Pulcinella, una maschera
per l'Europa
Articoli
tratti in occasione della
mostra dell’artista napoletano
Salvatore Nuzzo
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Pulcinella di Salvatore Nuzzo |
Pulcinella, maschera
per l’Europa
di Carlo Roberto Sciascia
Per un artista è veramente stimolante
confrontarsi con la figura di Pulcinella, maschera
napoletana che in sé accoglie un bouquet di elementi
che la rendono unica e, per ciò, “una maschera per
l’Europa”; essa, infatti, racchiude non solo
l’essenza del popolo napoletano, ironico e
scanzonato, riflessivo ma non triste, innamorato e,
forse, sfrontato, furbo ma credulone, filosofo ma
pratico, ma anche di quello europeo con le variegate
sfaccettature e tipicità.
Salvatore Nuzzo la descrive vivace
con il suo fascino ed i suoi enigmi, vera nelle
inclinazioni più inafferrabili e sorprendenti del
suo carattere, mitica con il suo ampio camicione
bianco, istintiva e naturale come i napoletani;
nelle sue opere, però, l’artista riesce a mettere in
evidenza i legami intercorrenti fra la psicologia di
tutte le genti e la maschera polivalente, vista e
studiata come simbiosi emblematica di un’intuizione
individuale capace di trasformarsi in modello per
l’intera comunità.
L’iter, che Nuzzo intraprende, si
dipana tra metamorfosi e trasfigurazioni, linguaggi
accattivanti e tradizioni per descrivere un
uomo-maschera irriducibilmente fedele a sé stesso,
procedendo in un percorso scandito dagli assunti
tipici attinti dal repertorio stratificato nei
secoli, ribadito e rinnovato dall’immaginario
collettivo fino all’attuazione di esiti
raffigurativi della stessa contemporaneità.
È, infatti, questo il giusto
atteggiamento in grado di produrre una “sistemazione
formale” di Pulcinella, erede di una tradizione
culturale stratificata e complessa distintiva di un
popolo, che successivamente si avvale di un “filtro”
filosofico e di spontanee riflessioni per tracciare
la maschera sullo sfondo di un complesso colmo di
concretezza e lirismo.
Salvatore Nuzzo si addentra in un
discorso gestuale che racconta l’umanità dietro la
maschera immutabile nel tempo, non pronunciando
giudizi ma partecipando con il segno alla logica
genuina degli atteggiamenti plastici ed articolate,
imprevedibili e referenti; egli con i chiaroscuri
nei disegni, con la movenza ed il portamento nelle
ceramiche, con la
imperturbabilità dei cromatismi nei
dipinti esalta l’eccezionale furbizia capace di
risolvere i più disparati problemi, mentre riassume
ed esprime ogni realtà sia essa brutta o bella,
meschina o eroica, in un inarrestabile desiderio di
rivincita supportata da una inesauribile voglia di
vivere, stigmatizzata da un opportunismo quasi
fisiologico che mette in crisi qualsiasi ideologia
umana: la sua vitalità appartiene ad una categoria
universale, comune a tutte le culture e intrinseca
ad ogni ideologia.
Pulcinella è certamente una maschera
antichissima, che molti storici collegano con il
Macchus atellano; di sicuro, però, l’apice della sua
fama la raggiunge nell’800 con Antonio Petito,
entrato in simbiosi con il personaggio, tanto da
caratterizzarne definitivamente la sua evoluzione
successiva.
La Pro Loco di Caserta è, perciò,
felice di poter accogliere nel suo salone di
rappresentanza
una mostra delle opere di Salvate
Nuzzo dedicata alla maschera più popolare del mondo
che presto sarà ospitata nel Museo di Pulcinella ad
Acerra.
“Pulcinella, maschera per l’Europa” è
il titolo dell’esposizione perché essa è stata
esportata con il nome di Mr. Punch in Inghilterra,
Polichinelle in Francia, Petruska in Russia, Don
Cristobal in Spagna, Punk in Olanda, Kaspar in
Germania e, per certe similitudini, Vitez-Lazlo in
Ungheria; in tutti questi Paesi la maschera è
accomunata, oltre che da sensibili similitudini
drammaturgiche, anche e soprattutto dal suono
identico della sua voce dal timbro stridulo
(ottenuto mediante l’uso di una specie di corda
vocale artificiale, detta pivetta, che il
burattinaio posiziona in prossimità della gola,
nella zona velare).
La visione di Nuzzo non altera la
forza del personaggio, ma ne conserva intatta nel
tempo la sua caratteristica più “nobile” ed
originaria; l’artista con maestria ne tratteggia il
volto tra lo scanzonato ed il meditabondo, sempre
pronto a proporre una filosofia popolare quanto
incisiva.
Francesco Giaquinto
Presidente della Pro Loco di Caserta
Pulicenella sapìte che dice?
Ca paese significa munno.
Sape sulo ch'è largo e ch'è tunno;
E nun tene pariente nè amice.
Dice: “ ‘O cunto purtatel' a me ”.
Pulecenella sapìte che è?
Perepè ... perepè ... perepè.
(Eduardo De Filippo, Il paese di
Pulcinella, 1951)
Pulcinella, la maschera più famosa
nel mondo, è soltanto un perepè perepè perepè. Cioè,
Pulcinella è tutto e niente, è vivo ed è morto, è
ricco ed è povero, è furbo ed è ingenuo, è saggio ed
è stolto, è ... Pulcinella è indefinibile!Eppure
Pulcinella nasce e i suoi natali sono innumerevoli.
Pulcinella vede la luce in teatro per
opera del capuano Silvio Fiorillo, che fu interprete
del Capitan Mattamoros. Pulcinella è stato
anche l’erede di Maccus.
Per i classicisti, a
partire dal XVIII secolo, la maschera napoletana ha
rappresentato il perdurare in Campania della
tradizione comica delle antiche Fabulae Atellanae.
Ma Pulcinella nasce
anche dall’uovo e da una chioccia che lo cova. Egli
è un piccolo pulcino. Polliciniello Pulcinella ha
perciò gli occhi tondi, il naso da gallina e la
strana voce stridula comune ai Pulcinelli italiani e
stranieri, specialmente se burattini. Pulcinella,
infine, non nasce a Napoli. Nasce in provincia, ad
Acerra, in quella parte della Campania Felix
definita come Antica Liburia o Terra di
Lavoro: il lavoro dei campi e dei contadini, che
aravano le messi e producevano le cibarie per
i napoletani.
E poi Pulcinella va a Parigi alla
corte del Re e diventa Polichinelle. Va a
Londra e diventa Punch. Va a Mosca e diventa
Petruska. Va a Istanbul ed è Karagoz.
Va a … e Salvatore Nuzzo lo insegue,
lo cattura, non lo molla. È tutt’uno, questo
artista, con la maschera. Egli, spaziando
sapientemente tra immaginazione e memoria
folcloristica, a suo modo ci delinea un Pulcinella
dai tratti ora incantati, ora ingenui, ora
grotteschi, ora popolari, ora drammatici, ora
comici, ora raffinati. Salvatore Nuzzo ci offre un
Pulcinella indefinibile nella sua reale identità,
proprio come accade nella tradizione. Eppure questo
indefinito Pulcinella balla, danza, saltella, canta,
si commuove e piange a ridosso della sua casa di
Acerra, ma anche in luoghi indefiniti e indefinibili
del mondo.Non a caso in alcune opere Salvatore Nuzzo
ha scelto di maneggiare l’oro zecchino delle sfoglie
per ricoprire bassorilievi e sculture.Ha giocato,
così, con i colori antichi e con il trucco di una
luce, che non si perde nei colori e non si scompone
nell’arcobaleno: una luce, al contrario, che si
riflette pura e incontaminata nell’oro come nello
specchio. È così bella questa luce che entra nella
scultura e riemerge trionfante e splendente senza
perdersi e morire nella materia.
Proprio per questo nelle opere di
Salvatore Nuzzo si susseguono tutte le immagini di
un Pulcinella – Mito, che resta immortale e trionfa
su tutto.È come la luce, che si riflette nell’oro,
non si perde nella materia e neppure nel tempo.
Li attraversa invincibile.
Tommaso Esposito
Direttore del Museo di Pulcinella
Pulcinella nel
segno/sogno di Salvatore Nuzzo
di Vanni Ronsisvalle
Nel 1841 a Londra, da una tipografia
di Fleet Street, Joseph Last licenziò, nel senso che
avviò alla diffusione in pacchi destinati a
raggiungere ogni luogo dell’Inghilterra dove
vivessero potenziali lettori, le prime copie di
Punch. Pubblicazione dal formato esattamente la metà
degli odierni tabloid scandalistici che in
Gran Bretagna prendono preferibilmente di mira la
Famiglia Reale. L’obiettivo di Punch cioè di Last e
di pochi suoi sodali era subito dichiarato, anzi
strillato nel sottotitolo di copertina: a
defender of the oppressed and radical scorge of all
authority, che non è di poco presuntuoso.
Ma ebbe subito un grandissimo
successo: disegni e testi in quella chiave satirica
stralunata e ad un tempo concretissima, l’humor
sottile e tragico che avrebbe fatto la fortuna di
Dickens e Thackerhay, scivolarono così bene nella
percezione collettiva degli inglesi che non poterono
più farne a meno come del the e dei muffin
a una certa ora del giorno. Le vittime più
caricaturate e derise furono dell’importanza
politica e sociale di un Robert Peel e di Disraeli.
Pochi anni dopo, 1849, i redattori di
Punch si dettero un disegno di copertina che sarebbe
rimasto tal quale sino al 1956. L’autore, Richard
Dayle, assegnò un volto, un corpo, un abito ed un
paio di segni particolari a Punch; gli mise di
fronte più che ai piedi – cioè non sottomesso ma
collaborativo - un Cane Barbino adorno di cappellino
e nastri. Tra i due uno scudo con il motto araldico
già noto come sottotitolo: a defender of the
oppressed …
Che differenza vi è tra Richard Dayle
e Salvatore Nuzzo, a parte i quasi centocinquanta
anni che separano le loro carriere di artisti? O
piuttosto, che cosa vi è di diverso nel soggetto
disegnato e ricorrente in ambedue (Dayle in realtà
vi lavorò una sola volta, Nuzzo a conti fatti da una
vita)? Il soggetto, così burocraticamente e
antropologicamente individuato è lo stesso. Punch
è la versione inglese di Pulcinella; come lo è per i
francesi Pollichinelle … Pulcinella è un
prototipo anche se relativo, ha natali millenari
poiché in principio era il Maccus plautino e
via così.
Non è la genealogia stranota di
Punch/Pulcinella che ci riguarda. Di più
l’iconografia, immensa e di autori eccellenti; ma
soprattutto il suo collocarsi diverso
nell’immaginario di chi ne è attratto per coglierne
infallibilmente lo spirito del tempo. Callot che nel
‘500 disegna Pollichinelle (come lo vidi al
Museo Massena di Nizza in una magnifica mostra negli
Anni Ottanta) attinge alle coscienze inquietate dei
francesi tra cattolici ed ugonotti – il ‘Parigi
val bene una messa’ di Enrico di Navarra – il
Punch di Dayle alla nascita, alla beatificazione del
capitalismo, del cinismo espresso dal
chi-si-aiuta-dio-lo-aiuta di Smiles (sottinteso:
ognuno si faccia gli interessi suoi ma sempre con i
puritani di Cromwell che lo sorvegliano); il
Pulcinella di oggi, ossia in questo svoltare nel
terzo millennio del Sistema Italia, è per noi quello
di Salvatore Nuzzo. Già da molti anni Salvatore
Nuzzo – pittore, disegnatore, scultore, ceramista -
lo ha preso sottobraccio (o viceversa) e i due –
l’artista e la maschera - non si sono più lasciati.
Di quanto è accaduto in questa liaison veramente
monogama ci facciamo un’idea in questa composita
mostra dove è presente non soltanto la
weltanchaung che anima l’artista in sinergia
perenne con il suo modello, ma l’evoluzione del
tratto, delle forme, delle materie in cui lo ritrae
di pari passo alle sue finalità; per cui lo sfumato
del disegno a carboncino attinge ora all’evocazione
del rapporto luce ed ombra a vantaggio della prima,
ora all’umor nero, al tetro di cui sono prodighi i
tempi in cui viviamo.
Se Nuzzo e Pulcinella non si sono più
lasciati, possiamo concludere con il … e vissero
felici e contenti … della favola? Non lo so.
Questa compresenza per l’artista, così assoluta e
coinvolgente poteva diventare un incubo. Una specie
di golem incombente con il quale
quotidianamente (il quotidiano di un artista è
incommensurabile) fare i conti. Bisognerebbe
chiederlo a Nuzzo.
A giudicare dal bel risultato delle
sue opere in generale, e di cui testimoniamo quelle
qui esposte, possiamo ancora una volta confermarci
che gli abbia dato, gli dia tuttora tanta felicità
inventiva nel fare arte. Tanto più vera quando
decolla da un dato storico, radicato persino
nell’antropologia dei costumi. Il Punch di
Dayle, l’ottocentesco Pulcinella inglese, ha due
gobbe, il pancione, un naso lungo e bitorzoluto e
sprigiona la consapevolezza della ridicolaggine del
mondo di cui si alimenta il suo flusso satirico, a
cominciare da se stesso. Il Pulcinella di Nuzzo, in
questi Anni Duemila, ha assunto i caratteri di un
Pierot lunaire, è misterioso e malinconico senza
essersi disarmato della sua storica vocazione al
dileggio correttivo dei costumi. Perchè fa leva sul
sentimento; per dirla semplicemente il Pulcinella di
Nuzzo esprime l’avversione per la temperie rozza,
volgare, consumistica, politicamente ingannevole dei
nostri tempi anche con il romanticismo.
Antifolcloristico, respira in un non-luogo.
Su tutti i Punch, i Pollichinelle, gli
stessi Pulcinella immortalati dagli artisti che lo
hanno preceduto nel cimentarsi con la più grande
maschera italiana, il Pulcinella di Nuzzo ha un di
più di intrigante, di struggente: la poesia. Una
corda che vibra sia che lo dipinga sia che lo
disegni, lo scolpisca, lo ‘traduca’ nel luccicore
delle sue statue in ceramica questa è l’unicità
identificativa dell’ancor giovane maestro di Acerra,
concittadino fiero del suo eroe. Il suo Pulcinella,
un solitario meditativo, sprovvisto anche della
compagnia di un Cane Barbino e (quintessenza
dell’umanità) felice-infelice. Pulcinella per
sempre. |
Porto con me la maschera del mondo
articolo liberamente tratto di Ulisse,
rivista di bordo dell’Alitalia, di
Maurizio Scaparro,
il regista che ha reinventato il grande Carnevale di
Venezia.
“Pulcinella non è soltanto la Maschera della commedia meridionale italiana. Pulcinella può essere maschio o femmina, ricco o povero, giovane o vecchio, aristocratico o popolano, ozioso o attivo, imbroglione o galantuomo, intelligente o cretino, finto intelligente, finto cretino, elegante o trasandato, cinico o sentimentale, brigante o guardiano di monache, soldato disertore o eroico aiutante di campo d'Orlando Paladino.
Pulcinella non è un uomo con nome e cognome; Pulcinella è un popolo. Il suo principe è il bisogno. Egli deve, disperatamente, soddisfarlo...
Pulcinella ha perfino previsto lo Zanni sentimentale e poetico moderno di Charlot o di Buster Keaton, e lo scemo assurdo creato dai nostri comici moderni...
L'interesse mostrato dai teatranti d'avanguardia della Commedia dell'Arte per la estrosissima Maschera nacque dalla natura surreale di certe sue invenzioni improvvise, nella libertà. .. Tutte le trovate futuriste, dadaiste, surrealiste, furono anticipate da Pulcinella, primo personaggio avanti lettera dell'avanguardia, dell'estremismo, della rivoluzione antiaccademica”.
Pulcinella entra nei miei primi ricordi teatrali dell'infanzia di non napoletano, quando restavo con il naso all'insù davanti al burattinaio del Gianicolo, in una Roma che dava più spazio di oggi alle fantasie ed al libero divertimento dei bambini.
C'entra subito come "mazziato" (perché cornuto non sapevo ancora cosa significasse) e per la sua capacità sorprendente di reagire dopo ogni bastonata, più scanzonato di prima. Certo non allora, ma subito dopo, quando ho iniziato ad essere spettatore di teatro, e poi critico ed infine regista, ho conquistato anch'io come tanti la profonda convinzione che il Pulcinella identificasse un particolare modo di concepire il Teatro, strettamente legato alla piazza ed alla sua area di libertà, alla provocazione, all'amore così poco ricordato nel Palazzo.
Oscilla tra feste e solitudine questo Pulcinella che porto nel cuore da tanti anni, assieme ai frammenti di ricordo di tanta vitalità teatrale napoletana, uno per tutti quel Carosello napoletano di Ettore Giannini, che mi piace ricordare oggi con quella emozionante sequenza della morte di Petito.
Poi sono arrivati i debiti personali, come regista. A Pulcinella devo molto della malinconia del mio Don Chisciotte e delle astuzie contadine di Sancio Panza e della utopica follia di entrambi. A Pulcinella devo alcune delle giornate più belle della mia esperienza di Direttore della Biennale di Venezia negli anni Ottanta, quando Napoli seppe inventarsi, dentro il mio Carnevale del Teatro, una fantastica ed irripetibile invasione di mille e mille Pulcinella nella laguna, mentre la Biennale apriva contemporaneamente le porte dei vari Teatri a esempi alti (per molti critici e spettatori europei sorprendenti) della drammaturgia napoletana.
A Pulcinella devo il piacere che mi ha dato costruire lo spettacolo sul testo di Manlio Santanelli (da un soggetto inedito cinematografico di Roberto Rossellini) con Massimo Ranieri protagonista e l'emozione di averne verificato la straordinaria vitalità senza frontiere, da Napoli a Broadway a Parigi.
Quando Roberto Rossellini fa dire a Fracanzani "devo andarmene via, via da questa Babilonia infame" sente la necessità di ribadire ragioni che nei vari anni, nelle varie epoche, nelle varie storie d'Italia hanno stimolato il viaggio. La fuga verso un luogo sognato "altro" che poi, spesso, torna ad essere quello da cui si parte. Così è stato per Michelangelo Fracanzani, quando lascia Napoli per passare per Roma ed arrivare poi a Parigi; così è stato per tanti comici della Commedia dell'Arte che hanno fra l'altro contribuito a fare grande l'Europa.
A Pulcinella "maschera del mondo" sono anche legati ricordi di alcune giornate che ho ideato a Napoli per suggerire testimonianze e ricordi, ricchi e poveri, frammenti di grandi stagioni, come quella che nacque a Napoli attorno al Pulcinella di Stravinskij e che ha visto riuniti in una irripetibile occasione coreografi, ballerini e studiosi che, dopo la prima rappresentazione nel 1920 con le coreografie di Massine e le scene di Picasso, hanno compiuto nuove e significative esperienze, o l'incontro delle voci sperse nel mondo del Teatro da strada legato a Pulcinella e che attraverso l'arte o il mestiere (il confine non lo
segniamo noi) dei guarattellari trasmettono nei secoli il mito e il fascino della grande Maschera napoletana. A Pulcinella infine è strettamente legato quel mio Don Giovanni raccontato e cantato dai Comici dell'Arte che ha, come servitore di Don Giovanni, uno straordinario Peppe Barra nelle vesti di Pulcinella, spettacolo che gira ancora con successo in Europa.
A osservarlo bene, il Pulcinella teatrale che ho avuto modo di conoscere dal Gianicolo ad oggi presenta una qualità che può non apparire in superficie immediatamente: la dignità.
La dignità di una Maschera e, credo, dell'essere napoletani; e anche, spero, della nostra condizione di gente di Teatro. Dignità che mi fa ricordare una battuta che mi è cara e che Rossellini fa dire al suo Pulcinella: “Comico sì, buffone mai”. |