L’arrisbigliò
una tuppiata forte e insistente alla porta di casa, tuppiavano alla
dispirata, con le mano e con i pedi, ma curiosamente non sonavano il
campanello. Taliò verso la finestra, dalla persiana 'nserrata non
filtrava lume d'alba, fora era ancora scuro fitto. O meglio, dalla
finestra ogni tanto arrivava un lampo tradimentoso che agghiazzava
la cammara seguito da una truniata che faciva vibrare i vetri; il
temporale che aviva principiato il jorno avanti continuava sempre
cchiù 'ncaniato. Però, cosa stramma, non si sintiva la rumorata del
mari grosso che doviva essersi mangiato la spiaggia arrivando fino a
sutta alla verandina. Circò tastianno la base del lumetto che tiniva
supra il commodino, premette il pulsante che fici clic, ma la luci
non s'addrumò. Si era fulminata la lampatina o mancava la corrente?
Si susì, un addrizzuni di friddo gli curri longo longo la schina.
Dalla persiana non trasivano sulo lampi, ma macari lame di vento
gelido. Manco l'interruttore del lampadario desi luci, forse la
corrente fagliava a causa del temporale.
Continuavano a tuppiare. In quel tirribilio, gli parse di sintiri
macari una voci che lo chiamava, straziata.
«Vengo! Vengo!» gridò.
Siccome che dormiva nudo, circò qualichi cosa per cummigliarsi, ma
sottomano non trovò nenti. Era sicuro d'aviri lassato i cazùna supra
la seggia ai pedi del letto. Forse erano sciddricati 'n terra. Ma
non potiva perdiri tempo a circarli. Annò all'ingresso.
«Chi è?» spiò senza raprire la porta.
«Bonetti-Alderighi. Apra, presto!».
Strammò. Completamenti. Intordunì. Il questore?! E che minchia stava
capitanno? Opuro era uno sgherzo cretino?
«Un attimo».
Currì a pigliare la pila che tiniva nel cascione del tavolino della
cammara di mangiari, l'addrumò e raprì. Risto 'ngiarmato a taliare
il questore completamente assammarato dall'acqua di cielo. Portava
un cappiddrazzo nivuro e un impermeabile con la manica mancina
strazzata.
«Mi lasci passare».
Montalbano si scostò e quello trasì. Il commissario lo seguì
automatico, tipo sonnambulo, scordannosi di richiudere la porta che
si mise a sbattiri per il vento. Arrivato a tiro della prima seggia
che trovò, Bonetti-Alderighi più che assittarisi ci crollò supra.
Sutta all'occhi esterrefatti di Montalbano, si pigliò la facci tra
le mano e si misi a chiangiri.
Le
dimanne dintra alla testa del commissario acquistarono una
accelerazione da decollo d'aeroplano, comparivano e scomparivano,
nascivano e morivano a una velocità tali che gli impediva di
agguantarne almeno una pricisa e chiara. Non arrinisciva manco a
raprire la vucca.
«Mi può nascondere a casa sua?» spiò ansioso il questore.
Nascondere? E pirchì il questore aviva necessità d'ammucciarisi? Si
voliva dari latitante? Che aviva fatto? Chi lo circava?
«Non... non capisco che...».
Bonetti-Alderighi lo taliò 'mparpagliato.
«Ma come, Montalbano, non sa niente?».
«No».
«La mafia stanotte ha preso il potere!».
«Ma che dice?!».
«E come voleva che andasse a finire nel nostro
sventurato paese? Una leggina oggi, una leggina domani, e siamo
arrivati a questo punto. Mi da per favore un bicchiere d'acqua?».
«Su... subito».
Si
fici immediato concetto che il questore non ci stava con la testa.
Capace che aviva avuto un incidente di machina e ora lo scanto lo
faciva parlari ammuzzu. La meglio era fari una telefonata in
questura. O forse chiamare subito un medico. Ma abbisognava intanto
non mettire in sospetto quel povirazzo. Perciò, per il momento,
Bonetti-Alderighi annava assecondato.
Si
spostò in cucina, premette istintivamente l'interruttore e la luci
s'addrumò. Inchì un bicchiere, tornò narrè e sulla porta si bloccò,
apparalizzato. Una statua, di quelle che usano ora, che si potiva
chiamare «Uomo nudo con bicchiere in mano».
La
càmmara era illuminata, ma Bonetti-Alderighi non c'era cchiù, al
posto so c'era assittato un omo curto e tracagno, con una coppola in
testa, che riconobbe subito. Totò Riina! Era stato liberato dal
càrzaro! Allora il questore non era nisciuto pazzo, quello che gli
aviva ditto era la pura e semprici virità!
«Bonasira» disse Riina. «Mi perdonasse l'ora e il modo, ma
ho picca tempo e fora c'è un elicottero che m'aspetta per portarmi a
Roma a formare il governo. Qualichi nome ce l'ho già: Bernardo
Provenzano vicepresidente, uno dei fratelli Caruana agli Esteri,
Leoluca Bagarella alla Difesa... Ma io vengo a lei per una domanda e
lei, commissario Montalbano, deve dirmi subito o di sì o di no.
Vuole essiri 'u me ministro dell'Interno?».
Ma
prima che Montalbano polissi arrispunniri, dintra alla càmmara
comparse Catarella. Doviva essiri trasuto dalla porta ristata
aperta. Tiniva il revorbaro in mano, lo puntò verso il commissario.
Grosse lagrime gli vagnavano la facci.
«Si vossia dottori ci dici di sì a quisto
sdilinquenti io l'ammazzo di pirsona pirsonalmenti!».
Però, parlanno, si era distratto. Accussì Riina, cchiù lesto di una
serpi, scocciò il revorbaro sò e sparò. La luci della càmmara s'àstutò
e...
Montalbano s'arrisbigliò. L'unica cosa vera del sogno che aviva
appena fatto era il temporale che faciva sbattere le persiane
lassate aperte. Si susì, andò a chiuderle e si corcò nuovamente
doppo aviri taliato il ralogio. Le quattro del matino. Voliva
riagguantare il sonno, ma si trovò a raggiunare con l'altro
Montalbano darrè alle palpebre ostinatamente 'nserrate.
Che viniva a significare quel sogno?
E pirchì ci vuoi trovare un significato, Montalbà?
Spisso e vulanteri non ti capita di fari sogni a cazzo di cane,
pardon, senza capo né coda?
Lo
dici tu, che sei 'gnurante come una vestia, che sono sogni senza
capo né coda. A tia parino accussì, ma valli a contare al signor
Freud e vedrai quello che lui è capace di tirarci fora!
Ma pirchì devo andare a contare i sogni miei al
signor Freud?
Pirchì se non arrinesci a spiegarti, o a farti spiegare il sogno,
non ce la farai cchiù a ripigliare sonno.
E va beni. Domanda.
Cos'è che t'ha fatto cchiù 'mpressione tra tutto quello che hai
sognato?
Il fatto del cangiamento.
Quale?
Che quanno sono tornato dalla cucina, al posto di
Bonetti- Alderighi c'era Totò Riina.
Chiarisci.
Che al posto del questore, rappresentante della liggi,
c'era il nummaro uno della mafia, il capo di quelli che sono contro
la liggi.
Cioè mi stai dicenno che nella tò càmmara, nella tò casa, in mezzo
alle cose tò, ti sei trovato a ospitare tanto la liggi tanto chi è
fora della liggi.
Embè?
Non può essiri che dintra di tia la linea di demarcazione tra liggi
e non liggi si sta facenno ogni jorno meno visibile?
Ma non dire minchiate!
Allura pigliamola da un altro lato. Cosa ti hanno spiato?
Bonetti-Alderighi mi ha spiato d'ammucciarlo, mi ha
domandato aiuto.
E
questo ti ha fatto maraviglia?
Certo!
E
cosa ti ha spiato Riina?
D'addivintari sò ministro dell'Interno.
E
questo ti ha maravigliato?
Beh, sì.
Ti
ha maravigliato quanto la domanda d'aiuto del questore? Di cchiù? Di
meno? Rispondi sinceramente.
Beh, no. Di meno.
Pirchì ti ha maravigliato di meno? Pi tia è normale che un capomafia
t'addomanda di travagliare con lui?
No, la cosa non va messa accussì. Riina in quel
momento non era cchiù un capo mafia, ma uno che stava per
addivintari primo ministro! E in qualità di primo ministro che m'addomandava
di collaborare!
Fermo. Qui i casi sono dù. O tu pensi che il fatto che è addivintato
primo ministro cancella automaticamente tutti i sò reati precedenti,
ammazzatine e stragi comprese, opuro appartieni a quella categoria
di sbirri che servono sempre e comunque chi sta al potere senza
taliare chi è, se omo per bene o se sdilinquente, se fascista o
comunista. A quali di queste dù categorie pensi d'appartenere?
Eh, no! Tu la stai facendo troppo facile!
Pirchì?
Pirchì è comparso Catarella!
E
che viene a significare?
Che io, alla proposta di Riina, in realtà ho detto di
no.
Ma
se non hai rapruto vucca!
Il no l'ho detto attraverso Catarella. Lui spunta, mi
punta il revorbaro e mi dice che m'ammazza se acconsento. Catarella
è come se fosse la mia cuscenzia.
Che è 'sta novità che ti è scappata? Catarella sarebbe la tò
cuscenzia?
E pirchì no? Tè l'arricordi che arrisposi a quel
giornalista che un jorno mi spiò se io cridiva all'angilo custode?
Io ci arrispunnii di sì. E allura lui mi spiò se l'aviva mai visto.
E io ci dissi di sì, che lo vidiva tutti i jorni. Ha un nome? fici
il giornalista. E io, di subito: si chiama Catarella. Stavo sgherzando,
naturalmente. Ma doppo, a pinsarci bono, capii che c'era picca
sgherzo e tanta virità.
Conclusione?
La facenna va liggiuta arriversa. La scena di
Catarella sta a significare che chiuttosto che accettare la proposta
di Riina ero pronto a spararmi.
Montalbà, sei sicuro che Freud l'avrebbe interpretato accussì?
Sai che ti dico? Che me ne stracatafotto di Freud. E
ora lassami dormiri che mi tornò il sonno.
Quanno s'arrisbigliò erano le nove passate. Non si vidivano lampi né
si sintivano troniate, ma il tempo fora doviva essiri 'na fitinzia.
Chi glielo faciva fari a susirisi? Le dù vecchie ferite gli facivano
mali e qualichi dulureddro, sgradevole cumpagnuzzo dell'età, si era
arrisbigliato con lui. Meglio farisi ancora 'na para d'ore di sonno.
Si susì, anno nella càmmara di mangiari, staccò la spina del
telefono, tornò a corcarsi, s'incuponò, chiuì l'occhi.
Li
raprì manco una mezzorata appresso per via dello squillo insistenti
del telefono. Ma come minchia faciva a sonare se era sicuro d'averlo
staccato? Allora se non era il telefono, che cos'era a fari quel
sono? Ma il campanello della porta, strunzo! Sintiva che dintra la
testa gli firriava una specie di oglio da motore, denso, vischioso.
Vitti i cazùna 'n terra, se l'infilò, andò a raprire santianno. Era
Catarella, affannato.
«Ah dottori dottori...».
«Senti, non dirmi nenti, non parlare. Te lo dico io
quando puoi raprire vucca. Io mi vado a corcare, tu vai in cucina,
mi prepari una cafittera di cafè forte, me la versi in un cicarone
da latte, ci metti tri cucchiarini di zucchero e me lo porti. Doppo
mi conti quello che hai da contarmi».
Quanno Catarella tomo col cicarone fumante, dovitti scotoliarlo per
arrisbigliarlo. In quei deci minuti si era addrummisciuto di bel
nuovo nuovamente. Ma come funziona 'sta facenna? si spiò mentre
viviva il cafè che pariva brodo di cicoria riquadiato.Non è cosa
cognita che nelle vicchiaglie si ha sempre meno bisogno di sonno? E
com'è che a mia, cchiù passano l'anni e cchiù sonno mi veni?
«Dottori, comu ci parse il cafè?».
«Ottimo, Cataré».
E currì in bagno a sciacquarisi la vucca, masannò si
mittìva a vommitare.
«Catarè, è cosa di prescia?».
«Relativo, dottori».
«Allora aspetta che mi faccio la doccia e mi vesto».
Puliziato e vistuto, annò in cucina e si priparò un cafè di tutto
rispetto. Tornato nella càmmara di mangiar trovò a Catarella davanti
alla porta-finestra che dava supra la verandina. Aveva rapruto le
persiane. Sdilluviava. Il mari era proprio arrivato sutta alla
verandina che ogni tanto si scoteva tutta a un risucchio d'onda
troppi forti.
«Ora pozzo parlari, dottori?» spiò Catarella.
«Sì».
«Dottori, un morto attrovarono».
E
figurati che scoperta! La gran trovatura! Si vede che era assumato
il catafero di qualichiduno morto di morte bianca, come dicivano i
giornalisti, quanno uno spiriva all'improviso e tanti saluti e sono.
E po', pirchì dare un colore alla morti? La morte bianca! Come se ne
esistiva una virdi, una gialla... La morti, se proprio ci si voliva
dari un colore, non poliva essiri altri che nivura, nìvura come l'inca.
«Frisco di jornata?».
«Non me lo dissiro, dottori».
«Dove l'hanno trovato?».
«In campagna, dottori. Contrata Pizzutello».
Figurarsi! Un posto solitario, a casa do Signuri, tutto sbalanchi e
chiarchiàri indove un catafero poliva starci di casa senza essiri
mai scoperto.
«C'è già andato qualcuno dei nostri?».
«Sissi, dottori, Fazio e il dottori Augello stanno in
loco».
«E allora perché sei venuto a scassare i cabasisi a
mia?».
«Dottori, dimanno compressione e pirdonanza, ma
accussì mi tilifonò il dottori Augello, mi dissi di diricci che la
so prisenzia di pirsona pirsonalmenti era d'indinnispensabilità. E
io, datesi che il tilifono sò di vossia non arrispòndiva, la vinni a
pigiare con la gippi».
«Perché con la jeep?».
«Pirchì la machina non ci pò arrivari in sul loco,
dottori».
«E va bene, andiamo».
«Dottori, mi dissi macari di diricci che è meglio se
indozza li stivali, si cummoglia la testa con un capucio e si mette
l'inprimiabili».
Lo
scoppio e la girandola di santioni di Montalbano atterrirono
Catarella.
©
2008 Sellerio Editore, via Siracusa 50 Palermo
Tratto da: La Repubblica, sabato 15 marzo 2008, pp.48-49,
illustrazioni di GIPI |