Prima di narrare le vicende degli svizzeri nel napoletano, vorrei
fare un piccolo inciso sull’emigrazione svizzera: l’emigrazione
delle genti svizzere, dal Medioevo all’età Moderna, fu
prevalentemente militare quasi sempre dai cantoni di lingua tedesca,
come già narrato nell’articolo precedente, mentre quella civile
proveniva prevalentemente dal Canton Ticino e dal paese di Vaud. La
causa principale fu dovuta alle scarse risorse economiche delle
regioni montagnose e alla mancanza di centri di aggregazione anche
culturali. Infatti in Europa si formarono presso le varie università
generazioni di intellettuali, scienziati, architetti, e nel campo
dell’artigianato valenti operai ed imprenditori i quali non tutti
rientrarono in patria. La maggiore emigrazione, tralasciando quella
militare, fu del settore edile sia come architetti che lavoratori
della pietra con tutte le varie qualifiche annesse, tradizione che
si rifà ai “Maestri Comacini” del periodo del Regno Longobardo,
venendo citati come “Magistri Cummagini” già dal VII secolo,
tradizione edificatoria viva fin al XIX secolo.
Architetto tra i più laboriosi del Rinascimento, nacque a Melide -
Canton Ticino – nel 1543. Emigrò come altri architetti ticinesi in
Roma insieme al fratello Giovanni ingegnere idraulico presso papa
Gregorio XIII. Venne nominato capomastro nei cantieri Vaticani,
entrò nelle grazie del cardinale Felice Peretti futuro papa Sisto V.
Tale incontro segnò una svolta importante nella sua carriera, ne
ebbe vari incarichi tra cui la costruzione nella basilica di Santa
Maria Maggiore di una cappella, detta Cappella Sistina ( da non
confondere con quella in Vaticano), nella chiesa di San Giovanni in
Laterano della Loggia della Benedizioni, diversi palazzi monumentali
tra cui palazzo Moltalto di proprietà del cardinale Peretti. Dopo
l’ascesa al soglio pontificio del cardinale Peretti, papa Sisto V,
il Fontana venne nominato “Architetto di San Pietro” e
Cavaliere dell’Ordine dello Speron d’Oro.
Egli
accentrò nelle sue mani tutte le competenze sui lavori pubblici,
oltre a quelle istituzionali del proprio ruolo durante i cinque anni
che lavorò per conto del pontefice; in effetti si attribuì oltre ai
rischi anche notevoli guadagni. Con il fratello Giovanni disegnò
l’acquedotto Felice che portò l’acqua nelle zone alte della città,
la fontana del Mosè, il ponte di Borghetto, realizzò insieme a
Giacomo Della Porta la cupola di San Pietro aggiungendovi la
lanterna. Nel 1586 innalzò l’obelisco di Piazza San Pietro, ne fece
poi un resoconto che pubblico col titolo “Della trasportatione
dell’obelisco vaticano e delle fabriche di Sisto V” edito in
Roma nel 1590, sfruttando la sua conoscenza di statica innalzò atri
tre obelischi antichi: in Piazza del Popolo, in Piazza Santa Maria
Maggiore ed in Piazza San Giovanni in Laterano negli anni 1587/8. Un
suo progetto che rimase in embrione fu quello della trasformazione
del Colosseo in un opificio per la filatura della lana.
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Napoli,
Palazzo Reale |
Alla
morte di Sisto V, avvenuta nel 1591, la fortuna gli voltò le spalle,
fu allontanato e rimosso dalle cariche pubbliche, si tentò persino
un procedimento giudiziario nei suoi confronti per abusi
amministrativi. Ma la fortuna era dietro l’angolo, venne chiamato a
Napoli, nel 1593, la più grande capitale del Regno della penisola
italiana del sovrano più importante d’Europa il Re di Spagna e di
Napoli, non con un incarico minore ma altrettanto prestigioso ed
onorevole, restandovi per sempre con la sua famiglia ricevendo onori
e ricchezze, sino alla sua morte avvenuta a Napoli nel 1607. Qui
visse la fase più matura della sua vita, chiamato dal Vicerè Conte
di Miranda per occuparsi del sistema idrico della città ed al
progetto di riqualificazione urbana di Napoli, memore della sua
attività di bonifica della Paludi Pontine.
Napoli, sepolcro
di Domenico Fontana, Chiesa di Sant'Anna dei Lombardi o di
Monteoliveto
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Nel Regno di Napoli si occupò della ristrutturazione del porto di
Bari e di Napoli; nominato Cavaliere dell’Ordine del Toson d’Oro,
realizzò la strada di Chiaia e di Santa Lucia, costruì Palazzo
Carafa della Spina, proseguì i lavori di bonifica. Nel 1600 avviò il
progetto della sua opera più importante in Napoli la costruzione del
Palazzo Reale a cui lavorò fino alla sua morte. E’ sepolto nella
chiesa di Sant’Anna dei Lombardi - chiesa di Monteoliveto - entrando
nel sagrato a destra.
Geniale architetto e superbo ingegnere, fu uno dei personaggi più
rappresentativi del XIX secolo. Nato a Lugano il 28 marzo 1787 da
famiglia facoltosa, si laureò in ingegneria presso l’università di
Milano e in scienze matematiche in Pavia, specializzandosi poi a
Roma dove si recò nel 1807. Il periodo romano fu molto fertile per
la sua preparazione in architettura neoclassica e dei suoi studi
d’archeologia, che gli procurarono alti riconoscimenti per le sue
scoperte in Roma, l’ingresso nell’Accademia di Architettura nel
1812, la nomina a membro dell’Accademia di San Luca nel 1814.
Il pontefice Pio VII lo nominò direttore per la “Conservazione dei
Monumenti di Roma” e nel 1816 ricevette da re Ferdinando I di
Borbone l’incarico di commentare i progetti selezionati per
l’edificazione della chiesa di San Francesco di Paola in Napoli;
progetti che furono tutti rigettati dal Bianchi, al quale venne poi
affidato l’edificazione della chiesa stessa e di conseguenza la
nomina a direttore del lavori. Si preparò a costruire quella che
sarebbe stata tra le maggiori chiese europee dell’epoca, le
maestranze addette alla sua costruzione assommavano nel 1818 ad
8.000 unità; a fine costruzione la cupola misurava 53 metri superata
solo da San Pietro in Roma e Santa Maria in Fiore a Firenze.
L’inaugurazione avvenne il giorno di natale del 1836; sarebbe dovuta
divenire il “Pantheon” di casa Borbone ma la storia ha voluto
diversamente. La nuova costruzione posta di fronte al palazzo Reale
col suo stile neoclassico è ancora attuale. la sua prospettiva nella
piazza con la simbolica immagine del Pantheon e quella del portico
di San Pietro è quanto mai ricca di singolare fascino con il suo
colonnato di marmo pugliese. Nel suo interno la chiesa offre lo
spettacolo di 32 colonne corinzie che sostengono la cupola centrale.
L’altare maggiore, in realtà disegnato da Ferdinando Fuga nel 1751
era destinato alla chiesa dei SS. Apostoli, venne smontato e
sistemato nella chiesa di San Francesco di Paola.
Il porticato, la chiesa, il palazzo Reale, l’ampiezza e la
prospettiva della piazza rendono in tutto la loro bellezza l’unicità
del luogo, gioia e soddisfazione musiva del visitatore.
L’opera portò il Bianchi alla celebrità e di seguito ottenne il
conferimento della carica di “Architetto di prima classe della real
Casa”, ed incarichi di lavoro come la sistemazione del Palazzo Reale
in Napoli, del museo Borbonico (attuale Museo Nazionale) e della
Reggia di Caserta, riconoscimenti da Accademie Nazionali ed
internazionali che rafforzarono il suo prestigio. Nel 1831 ottenne
la carica di direttore degli scavi di Pompei e di Ercolano,
dedicandosi alla nuova disciplina l’archeologia, sotto la sua
direzione vennero alla luce 20 abitazioni, tra cui la Casa del Fauno
che diede ancora più lustro e fama alla sua persona: socio onorario
di numerose accademie, tra cui l’Accademia Imperiale di Vienna, il
Real Istituto di Archeologia Britannico, l’Accademia di Brera,
l’Istituto Storico di Francia ed altri.
Morì a Napoli il 28 dicembre 1849.
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Palazzo Via Trinità degli Spagnoli,
Napoli, con targa dell'ultima residenza di Pietro
Bianchi. |
Giacomo
Conradin nato a Sent - Svizzera – nel 1844, si stabilì in Livorno
presso lo zio Chasper, di qui passò dopo qualche anno a Napoli nel
1872 con un altro svizzero suo compaesano, dove esercitò fino al
1881 l’attività di commerciante col cognome italianizzato in
Corradini, nello stesso anno con alcuni amici acquistò una fonderia
con circa 200 operai e diverse macchine a vapore, costituendo la
“Società Metallurgica Giacomo Corradini S.p.A.” con sede in San
Giovanni a Teduccio, per la lavorazione dei laminati in rame e
ottone. Lo stabilimento si estendeva per 900 metri sul litorale. Il
figlio Andrea seguì le orme del padre e ne assunse la guida nel
1899. In breve tempo l’azienda divenne la più importante industria
del ramo del Meridione con 500 operai e 50 impiegati, con sede
legale in Via De Pretis 31.
La sorella Margherita fu una valente e nota pittrice del primo
novecento.
Durante
la II guerra mondiale l’azienda fu quasi totalmente distrutta dai
bombardamenti alleati, evento che segnò la fina dell’attività; nel
1949 venne messa in liquidazione ed acquistata dal “Consorzio
Agrario Italiano”. Nonostante ogni avversità continuarono a vivere a
Napoli: Andrea con i suoi quattro figli di cui l’unico figlio
maschio John che assunse nel 1954 la direzione della “Fonderia
Artistica Lagana” fino al 1967.
La storia
dei Caflisch inizia con Durisch falegname in quel di St. Moriz in
casa dei Pietromani nel 1804. Il suo cognome di origine latina
significa “Casa di Felice” – Cà Felix. Egli chiese al signor
Pietromani, socio di una pasticceria di Livorno, la possibilità di
collocare il figlio Luigi, nato nel 1791, presso l’azienda ma ne
ottenne un rifiuto. Luigi non si rassegnò e trovò lavoro presso la
pasticceria del signor Tuccetti nella stessa Livorno. Dopo anni di
intenso lavoro aprì con altri tre compatrioti una pasticceria nella
stessa città con ragione sociale “Luigi Caflisch & C”, dopo un avvio
promettente dovette chiudere e pensò di trasferirsi a Roma, dove
ottenne ottimi risultati commerciali con negozi invia dei Postini,
in via Bergamaschi ed in via del Corso sorti nel 1822; qui sposò una
sua connazionale. In seguito allettato dal sentire del suo amico
Zenitter sulle ampie prospettive di guadagno presso la più
importante capitale degli stati italiani che era diventata la città
di Napoli, decise di aprire anche un negozio in Napoli alla via
Santa Brigida. La società venne fondata in data 15 ottobre 1825 ed
iniziò la sua attività il 15 gennaio 1826 con la ragione sociale
“Lorsa Faller & C”, col bilancio in attivo dopo il primo anno di
attività, pensò di aprire una nuova sede in via Toledo, 253 in data
26 luglio 1827 con la ragione sociale “Spiller, Telli & C”,
seguirono anni di intenso lavoro e di soddisfazioni, superarono
indenni i moti del 1848; nel 1851 aprirono una nuova pasticceria in
via Toledo, 255, una birreria a Capodimonte con ragione sociale
“Giovanni Caflisch & C.” L’azienda affrontò anche il nuovo
cambiamento dai Borbone ai Savoia. Ditta ormai consolidata con
pasticcerie e birrerie sia a Napoli che a Roma. Nel 1873 con
l’acquisto dei locali dei nobili Grifeo in via Toledo, la
pasticceria più volte rinnovata divenne la più importante di Napoli.
L’ultimo cambiamento avvenne nel 1932 con la fusione con la “Van Bol
& Feste” fondata nel 1930. L’ultimo dei Caflish fu Giorgio morto il
19 dicembre 1979 e con lui terminò anche l’attività delle
pasticcerie, le quali furono tenute ancora in essere per poco tempo
dalla “Cooperativa Caflish” fondata dalle maestranze della
pasticceria.
August
Von Wittel (per alcuni Van Vittel), figlio di Theodor, nato a Tun
Svizzera, venne a Napoli quale operaio presso la compagnia Dubois
addetta alla realizzazione della ferrovia Napoli - Portici,
stabilendosi a Torre Annunziata città nella quale rimase per sempre.
Qui conobbe e sposò Rosa Inzerillo, figlia di un pastaio di Torre
Annunziata; lasciò il suo impiego e si mise a far pasta nella
bottega del suocero, dal suo matrimonio nacquero ben sette figli.
Nel 1862 non si chiamava più Von Wittel ma Vojello con quelle
trasformazioni italianizzate di origine sconosciute. Il figlio
primogenito Teodoro, sergente del “Reggimento Guardie Reali”
dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, con la caduta del Regno
non volle entrare nell’esercito piemontese da lui considerato
occupante e non liberatore, continuò l’attività paterna insieme alla
moglie Rosa Carotenuto. Nel 1877 gli affari andavano a gonfie vele e
pensò di creare un vero stabilimento ed insieme al figlio Giovanni,
di 17 anni, trovò la località adatta in un terreno in Contrada
Maresca sempre a Torre Annunziata e due anni dopo, nel 1879, sorse
“L’Antico Pastificio Giovanni Voiello”. La pasta Voiello divenne
nota in tutto il territorio napoletano, l’aristocrazia e le
personalità più in luce di Napoli erano suoi clienti.
Il figlio
Giovanni all’età di 37 anni era ancora celibe, ma per quegli strani
casi della vita, incontrò al Teatro San Carlo, in occasione di una
prima teatrale, Concetta Manzo, figlio di Cosmo il più importante e
benestante commerciante di cereali di Torre Annunziata. Il loro fu
un matrimonio felice rallegrato dalla nascita di otto figli di cui
due maschi Attilio e Teodoro. Il pastificio produceva nel 1910 ben
30.000 quintali di pasta. Passarono indenni dalla bufera della I
guerra mondiale. Con la spinta del figlio Attilio, il padre cominciò
a partecipare a varie Fiere Internazionali per far sentire la
propria realtà commerciale anche al di fuori dai confini della
Campania, vennero aperte concessionarie a Torino, Bergamo, Milano
Brescia, Firenze e Genova. Nel 1930 il pastificio produceva 60.000
quintali di pasta. Giovanni ottenne nel 1934 la nomina a
commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia, si spense nel 1939.
I figli Teodoro e Attilio proseguirono la sua attività. Con lo
scoppio della 2^ guerra mondiale venne la crisi del pastificio,
aggravato ancor di più dalla distruzione dei macchinari ad opera dei
tedeschi in ritirata e dalle bombe alleate che ridussero in macerie
lo stabilimento di Torre Annunziata, crisi dalla quale non si
sollevarono più. Nel 1950 la produzione crollò a 10.000 quintali, ma
non lo loro fama: erano diventati un’icona della pasta napoletana
nel mondo. Un’altra difficoltà fu costituita dal nascere dei
supermercati. Determinante fu l’accordo con Barilla nel 1973, che
rilevò le quote azionarie della società subentrandone nella
gestione, ma rispettandone l’autonomia. I Voiello restarono nel
consiglio d’amministrazione. Oggi il prodotto è ancora tra i
migliori, sempre nel rispetto della tradizione pastaia di Giovanni
Voiello.
Ciro La
Rosa
settembre
2008 |