Ernesto De
Martino
nacque a Napoli il 1° dicembre 1908 da Ernesto,
ingegnere delle Ferrovie dello Stato, e da Gina
Jaquinangelo. All'università di Napoli seguì la scuola
di Adolfo Omodeo, con cui si laureò nel 1932 con una
tesi in storia delle religioni e che lo introdusse nella
cerchia di B. Croce. Della filosofia crociana, anche
attraverso l'insegnamento dell'Omodeo, il de Martino
assorbì l'indirizzo storicista che difenderà fino
all'ultimo con tenacia, pur sviluppandolo e integrandolo
con apporti speculativi eterogenei, e ampliandone
l'applicazione a settori praticamente esclusi dal Croce,
come la storia delle religioni e l'etnologia.
Lì de Martino allargò la prospettiva della speculazione
crociana fin dal suo primo libro, Naturalismo e
storicismo nell'etnologia (Bari 1941), che segnò
l'inizio di una laboriosa e metodica riflessione critica
nel campo delle teorie etnologiche dominanti in ambito
internazionale. Le varie correnti di pensiero, dal
prelogismo di L. Lévy-Bruhl, al sociologismo di Emile
Durkheim, alla scuola di Vienna di Wilhelm Schmidt con
la sua teoria storico-culturale o diffusionista, al
funzionalismo di B. Malinowski in Gran Bretagna, fino
all'appendice dell'antropologia applicata statunitense,
venivano passate al vaglio di un pensiero critico che
intendeva dimostrarne un comune presupposto
antistoricista - per il de Martino "naturalistico" -
dichiarato o implicito.
Il contatto con Raffaele Pettazzoni, che a cominciare
dal 1934 ne pubblicava vari contributi nella rivista da
lui fondata e diretta, "Studi e Materiali di Storia
delle religioni", maturò e orientò sempre più gli
interessi del de Martino verso l'etnologia religiosa e
la storia delle religioni (in cui conseguirà la libera
docenza rispettivamente nel 1952 e nel 1956).
Particolare impegno egli pose fin dalla prima fase della
sua attività di studioso nell'affrontare i problemi
interpretativi -connessi con i fenomeni di magia, a ciò
spinto anche da un suo preliminare interesse
psicologico. A questa prima fase di ricerche
appartengono infatti vari contributi che rivelano
precisi interessi per la metapsichica, il magismo e i
fenomeni sciamanici (Percezione extra sensoriale e
magismo etnologico, ibid., XVIII [1942], pp. 1-19, e
XIX-XX [1943-1946], pp. 31-84; Lineamenti di
etnometapsichica, ibid., XVIII [1942]. pp. 113-139; Di
alcune condizioni delle sedute metapsichiche alla luce
del magismo sciamanistico, in "Rivista di antropologia",
XXXIV [1942-1943], pp. 479-490). In questo senso il de
Martino si dimostrava pionieristicamente avviato ad
affrontare temi che avrebbero, ma solo più tardi in
Italia, sollecitato, entro gli ambienti psichiatrici,
crescenti contatti e rapporti con l'etnologia, così da
sviluppare una nuova branca autonoma, nell'ambito delle
discipline psichiatriche, che avrebbe preso corpo nella
psichiatria transculturale o etnopsichiatria.
Ne Il mondo magico (Torino 1948) - primo volume
della collana di studi religiosi, etnologici e
psicologici diretta da C. Pavese e poi dallo stesso de
Martino - egli legava vistosamente i problemi
d'interpretazione dei mondi culturali "primitivi" di
livello etnologico, con i problemi d'interpretazione
riguardanti la realtà dei poteri magici in generale. Qui
per la prima volta il de Martino prendeva le distanze
dal crocianesimo ortodosso sostenendo la tesi della
storicizzabilità delle categorie crociane. Contro la
filosofia implicitamente etnocentrica del Croce, che
ignorava o poneva in parentesi i mondi culturali delle
società "primitive" extra occidentali, egli rivalutava
il mondo culturale di magismo delle società
tradizionali, che faceva oggetto di una autonoma
problematica storiografica.
Il mondo della magia, di cui le società "primitive"
offrono imponenti manifestazioni ch'egli assume a
documento, ha per lui una sua realtà precategoriale ed è
visto come una primordiale rappresentazione del mondo,
funzionale al bisogno - per usare i termini da lui
adottati - di "garantire la presenza". Sensibile fin da
quest'opera è l'influenza dello esistenzialismo di
Heidegger, da cui egli mutua alcuni concetti-base e in
parte il linguaggio, introducendo nel campo
dell'antropologia religiosa nozioni quali quella di
"crisi della presenza" e quella di "riscatto dalla
crisi": un riscatto attuato, secondo il de Martino, per
il tramite del rituale magico religioso, inteso come
tecnica. di superamento della crisi e della "angoscia
della storia".
Sviluppando la sua speculazione etnologico-religiosa, il
de Martino si avvale sempre più della psicologia e
dell'ausilio offerto dalla sua conoscenza delle scienze
psichiatriche, secondo un criterio che sarà da lui
stesso più tardi ripreso con il massimo impegno,
nell'ultimo periodo della sua attività di studioso, cioè
nell'opera cui attendeva prima della prematura morte e
che sarebbe stata pubblicata postuma, La fine del
mondo. In ciò si rivela una continuità di pensiero e
di interessi che procede dai primissimi contributi fino
agli ultimi e più impegnativi, attraverso una fase
intercalare, pur essa di fondamentale importanza, ma
relativamente autonoma e che abbraccia il periodo delle
opere "meridionalistiche". Una svolta decisiva
nell'esistenza e nell'attività del de Martino fu
determinata dalla sua esperienza di militante nei
partiti della Sinistra e dal proprio impegno
ideologico-sociale. Dal 1945 egli si trovò ad agire,
come segretario di federazione del Partito socialista (PSIUP
poi PSI), nell'Italia meridionale: a Bari, Molfetta, poi
Lecce (qui in veste di commissario). Dal 1950 egli
aderiva al Partito Comunista Italiano. Il contatto
diretto con i contadini del Sud, e con i problemi del
Meridione, impresse un marchio originale sulla
personalità dello studioso, che in quell'esperienza
ricevette lo stimolo a muoversi verso un'etnologia o
antropologia fatta di ricerche sul terreno. Da allora fu
spinto ad assumere come problema centrale della propria
ricerca l'analisi del folklore religioso nella cultura
contadina del Sud.
Se il Meridione d'Italia costituiva da tempo un problema
nella coscienza di storici, economisti, sociologi,
nessuno aveva fin allora affrontato nella sua autonomia
il problema della "cultura" contadina del Sud, vista
come complessa e specifica concezione del mondo e
collocata sul fondo di una società storicamente
determinata. lì de Martino sentì l'urgenza di colmare
questo vuoto. Oltre che dall'esperienza della militanza
politica, egli fu indotto a questa scelta anche dalla
convergenza di alcuni altri fattori o eventi: in
particolare l'uscita del Cristo si è fermato a Eboli di
Carlo Levi nel 1945 e il conseguente incontro con Levi;
l'incontro con Rocco Scotellaro, poeta-contadino lucano,
e infine l'uscita dei Quaderni del carcere di Antonio
Gramsci nel 1948. Scoperta - anche attraverso Levi e
Scotellaro - la drammatica umanità di quel mondo
subalterno, il de Martino si avviò al suo compito di
analisi e interpretazione, valendosi degli strumenti
offertigli dalla sua consapevolezza di storico, dalle
tecniche della ricerca etnologica e dalla chiave
interpretativa - marxista e classista - che Gramsci gli
offriva relativamente alle forme di quel folklore
meridionale che Gramsci stesso raccoglieva nella
categoria del "cattolicesimo popolare". Le origini, il
significato, il persistere di credenze e pratiche
magico-religiose arcaiche tra i ceti rurali del Sud sono
infatti studiati dal de Martino nel contesto di una
storia sociale che ne costituisce la base determinante.
Cosi, con una serie di missioni etnografiche dai primi
anni '50, egli raccolse una quantità di documenti
relativi a manifestazioni magico-religiose e ne studiò
le origini storiche, i rapporti con le condizioni
storiche e sociali attraverso i secoli, i motivi
impliciti che ne giustificavano il persistere.
Tutti i fenomeni posti al centro della sua indagine
avevano in effetti origini arcaiche, precristiane, da un
antico fondo di civiltà agrarie, ed erano stati a lungo
oggetto di polemiche, di repressioni, di interventi
adattivi da parte della Chiesa ufficiale. Oggetto della
sua investigazione particolarmente furono: il complesso
mitico-rituale della fascinazione in Lucania (Sud e
magia, Milano 1959); le persistenze del pianto
funebre in Lucania (Morte e pianto rituale nel mondo
antico, Torino 1958); il tarantismo del Salento (La
terra del rimorso, Milano 1961). ll perdurare di
tali rituali e di tali credenze, con le varie
manifestazioni connesse di sincretismo pagano-cristiano,
è interpretato come espressione di una resistenza
implicita, inconsapevole e disorganica alla cultura
ufficiale cristiana, rappresentata dalla Chiesa.
La storia delle varie polemiche del clero e dei sinodi
ecclesiastici contro tali manifestazioni èdallo studioso
ripercorsa a prova della sua interpretazione, che spiega
anche gli adattamenti della politica culturale
ecclesiastica nell'assorbire e riplasmare culti e
credenze d'origine arcaica. D'altra parte il de Martino
spiega il perdurare ditali arcaismi secondo ragione
storica, come espressione di una concezione del mondo
propria di una società rimasta per secoli
nell'isolamento da parte dei poteri centrali e delle
istituzioni ufficiali che l'emarginarono e la
sfruttarono. La "miseria culturale", - egli afferma - è
lo specchio di una miseria psicologica determinata a sua
volta da condizioni storico-sociali imposte all'intero
Mezzogiorno da un regime di subalternità plurisecolare e
che pure in epoca contemporanea in certa misura persiste
o fa pesare le sue conseguenze a lungo termine, lil
folklore religioso appare dunque come il riflesso della
"non storia" del Sud, e cioè della continua repressione
subita.
Nel loro insieme le tre opere meridionalistiche
costituiscono un nucleo paradigmatico di studi di storia
sociale, religiosa e culturale, condotti sulla base di
inchieste dirette e reiterate, operate da lui sul posto
mediante interviste, osservazione partecipante - e con
l'ausilio dei mezzi d'inchiesta allora aggiornati, quali
registratore, macchine da ripresa, ricostruzione di
momenti e sequenze di vita locale. Con queste opere
s'inaugurò in italia un importante filone di ricerche di
antropologia culturale, o etnologia della società
meridionale metropolitana, destinato ad avere sviluppi
crescenti, dopo la morte del de Martino, da parte di
antropologi di più giovane generazione, che in queste
opere hanno trovato una fonte di stimoli e di
sollecitazioni. Infatti, anche se negli ultimi anni le
tecniche e le metodologie della ricerca antropologica
dispongono di un apparato empirico più sofisticato e
hanno sviluppato problematiche via via più penetranti,
gli studi pionieristici del de Martino costituiscono un
inevitabile punto di riferimento. Particolare importanza
come tecnica innovativa da lui inaugurata è quella
dell'indagine interdisciplinare, che egli adottò
soprattutto nello studio del tarantismo pugliese, con
l'unione in un'unica èquipe di uno psichiatra, di una
psicologa, oltre allo storico delle religioni, a
un'antropologa culturale, all'etnomusicologo e al
documentarista cinematografico. Il criterio della
interdisciplinarietà sarebbe poi rimasto come
un'acquisizione ed un'esigenza definitiva negli studi
etno-antropologici. Divenuto professore di ruolo di
storia delle religioni nella facoltà di lettere
dell'università di Cagliari dal dicembre 1959, al
periodo meridionalista successe un periodo di
approfondimenti e sviluppi problematici. Lì de Martino
da un lato scoprì e pose in questione una serie di
manifestazioni religiose o parareligiose di tipo
extraufficiale nel cuore della società borghese
occidentale: rigurgiti di magismo in Germania, feste
carnevalesche a carattere orgiastico-contestativo nella
Svezia di fine anni '50 (il capodanno di Stoccolma),
insieme con altre manifestazioni rituali d'ambito
ufficiale nella società socialista dell'URSS, come il
simbolismo cerimoniale sovietico (Furore, simbolo,
valore, Milano 1962). D'altronde egli dette avvio ad
una ricerca interdisciplinare intorno ad una tematica
nuova, quella dell'apocalisse e dei miti escatologici.
Per l'analisi di questo tema raccolse materiale non solo
dal campo della storia religiosa in un'accezione ampia
che include accanto al giudeo-cristianesimo anche le
religioni "primitive", ma anche dalla letteratura
moderna della crisi - J.P. Sartre, A. Moravia, A. Camus
, dalla filosofia e dai teorici del marxismo classico,
dalla psichiatria.
Alle prese con tale complessa tematica, la sua
personalità poliedrica si dispiegò interamente
avvalendosi dell'apporto delle diverse discipline
suindicate, dimostrando la natura multiforme dei suoi
interessi culturali, che travalicavano le partizioni
accademiche e le etichettature formali. Del resto la
poliedricità delle sue aperture speculative inducevano
in lui una particolare ambivalenza sul piano
dell'impostazione epistemologica. Infatti egli tendeva a
unificare prospettive di per sè eterogenee come quella
storicista di derivazione crociana, ma riveduta in
chiave marxista, con quella fenomenologico-ontologica,
volta tipicamente alla identificazione di "universali" e
di strutture invarianti d'ordine psicologico. Il saggio
Apocalissi culturali e apocalissi psicopatologiche (in "Nuovi
Argomenti", LXIX-LXXI [1964], pp. 105-141),
introduceva la tematica a cui egli lavorava dai primi
anni '60 e che, interrotta dalla morte, doveva trovare
una elaborazione, sebbene incompiuta e frammentaria, nel
libro postumo La fine del mondo. Contributo
all'analisi delle apocalissi culturali (Torino 1977).
Pur nella incompiutezza che la caratterizza e che ne fa,
salvo per la parte psichiatrica, piuttosto una silloge
di appunti e di trascrizioni da testi e da autori vari
con note e riflessioni personali, quest'opera documenta
la somma degli interessi speculativi e culturali
dell'ultimo de Martino. Vi ritorna il tema della crisi e
sua reintegrazione religiosa, visto però in una sua
autonomia ontologica e non più nel preciso rapporto di
condizionamento storico-sociale entro cui era collocato
e interpretato nelle precedenti opere meridionalistiche.
Un riaccostamento all'impostazione fenomenologica
prevalsa ne Il mondo magico distacca quest'ultima
fase della riflessione demartiniana da quella più legata
allo storicismo gramsciano che domina nei tre libri
dedicati al folklore del Sud: e -ciò si dica anche se
già nella seconda edizione de Il mondo magico
(1958) l'autore aveva ritrattato la precedente sua tesi
che poneva la magia in una fase precategoriale dello
sviluppo del pensiero umano, per riaderire ai fondamenti
delle critiche mossegli dal Croce. Ne La fine del
mondo lo storicismo assoluto del primo de Martino –
secondo il quale il senso e le forme delle civiltà umane
e delle religioni si risolvono per intero e senza
residui nella loro storia - sfuma, lasciando notevole
spazio ad una prospettiva fenomenologico-psicologistica.
Nel contempo è vigorosamente riaffermata la funzione
liberante della visione del mondo laica marxista.
Pertanto l'apocalittica marxiana è contrapposta a quella
alienante delle religioni, mentre per la prima volta il
de Martino prende atto del valore innovativo e creativo
che studi recenti hanno riconosciuto nei movimenti
profetici, millenaristi e apocalittici di liberazione
delle popolazioni excoloniali del Terzo Mondo. Anche
nell'ultimo e incompiuto lavoro si rivelavano, da
squarci di apertura geniale, la ricchezza e la densità
di riflessione tipiche del de Martino. In questo lavoro,
come nei precedenti, egli parte da esperienze dell'oggi
e del qui, da problemi, situazioni, crisi incombenti
nella nostra civiltà contemporanea, per risalire da qui
- in uno sforzo di comprensione storica universale -
all' osservazione e all'analisi di mondi "altri" in
senso psicologico (il mondo della psicopatologia),
ovvero in senso storico cronologico (il mondo del
cristianesimo primitivo), ed in senso storico-culturale
(il mondo delle culture extraoccidentali oggetti di
studio dell'etnologia). Precisamente di fronte all'arduo
compito assuntosi di una comprensione storica
universale, il de Martino si pone metodicamente il
problema della giusta prospettiva spettante allo
scienziato che guarda aIl'"alieno" e alle culture
"altre".
Di qui si sviluppa la sua riflessione intorno al tema
degli etnocentrismi: una riflessione che aveva impegnato
l'autore, ma su un piano pratico-operativo diretto, fin
dall'epoca delle sue ricerche nel Mezzogiorno, nel
sistematico incontro-scontro con i portatori di modelli
culturali fondamentalmente "alieni" per uno scienziato
cresciuto e formatosi nel seno della società borghese
ufficiale e colta. Infatti già allora il de Martino non
aveva perduto occasione per esprimere un proprio "senso
di colpa" di fronte alla miseria culturale e psicologica
delle plebi meridionali: un senso di colpa che intorno a
quella stessa epoca ispirava pagine e riflessioni di un
altro illustre esponente del pensiero antropologico in
Europa, Claude Lèvi-Strauss.
Nello sviluppare in forma riflessa e metodica la sua
tesi sull'etnocentrismo, il de Martino rifiutava come
decisamente superata ogni forma di etnocentrismo
dogmatico, con i suoi condannevoli corollari del
razzismo e del pregiudizio sociale. Tuttavia egli
respingeva altrettanto decisamente la prospettiva del
relativismo culturale d'origine americana, per il quale
ciascuna "cultura" vale per sè stessa nè deve essere
valutata dall'esterno se non in riferimento ai parametri
validi per i suoi diretti esponenti. Egli infatti
ravvisava la doppiezza e la contraddittorietà di questa
posizione teorica e speculativa, la quale, sotto la
specie di un liberalismo teorico, nascondeva ogni
riserva di intervento pratico-politico sui portatori
delle culture aliene.
Il de Martino affermava e proponeva la validità di una
posizione che egli stesso aveva assunto nel confronto
della cultura contadina meridionale nel corso delle sue
precedenti indagini: posizione definita da lui "etnocentrismo
critico". Questo è da intendersi come sforzo supremo di
allargamento della propria coscienza culturale di fronte
ad ogni cultura "altra", e come sofferto processo di
presa di coscienza critica dei limiti della propria
storia culturale, sociale, politica. L'etnocentrismo
critico pone in questione "le stesse categorie di
osservazione di cui lo studioso dispone all'inizio della
ricerca". Con questa tensione etico-speculativa si può
realizzare, secondo il de Martino, quell'"umanesimo
etnografico" che implica un'opera di storicizzazione di
sè e della propria cultura, e di autocritica in base al
confronto storico-culturale, ma senza rinunziare -
com'egli ribadisce - alla idea del primato della civiltà
occidentale. Lì il modello della civiltà europea più
avanzata sul piano del sapere scientifico, della
tecnologia, dello sviluppo culturale, non può cedere,
per il de Martino, ai modelli di culture altre per le
quali, pur nell'indispensabile
sforzo di conoscerle, capirle e giustificarle sul piano
storico, logico e psicosociale, la prospettiva di
sviluppo proposta è pur quella di adeguarsi al modello
occidentale nelle sue espressioni socialmente più
avanzate. Questa visione eurocentrica, per quanto
critica ed autocritica, avrebbe dato avvio poi a
discussioni e interventi variamente orientati, negli
sviluppi postdemartiniani del pensiero antropologico in
Italia.
Per la complessità poliedrica dell'approccio del de
Martino allo studio dell'uomo, per la forte tensione
etico-sociale-ideologica che permea i suoi scritti, per
l'efficacia scandagliatrice delle sue analisi, per la
soggettività fascinosa del suo linguaggio - per cui la
sua opera si impone anche per il suo valore letterario -
la sua produzione si pone al di sopra delle
specializzazioni accademiche più o meno settoriali, e
pare destinata a riscuotere risonanze durevoli
nell'ambito di molteplici discipline, dei più vari
orientamenti di studio che hanno a che fare con il
problema dell'uomo e di tutti coloro che a tale problema
rivolgono un personale e sensibile interesse.
De Martino morì a Roma il 9 maggio 1965.
[tratto da: Vittorio Lanternari, Ernesto de Martino,
in: Dizionario Biografico degli Italiani, ed.
Enciclopedia Treccani, vol. XXXVIII, 1990, pp. 584 -
588. Inviataci il 25 Marzo 2006 da Teresa Parrella].
Giangiacomo
Feltrinelli Editore - Universale Economica Saggi 224 |