Il 14 agosto 1861 per vendicare i loro quaranta morti
i soldati sabaudi uccisero 400 inermi. Un eccidio come quello delle
Fosse Ardeatine. Il sindaco oggi si batte perché alla città sia
riconosciuto lo status di "martire". E promette: se l'esercito
chiede scusa, invitiamo la loro fanfara a suonare come atto di
riconciliazione. |
Signor presidente della Repubblica, signori
ministri, autorità incaricate delle celebrazioni del
centocinquantenario, questa storia è per voi. Non voltate
pagina e ascoltate il racconto di questo soldato, se credete
al motto "fratelli d'Italia" e tenete all'onestà della
memoria sul 1861, anno uno della Nazione. |
"Al
mattino del giorno 14 ricevemmo l'ordine di entrare nel paese,
fucilare gli abitanti, meno i figli, le donne e gli infermi, e
incendiarlo. Subito abbiamo cominciato a fucilare... quanti
capitava, indi il soldato saccheggiava, ed infine abbiamo dato
l'incendio al paese, di circa 4.500 abitanti. Quale desolazione...
non si poteva stare d'intorno per il gran calore; e quale rumore
facevano quei poveri diavoli che la sorte era di morire
abbrustoliti, e chi sotto le rovine delle case. Noi invece durante
l'incendio avevamo di tutto: pollastri, pane, vino e capponi, niente
mancava". Olocausto firmato dagli Einsatzkommando? No, soldati
italiani, al comando di ufficiali italiani. E il villaggio non sta
in Etiopia ma in Italia, nel Beneventano. Il suo nome è
Pontelandolfo. Massacro a opera dei bersaglieri, data 14 agosto
1861, meno di un anno dopo l'ingresso trionfale di Garibaldi a
Napoli. Pontelandolfo, nome cancellato dai libri perché ricorda che
al Sud ci fu guerra, sporca e terribile, e non solo annessione.
Andiamoci
dunque, luogotenente Cariolato, per capire cosa accadde; perdiamoci
nel labirinto di strade sannitiche già ostiche ai Romani, e saliamo
verso quel promontorio di case, in un profumo ubriacante di ginestre
e faggete secolari. Penso a un viaggio nella storia e invece mi
trovo immerso in un oggi che scotta, davanti a una giunta comunale
che aspetta, sindaco in testa. Delegazione agguerrita, di
centrosinistra, schierata per avere giustizia. Raccontano, come di
cosa appena accaduta. C'è una rivolta, alla falsa notizia che i
Borboni sono tornati. Scattano regolamenti di conti con due morti, i
briganti scendono dai monti, il prete suona le campane per salutare
la restaurazione. Un distaccamento di bersaglieri va a vedere, ma
nella notte vengono aggrediti da una banda in un paese vicino e
lasciano sul terreno 41 morti. Ci sono buoni motivi per pensare che
il responsabile sia un proprietario terriero, impegnato in un
subdolo doppio gioco: eccitare le masse per poi invocare la mannaia
e rafforzare il suo status. Ma non importa: si manda una spedizione
punitiva con l'incarico di "non mostrare misericordia", e
alla fine si contano 400 morti. Morti innocenti perché gli assassini
si sono dati alla macchia.
Quattrocento
per quaranta. Dieci uccisi per ogni soldato, come alle Fosse
Ardeatine. Oggi a Pontelandolfo c'è solo un monumentino con tredici
nomi e una lapide in memoria di Concetta Biondi, violentata e uccisa
dai soldati. Mancano centinaia di nomi, scritti solo nei registri
parrocchiali. Il sindaco: "A marzo siamo stati finalmente
riconosciuti come "luogo della memoria". Ma non ci basta: vogliamo
essere "città martire" e che questo nome sia scritto sulla
segnaletica. Vogliamo che l'esercito riconosca la sua ferocia. Lo
dico al ministro: se i bersaglieri chiedono scusa, noi invitiamo
ufficialmente le loro fanfare a suonare in paese come atto di
riconciliazione. I nostri e i loro morti vanno ricordati insieme. Io
ho giurato sulla fascia tricolore. Voglio dar senso alle
celebrazioni, e non lasciare spazio ai rancori anti-unitari".
Renato Rinaldi è un ex ufficiale di marina che si è tuffato in
quelle pagine nere. Anche lui ha giurato sul Tricolore e anche a lui
pesa il silenzio del Quirinale di fronte a vent'anni di lettere
miranti al "ricupero della dignità del paese". Mi spiega che i
bersaglieri erano agli ordini di un generale vicentino - vicentino,
sì, come il mio buon Cariolato - di nome Pier Eleonoro Negri. E
anche qui c'è silenzio. L'Italia non fa mai i conti col suo passato.
Nessuna risposta da Vicenza alla richiesta di dedicare una via a
Pontelandolfo o di togliere la lapide celebrativa del generale
sterminatore.
Cielo limpido
sulle verdissime foreste del Sannio. Perché si parla di Bronte e non
di Pontelandolfo? Perché sono rimasti nella memoria gli errori
garibaldini e non gli orrori savoiardi? E che cosa si sa della
teoria dell'inferiorità razziale dei meridionali - infidi, pigri e
riottosi - impostata da un giovane ufficiale medico piemontese di
nome Cesare Lombroso, spedito al Sud nel '61 e seguire la cosiddetta
guerra al brigantaggio? Che "fratelli d'Italia" potevano esistere se
mezzo Paese era "razza maledetta" dal cranio "anomalo", condannata
all'arretratezza e alla delinquenza? Leggo: "Dio, che cosa
abbiamo fatto!", parole scritte nel '62 da Garibaldi in merito
allo stato del Sud. Lettera alla vedova Cairoli, che per fare
l'Italia - un'altra Italia - gli ha dato la vita di tre figli e del
marito. Non si parla dei vinti. E senza i vinti le celebrazioni sono
ipocrisia. Che fine ha fatto per esempio Josè Borjes, il generale di
cui mi ha parlato Andrea Camilleri? Parlo dell'uomo che sempre nel
'61, quasi da solo, tentò di sollevare le Sicilie contro i Savoia.
Perché non si dice nulla della sua epopea e del mistero della sua
morte? Perché non si riconosce il valore di questo Rolando che
galoppa verso una fatale Roncisvalle dopo essere sbarcato con soli
dodici uomini in Calabria, alla disperata, sulla costa crudele dei
fallimenti, la stessa di Murat, dei Fratelli Bandiera, di Pisacane,
dei curdi disperati, dei monaci in fuga dagli scismi bizantini?
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Josè Borjès |
Ed ecco, in una sera straziante color indaco, arrivare
come da un fonografo lontano la voce di Sergio Tau,
scrittore e regista che ha dedicato anni alla storia del
generale catalano. "All'inizio degli anni Sessanta
feci un film sul brigantaggio post-unitario. Volevo fare
qualcosa di simile a un western, ma la pellicola non fu
mai trasmessa. Allora era ancora impossibile parlarne.
Ora vedo che la storia di Borjes può tornare fuori...
Filmicamente è grandiosa, con la sua traversata
invernale dell'Appennino". Ne terrà conto qualcuno?
Borjes punta sullo Stato pontificio, ma a Tagliacozzo
viene "venduto" da una guida traditrice ai bersaglieri,
che lo fucilano insieme ai suoi. "Conservate quel
corpo, potrete passarlo ai Borboni", dice un
misterioso francese e venti giorni dopo la salma è
consegnata alla guardia papalina, scende via Tivoli fino
al Tevere e al funerale nella chiesa del Gesù a Roma.
Poi c'è una messa per l'anima sua a Barcellona, ma del
corpo più nessuna traccia. Resta un suo diario,
stranamente in francese, lingua che lui non conosceva.
L'ha davvero scritto lui o l'hanno scritto i "servizi"
di allora, per occultare la repressione in atto? Il
giallo di una vita vissuta anch'essa, bene o male, alla
garibaldina.
Articolo tratto da La Repubblica del 27 agosto 2010
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