Le Pagine di Storia

L'isola Ferdinandea

a cura di Alfonso Grasso

Medaglia in bronzo dedicata al vulcanologo Giuseppe Gioeni (Catania, 1747- 1822) - (collezione Francesco di Rauso, Caserta) clicca sull'immagine per ingrandire

Sono state frequenti le eruzioni vulcaniche al largo delle coste siciliane di Sciacca, nel tratto di mare che va da Capo Granitola a Capo Bianco, in corrispondenza di bassifondi ricoperti di coralli. Dall’eruzione avvenuta in epoca immemorabile, nacque l'isola di Pantelleria, che culmina nella Montagna grande, avanzo di un cratere vulcanico contornato da altri 24 crateri detti "cuddìe".

Precisamente fra Pantelleria e Sciacca, nel 1831, spuntò un'isola vulcanica che, dalla sua nascita alla sua scomparsa, poté essere seguita e studiata dai più illustri scienziati dell’epoca. Il 28 giugno 1831 si cominciarono ad avvertire a Sciacca ripetute scosse di terremoto che durarono fino al 10 luglio e produssero lesioni in alcune case. Il mare, nel tratto nel quale doveva sorgere la nuova isola, fu violentemente agitato, come asserì il capitano Pulteney Malcon il quale vi passò col suo bastimento. Il 4 luglio si avvertì odore di idrogeno solforato proveniente dal mare, in quantità tale da annerire gli oggetti d'argento. Il 13 luglio, si vide nettamente dalla piazza di Sciacca una colonna di fumo, alla distanza di circa 30 miglia. Si pensò ad un piroscafo di passaggio; poi, data la persistenza del fumo, ad un piroscafo in fiamme.

In quello stesso giorno il capitano Francesco Trafiletti. comandante del brigantino Gustavo, proveniente da Malta, riferì che a 30 miglia da Capo S. Marco aveva notato un ribollimento delle acque che aveva creduto effetto dell’agitarsi e del dibattersi di grossi cetacei. La colonna di fumo, il ribollimento delle acque ed i boati furono notati dal 13 al 15 luglio anche dal capitano Mario Provenzano, comandante la bombardiera Madonna delle Grazie, che faceva rotta per Malta. Due giorni dopo il capitano Corrao di Sciacca ed i marinai che tornavano dalla pesca, passando da quel punto notarono gran quantità di pesci galleggianti, alcuni morti, altri tramortiti ed una colonna di fumo di circa 15 metri di altezza che si alzava impetuosamente dal mare, accompagnata da forti brontolii e dal gorgoglio delle acque circostanti.

Dopo un paio di giorni cominciò l’eruzione di lapilli, di pomici. di tufi e di scorie infuocate che, cadendo roventi nel mare, ne determinavano uno spumeggiante stridore e si spingevano fino alla spiaggia di Sciacca. Il 17 luglio si era già formato un isolotto che cresceva rapidamente in dimensioni e in altezza. La Deputazione sanitaria di Sciacca mandò sul posto una barca peschereccia comandata da Michele Fiorini, il quale piantò sulle falde del vulcano nascente un remo, come primo scopritore, e portò a Sciacca le prime notizie sulla nuova isola.

Questa era sorta a 37°, 11’ di latitudine nord e 12°, 44’ di longitudine est, in una zona profonda 180 metri, sul banco detto "secca di mare". La notizia della nascita della nuova isola si sparse rapidamente; da Palermo fu inviata la real corvetta Etna, al comando del capitano di fregata Raffaele Cacace; da Marsala partì un brigantino inglese con a bordo anche molti curiosi. I fenomeni eruttivi furono intensissimi dal 18 al 24 luglio, poi cessarono fino ad estinguersi nei primi di agosto, epoca in cui l’isola raggiunse il suo massimo sviluppo: 4800 metri di circonferenza e 63 metri di altezza massima. Essa si presentava di forma circolare ed era irregolarmente alta; infatti dal lato di nord-est aveva la sua massima altezza, dal lato sud era alta appena m. 8,50 ed ancor meno dal lato ovest. Nel mezzo era un falso piano che nella parte nord comunicava col mare ed in esso si apriva il cratere della circonferenza di 184 metri, dove si aprivano due bocche eruttive, dalle quali venivano emessi ad intermittenza, i materiali vulcanici. L'eruzione durava da mezz'ora ad un'ora e poi riprendeva dopo qualche minuto, determinando così una deposizione a strati dei materiali eruttati.

Cessata l'eruzione, le due bocche del cratere si riempirono di acqua marina che vi entrava da nord e si trasformarono così in due laghetti dove l'acqua mandava vapore fino alla altezza di qualche metro. Uno dei due laghetti aveva una circonferenza di venti metri ed una profondità di due l’acqua contenuta era di color giallo rossastro ed aveva sapore salino piccante; l'altro laghetto era più piccolo e l'acqua aveva color giallo e sapore sulfureo. L'analisi delle dette acque dimostrò trattarsi di acqua marina con sali ferrosi ed idrogeno solforato.

L'eccezionale fenomeno geologico fu osservato e studiato da numerosi scienziati fra cui i tedeschi Hoffinann, Schultz e Philippi, gli inglesi Davy e Smyth, i francesi Jonville e Prévost. Fra gli italiani furono: Domenico Scinà (1765-1837) che pubblicò le sue osservazioni nelle "Effemeridi siciliane" (1832 - Vol. 2°) e Carlo Gemmellaro (1787-1866) professore di geologia e mineralogia nell'Università di Catania, il quale pubblicò una chiara e precisa relazione negli "Atti dell'Accademia Gioenia di Catania" (1831 - Vol. 8°). Molti furono i curiosi che si recarono a Sciacca per portarsi sulla nuova isola ed alcuni di essi ne hanno lasciato descrizioni in giornali e, riviste dell'epoca, specialmente gli stranieri. Fra cui, in particolare modo, gli inglesi, due dei quali, malgrado il calore emanato dai materiali eruttivi, nei quali si affondava fino alla caviglia, con la classica flemma britannica, si sedettero a far colazione!

Gli inglesi mostrarono subito un particolare interesse per la nuova isola che si trovava sulla rotta per Malta. La Gazzetta di Malta del 10 agosto 1831 riferiva che il capitano Sanhouse, comandante del cutter Hind, il 2 agosto era sbarcato sulla isola e vi aveva piantato la bandiera inglese. All'isola furono dati vari nomi. La Società Reale e la Società di geologia di Londra adottarono il nome di Graham, uomo politico inglese che partecipò alle vicende della costituzione siciliana del 1812 e fu poi ministro degli interni quando furono aperte le lettere di Mazzini che, comunicate al governo borbonico, causarono la fucilazione dei fratelli Bandiera e dei loro animosi compagni. Il 17 agosto 1831 Ferdinando II di Borbone, allora regnante su Napoli e Sicilia, con atto sovrano includeva l'isola nel Regno e le dava il nome di Ferdinandea.

Il 29 settembre il francese Derussat, che faceva parte della spedizione scientifica del prof. Prévost, issò la bandiera francese sulla parte più alta dell'isola, alla quale fu dato il nome di Giulia a ricordo della sua apparizione nel mese di luglio. Intanto la nuova isola, flagellata dalle onde, diminuiva progressivamente. Verso la fine di ottobre l'isola emergeva di circa un metro dal livello del mare ed il cratere era appena riconoscibile.

L'8 dicembre il capitano Vincenzo Allotta, comandante del brigantino Achille, al posto dell'isola trovò una piccola colonna di acqua calda "con puzza di bitume". Il 17 dicembre due ufficiali dell'Ufficio topografico di Napoli, recatisi sul posto, trovarono che tutta l'isola era stata coperta dal mare. Verso la fine del 1835 al posto dell'isola esisteva un piccolo monte subacqueo esteso per circa 1100 metri e la cui cima era a circa tre metri dalla superficie del mare, costituendo un pericolo per la navigazione. Il 12 agosto 1863 il cratere si riaprì ed in pochi giorni si formò una nuova isoletta che fu subito distrutta dalle onde marine.

Secondo i rilievi fatti dall'Istituto Idrografico della Marina Militare attualmente dell'isola rimane un cono vulcanico, la cui sommità sale ad otto metri sotto il livello del mare. Il 5 febbraio del 2000 il tratto di mare dove l'isola è scomparsa cominciò a dare segni di vita, e i locali ritennero che stava ripetendosi il fenomeno vulcanico che aveva portato all'emersione di Ferdinandea nell'800. Di opposto parere i geologi, ma tant'è, subito ripresero le polemiche: il Times infatti pubblicò che un'isola britannica stava per riemergere dal mare, mentre Carlo di Borbone (che vanta una discendenza da Ferdinando II) ha rinunciato (non si sa a quale titolo!) a ogni diritto sull'isola a favore dello stato italiano.

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