“La vita e la morte della nostra provincia dipendono dal
modo in cui sarà risolta la questione silana”. Scriveva
così, l’8 marzo 1865, Vincenzo Padula, sacerdote e noto
letterato del Risorgimento calabrese. A distanza di
oltre un secolo, la sua costatazione è ancora tutta vera
ed il massiccio della Sila non è stato ancora messo
nelle condizioni di essere quel volano di sviluppo che
potrebbe rappresentare per l’intera Calabria. La Sila,
infatti, aspetta d’essere guardata con maggiore rispetto
ed attenzione. Lo stesso Parco nazionale della Sila che
si estende su un’area di 73.695 chilometri quadrati fra
le province di Cosenza, Catanzaro e Crotone, istituito
il 14 novembre 2002, nonostante gli sforzi dei propri
Amministratori, anche per i frequenti tagli ai fondi
nazionali per la montagna, aspetta ancora la propria
valorizzazione.
Ciò è particolarmente vero nella provincia di Crotone,
dove le iniziative a tutela del patrimonio del Parco
nazionale della Sila si contano sulle dita di una mano.
Intanto, continuano nel territorio del Massiccio silano
le speculazioni di tanti predatori che, oggi come ieri,
continuano a depauperare il territorio dello stesso
Massiccio calabrese. Sfruttato dal tempo degli antichi
Romani, quando nel neo nato Regno d’Italia Vincenzo
Padula pubblicava le proprie inchieste, gran parte del
maggiore massiccio della Sila era ancora diviso fra il
demanio pubblico della Sila regia, istituito al tempo
della dominazione normanna, e la Sila badiale costituita
dalle donazioni ricevute nel corso dei secoli dai
Florensi, figli spirituali di Gioacchino da Fiore. È
datata 1191 la prima donazione all’Ordine florense da
parte di re Tancredi che donava a Gioacchino da Fiore ed
ai suoi compagni 50 salme di grano e 300 pecore “per il
sostenimento monaci insediati a Fiore”. Il 28 ottobre
1207, Federico II richiamando le precedenti donazioni
imperiali all’Ordine florense pretendeva l’osservanza di
tutti i privilegi donati al Monastero da parte dei
principi e dei vescovi calabresi. Sono proprio queste le
prime attestazioni storiche di quello che diverrà
l’ampio territorio della Sila abadiale. In vero,
l’accrescere di tali ricchezze può essere letta come una
sorta di tradimento per lo stesso Gioacchino che con la
fondazione del proprio Ordine monastico che rappresentò
la prima riforma della Congregazione cistercense,
desiderava un ritorno anche all’austera povertà delle
origini.
“Mi meravigliavo – scrive Luca Campano, biografo
coetaneo dello stesso Gioacchino – che un uomo di tanta
fama, dalla parola così efficace, indossasse vestiti
tanto logori e dismessi e in parte corrosi alle
estremità: seppi poi che per tutto l’arco della sua vita
non si curò della qualità dei suoi abiti. Non si curava
affatto della qualità o della scarsità del cibo o della
bevanda, e nel caso in cui non veniva versato del vino
nel suo bicchiere, per errore dell’addetto al servizio,
si contentava solo dell’acqua”.
[1]
Una precisa descrizione della Sila al tempo
dell’unificazione nazionale è quella di Pasquale
Barletta, ultimo commissario civile per gli affari
silani, appositamente inviato in Calabria dal ministro
Quintino Sella.
“Le contrade componenti la Sila regia formano
ettari 69007 ed are 55, di cui ettari 2026 ed are 78
sono addette a Camere Chiuse ossia a boschi
riservati a produrre il legname per la Marina ed ettari
12486 ed are 22 furono addetti all’esercizio degli usi
civici. Le contrade componenti la Sila badiale
formano ettari 26320 ed are 36, di cui ettari 5447 ed
are 50 servono agli usi della popolazione. Nella
suddetta estensione generale – aggiunge il Barletta -
sono compresi ettari 4756 di Terre Corse, che
erano le sole colonie riconosciute nella Sila, e che i
privati possessori ottenevano in libera proprietà colla
grazia del 18 luglio 1844 loro fatta in occasione
dell’arresto dei fratelli Bandiera”.
A ciò bisogna aggiungere che, col trascorrere del tempo,
gran parte dei terreni destinati originariamente ad
ospitare “Usi civici” erano diventati proprietà
privata.
“Nel 1812 il barone Grisolia possedeva 4.000 capi, i
Baracco 6.000, i Lupinacci 2000, i Barberio 3000, i
Morelli 200, i De Luca 2500 e di sole vacche i Baracco
700, i Grisolia 300, i Barberio 400, i Cosentino 800.
Difese si chiamano le terre usurpate. Lo Stato ordina di
lasciarle e i baroni resistono. E così si snodano per
decenni e secoli processi interminabili, capziosi,
cavillosi. L’usurpazione delle terre demaniali riduce i
diritti dei contadini, dei comunisti. Da ciò
nasce l’odio popolare e la lotta feroce contro i
galantuomini, che in Calabria sono quelli che in
Sicilia chiamano cappelli”.[2]
Intanto, quello dei Calabresi con l’Altopiano silano,
così come con l’Aspromonte ed il Pollino, continuava ad
essere un legame viscerale. Basta pensare a quei
santuari, come quello della Madonna di Polsi, per
raggiungere i quali i fedeli calabresi si arrampicano
spesso faticosamente in occasione dei pellegrinaggi
annuali. E’ un rapporto talmente forte da qualificare
parte dell’antropologia calabrese, come afferma Raffaele
Sirri che parla di “una costante di ambienti e di
contenuti” descrivendo il rapporto fra i Calabresi e la
Sila.
“Bruzio non Magna Grecia – osserva lo studioso per
l’Entroterra calabrese – civiltà contadina non
mercantile. L’opposizione fra la Calabria dei boschi e
la Calabria delle marine non è solo opposizione
climatica, disagio di comunicazioni: è opposizione
viscerale e psicologica, nella matrice della stessa
esistenza: Bruzio e retaggio di storie sepolte ma non
rimosse, oscuramente presenti Magna Grecia, entità a
confini indefinibili. Sono realtà oggettive, dati di
fatto, ma in perenne emulsione di affetti, di scelte, di
decisioni coscienziali, senza confini”.
[3]
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Pascolo silano |
In questo scenario, ci volle il Novecento per registrare
due importanti esperienze di industrializzazione che
produssero lavoro, almeno per alcuni lustri. Fra il 1922
ed il 1932, infatti, furono costruite le centrali
idroelettriche di Orichella, Timpagrande e Calusia
collegate alla diga del lago artificiale dell’Ampollino
nel territorio comunale di Cotronei cittadina della
provincia di Crotone. Le stesse centrali furono
inaugurate nel luglio del 1927 da Vittorio Emanuele III
e, nel periodo di maggior lavoro per la loro
costruzione, diedero impiego a circa 4000 persone. Nel
1925, invece, sorsero nel territorio di Petilia
Policastro, ancora in provincia di Crotone, i cantieri
della Società Forestale Meridionale che sino alla fine
degli anni ’40 sfruttarono un’ampia porzione dei boschi
del Gariglione comprati nel 1925 dall’ingegnere
settentrionale Gino Frangiosi. Gli stessi cantieri
diedero lavoro, nel periodo di massimo impiego, a circa
2000 operai ma lo sfruttamento del legname iniziato con
la nascita di questi cantieri fu davvero epico, basta
pensare che il disboscamento del Gariglione rimase
attivo sino al 1949. A lamentarsi di ciò che stava
accadendo, il naturalista inglese Norman Duglas che già
nel 1915 aveva pubblicato “Old Calabria”: i diari
di un viaggio svolto in Calabria fra il 1907 ed il 1911.
“Sembra che la foresta del Gariglione – osserva con
rammarico il Naturalista inglese – sia stata venduta per
350.000 lire ad una compagnia tedesca: il suo silenzio
primordiale è rotto da un esercito di duecentosettanta
uomini che abbattono gli alberi con straordinaria
velocità. Scompare un’ altra oasi di bellezza”.
Un’intensificazione dei tagli ci fu fra il 1943 ed il
1945 quando, a causa della seconda guerra mondiale, le
industrie belliche necessitavano di ingenti quantità di
legname e buona parte di quello utilizzato a livello
nazionale continuava ad arrivare dai boschi della Sila.
Terminata la guerra, un altro scempio dei boschi silani
fu perpetuato dagli Anglo Americani che realizzarono
abbondanti tagli producendo la morte di numerosi alberi
secolari per ripagarsi dei costi del loro intervento
contro il Nazi Fascismo.
Dal punto di vista agricolo, sino alla Riforma agraria
entrata in vigore nel secondo Novecento, la Sila
rappresentò un’ampia porzione del latifondismo
calabrese. Se negli anni precedenti all’Unità d’Italia
alcune rivolte erano avvenute anche senza produrre
grossi risultati, le speranze della popolazione si
accesero con l’avvento di Giuseppe Garibaldi e le sue
1000 Giubbe Rosse.
“Al momento del suo sbarco a Marsala – scrive Giuliano
Procacci – e nel corso della sua avanzata attraverso la
Sicilia e l’Italia meridionale Garibaldi era apparso
alle masse contadine del Sud come un mitico liberatore e
vendicatore delle loro sofferenze, quasi un Messia.
Alcuni dei primi atti del Governo provvisorio da lui
insediato in Sicilia, quali l’abolizione dell’ esosa
tassa sul macinato e il decreto relativo alla divisione
dei beni comunali del 2 giugno, sembrarono incoraggiare
queste speranze”. “Ma la delusione – aggiunge lo storico
– non doveva tardare a giungere: il 4 agosto, nella
Dulcea di Bronte, Nino Bixio, il fidato luogotenente del
leggendario generale, reprimeva con arresti e
fucilazioni in massa una delle tante agitazioni
contadine che si erano accese in tutta la Sicilia”.
[4]
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San Giovanni in Fiore (Cs) chiesa madre
florense |
E’ questo lo scenario storico in cui s’inseriscono i
“Decreti di Rogliano” firmati da Giuseppe Garibaldi
il 31 agosto 1860 nella cittadina dell’Entroterra
tirrenico cosentino. In vero, resosi conto della
situazione in cui versavano i contadini della Sila, l’Eroe
dei due mondi era intervenuto in loro favore. Gli
stessi “Decreti” originariamente prevedevano
l’abolizione della tassa sul macinato “per tutte le
granaglie eccettuato il frumento, pel quale è conservata
la tassa esistente nei diversi comuni; il prezzo del
sale è dalla data di quest’oggi ridotto da grani otto a
grani quattro per ciaschedun rotolo”.
Contestualmente, Garibaldi riconobbe la possibilità per
“gli abitanti poveri di Cosenza e Casali” di utilizzare
gratuitamente i terreni “usi di pascolo e di semina
nelle terre demaniali della Sila. E ciò,
provvisoriamente, sino a definitiva disposizione”. La
nuova disposizione, purtroppo, ci mise davvero poco ad
arrivare con conseguenze infauste per i braccianti
calabresi. Arrivò con una delibera che fu approvata solo
5 giorni dopo i Decreti di Garibaldi. A filmarla Donato
Morelli, rampollo di una nobile famiglia del luogo che
lo stesso Eroe dei due Mondi aveva nominato
“Governatore generale della Calabria citeriore”,
assegnandogli poteri illimitati. Cosa decretò Morelli?
“Il conceduto esercizio degli usi civici non
pregiudicherà al diritto che ne hanno i proprietari di
far valere le loro ragioni avverso le ordinanze de’
passati Commissari in forza delle quali i loro antichi
possessi in tutto o in parte sono stati reintegrati al
Demanio od ai Comuni; diritto che loro resta riservato,
e che sarà rispettato per quei proprietari che hanno
fatto revocare le ordinanze commissariali emesse”.
In pratica, tutto tornava come prima in una situazione
che Vincenzo Padula descrive lucidamente.
“Guerra ai poveri – osserva - per parte dei ricchi, che
ogni anno estendono le loro difese; guerre ai ricchi per
parte dei poveri, che diventano briganti, e depredano le
terre mal tolte; e guerre ai ricchi e poveri per parte
del governo, che non legittima il possesso degli uni con
un giudizio regolare o con una transazione, e non
contenta i voti giusti degli altri, cui manca il suolo,
dove posare il piede”
[5].
Nella Sila e “nelle sue vaste solitudini” aggiunge
Vincenzo Padula:
“Non sorge verun villaggio, e sono perciò asilo
inviolabile ai briganti. E così avviene un caso
singolare, che la questione della Sila fa nascere i
briganti, e quando i briganti son nati è la Sila che li
protegge nelle sue immense foreste”.
Francesco Rizza
Luca Campano
“Gioacchino da Fiore un maestro della civiltà europea” di Francesco D’Elia,
Rubettino editore, 1999.
Pubblicato da Il Portale del Sud nel giugno 2012 |