Note e Versi Meridiani

Oi lasso non pensai

Federico II di Svevia

(Iesi 1194 - Fiorentino, presso Lucera 1250)

 

Oi lasso, non pensai si forte mi paresse
lo dipartire da madonna mia
da poi ch’io m’aloncai, ben paria ch’io morisse,
membrando di sua dolze compagnia;
e giammai tanta pena non durai
se non quando a la nave adimorai,
ed or mi credo morire ciertamente
se da lei no ritorno prestamente.
Canzonetta gioiosa, va a la fior di Soria,
a quella c’à in pregione lo mio core:
Dì a la più amorosa,
ca per sua cortesia
si rimembri de lo suo servidore,
quelli che per suo amore va penando
mentre non faccia tutto l suo comando;
e pregalami per la sua bontade
ch’ella mi degia tener lealtate.


Cenni sulla Scuola poetica siciliana

di Astrid Filangieri

La scuola poetica siciliana è la prima forma di letteratura laica in Italia. Suo promotore fu l'Imperatore Federico II di Svevia. Questa scuola vide il suo apice tra il 1230 e il 1250. Nasce come una poesia di corte, infatti autori dei più noti sonetti sono lo stesso Federico II e membri della sua corte quali il suo logoteta Pier delle Vigne, Re Enzo, figlio di Federico, Rinaldo d'Aquino, Jacopo da Lentini funzionario della curia imperiale, Stefano protonotaro da Messina, ecc. La lingua usata era il siciliano o meglio il siculo-appulo.

Tale esercizio letterario fu voluto dallo Svevo per amore verso la poesia o, per intento più alto, per unificare linguisticamente il suo regno nel sud dell'Italia. Viene quindi detta scuola poetica siciliana e "siciliani" sono detti i rimatori che aderiscono a questa corrente anche se non sempre si trattava di poeti meridionali, vedasi per esempio Percivalle Doria.

La scuola sarebbe la risposta italiana alla poesia provenzale, ma se pure da essa ha preso le mosse non si può negarle una sua originalità. Nella poesia siciliana notiamo delle immagini e delle metafore tipiche anche della poesia araba che a Palermo aveva ancora forti radici: se ne possono notare gli influssi anche in documenti emessi dalla curia o in epistole private scritte da alti funzionari. Dalle poesie d'amore di Federico II dedicate a Bianca Lancia o ad altre nobil donne, si va ai versi nostalgici di re Enzo, alle rime di Pier delle Vigne in cui riecheggia forse ancora la poesia provenzale, dai moduli cortesi si discosta Rinaldo d'Aquino nel lamento di una donna per la partenza del marito che va in Terrasanta, fino alle espressioni più spontanee, più popolari di Giacomino Pugliese che esprime il pianto di un uomo per la morte della sua amata, alla naturalezza e quasi irriverenza del contrasto di Cielo d'Alcamo. Re Manfredi continuò anch'egli a coltivare la poesia presso la sua corte, ma morto lui si ebbe un allontanamento e poi un abbandono dello stile siciliano, per cui si può considerare la scuola poetica siciliana strettamente legata agli Hohestaufen.

Gli originali delle liriche della scuola poetica siciliana sono andati dispersi, ed a noi sono giunte solo le versioni del Trecento, fatte dei trascrittori toscani, per cui non si può escludere che siano state leggermente modificate ed "italianizzate".

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