Le Pagine di Storia

 

 

 

 

Le Leggi Eversive del 1866

di Ciro La Rosa

Cuono Gaglione, Donne del sud

Prima di tutto bisogna spiegare l’etimologia della parola “eversivo”; nel contesto in cui furono emesse le “leggi” il significato era di “distruggere”, “mandare in rovina”, “contrastare”; mentre oggi il suo significato è quello di sovvertire o abbattere l’ordine costituito.

Ora esaminiamo le ”leggi eversive” promulgate dal novello governo nazionale italiano nel luglio del 1866 e nell’agosto del 1867 le cui intenzioni primarie furono quelle di sopprimere numerosi Enti Ecclesiastici e di avocandone il patrimonio allo Stato e agli enti pubblici locali. L’amministrazione di tale patrimonio fu affidata al “Il Fondo per il Culto”, di nuova istituzione. I beni in esso contenuti vennero diminuiti del 30%, ed arbitrariamente incamerati dallo Stato che inventò e coniò, all’occasione, una “Tassa Straordinaria” al solo scopo di giustificare l’indebita appropriazione.

Nelle intenzioni, la legge mirava ad evitare che beni immobili restassero per secoli di proprietà di uno stesso titolare (la Chiesa), impedendone così la libera circolazione. In realtà, le vendite delle terre facenti parte dell’ex patrimonio ecclesiastico, che avrebbero dovuto realizzare l’incremento delle proprietà contadine, finirono invece nelle mani dei speculatori e latifondisti, dando così inizio a quelle che furono le giuste rivendicazioni dei contadini nel primo Novecento. Una parte dei beni urbani, tramite il demanio, passarono nella quasi totalità ai Comuni che, in alcuni casi, le utilizzarono – e ancor oggi utilizzano – come scuole, collegi, uffici; lo Stato le utilizza ancora come caserme o carceri.

La infelice o cattiva amministrazione e utilizzazione dei beni ecclesiastici derivò dal cronico disavanzo del bilancio pubblico (ieri come oggi!): per necessità di realizzare contanti, lo Stato effettuò vendite in maniera disorganica e frettolosa. Gli effetti sono, purtroppo,  ancor oggi visibili: splendide chiese, cappelle, congreghe – specialmente nel Meridione – sono diventate negozi, botteghe artigiane, rimesse, depositi, abitazioni civili  e alcune, addirittura dimenticate, sono state abbandonate e rese facili prede di razziatori di opere d’arte.

L’intenzione secondaria ma non seconda per importanza fu quella di stroncare il potere clericale e antiunitario che a 6 anni dall’annessione del Regno delle Due Sicilie, era ancora molto radicato e alimentava il malcontento e il brigantaggio; non si dimentichi che i Borbone con il clero ebbero sempre un rapporto protezionistico e di difesa della Religione. Nell’ex Regno vi erano due enclavi Pontificie: le città di Benevento e Pontecorvo, e sussisteva la dipendenza feudale, anche se solo formale, delle Due Sicilie dalla Chiesa con il rito della “Chinea” – l’offerta di un cavallo bianco e una somma di denaro quale tributo per il dominio del Pontefice sul Regno – che venne poi definitivamente abolito da Ferdinando II solo nel 1855.

Altro fine consequenziale era quello di annichilire la memoria storica del Sud con l’appropriazione dei fondi archivistici, oggi non ancora resi pubblici o di difficile consultazione, e anagrafici voluti con il Concilio di Trento – tenutosi tra la prima metà e la seconda del XVI secolo -  che imponeva ai Parroci di tenere i registri dello stato civile con atti relativi sia al culto sia all’amministrazione sia giuridici riguardanti i rapporti con lo Stato, interessanti e utili per le numerose notizie sulla vita svolta nelle città e del loro grado di civiltà.

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