Le pagine della Cultura

La Sicilia e la cultura araba

contributo al Sito del dr. Santo Catarame

 

Studiosi di varie materie, anche letterati e antropologi, hanno sempre cercato di capire le “specificità” del carattere dei siciliani, e hanno tentato di trovare definizioni anche a volte affascinanti.

La Sicilia ha inoltre attirato pacifici viaggiatori, in tutti i secoli, che descrivendo i luoghi siciliani, non potevano mancare di scrivere con obiettività, sugli uomini e cose della vecchia Sicilia.

Indro Montanelli affermava che i siciliani, trovandosi su un’isola, sono diventati cinque milioni d’isole: individualisti, egoisti anche in po’ violenti ecc.ecc. Definizione un po’ troppo “nordista”. I siciliani sono introversi o estroversi secondo la natura. I galantuomini sono in stragrande maggioranza.

Lo scrittore Giovanni Verga, catanese, è più vicino alla problematica siciliana e molto attento ai colori e al paesaggio. Verga è convinto che tutti gli uomini siciliani sono dei “vinti”. Evidente che Mastro Gesualdo è un vinto, i Malavoglia sono dei vinti, che Rosso Malpelo è un vinto, la capinera (sua prima novella) è una giovane monachella vinta anch’essa! Verga non aveva molta fiducia nel “riscatto” dei siciliani, era fatalista, immobile, orientale e contemplativo.

Pirandello ha dipinto figure memorabili e intramontabili, generalmente sono “tipi” siciliani: spesso non si può distinguere se nella novella, la storia si svolge in Sicilia o a Roma, o in altri luoghi. Pirandello descrive gli esseri umani come se fossero ”atomi” da analizzare ma gli “atomi” sono “apparenza” e non sostanza, sono siciliani o siciliane. I siciliani “recitano” nella vita, ma veramente “di dentro” come sono?  Cosa pensano? Il “pupo” non dev’essere toccato. L’impone la “pinzochera” (gretta e dogmatica) società siciliana. Forse “di dentro” sono tolleranti e comprensivi, i siciliani hanno una maschera di perbenismo e qualunquismo a volte esagerato o ingiustificato.

Leonardo Sciascia non fu poeta come Verga e Pirandello. Analizzava i fatti storici e di cronaca siciliana con “razionalità”, era seguace del secolo dei “lumi”, era un piccolo Voltaire siciliano, con in più la malinconia dei meridionali delusi e sconfitti.

La Sicilia come metafora o come scrisse Shakespeare: sintesi del mondo!-

La mafia esiste e mai scomparirà………

In realtà il giudice Giovanni Falcone affermava che la mafia era “creazione” umana e pertanto sarebbe finita come tutte le “creazioni” umane (forse dimenticava che il male esiste dai tempi di……Caino).

Non convince quanto affermato nel romanzo “Il Gattopardo” dello scrittore Tommasi di Lampedusa” (per bocca del principe Salina): ”…….Tutto cambia per rimanere gli stessi”. In Sicilia i cambiamenti sono stati tantissimi.

I Siciliani si sono sempre ribellati e spesso con profitto, nel senso che le cose sono cambiate e a volte prima che cambiassero in altre parti d’Italia o di altri paesi. Il primo parlamento al mondo fu creato in Sicilia nel 1030 (la data si trova scritta chiaramente a Sala d’Ercole sede del parlamento della Regione Siciliana).

La ribellione dei “Vespri” non fu cosa da niente, se portò ad una clamorosa sconfitta degli Angioini e Papalini. Vi furono esempi di precursori di grandi civiltà come l’imperatore FEDERICO II, “stupor mundi” o come dicevano i provenzali “free de riche” (freno ai baroni). Gli spagnoli furono spesso travolti e sconfitti dalle insurrezioni del popolo e dei capipopolo. I Borbonici riuscirono a portare il regno delle Due Sicilie ad un livello civile ed economico pari a quello raggiunto nel sette-ottocento da Inglesi e Francesi.

Il periodo Borbonico in Sicilia e nel Regno meridionale, è oggetto di nuova attenzione da parte di storici dell’economia, che vogliono e stanno riuscendo a dimostrare come le condizioni economiche-materiali erano migliori con i Borbonici, mentre con la “conquista” piemontese gli interessi del nord prevalsero su quelli del sud.

I meridionali precipitarono in una “questione” che fino ad oggi non è stata risolta.

Certamente molti siciliani si piangono addosso affermando che sono stati sempre dominati, ma non è vero, le invasioni greche, arabe e spagnole, furono più assimilazione ed integrazione che dominazione.

Il popolo siciliano diventò di “sangue misto” ma per questo s’arricchì. Il miscuglio di “razze” è un fattore antropologicamente corretto e biologicamente evolutivo. Se i matrimoni avvengono nello stesso paese, città, frazione ecc. con elementi quasi simili, la “razza” s’impoverisce e regredisce. Le belle donne tedesche, finirono per partorire Hitler che non era né bello né “ariano” ma semplicemente “cuttu e bruttu!”.

I siciliani non sono figli di un Dio minore. La specificità o l’originalità dei siciliani si capisce unendo la storia con la ... geografia.

Guardando la carta geografica, ci accorgiamo che dalla Sicilia la Tunisia è più vicina di Roma. Le grandi civiltà antiche si trovavano nell’Africa settentrionale e nel medio o estremo oriente.

Greci, Bizantini, Arabi, venivano da oriente.

Normanni, Svevi, e in un primo tempo anche spagnoli, convivevano in Sicilia con i popoli sopradetti.

I cognomi siciliani sono in buona parte arabi o romei (bizantini), cioè provenienti dall’area orientale del mediterraneo.

Geologicamente sembra che la Sicilia si sia staccata dall’Africa settentrionale e precisamente dal gran golfo libico della Sirte.

La presenza degli arabi in Sicilia è durata o si è fusa con l’elemento indigeno, fino al 1492, allorquando il re spagnolo, Ferdinando il “cattolico”, si liberava d’ebrei, arabi ed “eretici”, nel “fervore” del suo sentimento religioso fanatico e fondamentalista!

La Santa (?) inquisizione da alcuni anni aveva cominciato a funzionare in Sicilia, creando le basi per un periodo di: terrore, ignoranza, superstizione e “chiusura” culturale, che devastò la Sicilia come tanti altri stati, non ultimo proprio quello spagnolo. Con la fine dell’elemento Umano orientale, la Sicilia ormai vice-regno, diventò una regione povera e priva d’iniziativa.

Alla Sicilia mancò il contatto con le altre culture e con la fine del “pensiero” venne meno la volontà all’azione politica ed economica.

I normanni non perseguitarono gli arabi di Sicilia, gli svevi, con Federico II, rivalutarono la presenza degli arabi. Lo stesso imperatore fu educato da “maestri” arabi, e questo gli permise, di portare a termine la sua unica crociata, senza vittime e senza spargimento di sangue. Federico II entrò in Gerusalemme senza uccidere un solo arabo.

Federico II era troppo amico degli orientali per macchiarsi di crimini ordinati dal Papa.

I Papi, infatti, avevano considerato sempre Federico II un “sultano battezzato”. Se vi furono scontri con i mussulmani dentro e fuori la Sicilia, questo faceva parte di normale amministrazione, perché nel regno di Federico II gli scontri e le insurrezioni avvenivano anche con popolazioni ribelli non arabe, come avviene in tutti i paesi e nazioni del mondo.

I veri nemici di Federico II furono i bizantini. Le cento (o duecento) moschee di Palermo rimasero per lungo tempo in piedi.

Il viaggiatore persiano, Ibn  Giubair, descrive la Sicilia, sotto la dominazione di Guglielmo il buono, come terra ricca di cultura mussulmana, che conviveva con quella cristiana.

Ibn Giubair così descrive le donne di Palermo nel 1200: “...le donne cristiane di questa città all’aspetto sembrano mussulmane, parlano arabo correttamente, si ammantano e si velano come quelle ...”

La maggior parte dei nomi di paesi o di città o anche semplicemente di località di campagna, sono d’origine araba: Alì, Alì marina, Alcamo, Alcara, Alcantara, Alimena,  Favara (Fahara) che poi significa “polla d’acqua”, Marsala (Marsh-Allah) forse porto di Hallah, ecc.ecc.

A Catania trovasi una località, vicino le case del lungomare, fino ad oggi chiamata: Caito, in realtà trattasi di Kaid o Al Kaid (probabilmente dove trovavasi il palazzo del capo dell’amministrazione islamica).

In Sicilia vi sono tanti nomi di città che iniziano con: Cala, Calta … (Calascibetta, Caltagirone ecc.ecc.).

Vi sono tantissime località chiamate Cuba (anche nel contado di Catania). Famosa la “cuba” di Palermo che trovasi dentro una caserma in corso Calatafimi.

Le “cube” dovevano essere sepolcri di santi mussulmani.

Zisa sta per palazzo bello e maestoso, esiste in Palermo una “Zisa” integralmente conservata. A Catania esiste un quartiere “zia lisa” che probabilmente è una storpiatura verbale e popolare del toponimo: “zisa” che, niente di strano, doveva essere stata costruita anche a Catania.

La stessa parola mafia, sembra d’origine araba. Lo studioso di lingua araba: Antonio Di Gregorio, ha recentemente sostenuto che –Afia- significa forza, abuso, prepotenza, mentre la lettera M significherebbe Non (come a- cioè alfa nella lingua greca, cioè la M è avversativa), quindi m-afia, significherebbe non abuso, non forza, non prepotenza. Cioè la mafia significa fare del bene, nel caso della Sicilia, sostituirsi al potere dello Stato o del feudatario ecc. che fanno soprusi e pertanto il popolo trova nella mafia un’istituzione che li difende (Di Gregorio Antonio-Sichillia vol.I° pagg.110 e segg.).

Tanti secoli fa la m-afia poteva avere queste caratteristiche che in seguito si sono deteriorate fino ad invertirsi e rappresentare invece il contrario di bene e di amore per il prossimo. In realtà non si riesce a documentare se in Sicilia ci sia stata nel periodo della dominazione araba, una m-afia buona o cattiva!

Se analizziamo le ricette della cucina araba (ma anche un poco turca), accertiamo che molte specialità ci sono state insegnate dagli arabi.

In particolare: la tecnica di fare le granite con la neve. Il classico “cuscus”, ma anche i “falafel”, che nella nostra cucina siciliana sono diventati: arancini e crespelle ripiene. I falafel è ripieno di verdure, ma questa è una questione marginale.

L’utilizzazione della farina di ceci, che a Palermo diventa il famoso: ”pane e panelle”, cibo una volta dei poveri. Insalata di peperoni e melanzane (in arabo sàlate) che in Sicilia si chiama “peperonata”.

I Katayef che sono i nostri panzarotti dolci. La cassata siciliana, che gli arabi chiamano “Qas’a”.(vedere il libro: Cucina Araba, passo dopo passo, editorial Sol 90, Barcelona, Spagna, 2002)

Il personaggio di “Giufà”, che in arabo è “Giuha”, è addirittura la “maschera” simbolo della Sicilia, come lo sono “arlecchino” per Venezia o “pantalone, brighella, colombina ecc.ecc.” per altre città italiane.

Personaggio che risale al nono secolo d.C. Sono tantissime le “fiabe” e storie di Giufà. Nel parlare dei siciliani dire, Giufà ad una persona è espressione corrente, e significa bambino o uomo privo d’intelligenza o privo d’iniziativa. Giuha nelle storielle, vive al tempo del califfo Harum al Rashid.  Giufà o Giuha, significa in arabo: “… deviare dalla retta via.”

Purtroppo è difficile risalire alle tradizioni arabe o turche o persiane per capire le nostre tradizioni siciliane. Orientalisti come Michele Amari, vissuto nell’ottocento, hanno fatto un lavoro scientifico, per il periodo della dominazione dei mussulmani di Sicilia (dall’anno 827), ma limitato ai fatti politici e d’arme, le battaglie ecc.ecc.

Non risultano studi, almeno per chi scrive, di libri sul folklore, le tradizioni popolari, ecc.ecc., in definitiva sulla vita “giornaliera” che scorreva a quel tempo, con riferimento, quindi, alla religione, all’economia agricola, artigianale e quant’altro sia rimasto fino a noi non esplorato da curiosi o validi ricercatori.

Vi sono molte difficoltà pratiche alla ricerca storico-economica in tal senso. Lo stesso storico inglese Denis Mack Smith, nel suo interessante libro: Storia della Sicilia medievale e moderna, edito da Laterza nel 1970, scriveva quanto segue (pag. 18): “...il contributo offerto dai Saraceni alla storia della Sicilia è difficile da stabilire ...”

Non vi sono storie o storie economiche che “illuminano” questo periodo aldilà degli studi di Michele Amari, che, appunto non approfondì gli aspetti storico-economici o semplicemente civili. Non risulta che Michele Amari ed altri orientalisti (Gabrieli, Illuminato Peri ecc.ecc.) abbiamo fatto grandi passi avanti. Non credo siano stati esplorate le biblioteche del Cairo, Tunisi, Bagdad (!), Teheran, Istambul ecc.ecc. Vi sono difficoltà linguistiche, certamente, e antichi pregiudizi degli studiosi cristiani e cattolici.

Per molti intellettuali occidentali l’oriente è “inferiore”.

La cultura occidentale, rischia per questo d’essere “provinciale, limitata e infine povera ma ricca di pregiudizi”. Gli arabi hanno mantenuto e trasmesso quasi tutte le fonti dell’importante civiltà greca.  Hanno trasmesso anche le “fondamenta” della civiltà indiana e dell’estremo oriente. Gli arabi dominavano dal sultanato di Delhi alla Spagna. Solo gli arabi detenevano il monopolio del commercio, delle arti e di una tradizione di civiltà profonda che scambiavano con quell’occidentale, tramite le nostre Repubbliche Marinare.

I religiosi cattolici solo nel XI secolo scoprirono il “Corano” e lo considerarono un libro “eretico”. Il Sant’uffizio si scatenò pure contro gli eretici islamici in Sicilia? Non si conoscono atti e memorie in tal senso.

Rimane aperta anche un’altra questione che è quella linguistica. L’italiano, cioè il “volgare” come riuscì a trasformare il latino (lingua dotta) introducendo gli articoli dinanzi le parole (l’arabo ha l’articolo Al). Cosa conosceva Dante Alighieri della lingua Araba? Dante era simpatizzante di Federico II soltanto o anche della cultura orientale? Aveva tratto “spunto“ per la Divina Commedia dall’opera “Epistola del perdono” di uno scrittore persiano?

Quale contributo ha dato la lingua araba nella nascita della lingua italiana? La lingua siciliana è lingua madre rispetto alla lingua italiana, il dialetto toscano è debitore alla lingua siciliana, all’arabo, oppure … è nato da solo?

La lettera “c” aspirata toscana è un’assimilazione fonetica dall’arabo?

Leggendo le storie delle letterature italiane non si trovano riferimenti in merito. La nascita della lingua volgare italiana rimane un mistero. In tempi moderni, è possibile colmare il “vuoto” espresso dallo storico inglese Denis Mack Smith?

Penso ci sia molto da studiare ancora.

Santo Catarame


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