Nell’entroterra ionico, ai piedi della Sila, si erge San Cosmo Albanese,
un borgo ricco di storia in un singolare contesto culturale tuttora
preservato. Qui approdarono, nel corso del XV secolo, comunità albanesi
in fuga dall’ascesa turca lungo i Balcani. Paese memore delle gesta di
Scanderberg, eroe nazionale della resistenza contro Maometto II e
“atleta di Cristo” di papa Callisto III, altresì mai dimentico del suo
poeta bohemien Giuseppe Serembe, immortalato nel mezzo busto eretto in
piazza della Libertà e di recente celebrato dall’amministrazione locale
attraverso questa pubblicazione. Una silloge che si avvale delle
traduzioni di Vincenzo Belmonte, frutto di un’attenta ricerca e redatte
con puntuali note per renderci al meglio l’originale gusto dei Kënka.
Siamo nell’Ottocento, nel pieno delle vicende risorgimentali. Serembe ne
è partecipe a tutti gli effetti, uno spirito trepidante e patriottico
sia nei confronti dell’ospitante Italia che dell’antica madrepatria
albanese, rivolto anche all’irredentismo greco. “Oggi il fucile/tutta
Europa di fremiti riempie,/mentre volta le spalle il turco in fuga”
scrive il poeta in una sua composizione che è anche cronaca dell’impegno
civile dei tempi. Emerge una vita errabonda, che conosce la miseria e
attraversa le Americhe due volte, fino alla morte dell’artista,
probabilmente per stenti, in una piazza del mercato di San Paolo del
Brasile. Personaggio parte di una Scapigliatura che tramandava, prima
ancora che stili di vita alternativi, un’etica nazionale, sia pure nella
contrapposizione dualistica tra vero e ideale nell’ottica di quel tardo
romanticismo sgravato di ristagnante provincialismo. Non a caso Domenico
Milelli, uno “sregolato” meridionale, sarà tra i pochi intellettuali
dell’epoca ad interessarsene. L’amore gli “ha sconvolto il
cervello,/agitato il sangue,/sottratto l’anima” ma dal paesaggio agreste
“fronde e pagliuzze ruotano per l’aria” catturando ancora la sua
attenzione. “Colui che sta recluso in questo colle/guarda sempre alla
fertile pianura” evoca un Leopardi che inverte solo la linea dell’
orizzonte, un sostrato dove “il sonno ci conquista e prostra,/preludio
del destino che ci atterra”. Nel Pensiero notturno, tuttavia,
“fluttuavano baciandosi/cieli in onde di fiamma e pura luce,/ove amore è
semente a soli e stelle” in una travolgente carica mistica. Ai SS.
Cosma e Damiano, infatti, è una ricorrenza rituale del mondo rurale
ed anche festività patronale del borgo natio. Temi religiosi ricorrono
anche in A Maria Vergine, dove lo sconforto si sovrappone al
fervore della devozione e segna la distanza in una miseria che incalza,
quanto altrove definirà “infamissime insidie della Chiesa Romana”. A
Giuseppe De Rada, altro poeta di lingua albanese, e Ad Alì di
Tepelena, “sole dell’Albania” e fautore ante litteram di
un’autonomia dall’impero ottomano, titola i suoi componimenti
inneggiando ad una carducciana “stirpe guerriera” nelle vicende di un
popolo che, oggigiorno, rimanda alle cronache del Kosovo. Poeta a cui
(per la cronaca eravamo nel 1961) persino il regime di Enver Hoxha ha
reso omaggio nell’opportunismo ideologico di un socialismo reale
concentrato a ridare identità all’Albania attraverso il modello
stalinista. Qui affiora la figura dell’eroe eclettico e ribelle che solo
la “nuova storia della letteratura fondata su basi marxiste” arriva a
comprenderne nei risvolti dei valori patriottici e sociali. La storia,
quella vissuta da Serembe in prima persona, ripercorre un fugace
scenario borbonico con il “re bomba” e “Franceschiello” per accogliere
trionfante il “re galantuomo”, effigie liberale dei Savoia nell’Italia
riunificata. Dell’altra sponda dell’Adriatico, riporta i grandi eventi,
quelli per cui tutto non sarà mai più come prima e all’origine della
stessa cultura arbëreshë, ne fa sintesi nella quartina di un poemetto
dedicato Alla Signora Principessa Elena Gjika: “Alcuni, sconfitti
dal turco,/affrontarono il mare,/altri tra i greci si
dispersero,/apostatarono altri.”
Nota di
Enrico Pietrangeli
La pagina
è stata realizzata con testi ed immagini inviatoci da
Enrico
Pietrangeli, aprile 2009 |