libere recensioni, non vendiamo libri |
|
La Dea Madre e il Culto
Betilico
Le origini del mito
di
Andrea Romanazzi
Editrice Anguana
Dalla
Prefazione
Caro lettore, con l’Editrice
Anguana ho deciso di ripubblicare a dieci anni dalla prima stesura,
revisionandolo, il mio primo saggio sulla Grande Madre. Perché questo?
Perché in questo periodo mi sono sempre più convinto che la prima Unica
e vera religione, di stampo sciamanico, cultuava una Dea e un Dio nelle
loro molteplici forme ed aspetti.
Dall’Anatolia alle colonne
d’Ercole, dal Mar Nero all’Africa Settentrionale, fino alle estreme
propaggini dell’Europa settentrionale, il culto appare ancora oggi
vivido nelle tracce archeologiche, nel mito, nel folklore dei popoli e
nelle eretiche religioni odierne. Quali sono gli elementi cardine di
questo culto? Difficile dare una risposta essendo purtroppo giunto a noi
davvero poco.
Alla luce anche di una
rielaborazione neopagana, la mia idea è semplificabile in 5 Assiomi
religiosi ben chiari:
1. Viviamo ogni istante
immersi nel divino. Tutto ciò che ci circonda è Spirito: una
divinità-energia immanente con due polarità, Maschile e Femminile, poi
erroneamente tramutate dai Monoteismi in Bene e Male.
2. I Monoteismi sono
l’aberrazione eretica di tale antica religione, il disequilibrio
caotico, il culto di una sola di queste espressioni divine, quasi sempre
quella Maschile, che in realtà, vedremo, essere la meno “forte”.
3. L’Antico, vivendo immerso
nel divino riusciva e sentire ed interfacciarsi con tali energie, l’uomo
moderno non più…o almeno non tutti. E’ questa la ricerca degli odierni
adoratori del Pagus, ritornare a parlare il Linguaggio della Dea e del
Dio e con esso scoprirne le potenzialità.
4. La “Magia” altro non è
che la conoscenza e la ritualistica che permette all’uomo di
riconnettersi con tali energie spirituali.
Se questo è il mio pensiero
odierno, questo saggio ha un’altra funzione, ovvero quella di capire le
Origini di questa religione. L’uomo moderno è noto per non conoscere e/o
dimenticare la propria storia. Concentrandomi esclusivamente sull’area a
noi più vicina, il Bacino del Mediterraneo, vorrei rispondere alle
domande: Quale è l’origine dei culti pagani e neopagani che ancora oggi
si adorano? Da dove provengono? Quali sono le loro manifestazioni
storico-fokloriche?
In questi anni mi sono sempre
più convinto che, in un’epoca antecedente a quella dell’arrivo in Europa
degli Indoeuropei, in una età che è misteriosamente avvolta nelle
nebbie, spesso definita genericamente come epoca dei “Popoli del Mare”,
nel bacino del Mediterraneo fosse diffuso un antico culto i cui ricordi
non sono mai scomparsi. Nato nell’area mesopotamica questa religione si
sarebbe diffusa lungo due correnti, una appunto verso il bacino del
Mediterraneo e l’altra verso l’India dove la presenza di simboli
fallici, prototipi del Lingam, associati al culto della vulva, o yoni,
suggeriscono l’esistenza di un culto di fertilità e procreazione
pre-ariano.
L’idea che cercheremo di
dimostrare è dunque chiara: tutta la regione Mediterranea era
caratterizzata dal culto della Grande Dea, in intima connessione con il
culto del suo giovane figlio e compagno. La mia intenzione è così
cercare di dipanare gli elementi comuni di tale culto, in modo da
“decodificarlo” facilmente, ponendo particolare attenzione non già alle
antiche usanze di quei popoli erroneamente definiti “italici” ma di
origine indoeuropea che hanno semplicemente recepito parte del culto poi
focalizzandosi sul loro dio guerriero, ma agli “autoctoni italici”. Mi
riferisco ovvero ai Liguri, agli Etruschi, agli Elimi e ai Sicani, ai
Veneti pre celti, troppo spesso oggi per moda dimenticati, agli Iapigi
dell’odierna Puglia e alle varie etnie sarde. E’ tra questi popoli che
si nasconde, in Italia, l’antica cultura della Mater. L’estrema
diffusione del culto della Mater la fece diventare nota come la “dea dai
mille nomi” come descritta nelle “Metamorfosi” Apuleio.
“Là i Frigii
primigenii mi chiamano madre degli dei di Pessinunte, qui gli autoctoni
Attici Cecropia Minerva, di là i Ciprioti marittimi Venere Pafia, i
Cretesi sagittari Diana Dictinna, i siculi trilingui Stigia Proserpina,
gli Eleusini antica dea Cerere, altri Giunone, altri Bellona, questi
Ecate, quelli Ramnusia; e quelli che vengono rischiarati dai primi raggi
del sole nascente, e gli uni e gli altri Etiopi, e gli Egizi ricchi di
antica sapienza, onorandomi con le cerimonie che mi sono proprie, mi
chiamano con il vero nome regina Iside".
(Metamorfosi, XI, 5)
Se la dea ha tanti nomi, molti
però si sono dimenticati. l’Italum Tellus è nota per dimenticare ed
oscurare sempre le sue origini e con esse quelle di Thalna, Tharn,
Lucina, Caprotina, Bona, Carna, Cardna, Dia, Flora, Meftis, Angizia,
Maia, Maiesta, Ilitia, Partula, Porrima, Padellar, Educa, Abeona,
Alemona, Torza, Usurana, Husqvarn,Cupra, Egnatia e molte altre. Da qui
la voglia di ritrovarle e riscoprirle.
Sarà proprio il culto della
roccia sacra o belitico, presente nel folklore italiano, a
guidarci come filo d’Arianna in questa nuova cerca. Questo lavoro non è
dunque semplice riproposizione o ristampa del mio primo libro, oggi in
ogni modo esaurito, ma un modo per rivivere con te, amico lettore, le
nuove scoperte e i piacevoli incontri che ho avuto con la Dea in questi
anni di ricerca nel mondo del Pagus. In questo lavoro esporrò una
sintesi di pensiero, facendo convivere gli incontri che dieci anni fa
accompagnarono il mio cammino con quelli nuovi. Troppe nuove voci della
Dea per serbarle solo nel cuore.
Come nel primo testo esaminerò
il culto belitico, o delle pietre sacre, tra miti e leggende. Saranno
questi racconti che ci condurranno nelle “foreste di pietra” sparse in
tutta Europa e nel Mediterraneo, con una particolare attenzione
all’Italia.
Attraverso questa lettura
approfondiremo il reale significato dei sacri massi, una coniuctio
tra l’elemento femminile, il principio produttore, e quello
maschile, il principio ingravidatore, come affermavo molti anni fa in
una ipotesi allora poco diffusa: “la roccia infissa nel terreno
diventa facile metafora dell’atto di fecondazione, essa è il tramite
attraverso il quale il dio può ingravidare la sua sposa e renderla
fertile”.
In una visione microcosmica,
vedremo poi come “i rituali di fertilità legati alla natura diventano
riti legati alla fecondità della donna”. Nasce così una vera e
propria “cerca”, attraverso il fitto e intricato mondo delle tradizioni
e del folklore italiano, dalla Val d’Aosta alla Puglia, dei rituali per
assicurare la fertilità alle giovani donne. Tali ricordi sono oggi
spesso celati sotto le nuove vesti della religione Cristiana attraverso
una vera e propria opera di sincretismo da parte dei sacerdoti che hanno
pian piano sostituito la vecchia Dea Madre con la Vergine Maria.
Come novelli Ulisse poi, mossi
da curiosità verso la ricerca delle origini del culto, salperemo,
successivamente, dall’Italia verso altri lidi. Ci si propone così un
mistico viaggio alla ricerca della mater tra le coste delle
misteriose isole del Mediterraneo ove le sue tracce sono rimaste ben
conservate per millenni.
Seguendo così un invisibile
filo d’Arianna, si giungerà all’antica Ogygia omerica, l’isola di Malta,
dove incontreremo, negli intricati antri di questa terra, le
sacerdotesse della dea, le famose Smisurate. Il viaggio sarà però solo
alla prima tappa, si salperà così per nuove mete fino a fermarsi lì dove
si possono guardare “le opre dell’aurea Afrodite Ciprigna, che
risveglia la soave bruma dei numi, soggioga le stirpi mortali, gli
uccelli alti in cielo e tutte le bestie”. Qui, tra sacrifici umani e
divinità androgine, incontreremo la sacra sacerdotessa che poi le
divinità maschili hanno trasformato da “grande Dea in peccatrice”
fino a immergerci nuovamente, avidi dell’umido abbraccio, nel suo stesso
ventre. Qui, come Teseo, conosceremo il reale significato del labirinto
“l’utero della dea nel cui interno dimora il toro universale”,
fino a giungere così in quel “mare” che già col suo nome ci ricorda il
volto della dea, il “Nero” dove finalmente troveremo le origini di tale
atavica religione.
Buon Viaggio! |
Seconda Prefazione
Sin dalla notte dei tempi
l’uomo è stato colpito dalla natura, dai suoi molteplici aspetti e
fattori. Essa infatti può decidere le sorti del singolo o di un intero
villaggio, il suo potere distruttivo, espresso da tempeste, fulmini,
terremoti, può generare morte ma, allo stesso tempo, Ella è madre, nutre
i suoi figli producendo frutti ed erbe.
L’uomo dei primordi è
fondamentalmente cacciatore e raccoglitore dunque la sua vita è
strettamente correlata a quei cicli naturali per i quali ha mostrato da
sempre interesse. Per Lui conoscerne i segreti non significa dominare la
natura ma esserne sempre più parte integrante, entrare in perfetta
sintonia con la Grande Madre e crescere prosperando con lei.
All’inizio è il bosco con i
suoi frutti a dare sostentamento al Antico che, proprio per questo vede
in esso, e negli stessi animali che vi abitano, una sorta di divinità
immanente che lo governa. In principio, dunque, il rapporto che l’uomo
instaura con la natura non è quello di dominatore, ma di creatura che
vive nel suo divino: lo stesso animale-preda, ad esempio, non è solo
fonte di sostentamento, ma anche divinità e dunque sacro. A dieci
anni dalla pubblicazione di tali parole che ora, amico lettore, ti
ripropongo, e alla luce dei miei molteplici studi sono sempre più
convinto che è con tali occhi che dobbiamo vedere ciò che ci circonda.
Successivamente nel Neolitico le popolazioni europee, dedite alla
caccia, entrano in contatto con popoli asiatico-orientali già
agricoltori. Avviene così una grande trasformazione culturale, l’uomo
non è più sottomesso alla natura, ma comincia a produrre frutti e
ortaggi, il suo rapporto con la divinità però non cambia, essa piano
piano si sposta dai boschi ai campi, ma Egli è sempre dipendente dai
cicli naturali e dai rituali di fertilità che, mentre prima erano legati
esclusivamente alla produzione spontanea, adesso vengono visti
strettamente correlati all’agricoltura e al raccolto.
Prima con la caccia, poi con
l’agricoltura, cerca di piegare la Mater alle sue esigenze.
Nascono così rituali e tabù
legati al mondo animale, piccoli sacrifici atti a sanare la “violenza”
portata dall’uomo nell’uccisione di quello che per lui è “portatore di
vita”, possa essere di origine animale o vegetale. Il rituale pugliese
del Tarantismo, ad esempio, descritto nel mio saggio “Il Ritorno del
Dio che Balla”, si inquadra perfettamente nel quadro sin qui
descritto, espressione di quello “sciamanesimo mediterraneo” che nulla
ha da invidiare ai suoi più lontani fratelli, dall’Africa alla Siberia.
L’uomo inizia così a esaminare
con sempre più interesse i cicli naturali, l’andamento delle stagioni e
i periodi in cui seminare per avere un buon raccolto. Intuisce che la
terra non è sempre fertile, ma lo diventa solo quando è “ingravidata”
dai raggi solari, ovvero da quello che poi sarà definito il principio
maschile: il Sole.
Dal culto nomade della grotta,
l’eterna vagina che dava rifugio all’uomo stremato, espressione del
ventre gravido ed accogliente della Dea, luogo di protezione e di
mistero, nasce e si diffonde quello del sacro priapo. Dove l’Antico lo
aveva già visto? Nell’oscurità dell’antro, alla luce fioca del fuoco,
ombre si stagliavano da rozze rocce in erezione, oggi le chiamiamo
stalattiti o stalagmiti. Unendosi alla propria donna l’antico non poteva
non cogliere la similitudine dell’ ”Eretto maschile”, che si fa
compagno, amante e figlio nel ventre umido della Donna.
Con il diventare stanziale
l’Antico “porta fuori” il dio priapico. La grotta, come già detto,
diviene la terra, la roccia eretta, il menhir in essa infisso: il
principio ingravidatore. Dunque non si tratta di due culti separati, dea
e dio coesistono come “apeiron” primordiale, un’unica, inscindibile
monade che permette la vita. Dai siti megalitici ai pozzi sardi, dal
culto del toro alle follie del Maggio, tutto ci parla della dolce unione
delle divinità.
Come in ogni cosmogonia, però,
l’aspetto macrocosmico si riflette anche sulla vita del singolo, così,
in una visione rapportata alla dimensione umana, i rituali di fertilità
legati alla natura diventano riti legati alla fecondità della donna.
Molti luoghi di culto della dea diventano così posti ove questi vengono
consumati per garantire prosperità alle giovani spose. Le pietre
assumono quindi una duplice funzione, diventano non solo santuari
naturali legati alle divinità ma anche, nell’immaginario collettivo, il
mezzo con cui il dio rende gravida la dea e quindi la donna. Sarà
proprio questo Betile ad essere l’“Etemenanki”, la mitica Babele, il
“Verticale” ove Cielo e Terra si congiungono, ove non c’è confusione di
lingue, successivamente distrutto da quel dio guerriero maschile venuto
da oriente.
Verso il III-II millennio a.C.
l’Europa è teatro di un nuovo avvenimento, le popolazioni autoctone,
fondate su società prettamente agricole, vengono in contatto con gli
Indoeuropei, gli “ariani”, dalla parola sanscrita “Arya” cioè “fedeli”,
le cui società, fortemente patriarcali e maschiliste, sono basate sulla
caccia, l’allevamento e sulla lavorazione dei metalli.
Lo scontro tra le diverse
popolazioni è forte, le deboli società autoctone mediterranee sono
subito schiacciate dagli “adoratori delle fucine”, la “lama” ha il
sopravvento e la pietra pian piano inizia ad esser dimenticata. Si parla
sempre del passaggio dall’Età della Pietra a quella dei Metalli come
“Evoluzione”. Quanto dolore è spesso celato dietro questo nome.
Lo scontro non è solo “sociale” ma anche religioso, infatti se gli
autoctoni adorano divinità legate alla terra e ai suoi cicli, gli ariani
sono legati al dio maschile e guerriero, il dio delle fornaci e dei
metalli, spesso identificato con il sole. Inizia in questo momento il
declino della divinità femminile, della natura vista come Grande Madre
ma anche della donna che viene relegata a occupazioni di secondo piano.
Gli antichi luoghi di culto vengono abbandonati per far posto a enormi
templi in forte contrasto con la natura e i suoi elementi; essi devono
dimostrare la grandezza e la fierezza di un popolo, ma non il suo animo
e le sue tradizioni. La religione primordiale diventa così clandestina,
nascosta, successivamente, in rituali come quelli isidei e dionisiaci.
La pietra si trasforma nell’albero e si confonde con esso, del resto
l’Antico Dio non era il custode della vita stagionale e della fauna che
circondava l’uomo?
Con l’arrivo del Cristianesimo
quel poco che rimane delle antiche tradizioni viene nuovamente
cancellato e/o in parte assorbito dalla nuova religione. Con una vera e
propria opera di sincretismo i sacerdoti sostituiscono la vecchia Dea
Madre con la Vergine Maria la quale, con il volto scuro, ne assorbe le
caratteristiche.
Semplici contadine che
praticavano segretamente alcuni rituali dell’antica cultura vengono arse
sui roghi come streghe e adoratrici del demonio. Il Betile prima e
l’albero poi, da essere santuari naturali, diventano il luogo del Sabba
nel cui nome si nascondono però le antiche origini. Tra il XIV e il XVII
sec. nove milioni di donne vengono trucidate a causa della loro
conoscenza di tradizioni apprese di generazione in generazione e che
erano, purtroppo, solo il lontano ricordo di antichi culti naturali.
Isolate, ma non dimenticate, le
pietre, silenti testimoni dello scorrere dei secoli, indelebili segni di
un antico passato ove era il sole e la luna a scandire il passaggio dei
giorni, rimangono oggi a descriverci l’evoluzione di una religione
basata su due divinità un tempo unite, poi separate ma mai dimenticate.
La donna che ancora oggi striscia il ventre sull’antico betile, che si
siede sullo “scanno” della dea intagliato nella roccia di una grotta,
che si asperge con le acque raccolte nelle sacre coppelle, che
attraversa gli uterinici fori litici per esser feconda, è l’espressione
di culti che nessuna Nuova Religione potrà cancellare.
Tra i raggi di
sole, circa Dieci anni dopo
in un tiepido
pomeriggio di Primavera
Andrea Romanazzi,
Beltane, 2002/2013 |
L’autore
Andrea Romanazzi,
docente e saggista, è nato a Bari nel 1974. Attratto sin da giovane
verso il magismo e gli stili di vita dei popoli arcaici, da quasi 25
anni studia discipline come l’antropologia, il folklore, le tradizioni
magico-popolari, le Vie dell’Esoterismo Occidentale e dell’Occultismo
Orientale, ivi ricercando la strada verso le manifestazioni del Divino e
le ataviche origini dell’Uomo. Effettuando anche ricerche sul campo, con
particolare sguardo alle tradizioni magico-religiose dell’area
mediterranea ed in particolare italiana, ricerca ciò che super est,
quello che sopravvive delle credenze e degli stili di vita dell’Antico.
Le esperienze accumulate
direttamente sul campo e i risultati delle attente ricerche
bibliografiche a sfondo magico, in Italia e in altri paesi, sono
documentati nei i suoi numerosi saggi.
Iniziato allo sciamanismo dalla Foundation for Shamanic Studies
Italia, insegnante accreditato di Ma’Heo’O Reiki Shamanic Method,
membro onorario dell’Ordine Drudico Italiano e membro dell’OBOD,
The Order of Bards, Ovates & Druids- Inglese,
ha pubblicato:
Per la Anguana Editrice
“Giuda allo sciamanesimo afro-amerindo”, testo sulle pratiche
sudamericane di Candomble, Umbanda e Santeria.
Per la Venexia Editrice,
"Guida alla stregoneria del deserto" (2011),
dove esplora le terre del Sahara facendo emergere
dalle sue sabbie un’antichissima tradizione stregonica precedente alla
magia islamica, “Guida
alle streghe in Italia” (2009), ove
regione per regione, l'autore narra le leggende e le tradizioni
che fecero di queste zone la dimora preferita di maghe e fattucchiere e
offre al lettore, grazie a mappe, indirizzi e consigli pratici, gli
strumenti per organizzare veri e propri itinerari magici tra i sentieri
di campagna e gli anfratti nascosti del territorio italiano; "La
stregoneria in Italia: Scongiuri, Amuleti e Riti della Tradizione"
(2007) corpus della tradizione magica italica; “Il ritorno del dio
che balla: culti e riti del Tarantismo in Italia” (2006) con
prefazione di Teresa de Sio, inserito nel volume bibliografico degli
studi sul tarantismo dal 1945 al 2006, “La Tela Infinita”. La
“Guida alla Dea Madre in Italia: itinerari tra culti e tradizioni
popolari” (2005) con prefazione di Syusy Blady,
regista-giornalista-autrice di programmi come “Turisti-Velisti per Caso”
e il nuovo nato “Misteri per Caso”.
Per la Edizioni Servizi
Editoriali nel volume "Liguria Stregata: Streghe, Maliarde e
Fattucchiere di Liguria", ha pubblicato "I luoghi delle streghe in
Liguria" (2006).
Per la Levante Editori
ha pubblicato “La Dea Madre e il Culto Belitico: antiche
conoscenze tra mito e folklore” (2003) , volume
presentato nel “Philosophical Journal dell’Universidad de Navarra,
Facultad de Filosofia y Letras (Pamplona).
Per la Pro Loco di San Mauro
Forte e Amministrazione Provinciale di Matera ha pubblicato,
in occasione della “Festa del Campanaccio” del comune di San Mauro Forte
Lucano “Sant’Antonio, il maiale, il fuoco, la campana:
conversazioni sul tema” (2006).
Suoi
articoli sono poi pubblicati su quotidiani e riviste specializzate e
diffusi sulla rete ove cura, per numerosi siti, rubriche di
archeomitologia, folklore, tradizioni popolari e paganesimo.
Nel
2006 ha attivato il sito internet le
www.lereviviscenze.com.
Dal
2007 fa parte del comitato scientifico di AUTUNNONERO - Festival
Internazionale di Folklore e Cultura Horror. Dal 2009 conduce su
Keltoiradio.org una sua rubrica “Tradizioni magiche e spiritualità”.
Attivo conferenziere, è stato ospite di varie associazioni locali e
trasmissioni radiofonico/televisive, in parte pubblicate sul sito
www.lereviviscenze.com alla voce "Interviste", nonché relatore in
numerosi Seminari e Convegni. |
|