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Nel 1494
morì a Napoli il re Ferdinando I d’Aragona. Questo sovrano è da
ricordare non solo per i tanti avvenimenti accaduti durante i suoi
lunghi 36 anni di regno ma anche numismaticamente per le tante
bellissime monete da lui fatte coniare con il suo ritratto
veritiero, merito soprattutto dei suoi maestri incisori. Infatti
fino ad allora la Zecca di Napoli aveva battuto monete per gli
imperatori e i duchi bizantini con ritratti molto stilizzati. Anche
i ritratti dei re angioini, succeduti ai bizantini, erano molto
approssimativi, compresi i ritratti di Alfonso I d’Aragona padre di
Ferdinando. La morte di Ferdinando I d’Aragona fu il pretesto per
invadere il Regno di Napoli da parte del giovane re di Francia Carlo
VIII, il quale rivendicava i diritti angioini di successione su tale
regno.
Nato ad
Amboise il 30 giugno 1470, figlio di Luigi XI e Carlotta di Savoia,
Carlo aveva solo 25 anni quando il 21 febbraio del 1495 entrò in Napoli.
Ma dopo solo 3 mesi di permanenza a Napoli, dovette abbandonare la città
davanti alla minaccia di essere sconfitto dalla Santa Lega, sorta nel
frattempo dall’unione del papa Alessandro VI con Ludovico il Moro,
l’imperatore Massimiliano I e la Repubblica di Venezia. Carlo VIII, dopo
aver lasciato delle truppe francesi nel napoletano con a capo Gilberto
di Montpensier, riuscì quasi indenne a ritornare in Francia. Per
curiosità di cronaca c’è da dire che anche Ferdinando II d’Aragona,
nipote di Ferdinando I e figlio di Alfonso II (che aveva abdicato in suo
favore alla discesa di Carlo VIII in Italia), non potendo sostenere lo
scontro con le forze francesi, abbandonò Napoli e si rifugiò in Sicilia.
Con la fuga di Carlo però, Ferdinando II ritornò a Napoli e sbaragliò le
truppe francesi rimaste a presidio della città. Dopo un anno, il 9
ottobre 1496, morì stroncato dalla malaria a soli 28 anni.
Ironia della
sorte Carlo VIII nel 1498 morirà anche lui a 28 anni a causa però di una
banale “capocciata” data per distrazione contro una porta molto bassa.
Nei 3 mesi passati a Napoli, solo 8 giorni passati come re (dal 12
maggio, giorno in cui si autonominò re della città, fino al 20 maggio
1495, giorno della fuga), Carlo VIII coniò in numerose zecche del regno
vari tipi monetali. Nel suo studio “Intorno alle monete battute nel
reame di Napoli da re Carlo VIII di Francia” il Fusco parla di doppi
scudi e scudi d’oro, carlini d’argento e cavalli di rame battuti a
Napoli, cavalli di rame battuti a Cosenza, Reggio, Ortona, Capua,
Chieti, L’Aquila e Sulmona. E ancora denari a Chieti e L’Aquila, carlini
per Sulmona. Vittorio Emanuele III nel suo Corpus riporta una moneta da
3 cavalli per la Zecca di Sulmona e delle monete coniate col nome di
Carlo VIII della Zecca di Pisa. Esiste anche un cavallo attribuito alla
Zecca di Sora. Nel volume “Le monete di Napoli” di Riccio e Pannuti si
esclude che Calo VIII abbia battuto monete d’oro nella Zecca di Napoli
sia perché non ci sono prove che lo testimoniano sia perché lo stile di
queste ultime è ispirato ai modelli delle monete francesi.
Ho una moneta
di Carlo VIII e devo dire che ho ancora dei dubbi sul come collocarla
correttamente. La moneta in questione indubbiamente è un cavallo di
Carlo VIII del peso di grammi 1,67, metallo in rame, e diametro di 17 mm
circa. Al diritto c’è la scritta KAROLUS DGR FRA SIC (…); nel campo 3
fiordalisi sormontati da una corona larga a 5 fioroni, un cerchietto
sopra il fiordaliso centrale. Al rovescio si legge la scritta XPS VINCIT
XPS RE XPS IMPT; nel campo croce di Gerusalemme dentro cerchio
perlinato. Studiando i cavalli di Carlo VIII di tutte le zecche sopra
citate, anche tenendo presente che per alcune di esse non è certa la
coniazione di monete per Carlo VIII (come Cosenza, Reggio e Ortona),
possiamo affermare che le zecche hanno battuto sul rovescio la croce di
Gerusalemme sono soltanto 2 e cioè Napoli e Sulmona. Possiamo escludere
Sulmona in quanto sul diritto delle monete battute in questa zecca
compare la scritta in cartella “SMPE” ossia secondo il Fusco “SULMO MIHI
PATRIA EST”, cosa che manca sulla moneta in esame. Rimane la Zecca di
Napoli. Il CNI riporta a pagina 231 del volume XIX al numero 20 un
cavallo con al D) KAROLUS DGR FRA SI IER, nel campo 3 gigli sormontati
da corona larga a cinque fioroni (non parla di punti o tantomeno di
cerchietti); al R) XPS VINCIT XPS RE XPS IM, nel campo croce di
Gerusalemme. Al numero 21 della stessa pagina il CNI riporta un’altra
moneta simile al D) KAROLUS DGR FRA SI IE, come la precedente; al R)
tutto come la precedente. Al numero 22 il CNI riporta un cavallo a
questa descrizione al D) KROLUS DGR SI IE, nel campo 3 gigli con punta
al centro sormontati da corona piccola a 3 fioroni; al R) XPS VIN XPS RE
XPS IM. Purtroppo le tavole del CNI non sono molto chiare e quindi non
si riesce a vedere bene se le monete al n. 20 e 21 siano simili a quella
in mio possesso.
Ma la mia
perplessità è un’altra, e qui chiedo l’aiuto di tutti i lettori della
rivista. Nel volume delle Zecche di Napoli di Riccio e Pannuti, che è la
più moderna trattazione pubblicata su questa zecca, non si menziona
questa moneta. Si può pensare a questo punto, o che la moneta in
questione non sia della Zecca di Napoli, oppure che gli autori non
l’abbiano considerata come una variante. Il che sarebbe un po’ strano,
visto che le corone reali sono diverse sia nel numero dei fioroni sia
nella lunghezza delle stesse. Anche perché il Riccio e il Pannuti nella
loro opera hanno considerato varianti, o meglio monete diverse, per
esempio i sestini di Ferdinando il Cattolico o di Giovanna la Pazza che
variano proprio per il tipo della corona.
Permettete un consiglio?
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L’Abbazia Benedettina
di Cava dei Tirreni |
Un consiglio
per i giovani che non hanno la possibilità di comprare tutti i libri di
numismatica per la loro rarità o per il loro prezzo: vadano a cercarli
nelle biblioteche pubbliche delle loro città. Non si può immaginare
quello che si può trovare e la gioia che si prova. Io mi sento veramente
fortunato di poter consultare nella mia città la bellissima e
grandissima biblioteca dell’Abbazia Benedettina di Cava dei Tirreni
ricca di 20.000 manoscritti e 60.000 volumi, meta di studiosi sia
italiani che stranieri.
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