Le Pagine di Storia

Il Vicereame Spagnolo in Calabria

I Valdesi di Guardia Piemontese e le rivolte di Marco Berardi, alias “re Marcone”

di Francesco Rizza

Immagine tratta dalla copertina del libro "Banditi e Briganti" di Enzo Ciconte, Rubbettino Editore

Come osserva il linguista G.I. Ascoli, il Franco Provenzale è una varietà linguistica che riunisce insieme, con alcuni suoi caratteri specifici, più caratteri comuni al Francese ed al Provenzale. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, “non si tratta di una tarda confluenza di elementi diversi, ma bensì di un’attestazione di una lingua con una propria indipendenza storica” tanto che ancora nel Novecento gli studiosi di linguistica dividevano la Francia in tre macro aree: quella caratterizzata dalla diffusione della lingua d’Oil, quella della lingua d’Oc e quella del Provenzale. Dal XIII secolo, Il Provenzale è parlato anche nell’alto Tirreno cosentino e nel suo Entroterra, essendo collegato a quella Comunità Valdese un tempo molto più diffusa dell’attuale, che ancora oggi è perfettamente riconosciuta intorno a Guardia Piemontese.

Sulla nascita di tale comunità Jean Paul Perrin, storico e guida spirituale della stessa comunità vissuto nel XVII secolo, osserva che gli stessi Valdesi “trovarono in Calabria delle terre incolte e poco popolate, ma fertilissime, come si poteva osservare da quelle vicine. Vedendo, dunque, che la zona era buona a produrre grano, vino, olio d’oliva e castagne e che c’erano monti adatti a nutrire cavalli ed a produrre legname, si rivolsero ai signori di quei luoghi per trattare con essi delle condizioni per dimorare nelle loro terre. Questi Signori – aggiunge il Perrin – si stimarono felici di avere dei sudditi così buoni che avevano reso le loro terre popolate e feconde di ogni tipo di frutti, ma soprattutto perché era gente per bene”.

Dal punto di vista religioso, gli stessi Valdesi erano i seguaci di Pietro Valdo, una delle tante figure mistico religiose che nel medioevo si era allontanata dal kerigma cattolico e dalla Chiesa. Condannato il pensiero valdese dal IV Concilio Veronese al tempo di Innocenzo III, i suoi seguaci furono allontanati dalla propria terra d’origine ed alcuni di essi trovano accoglienza anche nella Calabria settentrionale.

Guardia Piemontese, la torre d'avvistamento

La presenza valdese in Calabria andò avanti senza problemi per alcuni secoli, almeno sino alla pace di Cateau Cambresis del 3 aprile del 1559 con cui i Re di Francia e di Spagna s’impegnarono a dividersi i propri possessi in Italia, con l’appoggio del Papato, interessato a sua volta a promuovere e favorire le risposte alla “Riforma Protestante” approvate nel Concilio di Trento indetto da Paolo III. Capita così che il Vicereame spagnolo, fin dal proprio arrivo nell’Italia meridionale, favorì quella Controriforma che andò ben al di là dell’ambito religioso nel Sud Italia, bloccando gli ultimi fermenti di indipendenza politica e di rivolta morale; affiancando e proteggendo i Baroni del tempo che continuarono a spadroneggiare sulle popolazioni del Regno partenopeo.

La feroce repressione dei Valdesi di Calabria ebbe il proprio epilogo nella cosiddetta “Crociata del Querceto” del maggio 1561 in cui furono numerosissimi i valdesi che furono uccisi fra Guardia Piemontese, San Sisto, Montalto Uffugo.

Fra gli antefatti della stessa Crociata, l’arrivo dell’inquisitore piacentino Valerio Malvicino, dell’Ordine domenicano, che arrivò l’11 novembre del 1560 su pressione di don Giovanni Anania cappellano dei baroni Spinelli. Riconosciuta una vivace comunità valdese, iniziò la repressione. Gli adulti furono invitati ad abiurare la propria fede ed i bambini fin dall’età di 5 anni furono obbligati a frequentare le scuole catechetiche parrocchiali. Tutti i Valdesi, inoltre, dovevano essere riconoscibili dall’abbigliamento ed accettare di essere controllati anche nelle proprie abitazioni. Negli stessi anni in cui la violenza del Vicereame si fece forte anche contro uomini ci cultura come Bernardino Telesio e Tommaso Campanella, la “Crociata del Querceto” s’inserisce in uno scenario di malcontento generalizzato, riconosciuto anche dal viceré Pietro di Toledo che, in una propria relazione inviata a Madrid nel 1526, collegava le rivolte calabresi “ai tre malanni principali del cattivo stato del Vicereame: estorsioni, vendita dei pubblici uffici, al banditismo”.

Fra i banditi più celebri, quello che creò maggiori problemi in Calabria al Vicereame spagnolo in Calabria fu Marco Berardi nativo di San Sisto che per riuscì a mettere sotto scacco a lungo l’esercito spagnolo, autonominandosi re su un ampio territorio sull’altopiano silano fra le provincie di Cosenza e Crotone.

Fuggito dalle carceri cosentine e trovato rifugio nei boschi della Sila, dopo aver radunato un buon numero di seguaci, nel 1562 il Berardi chiamato dai suoi seguaci “re Marcone” iniziò a contestare il potere spagnolo. Nel 1563, con una milizia formata da 150 fuoriusciti, riuscì ad occupare Cropani che nel 1562 era stata già razziata da Turchi e decise di avviarsi verso Crotone dove avrebbe voluto porre la capitale del proprio Regno. Nella stessa città, il 16 agosto dello stesso anno, “re Marcone” riuscì a sconfiggere un contingente di soldati spagnoli guidato dal marchese di Cerchiara, Fabrizio Pignatelli, che comunque assediata la città, riuscì a disperdere lo stesso Berardi ed i suoi seguaci.

Leggendaria rimase la sua morte. Secondo alcuni scritti, infatti, fu trovato morto insieme alla moglie Giuditta in una grotta nei boschi della Sila, mentre secondo altri fu sconfitto dallo stesso Pignatelli. Ciò che pare certo che il suo corpo venne appeso in una gabbia di ferro appesa al campanile della chiesa cosentina di San Francesco di Cosenza dove i suoi resti sarebbero rimasti sino al 1860, quando lo scheletro di “re Marcone” su ordine di Garibaldi fu seppellito nelle cripte della stessa chiesa.

Francesco Rizza

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