Le condizioni dell’istruzione pubblica nella città di Palermo al
dissolversi del Regno delle Due Sicilie erano estremamente carenti.
Non che tra il 1817 e il 1860 le autorità di governo e la
Commissione Suprema di Pubblica Istruzione ed Educazione,
competente in materia per la Sicilia, non avessero emanato al
riguardo decreti, regolamenti, norme, disposizioni, circolari, che
avevano invece prodotto in abbondanza. Quelli che erano mancati
erano stati i quattrini: stanziamenti, pochi e spesso erogati in
ritardo. E dunque nel 1859 in città soltanto 1815 fanciulli, tutti
maschi peraltro, sugli oltre ventimila che si trovavano in età
scolare affollavano le nove “scuole” pubbliche esistenti: il
vocabolo “scuola”, nel linguaggio del tempo, indicava quella che
oggi definiremmo una pluriclasse nella quale un numero di alunni
indeterminato, diviso in otto classi a seconda del livello di
conoscenze e di competenze acquisito, veniva istruito da un maestro
col metodo lancasteriano, cioè con l’aiuto degli allievi più
avanzati nel processo di apprendimento per istruire i compagni meno
abili.
Il primo Consiglio comunale post-unitario, guidato da un Sindaco
e non più da un Pretore, insediatosi l’11 luglio 1861 dopo
una complessa vicenda amministrativa che non è qui il caso di
riepilogare, si trovò dunque di fronte un immenso problema, poiché
senza scuole “fare gli italiani” – secondo la celebra frase mai
pronunciata da Massimo D’Azeglio – era impresa assolutamente
impossibile.
Il sindaco Salesio Balsano e l’assessore alla P.I. Giovanni Ciotti,
un avvocato e giornalista molto attento ai problemi dell’istruzione,
si misero all’opera con alacrità e già nell’ottobre presentarono al
Consiglio un articolato progetto di riforma degli studi elementari
perché esso potesse attendere al compito splendidissimo al
quale era chiamato: “Spargere i primi semi della sapienza fra le
classi popolari, strappare l’infanzia dai pericoli e dalle seduzioni
delle piazze, elevare plebi ignoranti ad altezza e dignità di
popolo”, in sintesi avviare la trasformazione delle masse analfabete
negli italiani nuovi richiesti dal mutato assetto
istituzionale.
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Busto di Salesio
Balsamo situato all'interno del Palazzo Pretorio di
Palermo (immagine di PacoSoares tratta da
it.wikipedia.org |
Il documento sottolineava in particolare l’importanza
dell’educazione femminile, non solo come risarcimento per la stupida
trasandatezza usata verso di essa dal governo borbonico, ma
soprattutto perché le donne erano riconosciute come la pietra
angolare dell’educazione. Nella madre, ammoniva il sindaco, riposa
“precipuamente l’avvenire morale, fisico, ed intellettuale delle
generazioni avvenire”: educando le donne, per il loro tramite si
sarebbero trasmesse le virtù civiche e l’amore per le tradizioni
patrie.
Quanto ai maschi, essi non dovevano esser soltanto istruiti nelle
fondamentali conoscenze necessarie per inserirsi nella vita del
nuovo stato: forse perché ancora sotto l’impressione delle gesta
garibaldine, ci si proponeva di formare “uomini validi ed aitanti”
inserendo nel programma esercizi ginnici e militari, non previsti
dai programmi ministeriali, ma essenziali per evitare che i giovani
smarrissero “per un poco d’istruzione” il sentimento e la dignità di
uomini, e perché fossero sempre pronti a rispondere alla chiamata
della patria per difenderne i valori.
Dopo un’analisi dettagliata della situazione miseranda della scuola
cittadina ereditata dal passato governo, il progetto prevedeva
l’istituzione di ben 42 “scuole”, così distribuite:
Corsi
diurni:
all’interno della città murata: per i maschi, quattro corsi di
quattro classi (comprendenti cioè sia il grado inferiore che quello
superiore dell’istruzione elementare, come previsto dagli artt.
315-316 della l. Casati), uno per ciascun mandamento, più due
“scuole” uniche divise in tre sezioni
. Per le
femmine, malgrado i buoni propositi enunciati, una scuola di tre
sole classi (e non quattro), e cinque “scuole” uniche divise in tre
sezioni. Nelle zone suburbane (al Molo, al Borgo, a S. Teresa e all’Olivuzza)
quattro “scuole” uniche divise in tre sezioni per i maschi e quattro
per le femmine. Nelle zone rurali (Boccadifalco, Tommaso Natale,
Brancaccio e Grazia) quattro “scuole” uniche divise in tre sezioni
per i maschi e quattro per le femmine.
Corsi serali,
solo per i maschi: sei “scuole” urbane, quattro suburbane e quattro
rurali, tutte uniche in tre sezioni.
Nella consapevolezza che il fondamento di una scuola vera e
duratura era la condizione dei maestri, il progetto si impegnava
a migliorarne la condizione, essendo mortificante quella assicurata
dal precedente ordinamento: miglioramento da raggiungere però
gradatamente e man mano che la situazione finanziaria del Comune lo
consentisse. Per intanto, gli stipendi riconosciuti agli insegnanti,
differenziati a seconda del sesso (le maestre ricevevano uno
stipendio più basso anche del 40% rispetto ai colleghi maschi
), del tipo
di scuola e della classe cui erano assegnati, erano i seguenti:
Maestri: scuola di quattro classi: grado inferiore, ducati
200; classe III, ducati 230; classe IV, ducati 288; scuola unica:
ducati 200; scuola serotina, ducati 200.
Maestre: scuola di tre classi: grado inferiore, ducati 120;
classe III, ducati 160; scuola unica: ducati 120.
Si creava inoltre la categoria dei “sotto-maestri”, con il duplice
compito di sostituire i maestri titolari in caso di assenza e di
insegnare nei corsi serali: che, al di là delle dichiarazioni di
principio, costituivano dunque una sorta di “scuola minore”
riservata alle classi lavoratrici, con operatori meno qualificati e
meno competenti di quelli assegnati invece alle scuole regolari.
Quanto alle “sottomaestre”, non essendo prevista l’apertura di
scuole serali femminili per non mettere a rischio, possiamo
supporre, la “moralità” delle allieve, avevano l’obbligo di
insegnare i lavori donneschi, che costituivano parte essenziale
dell’insegnamento per le fanciulle.
Al documento erano allegati i programmi, gli stessi che il ministro
Terenzio Mamiani aveva emanato il 15 settembre 1860 unitamente al
regolamento per la scuola elementare in attuazione della legge
Casati: anche se, non essendo quest’ultimo in vigore in Sicilia, i
programmi restavano mere indicazioni che i Comuni non erano tenuti
ad applicare nelle proprie scuole.
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Terenzio Mamiani della
Rovere (immagine tratta da it.wikipedia.org |
I propositi, almeno sul piano numerico, erano, come si vede, assai
ambiziosi. Ma il progetto non fu mai approvato dal Consiglio tanto
che l’assessore Ciotti fu costretto il 3 novembre a far deliberare
con procedura d’urgenza un piano provvisorio delle scuole elementari
per l’a.s. 1861-62, ormai iniziato, che istituiva per i maschi due
“scuole” uniche, una diurna e una serale nei mandamenti
Castellammare e Palazzo Reale, un corso completo di quattro classi
più una “scuola” unica diurna ed una serale nei mandamenti Tribunali
e Monte di Pietà, ed una “scuola” unica diurna ed una serale nei due
mandamenti suburbani (Molo ed Orto Botanico), e nelle borgate Zisa e
Altarello di Baida. Per le femmine, non si era andati oltre
l’apertura di una sola scuola di tre classi ospitata nei locali
dell’ancora esistente Collegio Giusino (che nella grafia del tempo è
indicato però come Gisino).
Quanti alunni ed alunne in totale le frequentassero, le nostre fonti
non consentono di stabilirlo con certezza: non si va troppo lontani
dalla cifra reale stimandone il numero a circa 1700. E, in mancanza
di edifici scolastici, si continuarono ad ammassare i ragazzi in ex
conventi e monasteri o chiese dismesse, spesso le stesse sedi delle
vecchie e malridotte scuole borboniche.
Rispetto alle buone intenzioni manifestate dal sindaco Balsano la
strada da percorrere per assicurare ai cittadini buone scuole era
ancora lunghissima ed impervia.
Pubblicazione Internet de Il Portale del Sud, marzo 2013.
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