Le Pagine di Storia

 

 

Storie di Sicilia di Fara Misuraca

Silvio Milazzo

il “milazzismo”, il petrolio e l’autonomia

 

Nell’ormai lontano 1950, quando l’Italia tutta, all’indomani della guerra, si apprestava a gettare le basi che avrebbero consentito il “boom”dei favolosi anni ’60, in Sicilia vengono approvate due leggi regionali che predispongono gli avvenimenti che accadranno di lì a qualche anno e che determinarono, come scrive lo storico Renda “un diffuso clima di speranza”.

Una legge riguardava lo sviluppo industriale e l’altra riguardava la ricerca e la lavorazione degli idrocarburi.

Idrocarburi che compagnie d’oltreoceano come la Gulf Oil, avevano già cominciato a cercare tra le rovine millenarie che punteggiano l’isola.

Gli ampi poteri che erano stati riconosciuti alla regione con l’Autonomia concessa per scongiurare il pericolo del separatismo (pericolo per noi siciliani, non certo per il resto d’Italia: il movimento separatista infatti era ormai saldamente in mano agli agrari ed alla mafia, che tendevano a “conservare” i privilegi feudali) consentivano all’isola di costruire, indirizzandolo, il proprio futuro ed il proprio benessere tanto che fu costituita, dalle forze industriali isolane e prima ancora che industrie vere sorgessero, la SICINDUSTRIA, retta per oltre un decennio da un agguerrito Domenico (Mimì) La Cavera (noto anche alle cronache rosa per aver convolato a giuste nozze con l’allora famosa e bella attrice Eleonora Rossi Drago).

Ma così non fu perché lo stesso anno venne istituita dal governo centrale la “Cassa per il Mezzogiorno”! Un organismo “diabolico” con il quale lo Stato, porgendo “pelosi e caritatevoli” aiuti, si sovrappose alla regione decidendo per essa la qualità e la quantità della crescita meridionale, che doveva essere “compatibile” con l’assetto territoriale dell’Italia e non doveva entrare in competizione con lo sviluppo dell’impianto industriale del nord (i signori della val padana devono buona parte del loro sviluppo industriale proprio a questa istituzione!).

La SICINDUSTRIA si batteva perché protagonista e beneficiaria dello sfruttamento della ricchezza proveniente dalle risorse petrolifere, ancora da accertare, fosse la piccola e media industria siciliana con l’esclusione della grande industria settentrionale ed in ciò era affiancata dalle Sinistre che sostenevano la necessità di impedire ai monopoli industriali del nord di accedere alle risorse finanziarie e alle materie prime della Regione.

Intanto, nel 1953 ad opera della Gulf Oil era stato finalmente trovato il petrolio, a Ragusa, e ciò aveva non solo aumentato l’ottimismo nell’isola ma anche l’immediato interesse delle società petrolifere straniere e della imprenditoria del nord, quella privata nella persona di Angelo Moratti e quella pubblica nella persona del presidente dell’ENI, Enrico Mattei, attento invece a non privatizzare e che finalmente riesce a scendere ed operare nell’isola nonostante l’ostilità dimostratagli dal governo regionale, allora presieduto dall’onorevole Franco Restivo, e del gran guru della Democrazia Cristiana, Don Luigi Sturzo, che favorivano gli interessi della Gulf Oil piuttosto che quelli italiani e siciliani.

Luigi Sturzo

Angelo Moratti

Enrico Mattei

Gli effetti della scoperta del petrolio si proiettarono immediatamente sul piano politico e i risultati si videro con le elezioni per il rinnovo dell’Assemblea regionale convocate per il 5-6 giugno 1955.

La coalizione conservatrice guidata da Restivo ne uscì sconfitta: scomparve la tradizionale destra agraria, ultimo scampolo di feudalesimo, che era rimasta al potere ininterrottamente fin dal 1943, e circa la metà dei deputati erano “neo-eletti”, volti e nomi nuovi! Una cosa mai vista! Possibile che si potesse veramente cambiare qualcosa?

I rapporti di forza tra i partiti risultarono mutati: la Democrazia Cristiana di Fanfani pur risultando vincitrice rimase al di sotto della maggioranza assoluta mentre a sinistra il blocco del popolo si divise in due liste separate, quella dei comunisti e quella dei socialisti. E questa non è una buona cosa alla distanza!

La DC forte della sua maggioranza relativa, tentò di rimettere a capo della Regione il presidente uscente Restivo, ma a sorpresa, durante la votazione del 27 Luglio 1955, Restivo ottenne solo 35 voti contro i 50 di Silvio Milazzo. Chi era costui? Un DC anche lui, è vero, ma avversario di Fanfani e autonomista intransigente, sul quale convergono i voti di tutta la sinistra e di alcuni franchi tiratori della Democrazia Cristiana, i voti di coloro che credevano nello sviluppo della Sicilia. Il partito ( la DC) però non diede il suo consenso e dopo appena mezz’ora (37 minuti per l’esattezza) Milazzo fu costretto a rinunciare all’incarico.

I successivi scrutini permisero infine l’elezione di Giuseppe Alessi. L’on. Alessi era stato il primo presidente della Regione ma si era presto dimesso in segno di protesta contro l’atteggiamento lesivo del governo di Roma nei confronti dello Statuto autonomista.

Alessi viene eletto grazie all’astensione dei socialisti che servì a bloccare le pressioni della destra e della Curia del cardinale Ruffini. Silvio Milazzo si dovette accontentare della nomina di vice presidente. A quanto pare la volontà degli elettori, siano essi popolari o deputati è sempre un “optional”!

Già nel 1947, dopo la strage di Portella della Ginestra, il risultato elettorale era stato tranquillamente ribaltato.

 

Nell’ottobre dello stesso anno a Palermo si svolse il convegno del CEPES (Comitato Europeo per il Progresso Economico e Sociale) organizzato dalla Sicindustria presieduta dall’ing. Domenico La Cavera. ”Calano” nell’isola i massimi esponenti dell’industria italiana, da Valletta (Fiat) a Farina (Montecatini) , da Valerio (Edison) a De Micheli (Confindustria) ed i rappresentanti di Confagricoltura e Confcommercio.

Il loro scopo è di ottenere il controllo delle risorse finanziarie (destinate ad accrescersi dopo la scoperta del petrolio) e delle prospettive industriali dell’isola per porle in mano all’iniziativa privata (del nord) impedendone l’accesso a quella pubblica, cioè all’ENI rappresentata da Mattei (ricordo, per inciso, che Enrico Mattei fu vittima qualche tempo dopo di un ”incidente” aereo che a 40 anni di distanza è stato provato essere un attentato!).

Il governo di Alessi non ha vita facile…non è facile “destreggiarsi” neanche per la “destra”, gli interessi sono troppi! Provengono sia dall’interno che dall’estero! Il governo Alessi cade il 31 ottobre 1956 sul voto segreto sulla fiducia, come sempre, a causa di cinque “franchi tiratori” sicuramente democristiani!

Alla presidenza gli succede l’on Giuseppe la Loggia con un governo centrista.

Nella primavera del ’57 a Palermo si svolge, presente Togliatti, il III congresso regionale dei comunisti siciliani. Emergono “strane” cose! Si vuole attuare realmente l’autonomia realizzando una unità trasversale tra le forze lavoratrici classiche, i ceti medi urbani e rurali e la borghesia (ancora legata o meglio sottomessa agli agrari).

Qualche mese dopo, quasi all’unanimità, l’assemblea regionale vota la legge per l’industrializzazione; legge che prevede “provvedimenti straordinari per lo sviluppo”.

La legge prevede contributi per le imprese industriali operanti in Sicilia e la creazione della SOFIS (società finanziaria siciliana) , con poteri d’intervento diretto.

Ma La Loggia paga caro questo accordo con gli autonomisti e con le sinistre, infatti il suo governo viene rovesciato alla prima occasione: al solito all’approvazione del bilancio!

Risulta chiaro a questo punto che la lacerazione è all’interno della DC ed è voluta da Roma!

Per sanare la questione con Roma, La Loggia forma un governo monocolore, solo democristiani con l’appoggio esterno dei monarchici e dei missini (Movimento Sociale Italiano, l’attuale AN).

Siamo tornati indietro! Ma l’anno successivo (1958) è nuovamente anno di elezioni, questa volta politiche. La Loggia e la DC vengono riconfermate, ma c’è subbuglio e in molti non accettano di chinare la testa ai voleri di Roma e degli industriali del nord.

Passano pochi mesi: Silvio Milazzo (ve lo ricordate?) rompe clamorosamente con la Democrazia cristiana e viene estromesso dal partito, ma non si ferma, raccoglie attorno a se tutti i partiti della sinistra, parte dei democratici cristiani e tutti i partiti della destra, compreso l’MSI e i monarchici, e forma un governo che caccia la DC all’opposizione.

E’ incredibile, nuovo e troppo audace! Soprattutto troppo eterogeneo! Ed è troppo poco il tempo per maturare un accordo duraturo sulle strategie comuni da seguire: il primo governo Milazzo si era insediato nell’ottobre del ’58 e di li a qualche mese altre elezioni, le regionali del ’59, incombevano. La campagna elettorale impostata dai democristiani fu all’insegna di “Annibale alle porte”: lo spauracchio dei “comunisti” pronti ad impadronirsi della Sicilia.

Uno spauracchio che ancora oggi, a comunismo scomparso, ha presa su un popolo che mai lo ha subito e che stranamente non teme il fascismo, che ha invece ben conosciuto e sofferto.

E dire che i “comunisti”, pur essendo sostenitori di Milazzo, non avevano neanche un assessorato. Ma contro Milazzo intervenne l’apparato nazionale della Democrazia cristiana che esautorò Fanfani (cambiare per continuare) e lo sostituì con Segni (alla presidenza del consiglio) e con Moro (alla presidenza del partito). Intervenne pure il Sant’Uffizio! Il Cardinale Ottaviani non solo riconferma la scomunica ai comunisti ma la estende ai socialisti e ai cristiano-sociali di Sicilia! Tutti questi provvedimenti servivano ad impedire che la discrepanza siciliana si estendesse in altre regioni, e ci riuscirono.

Il 7 Giugno 1959 si andò a votare. I risultati diedero apparentemente una vittoria a Milazzo che ad agosto riesce a formare il suo secondo governo, ma in realtà si approdò ad una sostanziale parità che impedì a Milazzo di governare, anche per la defezione dei socialisti e dei comunisti. A dicembre all’ARS si vota sul bilancio. Milazzo non ottiene la fiducia per un solo voto! E’ bastato un solo franco tiratore!

L’operazione Milazzo era ormai conclusa nonostante l’estremo tentativo di un governo di centro-sinistra che prevedeva un’intesa tra democratici cristiani, democratici sociali e socialisti. Ma un paio di mesi dopo, siamo arrivati nel febbraio 1960, il secondo governo Milazzo fu fatto cadere in malo modo, vittima di uno scandalo montato ad arte: la così detta “beffa delle Palme” [1].

Da allora il termine “milazzismo” è stato usato per indicare una politica riprovevole (un “inciucio” si direbbe oggi). Il periodo Milazziano durò poco, un anno mezzo appena e con esso si concluse quella fase politica che voleva applicare realmente l’Autonomia della Regione. Da allora in poi la sottomissione ai voleri dell’industria del nord fu pressoché totale e “la Sofis nata con il fine di promuovere la piccola e media industria isolana, poté solo svolgere la funzione del parente povero” (Renda, Storia della Sicilia, pag 1352).

Fara Misuraca

settembre 2006


Note

[1] Uno scandalo organizzato dall’on. D’Angelo. A farlo esplodere è l’on. Santalco che denuncia all’ARS un tentativo di corruzione nei suoi confronti per indurlo a votare per Milazzo. L’episodio si svolse in una stanza dell’Hotel delle Palme dove la polizia, previamente avvertita aveva piazzato i suoi microfoni. Per maggiori dettagli consultare il testo di Nisticò “Accadeva in Sicilia” ed. Sellerio, pp 168-169


Fonti bibliografiche

  • Dino Grammatico La rivolta siciliana del 1958. Il primo governo Milazzo, Sellerio di Giorgianni ed., Palermo

  • Vittorio Nisticò Accadeva in Sicilia, Sellerio editore, Palermo

  • Gabriella Portatone Sturzo e l’operazione Milazzo, Leo S.Olschki ed. Firenze

  • Francesco Renda Storia della Sicilia, Sellerio editore, Palermo


  • l'immagine di testa è tratta dalla copertina del libro "Accadeva in Sicilia" di Vittorio Nisticò

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