Leonardo Sciascia
è uno dei più importanti scrittori italiani.
Nelle sue
opere ci descrive una storia della Sicilia che, nei suoi aspetti
positivi e negativi riflette la storia italiana da un punto di vista
sia sociale sia politico. Sciascia utilizza spesso la tecnica del
romanzo poliziesco, il genere “giallo” serve a Sciascia per
descrivere gli enigmi ''mafiosi'' e non della Sicilia (e
dell'Italia) seguendo una indagine sempre legata ad un impegno
civile e politico autonomo e critico.
La
formazione di Sciascia è indubbiamente una formazione Illuministica
derivata dallo studio di autori come Stendhal, Voltaire e Manzoni.
La giustizia,il potere, la corruzione, ma anche le responsabilità di
una società civile spesso connivente e ''omertosa''sono al centro
degli scritti dello scrittore siciliano che è stato presente e
attivo nel dibattito politico sino alla morte.
Con una
scrittura chiara e lineare non priva di sarcasmo, Sciascia presenta
ai suoi lettori enigmi polizieschi che diventano metafora sulla
condizione umana non solo siciliana. La Mafia diventa lo spunto per
una riflessione sul potere e sull'uomo. Di rilievo, nella sua opera
sono anche la componente ''storica'', le riflessioni sulla memoria e
la sensibilità per il folklore siciliano.
Sciascia
nasce a Racalmuto, nell’entroterra agrigentino, l’8 gennaio 1921.
Inizia presto a accostarsi alla letteratura e alla cultura, grazie
alla fruizione della biblioteca degli zii, maestri delle elementari,
con i quali trascorse buona parte dell’infanzia. Frequenta le scuole
superiori a Caltanissetta presso l’Istituto Magistrale IX Maggio -
dove ebbe tra gli altri come insegnante Vitaliano Brancati e
Giuseppe Granata, un futuro dirigente del P.C.I. siciliano – Grazie
a questi incontri entra in contatto con ambienti antifascisti e
allarga l’orizzonte delle sue letture ad autori americani, come Dos
Passos, Caldwell, Faukner, Steinbeck, ad autori italiani come
Ungaretti e Montale, ai poeti simbolisti francesi, a filosofi come
Spinoza e approfondisce gli studi sull’illuminismo. Nel 1936 la
guerra di Spagna fu un'altra esperienza decisiva nella formazione di
Sciascia, che dedicherà uno dei suoi racconti più belli,
"L'antimonio", alla sofferenza dei disoccupati siciliani mandati
da Mussolini a morire per Franco.
Per due
volte rimandato alla visita di leva, la terza è considerato idoneo
al servizio militare ma è assegnato ai servizi sedentari. Nel
1941,conseguto il diploma magistrale, viene assunto come impiegato
all’ammasso del grano di Racalmuto dove resterà fino al 1948,
un’esperienza questa che gli permetterà di conoscere la triste
realtà del mondo dei contadini, salinari e zolfatari. Di questa
esperienza ne darà testimonianza letteraria nelle "Parrocchie di
Regalpetra".
Nel 1949
inizia la sua attività di insegnante nella scuola elementare nel suo
paese, che continuerà fino al 1957 senza, per sua stessa ammissione,
una particolare passione per l'insegnamento ma non perdendo mai di
vista l'umanità dei suoi alunni, annoiati e contrariati spesso da
una scolarizzazione che loro ritengono forzata, profondamente
lontana dai loro bisogni primari. Dopo entrerà nel mondo letterario
a tempo pieno, come scrittore e come organizzatore culturale.
Sciascia
è tra i fondatori delle riviste antologiche dedicate alla
letteratura e agli studi etnologici «Galleria» e «I quaderni di
Galleria» che dirigerà dal 1950 fino alla morte, avvalendosi della
collaborazione di prestigiosi scrittori e critici, fra i quali
Pasolini.
La
pubblicazione del suo primo libro Favole della dittatura è
del 1952 e già l’anno successivo Sciascia vince il Premio Pirandello
per un suo importante intervento critico su Luigi Pirandello (Pirandello
e il pirandellismo).
Nel 1955
la rivista "Nuovi Argomenti" pubblica le sue "Cronache
scolastiche", ispirate alla sua esperienza di maestro e nel
1956, su invito dell’editore Laterza, esce il primo libro di rilievo
Le parrocchie di Ragalpetra, favorevolmente accolto dalla
critica a cui seguono nel ’58 i racconti della raccolta Gli zii
di Sicilia. La breve raccolta si apre con la La zia d'America
un tentativo di dissacrare il mito dello "Zio Sam", visto come
dispensatore di doni e libertà. Il secondo racconto è intitolato
La morte di Stalin, nel quale, ancora una volta, il personaggio
è un mito, quello del comunismo, incarnato agli occhi del siciliano
Calogero Schirò, da Stalin. Il terzo racconto, Il quarantotto,
è ambientato nel periodo risorgimentale e tratta del tema
dell’unificazione del Regno d’Italia, vista attraverso gli occhi di
un siciliano, e nel quale si evidenzia l'indifferenza ed il cinismo
della classe dominante.
Ai tre
racconti nella ristampa del ‘60 se ne aggiungerà un quarto,
L'antimonio, in cui si narra la storia di un minatore che,
scampato ad uno scoppio di grisou (chiamato dagli zolfatari
antimonio), parte come volontario per la guerra d'Abissinia ed, in
seguito, per la guerra civile in Spagna.
Nel
1961 verrà pubblicato Il giorno della civetta, il romanzo
sulla mafia che porterà Sciascia alla celebrità e renderà esplicito
l’impegno civile e la denuncia sociale dei mali di Sicilia che
saranno uno dei tratti salienti della fisionomia dello scrittore e
intellettuale Leonardo Sciascia. Il Giorno della
civetta è il primo giallo di Sciascia e fu l'inizio, da parte
dello scrittore, dell'uso del giallo per analizzare la società
italiana e siciliana in particolare. I suoi gialli sono ormai dei
punti fermi, delle pietre miliari, della letteratura italiana. La
lingua di Sciascia e il suo taglio narrativo tesi a una lucida
comunicazione, li troviamo nei racconti in cui mostra chiaramente il
carattere razionalistico della sua cultura:
Il Consiglio
d'Egitto (1963) ambientato nel periodo delle riforme del
XVIII secolo, avente per protagonisti la figura
dell'illuminista-rivoluzionario Francesco Paolo Di Blasi e quella
dell’audace impostore abate Vella che tenta di far passare, e
inizialmente ci riesce, un banalissimo manoscritto arabo sulla vita
del profeta, conservato nell'isola, per uno sconvolgente testo
politico, Il Consiglio d'Egitto, che permetterebbe l'abolizione di
tutti i privilegi feudali e potrebbe perciò essere la scintilla per
un complotto rivoluzionario. Oltre a Il consiglio d’Egitto, negli
anni Sessanta vedranno la luce alcuni dei romanzi più sentiti dallo
stesso autore: Morte
dell'Inquisitore (1964) una inchiesta storica
fondata su documenti d'archivio relativi al monaco racalmutese Diego
La Matina condannato come eretico dall'Inquisizione spagnola.
Possente figura di frate ribelle sociale più che eretico dottrinario
passato alla storia per aver ucciso il proprio inquisitore-
torturatore; A ciascuno il suo (1966) un altro giallo bene
accolto dagli intellettuali e da cui il regista Elio Petri ha tratto
un film; nello stesso anno Sciascia confessa a Calvino, in una
lettera, la sua personale condizione di disagio che si sostanzia del
proprio essere siciliano, abitante cioè di un'isola talmente
rappresentata e sviscerata dall'arte e dalla letteratura da essere
diventata evanescente, anzi morta o "desertificata'';
Recitazione della controversia lipariana dedicata ad
A.D. (1969) basata su un conflitto tra Stato e chiesa
cattolica al principio del XVIII secolo
(cfr: La controversia Liparitana) ma soprattutto testo sugli
sconfitti dalla politica ma vittoriosi nella storia: Ingastone e i
suoi amici che sostengono la sovranità dello Stato e del diritto,
sono «individualmente» degli sconfitti. Dice Ingastone, «siamo
stati un gruppo, un'unità, una forza: mai vista una cosa simile in
Sicilia... Oh no, non abbiamo vinto; questo è vero... Ma perdio, ci
siamo stati! Abbiamo fatto, voglio dire, abbiamo operato, abbiamo
aperto le finestre, abbiamo spazzato dalla Sicilia tante vecchie e
ignobili cose...» «Che ora ritorneranno», interrompe Longo:
«Ma abbiamo fatto vedere come si fa a spezzarle» insiste
Ingastone, «Questo conta. Questo non sarà dimenticato». Non a
caso la "Controversia" è dedicata a A.D., cioè Alexander Dubcek, uno
sconfitto che però aveva lottato.
Sempre
nel 1964 Sciascia si accosta al teatro riscrivendo in italiano una
commedia dialettale ottocentesca, "I mafiusi di la Vicaria" di
Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca, che utilizza come un canovaccio
per ribaltarne il significato filomafioso,nel 1965: scrive la sua
prima opera teatrale: "L'onorevole", testo che, riletto oggi,
assume un forte rilievo profetico circa le vicende della
"Tangentopoli" italiana; pubblica anche "Feste religiose in
Sicilia", un saggio assai polemico sulla religiosità dei
siciliani accompagnato da fotografie di Ferdinando Scianna.
Nel 1967
Sciascia si trasferisce a Palermo dove crea intorno a lui un nutrito
cenacolo di scrittori e artisti che darà vita a interessanti
esperienze culturali, prima fra tutte la casa editrice Sellerio. Per
Sellerio Sciascia curerà le collane "La civiltà perfezionata" e
"La memoria".
Negli
anni '70 la presenza di Sciascia nella letteratura e nella società
italiana si fa ancora più viva per il suo diretto impegno politico.
Il 1970 è l’anno dell’uscita de La corda pazza, una raccolta
di saggi su cose siciliane nella quale l’autore chiarisce la propria
idea di "sicilitudine" e tutta la sua produzione letteraria riflette
questo accentuato impegno. Nei racconti de
Il mare colore
del vino e negli
Atti relativi
alla morte di Raymond Roussel, mette a fuoco i problemi
della politica e della società contemporanea. Ne
Il contesto (1971) e in
Todo modo (1974), descrive il groviglio di
connivenze tra gli uomini di potere, soprattutto quelli di parte
cattolica, e la mafia. E’ proprio in seguito all’uscita de "Il
contesto", libro destinato a destare una serie di polemiche,
soprattutto politiche, alle quali Sciascia si rifiuta di partecipare
ritirando la candidatura del romanzo al premio Campiello, che si
consumano le prime rotture con l'ambiente politico del PCI che
Sciascia accusa di non riporre più fiducia nella forza dell'impegno
politico militante e arriva ad accusare i partiti dell’ opposizione
di complicità nella degenerazione del "contesto" sociale e politico
italiano. Una polemica che riletta oggi, mostra quanto Sciascia
avesse ragione. Toto modo nasce nel clima del referendum sul
divorzio e della sconfitta politica dei cattolici e parla "di
cattolici che fanno politica". Naturalmente viene stroncato
dalle gerarchie ecclesiastiche.
Alle
elezioni comunali di Palermo nel giugno ’75 lo scrittore è candidato
come indipendente nelle liste del Partito Comunista. Viene eletto
con un alto numero di preferenze ma si dimette da consigliere già
all’inizio del 1977: la sua contrarietà al compromesso storico lo
portarono infatti a scontri molto duri con la dirigenza del partito
comunista. Non è casuale l’uscita de
I pugnalatori
(1976) che rievoca un complotto contro lo stato tramato nella
Palermo del 1862, e che allude a possibili situazioni contemporanee
e di Candido. Ovvero, un sogno fatto in Sicilia (1977)
che riprende il celebre racconto voltairiano, trapiantando in
tempi moderni la polemica contro le ideologie.
In questi
anni lo scrittore intensifica i contatti con la cultura francese, da
lui sempre considerata come essenziale punto di riferimento. Nel
1979 accetta la proposta dei radicali e si candida sia al Parlamento
europeo sia alla Camera. Eletto in entrambe le sedi istituzionali
opta per Montecitorio, dove rimarrà fino al 1983 occupandosi quasi
esclusivamente dei lavori della commissione d’inchiesta sul
rapimento Moro.
In
seguito Sciascia abbandona l’attività politica, ma non rinuncia
all’osservazione delle vicende politico-giudiziarie dell’Italia, in
particolare per quanto riguarda la mafia e il terrorismo.
La
memoria, privata e collettiva, restano però al centro della
produzione letteraria sciasciana. Dalla collaborazione con la casa
editrice Sellerio di Palermo origina una collana chiamata appunto
"La memoria", che si apre con un suo libro, Dalle parte degli
infedeli (1979) in cui si denuncia l'invadenza elettorale della
chiesa cattolica e la persecuzione di un retto vescovo siciliano, e
che con le sue Cronachette festeggia nel 1985 la centesima
pubblicazione.
Gli
ultimi anni di vita dello scrittore sono segnati dalla malattia che
però non gli impedisce di proseguire la sua attività di scrittore,
né di partecipare alle polemiche ''sull'antimafia''. In un articolo
apparso sul Corriere della Sera il 10 gennaio1987, prendendo
spunto dalla pubblicazione di un saggio sulla mafia e il fascismo
Sciascia avviava una riflessione sui pericoli di una lotta alla
mafia slegata dai limiti della legalità. Sciascia temeva che
l’antimafia potesse trasformarsi in uno strumento di potere, com’era
avvenuto durante il fascismo con il prefetto Mori: “Può benissimo
accadere in un regime democratico”, scriveva, se prevale la retorica
a scapito dello “spirito critico”. In quell’articolo Sciascia
affermava anche che in Sicilia, per far carriera nella magistratura,
nulla vale più del prender parte a processi di stampo mafioso.
Quell’articolo aprì una polemica non ancora chiusa.
Dense di
riflessioni autobiografiche sono i brevi racconti gialli Porte
aperte (1987), uno scritto contro la pena di morte, Il
cavaliere e la morte (1988) e Una storia semplice.
Pochi
mesi prima di morire pubblica Alfabeto pirandelliano,
Fatti diversi di storia letteraria e civile e A futura memoria
(pubblicato postumo). Opere nelle quali si ritrovano le
principali tematiche della produzione sciasciana, dalla "sicilitudine"
all’impegno civile che lo aveva caratterizzato lungo tutta la sua
vita.
Sciascia
muore a Palermo il 20 novembre 1989.
Non è
stato soltanto uno scrittore curioso ed esperto di cose siciliane,
ma un grandissimo narratore la cui fama si è estesa a tutta
l'Europa. Uno degli intellettuali più importanti della nostra storia
Repubblicana che meglio ha saputo coniugare il rapporto tra
letteratura e società.
Fara
Misuraca
Owner
del Portale del Sud
Settembre 2008
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