Le Pagine di Storia

 

Le prime reazioni piemontesi al malcontento popolare ed al brigantaggio post-unitario

di Fara Misuraca e Alfonso Grasso

Il generale Pinelli

I Piemontesi, penetrati nell'ottobre 1860 nel Regno delle due Sicilie senza dichiarazione di guerra, furono accolti con curiosità e benevolenza dai paesi abruzzesi della costa. Non appena iniziarono a spingersi nell'interno, trovarono tutt'altro clima, e le prime manifestazioni popolari di resistenza.

Più di un decennio di propaganda orchestrata da Cavour e dal governo inglese, diffusa attraverso i canali della massoneria e degli stessi "fuoriusciti" meridionali (per esempio, Francesco Crispi), aveva indotto i Piemontesi a considerarsi appartenenti ad una civiltà superiore, ed a credere che il Sud fosse rozzo, arretrato e superstizioso, nonchè dedito alla barbarie.

Questo spiega, in parte, perché essi si comportarono non solo da conquistatori, ma da feroci aguzzini nei confronti delle resistenza, adottando una politica del tutto diversa da quella delle altre zone d'Italia che si erano annesse. Non esitarono ad usare le rappresaglie, cioè forme di violenta punizione pubblica, che non colpivano i responsabili di episodi di resistenza, o di banditismo (ci furono anche quelli, in circostanze tanto tragiche), ma gli inermi cittadini, senza distinzione di sesso o di età.

I difensori del Regno delle due Sicilie, gli oppositori del nuovo regime e perfino i semplici nemici personali, furono bollati come «reazionari».

Quanto ai «reazionari», essi sapevano che la fucilazione immediata era la regola assoluta per chi fosse stato preso. Iniziò lo stesso gen. Cialdini, comandante dell'esercito piemontese d'invasione, per sedare l'insurrezione di Isernia il problema della repressione; Pinelli, se possibile, fu ancora più spietato. Il generale Morozzo della Rocca, quasi quarant'anni dopo i fatti dei quali ci occupiamo, rievoca, nelle sue memorie, con ingenuità quasi disarmante, qual era il suo atteggiamento nella questione, in qualità di comandante militare delle due Sicilie:

“Feci fucilare alcuni capi e pubblicai che la medesima sorte sarebbe toccata a coloro che si fossero opposti, armi in pugno, agli arresti. Erano tanti i ribelli, che numerose furono anche le fucilazioni, e da Torino mi scrissero di moderare queste esecuzioni, riducendole ai soli capi.  Ma i miei Comandanti di distaccamento, che avevano riconosciuto la necessità dei primi provvedimenti, in certe regioni dove non era possibile governare, se non incutendo terrore, vedendosi arrivare l'ordine di fucilare soltanto i capi, telegrafavano con questa formula: «Arrestati, armi in pugno, nel luogo tale, quattro, cinque capi di briganti». E io rispondevo: «Fucilate».

Poco dopo il Fanti, a cui il numero dei capi parve straordinario, mi invitò a sospendere le fucilazioni, e a tenere prigionieri tutti gli arrestati. Le prigioni e le caserme rigurgitarono; il numero dei carcerati crebbe a dismisura, e così pure crebbero i disordini, specie dopo  la presa di Gaeta”.

Ed ecco la descrizione di una bandiera dei partigiani borbonici:

"Era un magnifico quadrato di seta bianca, adattissimo per una processione. Da un lato si scorgeva Maria Cristina [madre di Francesco II e principessa sabauda], in ginocchio davanti a una Madonna, nell'atto di calpestare la croce di Savoia. Dall'altro lato eravi un'Immacolata concezione. Quello stendardo era stato benedetto dal papa, e se ne attendevano miracoli".

In questo quadro, si inserisce il bando del generale Pinelli contro i religiosi che partecipavano alla reazione:

“Un branco di quella progenie di ladroni ancor s'annida sui monti; snidateli, siate inesorabili come il destino. Contro nemici tali la pietà è delitto: sono i prezzolati scherani del vicario non di Cristo, ma di Satana. Noi li annienteremo, schiacceremo il sacerdotal vampiro, che con le sue sozze labbra succhia da secoli il sangue della madre nostra. Purificheremo col ferro e col fuoco le regioni infestate dall'immonda sua bava, e da quelle ceneri sorgerà più rigogliosa la libertà”.

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