Le pagine della cultura

 

 

La Barunissa di Carini:

morta ammazzata?

di Salvatore Conte

 

Il persistente interesse per questo sconvolgente fatto, riaffermato di recente, in maniera ufficiale, da praticamente tutta la Sicilia, ci ha indotti a comporre questo breve articolo.

La storia della Baronessa di Carini costituisce in effetti il mito fondante della Sicilia moderna, al cui fascino nessun siciliano erudito può ormai sottrarsi.

Vanno rilevate da subito le similitudini con altre ballate e leggende popolari, ad esempio con quelle fiorite intorno alle figure di Agrippina Augusta e Rosmunda Donna Lom(go)barda (per la quale ultima rimandiamo al racconto necrerotico di Riccardo De Boni, volendone dare una definizione demotica, comprensibile all’intera massa umana).

Altro rilievo va posto intorno alla meccanica poetica delle ferite inferte alla sventurata: uno-due, fronte-retro, a terra-ammazzata a terra, colpo-colpo di grazia, colpo grave-colpo mortale.

Gli sceneggiati Rai non a caso si sono divisi, incerti; che un padre infierisca sulla figlia, agonizzante a terra, è circostanza che va oltre la misura umana.

Quando mette la mano sul muro, la disgraziata? Tra il primo e il secondo colpo? O dopo il secondo? Ma non era caduta a terra? E poi c'è l'altra impronta, quella fuori dall'alcova: quando ce l'ha messa? Quando era già un fantasma o forse quando stava fuggendo, già ferita e sanguinante, lungo i corridoi del castello? Tante variazioni, nessuna certezza. L'unica è quella dell'attaccamento popolare, talvolta morboso, ma comunque vox dei.

Quando i cantastorie cantano, non decidono loro cosa cantare e nella Canzone della Barunissa affiora un'insopprimibile nostalgia popolare. Delitti ce ne sono tanti. L'Umanità è esperta in ciascuno d'essi. In questo luogo non c'è solo la memoria di un delitto, ma soprattutto un'infinita, perpetua dichiarazione di nostalgia, rivolta a una donna che - evidentemente - aveva impressionato i Carinesi. La nostalgia si rafforza quando vi è la speranza o la semplice possibilità di un ritorno, quando cioè non è soltanto un sentimento fine a sé stesso, ma piuttosto attesa, invocazione, preghiera, auspicio.

Crediamo sia questo il caso della Baronessa di Carini. Crediamo che il fantasma ritorni non per cercare vendetta, ma forse per sentirsi ancora desiderato e sempre cantato. È il fantasma della Baronessa, attaccata al suo feudo e alla sua gente, commossa dalle sue ballate. L'abbiamo già detto per Agrippina Augusta, Benazir Bhutto, etc. Che male c'è a dirlo pure per Laura Lanza? Non sono parti dello stesso filo? La storia non è forse sempre la stessa? Chi può dire cosa accada in una notte buia e inquieta?

Anche in questa storia, infatti, non c'è un funerale, non si vedono i corpi, non si sa niente a ridosso del fatto, lo stesso fatto non esiste. Del resto, sulle ampie contraddizioni della vicenda si è a lungo intrattenuto Federico De Maria.

E allora, se brancoliamo nel buio, brancoliamo fino in fondo, no? In sostanza, gli ultimi sviluppi del caso (si vedano le più recenti conclusioni), hanno sufficientemente chiarito che si è trattato di una vicenda modernamente intrisa di interessi patrimoniali: quello che interessava davvero alle parti in causa era un certificato di morte in piena regola, anzi due: questo interessava e questo ottennero.

E poiché si poteva ottenerli giudiziariamente “gratis”, sotto il pretesto patriarcale di un delitto d’onore, la cosa fu fatta in questi termini.

La perfetta simmetria del marito che uccide a termini di legge l'amante della moglie e del padre che uccide la figlia adultera, non vi appare forse un po' troppo perfetta, pacchiana, oseremmo dire? I delitti non sono mai perfetti. Quando esplode la vera rabbia, la ragione si oscura e non si va ad ammazzare la gente con il codice civile in mano.

Non ci sembra affatto peregrino pensare che i due, poiché amanti istituzionali, furono semplicemente invitati “a sloggiare”, magari in America. Una volta accompagnati, la notte stessa, nella vicina Palermo e fatti imbarcare, chi li avrebbe più rivisti? Anche il Funzionario del Re ebbe dubbi a riguardo e accusò esplicitamente gli stessi rei confessi di reticenza: singolare, no?

"Fatto sta che il viceré di Sicilia, il 2 febbraio del 1564, informa la Corte di Spagna che qualcosa non torna nella vicenda e accusa di falsità il difensore dei due [presunti assassini]". I funzionari di allora, come quelli di oggi, pensavano ai soldi e seguivano i soldi: è logico pensare che quel funzionario volesse la sua fetta, dopo aver capito l’arcano della vicenda. E forse la ottenne.

il Castello di Carini

I dubbi aumentano analizzando il poemetto originale, nelle versioni maggiormente consolidate. Fra le altre cose, il poeta tira in ballo "Re Salamuni" (due volte, ai versi 59 e 60, nel testo stabilito da Nino Russo), ovvero Re Salomone Magno, uno dei più grandi Re Magi negromanti della storia, e non certo un letterato a cui ispirarsi.

Vi è da credere che l'autore fosse di religione ebraica; anche piuttosto iniziato, forse un rabbino; d'altronde Palermo è terra punica, Palermo fu fondata per ordine stesso di Didone; potente in queste terre marittime il richiamo del lato femminile dell'universo semita, che proprio con Salomone trovò la sua sintesi perfetta con quello maschile.

Dunque l'autore del poemetto non ha mai conosciuto la Baronessa (ma conosce bene Busenello, quindi scrive un secolo dopo il fatto); difatti non ne usa neppure il vero nome (la chiama Caterina); se ne è invaghito ben dopo la sua scomparsa, quando il rimpianto è dilagato in tutto il feudo, ma vorrebbe in qualche modo conoscerla adesso, nel momento in cui si accinge a dare voce alla nostalgia popolare; inoltre vuole evitare di raccontare cose non permesse e non gradite, ed è per tutto ciò che si appella alle virtù di Re Salomone, il Grande Negromante.

Nella scena della morte (ad es. v. 175: "ca già persi lu sangu e lu culuri"), appare evidente l'uso scolastico dei massimi esempi, in primis quello di Camilla:

Il volto, in prima di rose e d'ostro, di pallor di morte tutto si tinse. (Annibal Caro da Virgilio)

Ma lo schema del poeta diventa chiaro leggendo direttamente Virgilio (En. 11.818/819):

labitur exsanguis, labuntur frigida leto

lumina, purpureus quondam color ora reliquit.

Caterina, inoltre, può anche essere il nome acquisito in esilio; di certo non è il nome di battesimo, perché Laura è adatto a Lanza, e non può essere il secondo nome, perché il poeta non avrebbe potuto omettere il primo.

È implicito che qualora le Autorità ce lo consentissero, saremmo disposti a indagare sul campo.

L'ottima notizia è che Riccardo De Boni si è innestato nel poema, si è innestato nella verità poetica del capolavoro di Sicilia, con il suo inconfondibile stile. Leggi la sua versione: "La Canzone della Baronessa di Carini".

Salvatore Conte


Articolo trasmesso dall'autore nel gennaio 2012

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