordo 3 morti e 55 feriti, tutte le
sovrastrutture, compresi fumaiolo e alberi, erano ridotte in pezzi e
alcuni cannoni erano stati smontati; un colpo, entrato da una delle
cannoniere divelte, aveva intossicato con i suoi gas quasi tutti i
marinai.
Persano aveva una delle sue migliori unità fuori combattimento e
Saint Bon decise di ritirarsi verso ovest e trasferire i feriti su
una nave ospedale.
Nel frattempo Albini, dotato dello stesso livello d'incapacità di
Persano, non aveva fatto niente: era rimasto tutto il. giorno fuori
Porto Karober sostenendo che la risacca impediva lo sbarco del corpo
di spedizione. Secondo Persano, il mare era calmo e non c'era
nessuna oscillazione sulle navi che stavano cannoneggiando Lissa.
Nel frattempo le difese di Porto Karober resistevano, ma alle 23 il
vento rinforzò e, in effetti, da quel momento lo sbarco non fu più
possibile. Un Consiglio di guerra fu tenuto a bordo della nave
ammiraglia […]. L'ammiraglio italiano decise di riprendere
l'attacco, ma questo andava fatto con prudenza e attenzione: Albini
fu sollecitato a far sbarcare i suoi uomini, Vacca doveva incrociare
a nord dell'isola, Terribile e Varese dovevano battere
ancora Comisa mentre Persano sarebbe tornato contro Porto San
Giorgio. Non era previsto ancora nessun piano operativo se fosse
apparsa la flotta austriaca.
Il mattino del 20 luglio 1866 era fosco e minacciava tempesta; il
trasporto Piemonte arrivò con un nuovo battaglione di truppe
e Persano iniziò le operazioni. Le corazzate italiane erano disperse
lungo la costa dell'isola per prendere le posizioni assegnate quando
alle 7,50 apparve l'avviso Esploratore che segnalò:
«Bastimenti sospetti nella direzione di ponente-maestro». Era
Tegetthoff che avanzava a tutta forza.
Com'era dislocata la flotta italiana? Re d'Italia, Palestro, San
Martino, Re di Portogallo e Maria Pia stavano bombardando
Porto San Giorgio; Carignano, Castelfidardo e Ancona
erano distanti, a nordest dell'isola, Terribile e Varese
erano sul lato ovest, la Formidabile parecchie miglia a
ovest, impegnata a trasbordare i feriti in condizioni critiche, con
l'acqua che entrava dai portelli divelti dalle cannonate. La squadra
di Albini, con i ponti ingombri di truppe e materiali, si preparava
alle operazioni di sbarco. Una grande confusione attraversò tutta la
flotta italiana, colta dal panico di una situazione prevedibile, ma
non programmata e con di fronte un nemico temibile.
Il contrammiraglio barone Wilhelm von Tegetthoff era nato a Marburg
(oggi Maribor, in Slovenia) nel 1827 e aveva quindi trentanove anni,
molto giovane per l'incarico che ricopriva. Era già stato al comando
della flotta austro-prussiana quando nel 1864 aveva dovuto
affrontare un violento combattimento a Helgoland contro una
formazione navale danese superiore di numero: aveva avuto la peggio
con la sua unità, la pirofregata Schwarzenberg, molto
danneggiata, ma aveva costretto i danesi a ritirarsi. Era un uomo
coraggioso e deciso, che sapeva ispirare fiducia nei suoi uomini:
passerà alla storia come uno dei migliori comandanti in mare. Quando
assunse la guida delle forze navali austriache, le trovò in uno
stato di trascuratezza, dopo che negli anni Cinquanta erano state
comandate dall'arciduca Massimiliano d'Asburgo. Nonostante ciò,
aveva convinto il governo di Vienna a potenziare la flotta che, nel
1866, disponeva della nuova base di Pola, di un ottimo polo
cantieristico a Trieste e di una squadra di sette navi corazzate.
Due di queste, la Ferdinand Max e Habsburgh, mancavano
delle principali artiglierie che, ordinate alla ditta tedesca Krupp,
erano state bloccate dallo stato di guerra fra le due nazioni: su
queste due unità lo scafo e i motori erano a posto, ma le
sistemazioni interne erano incomplete. La Don Juan de Austria
era priva di una parte della corazza, pronte erano la Drache,
Salamander, Kaiser Maximilian e Prinz Eugen, tutte
unità con dislocamento fra 3.400 e 3.800 t. Tegetthoff aveva a
disposizione anche il pirovascello Kaiser, armato con 90
cannoni ma privo di corazza, le pirofregate Adria, Donau,
Radetzky e Schwarzenberg, mentre la Novara aveva
avuto un incendio a bordo ed era ai lavori. La squadra austriaca
disponeva anche di 1 pirocorvetta, 2 yacht imperiali impiegati come
avvisi e 7 cannoniere.
Un piroscafo fu requisito al Lloyd Austriaco come ulteriore avviso,
Ferdinand Max e Habsburgh furono rapidamente
completate con cannoni ad avancarica, la Don Juan de Austria
ricevette un rinforzo dello scafo dove mancava la corazza, la
Novara fu riparata a ritmo accelerato. Nonostante questi sforzi
il rapporto di forza era a favore degli italiani: nel numero di navi
era di 1,99 a 1, nel dislocamento di 2,64 a 1, nel numero di cannoni
di 1,66 a 1, nella potenza dei motori di 5,7 a 1. I marinai della
flotta austriaca erano per la maggior parte dalmati o veneti: 800
erano della laguna veneta, ma erano considerati affidabili e ben
preparati. A conferma di questa situazione, gli ordini a bordo
venivano dati in lingua veneta.
Il 30 aprile 1866 aveva ricevuto l'ordine di preparare la squadra e
da quel giorno Tegetthoff aveva effettuato continue esercitazioni,
cercando di comunicare agli equipaggi il suo ardore bellico. I suoi
marinai non erano ancora abituati alle unità corazzate e ai cannoni
rigati e inoltre, anche lui aveva urgente necessità di abili
macchinisti e fuochisti, ma riuscì a trovarli nella numerosa flotta
mercantile triestina. Tutto quello che poteva fare lo fece:
Tegetthoff aveva continue riunioni con i comandanti delle navi, per
risolvere soprattutto il problema della minore potenza dei suoi
cannoni. La disposizione data era che tutti i pezzi d'artiglieria di
una nave fossero puntati sullo stesso punto di quella avversaria, in
modo da aumentarne la potenza. Le navi in legno ebbero un rinforzo
esterno composto di catene di ferro: non sarebbe servito a molto, ma
dava fiducia agli equipaggi. La flotta austriaca usciva in mare ogni
giorno e manovrava di continuo, in modo che i comandanti imparassero
'ad avere confidenza fra loro; anche l'addestramento ai segnali era
continuo e così le esercitazioni di tiro per i cannonieri.
Il 24 giugno 1866 Tegetthoff aveva chiesto di poter passare
all'offensiva. Gli fu concesso con alcuni limiti, ma già il 26 era
in mare: credeva che la flotta italiana fosse ancora a Taranto e
sperava di coglierla impreparata durante il trasferimento ad Ancona,
ma, arrivato il 27 davanti al porto marchigiano, la vide già
all'ancora in quella base. Osservò che la squadra avversaria non era
in condizioni di combattere, ma la sua era in ogni caso inferiore
(aveva solo 6 corazzate) e non volle rischiare per il momento, così
durante la notte si ritirò nel canale di Fasana, presso Pola.
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Carlo Pellion di Persano |
Il 6 luglio prese il mare verso Ancona, ma ancora non ci fu
battaglia. Dopo alcuni giorni passati sempre in addestramento degli
equipaggi, il 17 luglio arrivò un messaggio da Lissa con
l'informazione che una nave, sotto bandiera inglese, stava
effettuando una ricognizione della zona. Il 18 luglio, in rapida
successione, arrivarono queste comunicazioni dall'isola: «Nove navi
da guerra senza bandiere si dirigono verso l'isola», «Dieci navi da
guerra s'avvicinano sotto bandiera francese.», «Le navi avvistate
manovrano verso nordovest con le bandiere ammainate; date
l'allarme.», «Le navi avvistate si avvicinano a Lissa e distano
dieci miglia: attacco imminente.» «Comisa attaccato da dieci navi,
bandiera italiana.», «Il porto di Lissa attaccato.», «Duro
cannoneggiamento di Lissa: niente perdite.»
Dapprima Tegetthoff ebbe il sospetto che l'attacco all'isola
rappresentasse una finta e che il reale obiettivo fosse un'azione
contro Venezia, ma quando la mattina del 19 luglio 1866 il
governatore della Dalmazia (il cavo telegrafico era ormai
interrotto) avvisò che l'attacco era ripreso, Tegetthoff chiese a
Vienna l'autorizzazione all'attacco, fece un'ultima conferenza con i
comandanti, poi diede l'ordine alle navi di dare pressione alle
caldaie e prendere il mare appena pronte.
La squadra austriaca era così disposta: prima c'erano le sette
corazzate in una formazione a cuneo, con l'ammiraglia Ferdinand
Max alla punta della formazione. Sulla destra c'erano Don
Juan de Austria, Habsburgh e Drache, sulla sinistra
Kaiser Max, Prinz Eugen e Salamander.
Seguiva poi la corvetta
Erzherzog Friedrich come unità ripetitrice dei segnali. A un
intervallo di 500 m seguivano, anche loro in formazione a cuneo, le
pirofregate con al centro il pirovascello Kaiser al comando
del commodoro Petz. Seguiva poi un' altra unità ripetitrice e poi,
sempre a cuneo, dieci unità minori, corvette e cannoniere. La
formazione adottata metteva le unità più potenti in prima linea, a
protezione delle altre, concentrando in un piccolo spazio il massimo
della forza, favorendo l'impiego dello sperone e senza coprire il
fuoco di fianco delle corazzate e delle altre unità. Era chiara
l'intenzione di Tegetthoff: spezzare la linea italiana e concentrare
poi l'azione sulla sezione più debole della flotta italiana, così
divisa.
Alle 6,40 del 20 luglio 1866 le vedette avvistarono le unità
italiane. Quasi subito arrivò un temporale che occultò la vista per
un certo tempo, ma i marinai austriaci stavano facendo colazione e
questo gli permise di prepararsi meglio all'azione. Alle 9 del
mattino il tempo migliorò e il mare si calmò, benché restasse ancora
abbastanza agitato da creare problemi ai cannonieri delle unità
minori. Furono alzati i segnali «Pronti all'azione», «Macchine a
tutta forza», e, alle 10,35, «Le corazzate carichino il nemico e lo
affondino».
Quando vide gli austriaci, anche Persano fece molte segnalazioni
alle sue navi. Dapprima ordinò a Terribile e Varese di
raggiungerlo, poi diede ordine alle sue unità e a quelle di Vacca di
disporsi in linea di fianco, rotta nordovest. Segnalò ad Albini di
abbandonare le barche e gli uomini ormai a terra, lasciando il
compito alle cannoniere e ai piroscafi minori di provvedere al loro
recupero, e di sistemarsi in linea di fila dietro alle corazzate.
Albini, però, non eseguì l'ordine perché sostenne di non averlo mai
ricevuto.
Pochi minuti dopo si vide che la linea stava prendendo la direzione
sbagliata, Persano ordinò allora di dirigere per un minuto a
nordest, poi ordinò di essere pronti all'azione e infine di
attaccare. Le corazzate raggiunsero la loro posizione con lentezza e
Re di Portogallo e Castelfidardo segnalarono che
avevano problemi alle macchine. La Formidabile comunicò che
si dirigeva per Ancona e, in quel momento, a Persano venne
l'intuizione di andare al combattimento secondo il vecchio stile
nelsoniano, per cui ordinò alla flotta di assumere una linea di
fila. L'ordine fu eseguito, pur con qualche difficoltà: prima la
Carignano (nave ammiraglia di Vacca), poi Castelfidardo,
Ancona, Re d’Italia (nave ammiraglia di Persano),
Affondatore, Palestro, San Martino; in coda c'era Riboty con
Re di Portogallo e Maria Pia. Varese e
Terribile erano rimaste distanziate, ma così la linea italiana
era lunga circa 18 km. Persano, in seguito, affermò che il suo
progetto era di entrare in azione con tre gruppi: Vacca con tre
navi, lui con cinque e Riboty con tre, ma la mancata presenza di tre
unità (Terribile, Varese e Formidabile) gli
creò molti problemi.
A questo punto Persano ebbe un'altra idea: ritenne giusto che il
comandante della flotta dovesse stare su una nave veloce e
maneggevole fuori della linea. Poiché la Re d'Italia non era
né veloce né maneggevole, fece accostare l'Affondatore e, con
una lancia, trasbordò su di esso. Anche l'Affondatore non era
però maneggevole, inoltre era una nave a torri e nessuno sapeva
ancora come utilizzarla in combattimento. Peggio di tutto, non aveva
molti alberi adatti per i segnali e, ultima cosa tragica, Persano
non avvisò nessun comandante che passava sull'Affondatore e
lasciò l'insegna di ammiraglio sulla nave da cui si era allontanato,
creando una notevole confusione; inoltre, la sosta per trasbordare
scompaginò la linea italiana, creando un varco fra la sua nave
ammiraglia e l'Ancona, nel quale quindici minuti dopo
s'infilò la squadra austriaca, spezzando in due la flotta italiana.
Iniziò quindi un vivace scambio di cannonate fra le due squadre, ma
nessuna nave, in questa prima fase fu speronata. Albini ebbe una
buona intuizione e ordinò alle sue tre corazzate un'accostata a
sinistra per cercare di colpire le navi in legno austriache, ma
eseguì la manovra con troppa lentezza e la squadra di Petz era già
passata e cercava di attaccare la squadra in legno di Albini; si
trovò però di fronte le unità di Riboty che, rinforzate dalla Varese
giunta nel frattempo, la tagliarono fuori da Tegetthoff. Albini, nel
frattempo, restò del tutto passivo, mentre Riboty «ripassava» a
cannonate il vascello Kaiser.
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Affondatore, ariete corazzato a torri sabaudo |
Tegetthoff, dopo aver oltrepassato la linea italiana, virò di 180° e
tornò nell'azione: le navi austriache erano dipinte di nero mentre
la squadra italiana era dipinta di grigio (meno l'Affondatore
che aveva i colori vittoriani). Le navi austriache, inoltre, avevano
strisce identificative sui fumaioli, per cui Tegetthoff poté dare
l'ordine: «Speronate tutto ciò che è grigio!». Lo scontro diventò
una mischia confusa nella quale le unità si tiravano cannonate e
cercavano di speronarsi. La distanza di combattimento era tanto
breve che la corazzata austriaca Prinz Eugen defilò contro
bordo alla similare unità italiana Regina Maria Pia e i
rispettivi comandanti, Barry e del Carretto, si salutarono con
cortesia dai ponti di comando. La mischia si accese intorno alla
Re d'Italia, che fu aiutata dalla Palestro, ma il tiro
concentrato delle navi austriache, in particolare della Drache,
provocò un incendio sul ponte di questa unità che fu costretta ad
allontanarsi dall'azione. Una nave austriaca non identificata colpì
con lo sperone la poppa della Re d'Italia, che ebbe il timone
danneggiato e non poté manovrare. Tegetthoff si trovò davanti
l'ammiraglia italiana quasi ferma: diede subito l'ordine
all'equipaggio della Ferdinand Max «avanti a tutta forza» e,
poco prima dell'urto nella fiancata, l'altro ordine importante
«macchine indietro». Poco prima dello speronamento, Tegetthoff aveva
raggiunto il timoniere Vianello, un veneto di Pellestrina
soprannominato «Gratton», e gli aveva detto, esortandolo: «Vai
Nane, ghe semo!».
La nave austriaca al momento dell'urto ebbe una scossa ridotta,
anche se molti marinai caddero sul ponte in seguito all'urto. A
macchine indietro la Ferdinand Max si scostò dalla Re
d'Italia, che si era inclinata sulla destra, mostrando un enorme
squarcio sulla fiancata sinistra. Questa s'inclinò subito e in pochi
minuti affondò, trascinando con sé quasi 400 uomini, compreso il
comandante Emilio Faà di Bruno. […] Tegetthoff […] non poté fermarsi
a recuperare i naufraghi perché si stava avvicinando la corazzata
San Martino e anche l'avviso Elizabeth non poté
effettuare il salvataggio.
La battaglia proseguì con azioni fra gli austriaci e Re di
Portogallo, Maria Pia e Varese. Intervenne anche l'Affondatore,
con Persano a bordo, che cercò di attaccare due volte il vascello
Kaiser, ma senza risultato. Un violento scontro avvenne fra
questa unità e la Re di Portogallo, che fu speronata dalla
nave austriaca. Non ci fu nessun effetto, eccetto il fatto che il
Kaiser perse il bompresso e la polena rimasti a bordo della
corazzata italiana. Una cannonata dell'Affondatore colpì il
Kaiser provocando morti e feriti a bordo, ma questo evitò
l'attacco di Ancona e Varese che entrarono in
collisione fra loro.
La Palestro continuava a bruciare e non riusciva a spegnere
l'incendio; sulle navi italiane cominciavano a scarseggiare le
munizioni e gli equipaggi erano demoralizzati. Persano riuscì a
riorganizzare la flotta su una linea di nove corazzate, parallela
alla squadra di Tegetthoff, che era arrivato a Lissa e aveva notato
con soddisfazione che era ancora in mano austriaca. Le due flotte si
confrontarono ancora fino al tramonto poi, quasi di comune accordo,
interruppero l'azione.
Tegetthoff tornò a Pola e Persano ad Ancona, ma gli italiani
dovevano ancora subire un altro colpo: alle 14,30 la Palestro
saltò in aria perché il suo comandante Alfredo Cappellini, dopo aver
allagato il deposito munizioni, aveva conservato una riserva di
cariche qualora fosse dovuto tornare in azione. Morì buona parte
dell'equipaggio e, come Faà di Bruno, anche Cappellini sparì con la
sua nave.
Alla fine dello scontro gli italiani riuscirono a salvare 166
marinai della Re d’Italia, che erano rimasti a galla
aggrappandosi ai relitti della loro nave. Le perdite degli austriaci
furono di 38 morti e 138 feriti e nessuna unità affondata; gli
italiani, oltre a due corazzate, ebbero 620 morti e 161 feriti.
Tornata in porto, la flotta italiana ebbe un altro colpo: un
improvviso fortunale abbattutosi sul porto di Ancona il 6 agosto
1866. L’Affondatore imbarcò acqua e si adagiò sui fondali del
porto. L'unità fu poi recuperata, ma l'umiliazione della flotta
italiana era grande: questo enorme complesso navale, la cui
realizzazione aveva pesato in notevole misura sui bilanci dello
Stato, aveva fallito alla sua prima prova. […]
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Il contrammiraglio Giovanni Vacca, proveniente dalla
Marina Napoletana, fu accusato di non aver collaborato con Persano
(coll. Carlo di Somma) |
L'umiliazione militare del nuovo regno era completa. […] Persano e
Albini furono subito sbarcati, e il primo, in quanto senatore, fu
deferito al Senato, riunito in Alta Corte di giustizia, con l'accusa
di incapacità, negligenza, disobbedienza, codardia e tradimento.
Alcune accuse caddero perché vendicative in modo palese, ma fu
condannato per disobbedienza con 83 voti a 48, e per incapacità e
negligenza per 166 voti a 15. […] Fu privato del grado e della
pensione, oltre a dover pagare le spese processuali."
[Achille
Rastelli, La Corazzata – l’evoluzione della nave da battaglia in
Italia, Mursia, ed. 01/05]
Nonostante le sconfitte di Custoza e Lissa, il Veneto passò all'Italia. E a Napoleone III, imperatore dei francesi, non resterà che dire riferendosi agli italiani: "Ancora una sconfitta e mi chiederanno Parigi".
Persano perse il posto:
dopo il processo in Senato, fu degradato con ignominia per
incapacità. Forse fu il più umano dei suoi delitti. Questo "condottiero" si era già distinto in precedenza collaborando con il generale Lamarmora nel
bombardamento di Genova, in occasione dei moti di del 1849. Venne utilizzato da Cavour nel 1860 per corrompere gli ufficiali napoletani, con l'aiuto di due zii di Francesco II, Leopoldo e Luigi, che avevano incredibilmente abbracciato la causa sabauda.
Bombardò la città di Ancona in cui si erano arroccate le truppe
pontificie dopo la battaglia di Castelfidardo: il “glorioso marinaio
dell’unità d'Italia”, come definito da Cavour, ottenuta la resa
della città, proseguì il fuoco per altre lunghe 11 ore. Bombardò
Gaeta. Si accingeva a farlo a Lissa, ma lì trovò chi era in grado di
difendersi ...
La flotta italiana si "rifece" al rientro bombardando la città di Palermo, 23 settembre 1866, insorta contro il governo oppressivo dei Savoia (rivolta del "Sette e Mezzo").
Note
[1] Achille Rastelli,
La Corazzata – l’evoluzione della nave da battaglia in Italia,
Mursia, ed. 01/05
Bibliografia -
Achille
Rastelli, La Corazzata – l’evoluzione della nave da battaglia in
Italia, Mursia, ed. 01/05 -
Ettore Beggiato, Vicenza, luglio 1998 -
Mazzini a Bagnasco in “Il precursore” Palermo 31 luglio 1865
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