Nell’ormai lontano 1950, quando l’Italia tutta, all’indomani della
guerra, si apprestava a gettare le basi che avrebbero consentito il
“boom”dei favolosi anni ’60, in Sicilia vengono approvate due leggi
regionali che predispongono gli avvenimenti che accadranno di lì a
qualche anno e che determinarono, come scrive lo storico Renda “un
diffuso clima di speranza”.
Una
legge riguardava lo sviluppo industriale e l’altra riguardava la
ricerca e la lavorazione degli idrocarburi.
Idrocarburi che compagnie d’oltreoceano come la Gulf Oil,
avevano già cominciato a cercare tra le rovine millenarie che
punteggiano l’isola.
Gli ampi
poteri che erano stati riconosciuti alla regione con l’Autonomia
concessa per scongiurare il pericolo del separatismo (pericolo per
noi siciliani, non certo per il resto d’Italia: il movimento
separatista infatti era ormai saldamente in mano agli agrari ed alla
mafia, che tendevano a “conservare” i privilegi feudali)
consentivano all’isola di costruire, indirizzandolo, il proprio
futuro ed il proprio benessere tanto che fu costituita, dalle forze
industriali isolane e prima ancora che industrie vere sorgessero, la
SICINDUSTRIA, retta per oltre un decennio da un agguerrito Domenico
(Mimì) La Cavera (noto anche alle cronache rosa per aver convolato a
giuste nozze con l’allora famosa e bella attrice Eleonora Rossi
Drago).
Ma così
non fu perché lo stesso anno venne istituita dal governo centrale la
“Cassa per il Mezzogiorno”! Un organismo “diabolico” con il quale lo
Stato, porgendo “pelosi e caritatevoli” aiuti, si sovrappose alla
regione decidendo per essa la qualità e la quantità della crescita
meridionale, che doveva essere “compatibile” con l’assetto
territoriale dell’Italia e non doveva entrare in competizione
con lo sviluppo dell’impianto industriale del nord (i signori della
val padana devono buona parte del loro sviluppo industriale proprio
a questa istituzione!).
La
SICINDUSTRIA si batteva perché protagonista e beneficiaria dello
sfruttamento della ricchezza proveniente dalle risorse petrolifere,
ancora da accertare, fosse la piccola e media industria siciliana
con l’esclusione della grande industria settentrionale ed in ciò era
affiancata dalle Sinistre che sostenevano la necessità di impedire
ai monopoli industriali del nord di accedere alle risorse
finanziarie e alle materie prime della Regione.
Intanto,
nel 1953 ad opera della Gulf Oil era stato finalmente trovato
il petrolio, a Ragusa, e ciò aveva non solo aumentato l’ottimismo
nell’isola ma anche l’immediato interesse delle società petrolifere
straniere e della imprenditoria del nord, quella privata nella
persona di Angelo Moratti e quella pubblica nella persona del
presidente dell’ENI, Enrico Mattei, attento invece a non
privatizzare e che finalmente riesce a scendere ed operare
nell’isola nonostante l’ostilità dimostratagli dal governo
regionale, allora presieduto dall’onorevole Franco Restivo, e del
gran guru della Democrazia Cristiana, Don Luigi Sturzo, che
favorivano gli interessi della Gulf Oil piuttosto che quelli
italiani e siciliani.
Gli
effetti della scoperta del petrolio si proiettarono immediatamente
sul piano politico e i risultati si videro con le elezioni per il
rinnovo dell’Assemblea regionale convocate per il 5-6 giugno 1955.
La
coalizione conservatrice guidata da Restivo ne uscì sconfitta:
scomparve la tradizionale destra agraria, ultimo scampolo di
feudalesimo, che era rimasta al potere ininterrottamente fin dal
1943, e circa la metà dei deputati erano “neo-eletti”, volti e nomi
nuovi! Una cosa mai vista! Possibile che si potesse veramente
cambiare qualcosa?
I
rapporti di forza tra i partiti risultarono mutati: la Democrazia
Cristiana di Fanfani pur risultando vincitrice rimase al di sotto
della maggioranza assoluta mentre a sinistra il blocco del popolo si
divise in due liste separate, quella dei comunisti e quella dei
socialisti. E questa non è una buona cosa alla distanza!
La DC
forte della sua maggioranza relativa, tentò di rimettere a capo
della Regione il presidente uscente Restivo, ma a sorpresa, durante
la votazione del 27 Luglio 1955, Restivo ottenne solo 35 voti contro
i 50 di Silvio Milazzo. Chi era costui? Un DC anche lui, è vero, ma
avversario di Fanfani e autonomista intransigente, sul quale
convergono i voti di tutta la sinistra e di alcuni franchi tiratori
della Democrazia Cristiana, i voti di coloro che credevano nello
sviluppo della Sicilia. Il partito ( la DC) però non diede il suo
consenso e dopo appena mezz’ora (37 minuti per l’esattezza) Milazzo
fu costretto a rinunciare all’incarico.
I
successivi scrutini permisero infine l’elezione di Giuseppe Alessi.
L’on. Alessi era stato il primo presidente della Regione ma si era
presto dimesso in segno di protesta contro l’atteggiamento lesivo
del governo di Roma nei confronti dello Statuto autonomista.
Alessi
viene eletto grazie all’astensione dei socialisti che servì a
bloccare le pressioni della destra e della Curia del cardinale
Ruffini. Silvio Milazzo si dovette accontentare della nomina di vice
presidente. A quanto pare la volontà degli elettori, siano essi
popolari o deputati è sempre un “optional”!
Già nel
1947, dopo la strage di Portella della Ginestra, il risultato
elettorale era stato tranquillamente ribaltato.
Nell’ottobre dello stesso anno a Palermo si svolse il convegno del
CEPES (Comitato Europeo per il Progresso Economico e Sociale)
organizzato dalla Sicindustria presieduta dall’ing. Domenico La
Cavera. ”Calano” nell’isola i massimi esponenti dell’industria
italiana, da Valletta (Fiat) a Farina (Montecatini) , da Valerio
(Edison) a De Micheli (Confindustria) ed i rappresentanti di
Confagricoltura e Confcommercio.
Il loro
scopo è di ottenere il controllo delle risorse finanziarie
(destinate ad accrescersi dopo la scoperta del petrolio) e delle
prospettive industriali dell’isola per porle in mano all’iniziativa
privata (del nord) impedendone l’accesso a quella pubblica, cioè
all’ENI rappresentata da Mattei (ricordo, per inciso, che Enrico
Mattei fu vittima qualche tempo dopo di un ”incidente” aereo che a
40 anni di distanza è stato provato essere un attentato!).
Il
governo di Alessi non ha vita facile…non è facile “destreggiarsi”
neanche per la “destra”, gli interessi sono troppi! Provengono sia
dall’interno che dall’estero! Il governo Alessi cade il 31 ottobre
1956 sul voto segreto sulla fiducia, come sempre, a causa di cinque
“franchi tiratori” sicuramente democristiani!
Alla
presidenza gli succede l’on Giuseppe la Loggia con un governo
centrista.
Nella
primavera del ’57 a Palermo si svolge, presente Togliatti, il III
congresso regionale dei comunisti siciliani. Emergono “strane” cose!
Si vuole attuare realmente l’autonomia realizzando una unità
trasversale tra le forze lavoratrici classiche, i ceti medi urbani e
rurali e la borghesia (ancora legata o meglio sottomessa agli
agrari).
Qualche
mese dopo, quasi all’unanimità, l’assemblea regionale
vota la
legge per l’industrializzazione; legge che prevede “provvedimenti
straordinari per lo sviluppo”.
La legge prevede contributi per le imprese industriali operanti in
Sicilia e la creazione della SOFIS (società finanziaria siciliana) ,
con poteri d’intervento diretto.
Ma La
Loggia paga caro questo accordo con gli autonomisti e con le
sinistre, infatti il suo governo viene rovesciato alla prima
occasione: al solito all’approvazione del bilancio!
Risulta
chiaro a questo punto che la lacerazione è all’interno della DC ed è
voluta da Roma!
Per
sanare la questione con Roma, La Loggia forma un governo monocolore,
solo democristiani con l’appoggio esterno dei monarchici e dei
missini (Movimento Sociale Italiano, l’attuale AN).
Siamo
tornati indietro! Ma l’anno successivo (1958) è nuovamente anno di
elezioni, questa volta politiche. La Loggia e la DC vengono
riconfermate, ma c’è subbuglio e in molti non accettano di chinare
la testa ai voleri di Roma e degli industriali del nord.
Passano
pochi mesi: Silvio Milazzo (ve lo ricordate?) rompe clamorosamente
con la Democrazia cristiana e viene estromesso dal partito, ma non
si ferma, raccoglie attorno a se tutti i partiti della sinistra,
parte dei democratici cristiani e tutti i partiti della destra,
compreso l’MSI e i monarchici, e forma un governo che caccia la DC
all’opposizione.
E’
incredibile, nuovo e troppo audace! Soprattutto troppo eterogeneo!
Ed è troppo poco il tempo per maturare un accordo duraturo sulle
strategie comuni da seguire: il primo governo Milazzo si era
insediato nell’ottobre del ’58 e di li a qualche mese altre
elezioni, le regionali del ’59, incombevano. La campagna elettorale
impostata dai democristiani fu all’insegna di “Annibale alle porte”:
lo spauracchio dei “comunisti” pronti ad impadronirsi della Sicilia.
Uno
spauracchio che ancora oggi, a comunismo scomparso, ha presa su un
popolo che mai lo ha subito e che stranamente non teme il fascismo,
che ha invece ben conosciuto e sofferto.
E dire
che i “comunisti”, pur essendo sostenitori di Milazzo, non avevano
neanche un assessorato. Ma contro Milazzo intervenne l’apparato
nazionale della Democrazia cristiana che esautorò Fanfani (cambiare
per continuare) e lo sostituì con Segni (alla presidenza del
consiglio) e con Moro (alla presidenza del partito). Intervenne pure
il Sant’Uffizio! Il Cardinale Ottaviani non solo riconferma lascomunica ai comunisti ma la estende ai socialisti e ai
cristiano-sociali di Sicilia! Tutti questi provvedimenti servivano
ad impedire che la discrepanza siciliana si estendesse in altre
regioni, e ci riuscirono.
Il 7
Giugno 1959 si andò a votare. I risultati diedero apparentemente una
vittoria a Milazzo che ad agosto riesce a formare il suo secondo
governo, ma in realtà si approdò ad una sostanziale parità che
impedì a Milazzo di governare, anche per la defezione dei socialisti
e dei comunisti. A dicembre all’ARS si vota sul bilancio. Milazzo
non ottiene la fiducia per un solo voto! E’ bastato un solo franco
tiratore!
L’operazione Milazzo era ormai conclusa nonostante l’estremo
tentativo di un governo di centro-sinistra che prevedeva un’intesa
tra democratici cristiani, democratici sociali e socialisti. Ma un
paio di mesi dopo, siamo arrivati nel febbraio 1960, il secondo
governo Milazzo fu fatto cadere in malo modo, vittima di uno
scandalo montato ad arte: la così detta “beffa delle Palme”
[1].
Da allora
il termine “milazzismo” è stato usato per indicare una politica
riprovevole (un “inciucio” si direbbe oggi). Il periodo Milazziano
durò poco, un anno mezzo appena e con esso si concluse quella fase
politica che voleva applicare realmente l’Autonomia della Regione.
Da allora in poi la sottomissione ai voleri dell’industria del nord
fu pressoché totale e “la Sofis nata con il fine di promuovere la
piccola e media industria isolana, poté solo svolgere la funzione
del parente povero” (Renda, Storia della Sicilia, pag 1352).
Fara Misuraca
settembre 2006
Note
[1] Uno scandalo organizzato dall’on.
D’Angelo. A farlo esplodere è l’on. Santalco che denuncia all’ARS un
tentativo di corruzione nei suoi confronti per indurlo a votare per
Milazzo. L’episodio si svolse in una stanza dell’Hotel delle Palme
dove la polizia, previamente avvertita aveva piazzato i suoi
microfoni. Per maggiori dettagli consultare il testo di Nisticò
“Accadeva in Sicilia” ed. Sellerio, pp 168-169
Fonti
bibliografiche
Dino
Grammatico La rivolta siciliana del 1958. Il primo governo
Milazzo, Sellerio di Giorgianni ed., Palermo
Vittorio Nisticò Accadeva in Sicilia, Sellerio editore,
Palermo
Gabriella Portatone Sturzo e l’operazione Milazzo, Leo
S.Olschki ed. Firenze
Francesco Renda Storia della Sicilia, Sellerio editore,
Palermo
l'immagine di testa è
tratta dalla copertina del libro "Accadeva in Sicilia" di
Vittorio Nisticò
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