Inceneritori di Sicilia.
Le oscurità di una società milanese e i
danni possibili di un subappalto da record
di Carlo Ruta
Berlusconi li chiama “termovalorizzatori verdi”. In
realtà i mega-inceneritori previsti per la Sicilia dai
bandi di gara del 2009 saranno i più pericolosi per la
salute e l’ambiente. A dispetto dei diritti delle
popolazioni dell’isola, così vengono tutelati gli
interessi del gruppo Falck e della Pianimpianti, impresa
fra le più discusse, amministrata dal calabrese Roberto
Mercuri.
In un discorso recente ad Acerra, Silvio Berlusconi è
stato chiaro nel dire che gli inceneritori destinati
alla Sicilia dovranno essere dello stesso tipo di quello
esistente nei pressi della città campana, battezzato dal
medesimo il “termovalorizzatore verde”. Nei bandi
siciliani del 2003 venivano richiesti in effetti
inceneritori di tale tipo, a griglia mobile, con sistema
di depurazione a secco. Con tali caratteristiche quindi,
nel 2005, il gruppo Falck, capofila delle compagini
vincitrici di tre gare su quattro, li ha ordinati in
subappalto alla società milanese Pianimpianti, per mezzo
miliardo di euro. Gli stessi sistemi recano altresì
quelli richiesti dai nuovi bandi di gara, dell’aprile
2009. Il capo del governo, evidentemente, a tutto ciò si
è riferito. I conti però tornano poco, anzitutto sotto
il profilo tecnologico, se si considera che il modello
richiesto dai bandi di sette anni fa oggi viene
riconosciuto come il più pericoloso. Meno inquinanti
risultano infatti gli inceneritori con sistema di
depurazione ad umido, perché più idonei a rimuovere i
gas acidi, i metalli pesanti, le polveri, i
microinquinanti organici, incluse le diossine. Perché i
nuovi bandi siciliani, con l’impegno forte del governo,
ripropongono allora la realizzazione di impianti
obsoleti? È un quesito ovvio, la cui risposta richiede
comunque delle ricognizioni, a partire dalla società che
ha beneficiato del favoloso subappalto, di cui sono
stati evidenziati nella precedente inchiesta sul tema
alcuni trascorsi.
Nel sito web che ne definisce profilo e attività, la
Pianimpianti, amministrata da circa un decennio dal
calabrese Roberto Mercuri, presenta sé stessa come una
società di engineering & contracting, che cura la
realizzazione di impianti dedicati alla salvaguardia
dell'ambiente. In realtà, manifesta un profilo piuttosto
vago. Dispone beninteso di uffici, manager, uno staff di
funzionari. Non realizza tuttavia con tecnologie proprie
gli impianti che s’impegna a consegnare “chiavi in
mano”. Si avvale bensì dei mezzi materiali e logistici
di una società non Italiana: la Lurgi di Francoforte,
che è invece una presenza di rilievo nelle costruzioni
per la siderurgia, la chimica e l’energia, con
stabilimenti in Polonia, negli Stati Uniti, in India,
nel Sud Africa. La società di Mercuri, non esente fra
l’altro di connessioni con il Lussemburgo, è in sostanza
una società di intermediazione, che, nelle logiche del
terziario più mosso, fonda i propri guadagni sulla forza
di contatto di cui dispone, da un lato con il partner
tedesco, dall’altro con i committenti, pubblici e
privati. E su tale facoltà di contatto dell’impresa, che
è stata ritenuta non priva di diramazioni politiche,
essendone stato vice presidente un noto ex parlamentare,
si sono accentrate le attenzioni di diverse
magistrature. A partire comunque da quella calabrese,
che nello scorso marzo ancora una volta ha chiamato in
causa Mercuri e un altro esponente della società di
Milano, Aldo Bonaldi, nell’ambito di una inchiesta su
finanziamenti e appalti nell’area crotonese.
Il rapporto Pianimpianti-Lurgi, maturato nell’ultimo
decennio, reca delle ragioni solide, da ambedue le
parti. La prima ha motivo di appoggiarsi a una potente
realtà industriale off-shore, per la qualità e la
competitività tipiche del prodotto tedesco, per le
occasioni che possono venirne sui mercati esteri, ma non
solo. Dal canto suo, la Lurgi ha avuto buoni motivi per
collegarsi con Pianimpianti, pure con partecipazioni
societarie, ravvisando nella medesima una testa
d’ariete, ai fini della conquista di tessere di mercato
in Italia: un terreno difficile, dominato da gruppi del
calibro di Enel, Falck e Impregilo, ma condizionato pure
da un ridotto club di multinazionali europee, come la
francese Veolia e l’inglese International Power. Pur
d’indole distante, entrambe le parti hanno tratto quindi
guadagno dall’accordo, malgrado gli inconvenienti
giudiziari che, in alcuni casi almeno, hanno dovuto
condividere. Sono riuscite a incassare commesse
importanti, a partire da quella dell’Api per la
realizzazione in Calabria della più grande centrale a
biomasse d’Europa. La società di Mercuri ha potuto
portare il proprio fatturato dai 20 milioni di euro del
1999 alle centinaia di milioni degli anni più recenti.
A questo punto s’impongono delle riflessioni. Il gruppo
Falck, presente nel top europeo dell’energia, avrebbe
potuto realizzare da sé, o quasi, i tre impianti,
ponendo in campo l’esperienza e i supporti di Actelios
ed Elettroambiente. Non lo ha fatto. In subordine
avrebbe potuto richiedere mezzi e supporti ad Enel
Produzione, Amia e Catanzaro Costruzioni, presenti nelle
compagini con quote non indifferenti. Ma anche questo
non è avvenuto. Ha affidato invece la parte più
imponente dell’affare siciliano a una società nota per
le sue disinvolture, quella di Mercuri appunto,
collegata per di più con una impresa di Francoforte che
dal gruppo medesimo avrebbe potuto essere considerata,
con buone ragioni, una possibile concorrente sugli
scenari europei. È il caso di aggiungere che prima della
firma del contratto le società aggiudicatarie non
avevano mai avuto rapporti di un tale rilievo con
Pianimpianti, né, fatta salva la forzata continuità
della vicenda, ne hanno avuto dopo. L’accordo, distante
da ogni garanzia pubblica, come è nelle logiche dei
subappalti, è avvenuto allora in modo regolare o
condizionato? Una risposta non può essere data, ma gli
scenari che fanno da sfondo appaiono significativi.
Sulle energie dette rinnovabili si scommette da tempo.
Il business che si erge su di esse, andato coniugandosi
con quello dell’acqua e dei rifiuti, è tuttavia
relativamente recente, con forti rilanci negli anni
novanta, ma soprattutto nell’ultimo decennio, in virtù
pure dell’azione dei governi che hanno sottoscritto, nel
1998, il protocollo di Kyoto. Sul fotovoltaico,
sull’eolico, sulle energie idroelettrica e da biomasse,
si sono esposte in effetti, con investimenti importanti,
le maggiori società italiane operanti nell’energia, come
Eni, Enel, Falck, Edison, Ansaldo, Helios Tecnology,
Artemide, oltre che l’ente di ricerca Enea.
Un’attrazione del tutto particolare ha suscitato
altresì, nell’ambito della produzione da biomasse, la
termovalorizzazione dei rifiuti, cui è riservata la
parte maggiore degli incentivi “Cip6”, garantiti dal
governo. Ne è scaturito quindi un sistema che, pur
fortemente differenziato al proprio interno, tende a
prescindere dai canovacci e dai retaggi di un paese
economicamente diviso, ritrovando un terreno strategico
proprio nelle regioni del sud, Sicilia inclusa. E qui è
il punto. Nel sud sono state ravvisate le migliori
condizioni climatiche e ambientali per lo sviluppo del
fotovoltaico e dell’eolico. Vi risiedono altresì le
maggiori emergenze da risolvere in tema di rifiuti e
acqua. Vi resistono infine deficit strutturali e
distanze da colmare, tali da poter animare disegni
economici di lungo respiro. Ma le regioni del sud non
sono solo questo. Sono sede di consorterie economiche,
di mafie che non usano rimanere a guardare. La
“scoperta” di tali aree, dal versante appunto delle
energie rinnovabili e dei bisogni primari, ha implicato
quindi delle prese di contatto, che, come testimoniano
numerosi dati, anche di tipo giudiziario, si sono avute
a vari livelli.
La Sicilia degli anni di Cuffaro ha costituito, sotto
tale profilo, una sorta di laboratorio. Ne danno uno
scorcio le esposizioni di un reo confesso di rango,
Francesco Campanella, circa le attività meno visibili
del consorzio di Metropolis Est, le gestioni anomale di
fondi Ue, gli interessi legati alle acque, i giri di
tangenti, i nessi fra imprenditoria e politica. È quanto
emerge altresì, nell’ambito del processo “Talpe in
Procura”, dalle deposizioni del boss agrigentino
Maurizio Di Gati, circa l’interesse che le cosche
avrebbero avuto per gli inceneritori sin dal 2001,
quando ancora non era in progetto la loro realizzazione
in Sicilia. Che il seguito non sia da meno lo si rileva
comunque dai fatti: dalle trame che si avvertono nei
territori in cui sono destinati a sorgere i
termovalorizzatori, ma pure i gassificatori; dalle
oscurità della politica; dai vuoti di democrazia che
insistono, mentre si fa il possibile per espellere le
realtà che non scendono a patti con le economie e le
politiche più opache, come testimonia la vicenda,
esemplare sul piano civile, della società Moncada
Costruzioni, che in provincia di Agrigento ha inaugurato
nel 2005 il parco eolico di Monte Mele. D’altra parte,
anche il vento promette affari di un certo tipo.
Dall’inchiesta “Eolo”, condotta di recente dal pm
Roberto Scarpinato, della Dda di Palermo, si apprende
infatti di rapporti che malavitosi di Trapani avrebbero
intrecciato con imprenditori di diverse aree della
penisola per lo sfruttamento l’energia eolica. E oltre
lo stretto, in Calabria, in Campania, in Puglia, vige,
naturalmente, dimostrato da sequenze di fatti, lo stesso
paradigma.
Fin qui il clima appunto, che è stato e rimane quello di
un mondo convulso, capace di subordinare tutto a degli
scopi: dalla complessa macchina regionale alla stessa
Unione europea, che, pur distante ed estranea, è stata
resa una agenzia di servizio, una fonte cui poter
attingere senza misura, come lo è stato a lungo la Cassa
per il Mezzogiorno. Le distanze e le estraneità, proprio
perché tali, possono essere tuttavia motivo di sorprese.
Riprendendo il filo del rapporto Falck-Pianimpianti,
proprio la Corte di Giustizia della Ue, con
l’annullamento delle aggiudicazione dei quattro
inceneritori, ha finito infatti per sparigliare le
carte, nel 2007. E tutto questo proprio sul mega-affare
dei 500 miliardi di euro ha avuto gli effetti più
dirompenti.
Dopo la firma del contratto con il gruppo Falck, la
Lurgi ha perso poco tempo. Come da impegni, due anni
dopo ha realizzato infatti gli impianti per la Sicilia.
Non potendone effettuare tuttavia la consegna, a causa
dell’intervento della Ue, ha dovuto parcheggiarli nei
propri stabilimenti di Francoforte, dove sono divenuti
anno dopo anno obsoleti. Proprio di recente ne è nato
allora un contenzioso, mosso dalla società tedesca,
acquisita intanto dalla multinazionale francese Air
Liquide, leader mondiale nei gas per l’industria e
l’ambiente. In sostanza, trovatasi a distanza di quattro
anni dalla firma con i tre impianti fermi in Germania e
tecnologicamente obsoleti, la Lurgi ha deciso di adire
le vie legali contro Pianimpianti e Falck, rivendicando
il diritto di recedere dal’accordo del 2005 e di essere
pienamente risarcita. Per tutta risposta la società di
Mercuri, avvalendosi della clausola che fissava il
termine del diritto di recesso in due anni, ha fatto
ricorso contro l’impresa tedesca per “frustrazione di
contratto”.
Evidentemente, tenuto conto che sono in gioco mezzo
miliardo di euro e che la Lurgi ha sufficienti ragioni
per vincere, si è aperta per le due società italiane una
partita pericolosissima, per differenti motivi. L’impero
Falck rischia di essere messo in ginocchio,
nell’economia reale, con contraccolpi ipotizzabili pure
a Piazza Affari e in altre Borse. La società di Mercuri
rischia di essere travolta, e non solo: nel caso di
dissoluzione, rischia di dover rendere conto, come non è
avvenuto ancora a sufficienza, del suo passato
economico, delle sue reali consistenze, delle sue
diramazioni, in Italia e all’estero. Le due contraenti
italiane recano insomma sufficienti motivi per mettere
in campo tutte le loro facoltà per evitare il baratro. E
le parole di Berlusconi ad Acerra ne marcano per certi
versi un riscontro, non si sa quanto misurato,
concordato, calcolato. Le popolazioni siciliane come ne
usciranno allora? Probabilmente, per il bene del
capitalismo italiano di buon nome, e di quello di altra
reputazione, non avranno solo gli inceneritori più
grandi d’Europa, ma pure i più inquinanti, i più
grondanti di gas e diossine.
Fonti: Domani.arcoiris.tv - “L’Isola Possibile” Rivista
mensile allegata a “Il Manifesto”, luglio 2009