A Simona splendida
polena del Veliero custode del mio destino
Sull’insenatura di
Mergellina, “pezzo di ciel caduto in terra” come
declamava monsignor Gennaro Aspreno Galante, sorge la chiesa di Santa Maria del Parto,
cui si accede attraverso una scala a tre rampe, custode
di una significativa leggenda dell’amore profano e
dell’amor sacro; venne fatta erigere dal poeta
napoletano Jacopo Sannazzaro nel XVI secolo su una sua
proprietà avuta in dono nel 1497 da re Federico
d’Aragona, appartenuta prima agli Angioini poi ai monaci
benedettini dei Santi Severino e Sossio, ai quali fu
riscattata. Qui egli trascorse i suoi ultimi anni nella
villa di Mergellina dedicandosi alla composizione del
poema “De Partu Virginis” – il Parto della Vergine – e
alla costruzione della chiesa che dal poema prese il
nome, donata ai Frati Serviti detti “Servi di Maria”.
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L'altare. Foto Ciro La Rosa. Riproduzione
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Il progetto iniziale
prevedeva due chiese, una inferiore scavata nel tufo
dedicata alla
Madonna
del Parto col presepe ligneo di Giovanni da Nola voluto
dallo stesso poeta nel 1520, dove appare per la prima
volta un gruppo di pastori in adorazione, oggi non più
in sede, ma collocato con le cinque statue superstiti in
un locale attiguo alla sacrestia; e l’altra superiore
dedicata ai santi dei quali portava il nome: Giacomo
(Iacopo) e Nazzario. La prima chiesa venne terminata nel
1525, la seconda incompiuta sia per l’epidemia di peste
che afflisse la città sia per gli eventi bellici tra la
Francia e la Spagna che costrinsero il Sannazzaro a
lasciare Napoli; nel 1528 durante l’assedio francese il
principe Filiberto d’Orange saccheggiò la villa, abbatté
la torre e trasformò la villa in accampamento militare.
Ritornato nel 1529 donò, come ribadito, la prima chiesa
e le proprietà circostanti ai Padri Servi di Maria,
assegnando loro una rendita annua di 600 ducati, con
l’impegno di completare la seconda chiesa e di erigere
un monumento funebre alla sua morte, avvenuta l’anno
seguente. I lavori proseguirono con gli ampliamenti
eseguiti per volere dei suoi eredi, Giovanni Carlo
Mormile e Simone Moccia, i quali con i frati eressero
nel coro il sepolcro del poeta, ed ornarono l’esterno
della chiesa di “giardini e statue con tanta vaghezza
che suole nell’està essere stanza dei Signori Vicerè del
regno” (Capaccio). Durante il decennio francese
(1806-1815) vennero soppressi tutti gli ordini
religiosi, sorte che subì anche il convento dei Frati
Servi di Maria, mentre le case ubicate sotto la chiesa
divennero di proprietà privata del famoso impresario
musicale Domenico Barbaja che ospitò per un lungo
periodo Gioacchino Rossini, l’epicureo compositore che
qui dava sfogo alla sua passione per le belle donne e
alla buona cucina. Nel 1812 la chiesa venne affidata ad
una “Confraternita del SS. Rosario” e solo nel 1971
ritornò agli attuali Padri Serviti.
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La facciata. Foto Ciro La Rosa.
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La facciata esterna
reca due tondi affrescati con i ritratti di re Federico
d’Aragona e di Jacopo Sannazzaro, che avrebbero bisogno
di un vigoroso restauro; come già precisato la chiesa è
divisa in due piani, l’inferiore dedicato alla Vergine,
di poco interesse artistico con sull’altare una effige
della Vergine protettrice dei partorienti, mentre la
chiesa superiore è a unica navata terminante un’abside
decorata con stucchi ed affreschi, eseguiti nel 1593 da
Paolo Guidotti Borghese, raffiguranti “Le storie della
Vergine”, sull’altare maggiore campeggia un distico
dettato dallo stesso Sannazzaro: ”Virginitas partus
discordes tempore longo / Virginis in gremio foedera
pacis habet”; tra le opere degne di nota c’è nella
piccola cappella a destra del presbitero il dipinto del
pittore fiammingo Malines Cornelis Smet, “L’Adorazione
dei Magi”, donato da re Federico al Sannazzaro, che il
Vasari ed il Galante attribuiscono a Giovanni Wan Dick
da Brugge, anch’egli fiammingo.
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Il diavolo di Mergellina. Foto Ciro La
Rosa. Riproduzione vietata |
L’opera più
importante è situata alle spalle dell’altare maggiore,
il sepolcro del Sannazzaro
di
grande rilievo artistico che desta l’ammirazione di chi
lo osserva, di fattura michelangiolesca, si crede
commissionato dallo stessa Sannazzaro allo scultore
fiorentino frà Giovanni Angelo Montorio dell’ordine dei
Padri Serviti, anche se il Galante attribuisce l’opera
al napoletano Girolamo Santacroce, un monumento che in
piccolo ricalca la grandiosità del sepolcro di re
Ladislao in San Giovanni a Carbonara e di re Roberto in
Santa Chiara; infatti nella figura del San Nazzario,
Apollo e Minerva, dello scultore Bartolomeo Ammannati è
evidente l’influsso di Michelangelo; al monumento
collaborò anche Francesco da Tadda, il bassorilievo
raffigurante l’Arcadia viene attributo a Silvio Cosini;
su due maestose mensole è posto l’urna cineraria col
busto del poeta dove riposano i suoi resti mortali, alla
base sono intagliati l’arma gentilizia del poeta e tra
due angioletti (o amorini) l’epigrafe dettata da Pietro
Bembo “da Sacro cineri flores: Hic ille Maroni /
Sincerus Musa proximus ut Tumulo”.
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Iscrizione marmorea. Foto Ciro La Rosa.
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Nel sepolcro si
denota la mancanza di riferimenti religiosi essendo
ispirato a motivi pagani, per questo motivo un viceré
spagnolo minacciò di rimuoverlo, ma i frati, per evitare
ciò, fecero scolpire sotto le figure di Apollo e Minerva
i nomi biblici di David e Judith; la cappella è
affrescata con scene arcadiche e figure mitologiche dal
pittore fiammingo italianizzato Teodoro d’Errico,
eseguite negli anni ‘90 del XVI secolo.
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Particolare di urna cineraria. Foto Ciro
La Rosa. Riproduzione vietata |
Sul primo altare a
destra è collocata una delle opere più significative di
Leonardo da Pistoia,
del
quale poco si sa della sua biografia, si tratta della
famosa tavola nota come “Il Diavolo di Mergellina”
o “San Michele che calpesta il Demonio” che
riporta alla leggenda della vittoria del vescovo di
Ariano, Diomede Carafa, sulla tentazione di una
nobildonna napoletana identificata in donna Vittoria d’Avalos.
La storia, narrata da Matilde Serao nel suo tomo
“Leggende Napoletane” edito nel 1890, è quanto
segue: Messer Diomede era follemente innamorato di donna
Isabella, bellissima nobile della Corte Vicerale, per la
quale scriveva infuocate lettere d’amore, ma lei cha
aveva fama di donna crudele e disamorata non faceva che
sorridere delle sue lettere, giocava con lui come il
gatto col topo, lo illudeva, lo blandiva con le sue
arti, poi d’impeto lo cacciava nel più profondo
sconforto “abituata a questi sottili e malvagi
godimenti, ella si compiaceva stringere quel cuore in
una mano di ferro,lo soffocava a poco a poco e poi
ridandogli la vita carezzandolo con mano leggiera e
vellutata, si dilettava a far sussultare di dolore
quell’anima, gittandola bruscamente nella
disperazione……Il mondo le maledice, le disprezza, ma il
mondo le ama, l’uomo le ama, così è, sempre, così,
sempre, sarà” (Serao). Donna Isabella dopo un anno
di schermaglie disse di amarlo e al povero Diomede
sembrò di raggiungere l’estasi, ma breve fu la stagione
dell’amore, poco tempo dopo lo abbandonò per altri
uomini. Diomede, cieco pazzo d’amore non comprendeva,
soffriva e si ubriacava di quella sofferenza. La
passione lo dilaniava, giorno e notte; alla fine si
decise ad ordinare un quadro al suo amico pittore
Leonardo da Pistoia, che avrebbe dovuto dipingere un
mostro orribile con il volto della sua Isabella, così
ogni volta che l’avesse guardata avrebbe visto in
immondo demone tentatore, verso il quale provare solo
ribrezzo ed orrore, e così guarì; vi appose il motto
”Et fecit vittoriam halleluja” alludendo sia al
trionfo di San Michele che al suo; Il viso della donna
era talmente bello che i napoletani, come narra
Benedetto Croce in “Storie e Leggende Napoletane” edito
nel 1919, ne rimasero affascinati a tal punto che ancor
oggi per definire una donna che reca solo guai la
definiscono “Bella come il Diavolo di Mergellina”. Una
copia della tavola, attribuita allo stesso Leonardo da
Pistoia, è esposta presso il Museo – Convento di San
Francesco dei Frati Minori Conventuali di Folloni
frazione di Montella in provincia di Avellino.
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Reperto della pavimentazione originale.
Foto Ciro La Rosa. Riproduzione vietata |
Diomede Carafa
divenne in seguito cardinale di Ariano, ma non è sepolto
nella cappella della chiesa di Santa Maria del Parto
dove c’è la sua lastra sepolcrale, ma bensì in Roma dove
morì nel 1560.
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La statua di Santa Maria del Parto. Foto
Ciro La Rosa. Riproduzione vietata |
Invece è qui sepolto
un giovane di nome Maurizio Manlio, che secondo la
leggenda era innamorato di Mergellina, e chiese di
morire vedendola e di esservi sepolto.
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Il sepolcro del Sannazaro. Foto Ciro La
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Jacopo Sannazaro, ritratto di Tiziano
Vecelio. Archivio Ciro La
Rosa. Riproduzione vietata |
Ciro La Rosa
Maggio 2013 |