Nel cuore della Sicilia, sui monti Erei, tra vallate
verdeggianti e cime aguzze, sorge Sperlinga. Il toponimo
deriva dal greco, significa grotta. È un borgo quasi
dimenticato dalla storia, stradine contorte, solitudine,
isolamento, salite, discese e ripide scale che
serpeggiando s’inerpicano su quel maestoso costone.
Appena 890 abitanti. Lì, come se il tempo non fosse
passato, si parla ancora un dialetto gallo italico
vicino all’antico francese occitano, frutto della
politica di ripopolamento compiuta dai
Normanni tra l’XI e il XII secolo.
Se la solitudine e l’assenza ci fanno sentire in un
luogo remoto, dimenticato, il castello che si erge sul
masso rupestre ci racconta di quel borgo
straordinariamente ricco di storia.
Centro geografico di 11 feudi, esso si erge su una
ciclopica rupe modellata dall’erosione naturale a guisa
di chiglia rovesciata; già a guardarlo dall’esterno si
rimane stupiti nel vedere come le possenti mura,
conficcate violentemente nella roccia, si alternino
costantemente ai ben levigati blocchi di calcarenite.
Testimonianza di dimore trogloditiche, frequenti in
Sicilia, specie sulla statale che da Gangi conduce a
Sperlinga, la rocca è un labirinto di ambienti ipogei,
di corridoi, di scale e vani sopraelevati. Ma a stupire
non è solo questo; stupiscono soprattutto sia il
contrasto tra escavazioni rupestri preistoriche e
strutture architettoniche medievali, sia l’ingegnoso
progetto di erigere le mura sopra l’immane sasso, nei
cui antri vissero, in epoca preistorica, i primi popoli
della Sicilia.
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Aggirandosi per gli ingrottati, ci si accorge che la
struttura della rocca è sorprendentemente più
sotterranea di quanto si possa, in un primo momento,
immaginare. Le pareti sono, spesso, interrotte da una
lunga teoria di grandi finestre, che come occhi
spalancati, danno l’idea della sua struttura
labirintica. Il costone roccioso, ben levigato dal
tempo, presenta qua e la, come fossero delle ferite,
profonde escavazioni verticali che costituivano un
perfetto sistema di canalizzazione delle acque piovane,
facendole confluire, poi, verso numerose cisterne.
Sopra gli ingrottati si trovano suggestivi ambienti dove
venivano lavorati i metalli, vistose buche sulla
superficie del costone, ne testimoniano l’estrazione,
resti di bracieri e canne fumarie interamente scavate
nella roccia, la lavorazione.
Struttura del Castello
Un vasto e luminoso piazzale, a forma di corona
circolare, si sviluppa attorno a quel che è rimasto del
castello, da lì è possibile intravedere tre portali di
accesso, difesi da un ponte levatoio, che si succedono,
con regolarità l'uno dopo l'altro; attraversandoli si
offre alla vista una vertiginosa scala che conduce alla
prima spianata della rocca, qui sfidano il tempo i resti
del palazzo dei baroni Ventimiglia, a cui gli Aragonesi
concessero la signoria di Sperlinga, quelli del palazzo
dei baroni Natoli, eretto intorno al 1600, e le rovine
della chiesa di San Domenico di Siria, cappella del
castello. Ancora un'altra scala immette in una teoria di
innumerevoli ambienti, illuminati da grandissime
finestre, simili ad una lunga galleria che circonda la
rocca.
Un’ennesima ripida e ed angusta scaletta, interamente
ricavata dalla cresta, conduce ad una struttura merlata
con funzione di maschio per l’ultima difesa. Qui si
trovano due aperture, che sembrerebbero cisterne, ma che
sono in realtà camminamenti per accedere a due
vastissimi ingrottati intercomunicanti, a stento,
illuminati da una minuscola finestra.
Il Castello di Sperlinga nella storia
Il castello, posto com'è in prossimità di una di quelle
che erano ritenute tra le più importanti strade di
comunicazione interna, assunse un'importanza strategica
fin dall'avvento dei Normanni e raggiunse il massimo
splendore in epoca medievale. Nel 1282, durante la
guerra del Vespro siciliano, gli abitanti di Sperlinga
furono gli unici a non cacciare gli
Angioini, anzi li accolsero nel castello che subì un
lungo assedio di 13 mesi. Un’iscrizione posta, a ricordo
dell’evento, sopra una delle porte di accesso così
recitava: “Quod Siculis placuit sola Sperlinga
negavit”.
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Le prime notizie del fortilizio risalgono al 1082, il
primo castellano che si ricordi fu Riccardo Rosso da
Sperlinga; in seguito fu dimora feudale dei Ventimiglia
che lo smembrarono vendendone una parte ai Ferrara di
Gragnano. Le alterne vicende videro poi la rocca nelle
mani dei Forti Natoli prima e degli Oneto poi. Nel 1867
Giuseppe Oneto Lanza lo cedette in enfiteusi al barone
Nunzio Nicosia. Ultimi proprietari furono i baroni Li
Destri.
Rosa Casano Del Puglia
Dicembre 2011