Sud Illustre

 

 

 

Andrea Camilleri

Il campo del vasaio

… quattro o cinque anni. Scesa la notte, il buio s’infittiva nella stanza; chiudevo gli occhi e tutto ricominciava. Ero un bambino molto piccolo e uscivo di casa. Prendevo la via che portava alla scuola o fino ai giardini. Tutto era deserto. Una grande calma. Andrea Camilleri Trovarsi in casa Totò Riina candidato premier, intento a formare la lista dei ministri del suo governo. È quanto accade al commissario Montalbano che, nelle prime pagine della nuova avventura, tarda a svegliarsi da un incubo

Andrea Camilleri in un disegno di Massimo Jatosti

Trovarsi in casa Totò Riina candidato premier, intento a formare la lista dei ministri del suo governo. È quanto accade al commissario Montalbano che, nelle prime pagine della nuova avventura, tarda a svegliarsi da un incubo

Il Romanzo

Anticipiamo le prime pagine de "Il campo del vasaio", il nuovo romanzo di Andrea Camilleri con protagonista il commissario Montalbano. (2008)

Andrea Camilleri

Nato a Porto Empedocle (Ag) nel 1925, ha pubblicato racconti e poesie e lavorato come regista, autore teatrale e televisivo.

La forma dell'acqua

È il romanzo che segna il debutto del celebre personaggio di Camilleri, il commissario Salvo Montalbano (1994)

Il birraio di Preston

Un affresco grottesco della Sicilia, che prende spunto da un episodio storico. (1995)

Il ladro di merendine

Terzo giallo con protagonista Montalbano. (1996)

La Pensione Eva

Nelle stanze della pensione Eva, il casino di Vigata.

Le inchieste del commissario Collura

Il commissario Collura in vacanza indaga su una serie di gialli.

L’arrisbigliò una tuppiata forte e insistente alla porta di casa, tuppiavano alla dispirata, con le mano e con i pedi, ma curiosamente non sonavano il campanello. Taliò verso la finestra, dalla persiana 'nserrata non filtrava lume d'alba, fora era ancora scuro fitto. O meglio, dalla finestra ogni tanto arrivava un lampo tradimentoso che agghiazzava la cammara seguito da una truniata che faciva vibrare i vetri; il temporale che aviva principiato il jorno avanti continuava sempre cchiù 'ncaniato. Però, cosa stramma, non si sintiva la rumorata del mari grosso che doviva essersi mangiato la spiaggia arrivando fino a sutta alla verandina. Circò tastianno la base del lumetto che tiniva supra il commodino, premette il pulsante che fici clic, ma la luci non s'addrumò. Si era fulminata la lampatina o mancava la corrente? Si susì, un addrizzuni di friddo gli curri longo longo la schina. Dalla persiana non trasivano sulo lampi, ma macari lame di vento gelido. Manco l'interruttore del lampadario desi luci, forse la corrente fagliava a causa del temporale.

Continuavano a tuppiare. In quel tirribilio, gli parse di sintiri macari una voci che lo chiamava, straziata.

«Vengo! Vengo!» gridò.

Siccome che dormiva nudo, circò qualichi cosa per cummigliarsi, ma sottomano non trovò nenti. Era sicuro d'aviri lassato i cazùna supra la seggia ai pedi del letto. Forse erano sciddricati 'n terra. Ma non potiva perdiri tempo a circarli. Annò all'ingresso.

«Chi è?» spiò senza raprire la porta.

«Bonetti-Alderighi. Apra, presto!».

Strammò. Completamenti. Intordunì. Il questore?! E che minchia stava capitanno? Opuro era uno sgherzo cretino?

«Un attimo».

Currì a pigliare la pila che tiniva nel cascione del tavolino della cammara di mangiari, l'addrumò e raprì. Risto 'ngiarmato a taliare il questore completamente assammarato dall'acqua di cielo. Portava un cappiddrazzo nivuro e un impermeabile con la manica mancina strazzata.

«Mi lasci passare».

Montalbano si scostò e quello trasì. Il commissario lo seguì automatico, tipo sonnambulo, scordannosi di richiudere la porta che si mise a sbattiri per il vento. Arrivato a tiro della prima seggia che trovò, Bonetti-Alderighi più che assittarisi ci crollò supra. Sutta all'occhi esterrefatti di Montalbano, si pigliò la facci tra le mano e si misi a chiangiri.

Le dimanne dintra alla testa del commissario acquistarono una accelerazione da decollo d'aeroplano, comparivano e scomparivano, nascivano e morivano a una velocità tali che gli impediva di agguantarne almeno una pricisa e chiara. Non arrinisciva manco a raprire la vucca.

«Mi può nascondere a casa sua?» spiò ansioso il questore.

Nascondere? E pirchì il questore aviva necessità d'ammucciarisi? Si voliva dari latitante? Che aviva fatto? Chi lo circava?

«Non... non capisco che...».

Bonetti-Alderighi lo taliò 'mparpagliato.

«Ma come, Montalbano, non sa niente?».

«No».

«La mafia stanotte ha preso il potere!».

«Ma che dice?!».

«E come voleva che andasse a finire nel nostro sventurato paese? Una leggina oggi, una leggina domani, e siamo arrivati a questo punto. Mi da per favore un bicchiere d'acqua?».

«Su... subito».

Si fici immediato concetto che il questore non ci stava con la testa. Capace che aviva avuto un incidente di machina e ora lo scanto lo faciva parlari ammuzzu. La meglio era fari una telefonata in questura. O forse chiamare subito un medico. Ma abbisognava intanto non mettire in sospetto quel povirazzo. Perciò, per il momento, Bonetti-Alderighi annava assecondato.

Si spostò in cucina, premette istintivamente l'interruttore e la luci s'addrumò. Inchì un bicchiere, tornò narrè e sulla porta si bloccò, apparalizzato. Una statua, di quelle che usano ora, che si potiva chiamare «Uomo nudo con bicchiere in mano».

La càmmara era illuminata, ma Bonetti-Alderighi non c'era cchiù, al posto so c'era assittato un omo curto e tracagno, con una coppola in testa, che riconobbe subito. Totò Riina! Era stato liberato dal càrzaro! Allora il questore non era nisciuto pazzo, quello che gli aviva ditto era la pura e semprici virità!

«Bonasira» disse Riina. «Mi perdonasse l'ora e il modo, ma ho picca tempo e fora c'è un elicottero che m'aspetta per portarmi a Roma a formare il governo. Qualichi nome ce l'ho già: Bernardo Provenzano vicepresidente, uno dei fratelli Caruana agli Esteri, Leoluca Bagarella alla Difesa... Ma io vengo a lei per una domanda e lei, commissario Montalbano, deve dirmi subito o di sì o di no. Vuole essiri 'u me ministro dell'Interno?».

Ma prima che Montalbano polissi arrispunniri, dintra alla càmmara comparse Catarella. Doviva essiri trasuto dalla porta ristata aperta. Tiniva il revorbaro in mano, lo puntò verso il commissario. Grosse lagrime gli vagnavano la facci.

«Si vossia dottori ci dici di sì a quisto sdilinquenti io l'ammazzo di pirsona pirsonalmenti!».

Però, parlanno, si era distratto. Accussì Riina, cchiù lesto di una serpi, scocciò il revorbaro sò e sparò. La luci della càmmara s'àstutò e...

Montalbano s'arrisbigliò. L'unica cosa vera del sogno che aviva appena fatto era il temporale che faciva sbattere le persiane lassate aperte. Si susì, andò a chiuderle e si corcò nuovamente doppo aviri taliato il ralogio. Le quattro del matino. Voliva riagguantare il sonno, ma si trovò a raggiunare con l'altro Montalbano darrè alle palpebre ostinatamente 'nserrate.

Che viniva a significare quel sogno?

E pirchì ci vuoi trovare un significato, Montalbà? Spisso e vulanteri non ti capita di fari sogni a cazzo di cane, pardon, senza capo né coda?

Lo dici tu, che sei 'gnurante come una vestia, che sono sogni senza capo né coda. A tia parino accussì, ma valli a contare al signor Freud e vedrai quello che lui è capace di tirarci fora!

Ma pirchì devo andare a contare i sogni miei al signor Freud?

Pirchì se non arrinesci a spiegarti, o a farti spiegare il sogno, non ce la farai cchiù a ripigliare sonno.

E va beni. Domanda.

Cos'è che t'ha fatto cchiù 'mpressione tra tutto quello che hai sognato?

Il fatto del cangiamento.

Quale?

Che quanno sono tornato dalla cucina, al posto di Bonetti- Alderighi c'era Totò Riina.

Chiarisci.

Che al posto del questore, rappresentante della liggi, c'era il nummaro uno della mafia, il capo di quelli che sono contro la liggi.

Cioè mi stai dicenno che nella tò càmmara, nella tò casa, in mezzo alle cose tò, ti sei trovato a ospitare tanto la liggi tanto chi è fora della liggi.

Embè?

Non può essiri che dintra di tia la linea di demarcazione tra liggi e non liggi si sta facenno ogni jorno meno visibile?

Ma non dire minchiate!

Allura pigliamola da un altro lato. Cosa ti hanno spiato?

Bonetti-Alderighi mi ha spiato d'ammucciarlo, mi ha domandato aiuto.

E questo ti ha fatto maraviglia?

Certo!

E cosa ti ha spiato Riina?

D'addivintari sò ministro dell'Interno.

E questo ti ha maravigliato?

Beh, sì.

Ti ha maravigliato quanto la domanda d'aiuto del questore? Di cchiù? Di meno? Rispondi sinceramente.

Beh, no. Di meno.

Pirchì ti ha maravigliato di meno? Pi tia è normale che un capomafia t'addomanda di travagliare con lui?

No, la cosa non va messa accussì. Riina in quel momento non era cchiù un capo mafia, ma uno che stava per addivintari primo ministro! E in qualità di primo ministro che m'addomandava di collaborare!

Fermo. Qui i casi sono dù. O tu pensi che il fatto che è addivintato primo ministro cancella automaticamente tutti i sò reati precedenti, ammazzatine e stragi comprese, opuro appartieni a quella categoria di sbirri che servono sempre e comunque chi sta al potere senza taliare chi è, se omo per bene o se sdilinquente, se fascista o comunista. A quali di queste dù categorie pensi d'appartenere?

Eh, no! Tu la stai facendo troppo facile!

Pirchì?

Pirchì è comparso Catarella!

E che viene a significare?

Che io, alla proposta di Riina, in realtà ho detto di no.

Ma se non hai rapruto vucca!

Il no l'ho detto attraverso Catarella. Lui spunta, mi punta il revorbaro e mi dice che m'ammazza se acconsento. Catarella è come se fosse la mia cuscenzia.

Che è 'sta novità che ti è scappata? Catarella sarebbe la tò cuscenzia?

E pirchì no? Tè l'arricordi che arrisposi a quel giornalista che un jorno mi spiò se io cridiva all'angilo custode? Io ci arrispunnii di sì. E allura lui mi spiò se l'aviva mai visto. E io ci dissi di sì, che lo vidiva tutti i jorni. Ha un nome? fici il giornalista. E io, di subito: si chiama Catarella. Stavo  sgherzando, naturalmente. Ma doppo, a pinsarci bono, capii che c'era picca sgherzo e tanta virità.

Conclusione?

La facenna va liggiuta arriversa. La scena di Catarella sta a significare che chiuttosto che accettare la proposta di Riina ero pronto a spararmi.

Montalbà, sei sicuro che Freud l'avrebbe interpretato accussì?

Sai che ti dico? Che me ne stracatafotto di Freud. E ora lassami dormiri che mi tornò il sonno.

Quanno s'arrisbigliò erano le nove passate. Non si vidivano lampi né si sintivano troniate, ma il tempo fora doviva essiri 'na fitinzia. Chi glielo faciva fari a susirisi? Le dù vecchie ferite gli facivano mali e qualichi dulureddro, sgradevole cumpagnuzzo dell'età, si era arrisbigliato con lui. Meglio farisi ancora 'na para d'ore di sonno. Si susì, anno nella càmmara di mangiari, staccò la spina del telefono, tornò a corcarsi, s'incuponò, chiuì l'occhi.

Li raprì manco una mezzorata appresso per via dello squillo insistenti del telefono. Ma come minchia faciva a sonare se era sicuro d'averlo staccato? Allora se non era il telefono, che cos'era a fari quel sono? Ma il campanello della porta, strunzo! Sintiva che dintra la testa gli firriava una specie di oglio da motore, denso, vischioso. Vitti i cazùna 'n terra, se l'infilò, andò a raprire santianno. Era Catarella, affannato.

«Ah dottori dottori...».

«Senti, non dirmi nenti, non parlare. Te lo dico io quando puoi raprire vucca. Io mi vado a corcare, tu vai in cucina, mi prepari una cafittera di cafè forte, me la versi in un cicarone da latte, ci metti tri cucchiarini di zucchero e me lo porti. Doppo mi conti quello che hai da contarmi».

Quanno Catarella tomo col cicarone fumante, dovitti scotoliarlo per arrisbigliarlo. In quei deci minuti si era addrummisciuto di bel nuovo nuovamente. Ma come funziona 'sta facenna? si spiò mentre viviva il cafè che pariva brodo di cicoria riquadiato.Non è cosa cognita che nelle vicchiaglie si ha sempre meno bisogno di sonno? E com'è che a mia, cchiù passano l'anni e cchiù sonno mi veni?

«Dottori, comu ci parse il cafè?».

«Ottimo, Cataré».

E currì in bagno a sciacquarisi la vucca, masannò si mittìva a vommitare.

«Catarè, è cosa di prescia?».

«Relativo, dottori».

«Allora aspetta che mi faccio la doccia e mi vesto».

Puliziato e vistuto, annò in cucina e si priparò un cafè di tutto rispetto. Tornato nella càmmara di mangiar trovò a Catarella davanti alla porta-finestra che dava supra la verandina. Aveva rapruto le persiane. Sdilluviava. Il mari era proprio arrivato sutta alla verandina che ogni tanto si scoteva tutta a un risucchio d'onda troppi forti.

«Ora pozzo parlari, dottori?» spiò Catarella.

«Sì».

«Dottori, un morto attrovarono».

E figurati che scoperta! La gran trovatura! Si vede che era assumato il catafero di qualichiduno morto di morte bianca, come dicivano i giornalisti, quanno uno spiriva all'improviso e tanti saluti e sono. E po', pirchì dare un colore alla morti? La morte bianca! Come se ne esistiva una virdi, una gialla... La morti, se proprio ci si voliva dari un colore, non poliva essiri altri che nivura, nìvura come l'inca.

«Frisco di jornata?».

«Non me lo dissiro, dottori».

«Dove l'hanno trovato?».

«In campagna, dottori. Contrata Pizzutello».

Figurarsi! Un posto solitario, a casa do Signuri, tutto sbalanchi e chiarchiàri indove un catafero poliva starci di casa senza essiri mai scoperto.

«C'è già andato qualcuno dei nostri?».

«Sissi, dottori, Fazio e il dottori Augello stanno in loco».

«E allora perché sei venuto a scassare i cabasisi a mia?».

«Dottori, dimanno compressione e pirdonanza, ma accussì mi tilifonò il dottori Augello, mi dissi di diricci che la so prisenzia di pirsona pirsonalmenti era d'indinnispensabilità. E io, datesi che il tilifono sò di vossia non arrispòndiva, la vinni a pigiare con la gippi».

«Perché con la jeep?».

«Pirchì la machina non ci pò arrivari in sul loco, dottori».

«E va bene, andiamo».

«Dottori, mi dissi macari di diricci che è meglio se indozza li stivali, si cummoglia la testa con un capucio e si mette l'inprimiabili».

Lo scoppio e la girandola di santioni di Montalbano atterrirono Catarella.


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Tratto da: La Repubblica, sabato 15 marzo 2008, pp.48-49, illustrazioni di GIPI

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