Le pagine della cultura

 


 

Pina Catino

Il Palmento di Bisceglie sec. XVII

(proprietà privata Famiglia Maria Consiglio)

Un museo all’aperto della civiltà contadina. Patrimonio della cultura di un territorio.

Questo manufatto sito a Bisceglie in contrada San Francesco è stato costruito tra il 1650 e il 1658, come riportato dalle incisioni su pietra (scolatoio e arco rispettivamente)

con due saggi ivi presentati in occasione dell'incontro "Dieta mediterranea patrimonio dell'UNESCO"

Si ringrazia donna Maria Consiglio, per la sua nobiltà d’animo e dedizione al servizio per gli altri; mecenate dell’Arte ella è Socio fondatore e Consigliere del Club UNESCO Bisceglie.

Palmènto forma sincopata di PAVIMENTUM (PAV’MENTO, PAUMENTO, PALMENTO, con la trasformazione dell’AU in AL, Muratori, Antiq. Ital. III, 309) Luogo dove si pigiano le uve e per la fermentazione dei mosti (Devoto – Oli).

Restauro a cura del Maestro d'Opera Michele Muzio

Ubicato in Carrara San Francesco crocevia con via Pantano in Bisceglie, immerso in cinque ettari di vigneto e uliveto, il palmento fu realizzato nel 1650 dai coniugi Giovanna De Flore e Francesco Di Marco commerciante di sete e tessuti di Bergamo, per la lavorazione delle uve da vino, anche per conto terzi.

Contemporaneamente al palmento furono edificati a 100 metri in via Pantano, due locali rurali con cantina ipogea. Nel 1691 i signori Di Marco edificarono anche una chiesetta dedicata a san Nicola Vescovo.

Di Marco acquisì con il tempo per la sua notevole attività di vinificazione, il soprannome di molinari, che divenne poi un doppio cognome.

I suoi eredi decisero di chiamarsi solamente Molinari. L’ultimo erede Scipione Molinari, sposò la figlia del Sindaco di Giovinazzo Sagarriga –Visconti, che rimasta vedova, vendette nel 1747 tutta la proprietà ai fratelli Consiglio Francesco e Vito che erano sacerdoti e ad Angelo.

Alla fine del 1700 il comprensorio andò in eredità a Mons. Pietro Consiglio (1767-1839), Arcivescovo di Brindisi-Ostuni, figlio di Angelo, che ampliò la costruzione edificando una villa patrizia con giardini, viali, tempio… Dal 1973 il tutto è passato in eredità a donna Maria Consiglio, che inizia i lavori di restauro riportando tutto all’antico splendore, perché durante il secondo conflitto mondiale tutto aveva subìto notevoli danni.

Mole del Palmento

Nel 2002 nella giornata della cultura indetta dall’Archeoclub d’Italia sez. di Bisceglie, fu inaugurato il palmento. Il restauro è stato condotto dai maestri d’opera Michele Muzio che fu premiato con medaglia d’oro dal Sindaco Francesco Napoletano, dal maestro del ferro sig. Giuseppe Papagni e dal decoratore prof. Vito Sette che ha restaurato anche l’edicola della madonna del Buon Consiglio, patrona del casato.

Palmento, Madonna del buon Consiglio restaurata dal prof. Vito Sette

Tetto del Palmento lastricato da lapilli di mare della costa biscegliese

Dieta mediterranea patrimonio dell'UNESCO

al Palmento di Bisceglie

Nell’ambito della celebrazione della dieta mediterranea, il Club UNESCO di Bisceglie ha organizzato il 3-4 settembre 2011 presso il Palmento di Bisceglie due giornate dedicate al vino, quale alimento importante nella dieta stessa. L'incontro, "Dieta mediterranea patrimonio dell'UNESCO".

Bisceglie, Palmento, 3 sett. 2011. Da ds la piccola attrice Annamaria Ceci, poeta Salvatore Memeo, Pina Catino Presidente Club UNESCO Bisceglie, ND Maria Consiglio-Nacci, Vicepresidente Consiglio Comune di Bisceglie dott Domenico Storelli, dott Michele Nacci, Nicolantonio Logoluso presidente Soc. Operaia Mutuo Soccorso "Roma Intangibile" dr Mauro Dell'Olio Presidente LIONS Club Bisceglie.

Nel frame sottostante si possono visualizzare, in formato pdf, il Comunicato Stampa del Club UNESCO di Bisceglie  e i saluti e ringraziamenti dell'Amministrazione comunale.

Nel prosieguo della pagina si riportano due saggi agli atti dell'incontro.

visualizza il comunicato stampa

visualizza i saluti del Comune di Bisceglie

Particolari iscrizioni sul Palmento

Dieta mediterranea patrimonio dell'UNESCO

al Palmento di Bisceglie

dott. Michele Nacci

Vigne e vini della Puglia antica

Nell’ambito della celebrazione della dieta mediterranea, il Club Unesco di Bisceglie ha organizzato una giornata in data 3 settembre 2011 dedicata al vino, quale alimento importante nella dieta stessa. Il programma prevede una visita guidata ad un palmento del ‘600 sito nell’agro di Bisceglie, quale testimonianza di archeologia agro-industriale dell’epoca, a conferma dell’importanza della vitivinicoltura nel panorama agricolo ed economico.

Prima della visita al palmento, è interessante inserire questo manufatto nel sistema agrario dell’epoca e ripercorrere brevemente le tappe più importanti della vitivinicoltura in Puglia partendo dalle origini. La Puglia geograficamente si può dividere in 3 zone:

  • a Nord la Daunia, (compresa tra il Tiferno a Nord e l’Ofanto a Sud), che era abitata dal popolo dei Dauni, caratterizzata da un terreno ricco di corsi d’acqua, a volte paludoso, costituita da pianure e basse colline;

  • la zona centrale, l’attuale Terra di Bari, era invece abitata dai Peuceti: territorio ricco di boschi, pietroso e privo di corsi d’acqua;

  • il Salento, abitato dai Messapi: pianeggiante e poco fertile a causa dello scarso manto di terreno coltivabile che poggia su tufi.

Anche se si fa risalire l’origine della vitivinicoltura ai coloni greci, giunti in Italia nell’VIII sec. a.C., molto probabilmente la vite era già presente in Puglia. Non si sa con certezza se queste popolazioni autoctone coltivassero la vite solo per raccogliere e mangiare le bacche o anche per produrre il vino.

E’ certo che i fondatori della Magna Grecia diedero uno sviluppo notevole alla vitivinicoltura, come oggi noi la intendiamo: coltivazione e allevamento della vite e trasformazione dell’uva in vino. Tutto questo è confermato da numerosi reperti archeologici rinvenuti nel territorio, soprattutto a Taranto e Ruvo di Puglia (museo Jatta).

I greci già conoscevano la Vitis Vinifera Sativa (domestica) e trovando in Puglia le condizioni pedo-climatiche favorevoli (terreni sciolti, clima mite con inverni piovosi ed estati calde e asciutte), ne attuarono un’ampia diffusione adottando raffinate tecniche agronomiche, come per esempio il sistema di allevamento a “ceppo isolato”, l’alberello. In tal modo la pianta prende tutto il sole possibile, sfruttando al massimo la fertilità del terreno, senza competizione con altre piante.

Il vino diventa una importante fonte di ricchezza per la Magna Grecia, la cui fortuna si basava proprio sugli scambi commerciali delle derrate alimentari con la madre patria.

Particolare mole del Palmento

Nel 272 a.C. Taranto viene sconfitta da Roma e perde l’indipendenza diventando provincia: la civiltà greca inizia a tramontare. Ma dopo l’89 a.C., quando tutta l’Italia viene unificata da Roma, viene attuata una vera e propria politica economica centralizzata che tiene conto delle esigenze generali dell’impero e che tende a massimizzare le produzioni agricole, sfruttando al meglio le vocazioni colturali dei vari territori.

In Puglia si adottano questi indirizzi produttivi: nel Salento si incentiva la coltivazione dell’ulivo e nelle zone meno fertili della vite; nella Peucezia l’ulivo e la vite; nella Daunia la zootecnia.

Probabilmente con i romani la diffusione in Puglia diminuisce, ma nel contempo si procede ad una selezione e razionalizzazione dei vitigni e ad una loro ridistribuzione in base alle caratteristiche pedo-climatiche dei territori, al fine di ottenere una massimizzazione delle rese produttive.

In epoca romana la viticoltura si concentra nella zona costiera della Capitanata, della Terra di Bari, Taranto e Brindisi.

Infatti i vini pugliesi sono molto apprezzati e famosi: il Canusium, i mera Tarentina, i Brundusium, i Babia.

Con la caduta dell’Impero Romano saranno i monaci Basiliani a preservare l’agricoltura, disboscando e dissodando i terreni per piantare soprattutto ulivi, ma anche la vite sulle coste ioniche e adriatiche.

Dopo l’anno 1000 con le crociate la viticoltura ebbe un discreto impulso: Brindisi diventa il porto da cui partivano i Crociati e tutti i vettovagliamenti tra cui anche il vino.

Nel 1200 con Federico II vengono introdotti nel territorio del Castel del Monte i vini bianchi vesuviani.

Nel periodo angioino si istituiscono importanti fiere commerciali, come la fiera di Gravina e la “fiera pessima” di Manduria.

Per regolamentare la coltura della vite, nel XIII sec. Andrea da Bari fissa le regole di diritto, data l’importanza economica della viticoltura. Anche un altro famoso giureconsulto barese Sparano, nella raccolta di Consuetudini, fissa le norme per la compravendita del vino.

Nel periodo rinascimentale il vino pugliese gode di un buon apprezzamento commerciale: viene esportato a Venezia, Firenze, Roma, in Medio Oriente e anche in Francia.

Situazione nel XVII sec.

Vediamo la situazione vitivinicola in questo periodo in quanto è l’epoca in cui è stato edificato il palmento oggetto della visita guidata.

L’agricoltura, secondo una relazione del monaco Pacichelli commissionata dai Borbone, è piuttosto variegata: cereali, ulivo, vite, legumi, aranci. Sicuramente la coltura più diffusa, perché più redditizia è l’ulivo. La seconda è la vite concentrata nelle province di Bari, Brindisi e Lecce e in preferenza nelle zone collinari.

Dal tardo ‘500 si registra un incremento della viticoltura anche per ragioni climatiche: un aumento dell’inaridimento del clima rende poco remunerative alcune colture, come la stessa cerealicoltura. Pertanto viene incentivata la viticoltura: terreni demaniali, che non si riescono più a dare in affitto, vengono venduti a basso prezzo (10 carlini/vigna) con l’impegno di chi compra a piantare vite.

Nel contempo aumenta il commercio e l’esportazione del vino soprattutto dal porto di Trani.

Il sistema di allevamento era quello cosiddetto “francese”, con le viti non appoggiate ad alcun sostegno, neppure ad altri alberi in modo che assorbissero tutta la fertilità del terreno.

Purtroppo a fronte di una tecnica di coltivazione di buon livello, corrisponde una tecnica enologica di basso livello: i vini prodotti non sono adatti all’invecchiamento e pertanto non si possono ottenere vini di qualità.

All’epoca esisteva ed esiste tuttora una netta differenza tra la viticoltura del Salento e quella della Terra di Bari.

Nel sud sono presenti i vitigni tradizionali: Negroamaro, Malvasia nera e bianca, Susumaniello (rosso) e Primitivo.

Nella Terra di Bari c’è una viticoltura più varia, anche se prevalgono i vitigni bianchi: oltre all’uva da tavola, i moscati di Trani e di Bitonto, lo Zagarese (nero) di Bitonto, il Bombino di Terlizzi, la verdeca di Gravina.

A Bisceglie, anche per la vicinanza con Trani, si confermano queste varietà, come riportato dal Pacichelli: “A Bisceglia veggonsi allo spesso le piazze di lei colme di olio, di mandorle, di frutti vari, di agrumi e de’ più dolci moscati secchi o zebibi.”

Nelle Murge (Minervino, Cisternino, Gravina ) vengono coltivati vitigni bianchi di pregio, oggi scomparsi tranne la verdeca di Gravina.

Nel ‘700 continua la diffusione della viticoltura, testimoniata dall’intenso traffico commerciale del porto di Trani. In questi anni si conferma come vino pregiato il Moscato di Trani, progenitore dell’attuale vino Doc. Si fa riferimento negli atti notarili oltre che alle “viti d’uva” pure alle “viti di moscatello”. Infatti il prezzo di tale vino era 2-3 volte più elevato di quello comune.

Il mosto ottenuto defluiva attraverso i canaletti e lo scolatoio nella cantina sottostante. La cantina rettangolare (m. 3,40x1.40) con volta a botte (altezza m. 1,70) ha una capienza di circa 4.000 lt. In questo locale avveniva la fermentazione del mosto in vino, che veniva successivamente trasferito in altre cantine. La cantina è accessibile tramite una scala in pietra di 8 scalini e larga m. 0.70.

Esso è costituito da due locali a livello del piano campagna e una cantina sottostante. Adiacente al locale della pigiatura, separato da un muro di 0,80 m, con al centro una finestra si presenta un altro locale che aveva funzioni tecniche (ricovero degli attrezzi e degli operai): rettangolare con superficie di 7mq, volte a botte con altezza di m. 2.30.

Nei pressi della facciata anteriore del palmento sono visibili due basamenti circolari in pietra con diametro di m. 1,40 e due relative cisterne. Questi manufatti erano adibiti alla torchiatura delle vinacce dopo che avevano subito la pigiatura nel vicino locale.

Nell’800 il governo borbonico istituisce in ogni provincia le “Società Economiche” che promuovono un miglioramento delle tecniche enologiche. Questo permette una ulteriore espansione della vitivinicoltura e soprattutto un miglioramento qualitativo nel Salento con la Lagrima e lo Zagarese.

Con l’Unità d’Italia si libera la terra, si forma una classe borghese che dà una svolta capitalistica alla viticoltura e all’agricoltura in generale.

Verso la fine del secolo in Francia i vitigni sono falcidiati dalla fillossera (insetto parassita). La conseguenza è un aumento della richiesta di vino su tutti i mercati che spinge gli agricoltori della Terra di Bari, del Salento a spiantare gli uliveti secolari per piantare nuovi vigneti.

E’ proprio in questo periodo che nascono i vitigni e l’industria enologica del comprensorio del Castel del Monte (da Bitonto ad Andria) ad opera di due famiglie con forte spirito imprenditoriale: Rogadeo e Jatta.

Le varietà più diffuse sono: Somarello, Uva di Troia, Bombino nero, Bombino Bianco e Pampanuto. Si produce per la prima volta in zona il vino rosato da Bombino Nero dall’azienda Rogadeo, che riceverà diversi riconoscimenti a livello internazionale.

Ma le relazioni commerciali con la Francia si interrompono: le esportazioni si bloccano, la Francia ha rinnovato i propri vigneti usando i portinnesti americani (resistenti alla fillossera) e il prezzo del vino crolla.

Questo è il periodo più nero per la vitivinicoltura pugliese: nel 1891 quasi tutta l’uva non fu raccolta e marcì sulla pianta perché il prezzo era troppo basso.

La situazione migliora leggermente grazie a nuovi accordi con l’Austria, la Germania e l’Ungheria, ma nel frattempo la fillossera arriva in Puglia con gravi conseguenze per la viticoltura.

Dal 1910 anche in Puglia si reimpiantano i vitigni su base americana, come in Francia.

L’altra importante novità è che si adotta un nuovo sistema di allevamento: si abbandona dopo secoli l’alberello a favore della “spalliera” più produttiva, che a sua volta sarà sostituita nel secondo dopoguerra dal “tendone” tuttora in uso.

Raccoglitore del mosto

In riferimento all’agro di Bisceglie, nel secondo dopo guerra la vinicoltura perde di importanza: la produzione di vino rimane limitata per il fabbisogno familiare. A conferma di ciò l’assenza di cantine di grosse dimensioni, che invece in questi anni sorgono nei paesi limitrofi, soprattutto su base cooperativistica.

Di contro certamente la viticoltura non scompare a Bisceglie, ma si specializza con i vitigni di uva da tavola come la Regina e l’uva Italia.

Questa trasformazione si giustifica per una maggiore redditività delle varietà da mensa, in quanto grazie alla maggiore velocità ed efficienza dei treni merci refrigerati, si aprono nuovi mercati al nord Italia e anche all’estero.

A tutt’oggi perdura questa realtà: una viticoltura orientata quasi esclusivamente all’uva da tavola.

Rif. Bibliografici

  • Storia del vino in Puglia, M. Vitagliano, Ed. Laterza

  • La Puglia dell’uva e del vino, V. Buonassisi, B. Del Monaco, C. Liuni, Ed. Laterza

  • D. Tupputi, Reflexions succintes sur l’etat de l’agriculture…”, Paris 1807

  • G. Palumbo, La vitivinicoltura a Molfetta nel XVI e XVII sec.

  • E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Ed. Laterza

Finestrella comunicante locale degli attrezzi con il locale della pigiatura delle uve

Dieta mediterranea patrimonio dell'UNESCO

al Palmento di Bisceglie

Dr. Mauro Dell’Olio

Vino, Alcool e dintorni, ovvero: la bevibilità sostenibile

Intervento tenuto nel corso dell’evento: La Dieta Mediterranea patrimonio mondiale dell’UNESCO - Dimora storica Consiglio-Nacci.

La mia non pretende di essere una rigorosa trattazione scientifica, bensì una dissertazione, documentata ma -spero- piacevole, per chi voglia trovare nel vino un piacere, un argomento di studio o semplicemente provi, verso questa antica ma sempre attuale bevanda, un sentimento di curiosità ed un desiderio di maggiore conoscenza.

Ed infatti cercheremo di dire “vino al vino”, partendo dalla sua storia, così ricca, e tessendone pregi, piaceri, curiosità ed ahimè difetti, ma cercando sempre di muoverci sapientemente nelle delizie enologiche, così attraenti ma comunque molto insidiose, soprattutto se si esagera.

Il vino resta la bevanda sociale preferita nelle occasioni tradizionali o nella dieta personale e proprio per questo è necessario che la sua diffusione sia gradualmente accompagnata da una sana e consapevole conoscenza sulle peculiarità positive e negative di questo prodotto.

Palmento, stanza degli attrezzi, particolare foglia di uva scolpita

Il vino è un alimento che da sempre fa parte della nostra cultura enogastronomica.

Il Vino è, insieme alla birra, una delle principali bevande alcoliche che si ottengono mediante il processo di fermentazione: viene prodotto dalla fermentazione del mosto d’uva, ovvero dell’uva diraspata, pigiata e preparata per il processo fermentativo che consiste nella trasformazione degli zuccheri contenuti nel mosto in alcool etilico. Il vino però, oltre all’alcool, contiene anche altre sostanze presenti in tracce quali i polifenoli, flavonoidi, antociani, tannini, zuccheri, glicerolo, sali minerali, vitamine, anidride carbonica ecc.

Pertanto, la sua, azione sull’organismo non è legata solo alla presenza di alcol etilico, per cui il suo valore nutrizionale deriva anche dalla presenza di questi micronutrienti.

Cercheremo, in definitiva, di delineare quell’ampio margine di piacere e, a volte, addirittura di benessere derivante dal vino, ma solo a condizione che ci si muova sempre nell’ambito di una “bevibilità sostenibile”…

Raccoglitore del mosto

Un po' di Storia

La storia del vino è un po' la storia stessa dell'umanità. Risulta quindi difficile tracciarne con precisione il corso: ogni civiltà, ogni impero, ogni vicenda politica e di potere ha avuto le proprie storie di vino, più o meno legate agli eventi stessi che hanno delineato il corso della storia.

Ogni popolazione ha tratto da piante, erbe e secrezioni naturali, attraverso la fermentazione, prodotti alcolici e analcolici, commestibili, permeando tutta la storia dello sviluppo umano. Bevande fermentate esistevano già nell’antica civiltà egizia e ci sono prove di un’antica bevanda alcolica in Cina intorno al 7.000 a.C. In India, una bevanda alcolica chiamata sura, distillata dal riso, era in uso tra il 3000 e il 2000 a.C. I Babilonesi adoravano una dea del vino all’inizio del 2700 a.C. In Grecia, una delle prime bevande alcoliche a conquistare la popolarità fu l’idromele, una bevanda fermentata fatta di acqua e miele. La letteratura greca è piena di ammonimenti contro il bere smodato.

Da notare i segni del tempo lasciati dal mosto sulle pareti nella cantina

Anche in Italia la vinificazione ha origini remote: l’Italia veniva chiamata Enotria proprio per questo.

Diverse civiltà degli Indiani d’America svilupparono bevande alcoliche nel periodo precolombiano: una varietà di bevande fermentate nella regione delle Ande, in Sud America, veniva creata da granoturco, uva o mele, ed era chiamata “chicha”

L’origine della vite e dove e quando si iniziò ad usare l’uva per la produzione del vino, sono problemi molto controversi, soprattutto per l’inestricabile mescolanza di mito e storia.

La Bibbia attribuisce a Noè la prima coltivazione: finito il diluvio, Noè cominciò a fare l’agricoltore e piantò una vigna; ne bevve il vino, s’inebriò e dormiva ignudo in mezzo alla sua tenda (Gen. 9, 20-21). Questo dimostra senza dubbio l’antichità della coltura della vite e della pratica della vinificazione.

Gli Egiziani furono maestri e depositari di tali tecniche. Con la cura e la precisione che li distingueva, tenevano registrazioni accurate di tutte le fasi del processo produttivo, dal lavoro in vigna alla conservazione. Ne abbiamo testimonianza dai numerosi geroglifici che rappresentano con grande ricchezza di particolari come si produceva il vino dei faraoni. Paradossalmente possiamo dire di sapere tutto e niente del loro vino, ovvero sappiamo come lo facevano ma non possiamo purtroppo sapere che sapore avesse!

Attraverso i Greci e i Fenici il vino entrò in Europa. I poemi omerici testimoniano ampiamente la presenza e l'importanza del vino: a Polifemo, ad esempio, viene propinato puro un vino che secondo le usanze dell'epoca veniva diluito con 16 parti di acqua! A quel tempo il vino si diffuse proprio in terre come l'Italia, la Francia e la Spagna che ne sarebbero diventate la patria.

All'epoca dell'Impero Romano la viticoltura si diffuse enormemente, raggiungendo l'Europa settentrionale. I più celebri scrittori non lesinavano inchiostro per elargire i propri giudizi e decantare le virtù dei vini a loro più graditi. Si scrisse tanto sul vino che oggi non è difficile ricostruire una mappa vinicola della penisola al tempo dei Cesari. Le tecniche vitivinicole conobbero in quei secoli notevole sviluppo: a differenza dei Greci, che conservavano il vino in anfore di terracotta, i Romani cominciarono a usare barili in legno e bottiglie di vetro, introducendo, o quantomeno enfatizzando, il concetto di "annata" e "invecchiamento". Fu a partire dal secondo secolo che si cominciò a dare importanza alla coltivazione della vite in Borgogna, nella Loira e nella Champagne.

Dimora storica nd Maria Consiglio, cantina ipogea

Nei secoli bui del Medioevo il potere assoluto della Chiesa influì fortemente sullo sviluppo della vitivinicoltura, così come sullo sviluppo di ogni altro campo della vita sociale e artistica. Il vino, ma soprattutto il buon vino, era ancor più sinonimo di ricchezza e prestigio e l'eccellere nella produzione di qualità divenne per alcuni ordini ecclesiastici quasi una ragione di vita. I Benedettini, diffusi in tutta Europa, erano famosi per il loro vino e per il consumo non proprio moderato che ne facevano.

Quando Bernardo, ex monaco benedettino, fondò nel 1112 l'ordine dei Cistercensi, fu dato ulteriore impulso al tentativo di produrre vini di alta qualità specialmente in Borgogna, obiettivo alimentato anche dalla forte competizione tra le abbazie.

Intanto Bordeaux fa storia a sé, dominata non dal potere ecclesiastico ma da interessi commerciali con l'Inghilterra, sempre più interessata al suo claret o chiaretto. Questo legame vinicolo tra Francia e Inghilterra, nonostante qualche peripezia, è destinato a durare nei secoli.

Si comincia a delineare fortemente in questi secoli il ruolo centrale della Francia nella produzione di grandi vini, ruolo che ormai da molto tempo ha cominciato a conoscere degni antagonisti, fra i quali l'Italia.

Gli ultimi secoli della nostra era sono stati testimoni di uno sviluppo straordinario delle tecniche vitivinicole. L'arrivo della cioccolata dall'America, del tè dalla Cina, del caffè dall'Arabia e la diffusione di birra e distillati nel XVII secolo, rese la vita difficile al vino, che perse il primato di unica bevanda sicura e conservabile. Questo ha spinto i produttori a cercare la migliore qualità per competere con i nuovi arrivati. L'evoluzione tecnologica nella lavorazione del vetro rese più facile la realizzazione di bottiglie adatte e la scoperta del sughero rese possibile condizioni di conservazione ideali.

Nella Champagne si cominciò a parlare di un monaco benedettino, Dom Perignon, famoso per il suo perfezionismo quasi maniacale e per il suo straordinario vino. Molti non sanno che l'obiettivo di Dom Perignon era quello di ottenere un vino perfettamente fermo, ma i suoi sforzi erano frustrati da un clima e da un terreno che facevano inesorabilmente rifermentare il vino nelle bottiglie rendendolo spumeggiante!

Nel XVIII secolo si consolidò la tendenza a produrre vini più intensi, scuri e fermentati a lungo. Cominciò ad affermarsi in questo contesto il porto come straordinario vino da lungo invecchiamento.

Intanto i grandi Chateau di Bordeaux continuavano a produrre vini di pregio per i loro migliori clienti, gli inglesi, che non hanno mai potuto contare su una produzione locale di quantità (e tantomeno di qualità).

Il XIX secolo ha vissuto la massima euforia vitivinicola. L'economia nazionale di molti paesi si basava sulla produzione di vino. Ma prima della fine del secolo, doveva abbattersi il grande flagello della fillossera, un parassita che colpisce le radici della vite europea. Quasi tutti i vigneti d'Europa andarono distrutti o furono gravemente danneggiati. La soluzione, non certo indolore, fu quella di ripartire da zero innestando la vite europea sulla radice americana immune alla filossera.

La rivoluzione industriale ha cambiato, negli ultimi decenni, il mondo del vino. Grazie alle tecniche di refrigerazione dei vasi vinari, paesi caldi come la California e l'Australia hanno cominciato a produrre vini eccellenti, grazie anche a uve di eccezionale qualità. Il Nuovo Mondo ha avuto la capacità, grazie alla mancanza di convenzioni e condizionamenti, di imparare in fretta e raggiungere risultati straordinari in pochissimo tempo.

Da alcuni anni sempre più aziende cominciano a lavorare sulla qualità, nonché sull'applicazione di criteri scientifici in fase di vinificazione. Così al fianco di Sassicaia, Tignanello e compagnia stanno sorgendo una gran quantità di vini eccellenti che nulla hanno da invidiare ai grandi vini francesi, californiani o australiani: il potenziale dell'Italia vitivinicola è immenso. D'altra parte i consumatori si dividono ancora in "bevitori" e "degustatori", i primi (ancora la maggioranza) affezionati al vino della casa e un po' incuranti della qualità, i secondi più consapevoli del fatto che il vino può essere un'opera d'arte.

Particolare cantina ipogea dimora storica nd Maria Consiglio

Vino e salute

1. I piaceri del vino

Cos’è il vino? Il vino è una soluzione idroalcolica di oltre 6000 microelementi e macroelementi, ottenuto per fermentazione alcolica totale o parziale del mosto d’uva o uva ammostata

Possiamo dunque trovare acqua nella percentuale dell’80-85% e a seguire:

Sostanze responsabili del colore

  1. Polifenoli, sostante tanniche e coloranti

  2. Vini bianchi: leucoantociani e catechine (15-20 mg/l)

  3. Vini rossi: antociani e tannini (200-500 mg/l)

Sostanze responsabili del profumo

  1. Aromi primari e varietali, ovvero i terpeni dell’uva (geraniolo, linaiolo, nerolo)

  2. Aromi secondari o di fermentazione (esteri, eteri, alcoli)

  3. Aromi terziari o di invecchiamento (esteri, eteri, aldeidi, chetoni, lattoni, acetali)

Sostanze responsabili del gusto

Dolcezza

  1. Zuccheri monosaccaridi esosi (glucosio, fruttosio)

  2. Zuccheri monosaccaridi pentosi (xilosio, arabinosio)

  3. Zuccheri disaccaridi (saccarosio)

Morbidezza

  1. Alcoli monovalenti (etilico, metilico, propilico)

  2. Alcoli polivalenti (glicerolo, mannitolo, sorbitolo)

  3. Alcoli superiori

Acidità

  1. Acidi pre fermentativi (tartarico, malico, citrico)

  2. Acidi post fermentativi (lattico, citrico, succinico)

  3. Acidi volatili (acetico)

Tannicità

  1. Tannini delle uve (catechici) 1-2 g/l

  2. Tannini del legno (gallici) 20-50 mg/l

Sapidità

  1. Sali minerali

Amaro

  1. Sostanze organiche ed inorganiche

  2. Sostanze di derivazione ossidativa

Vivacità

  1. CO2

Estratto secco

Vitamine

  1. In particolare C e gruppo B

Uva regina, del vigneto intorno al Palmento

2. Virtù terapeutiche

Solo agli inizi del ‘900 si è cominciato a prestare attenzione ad una ulteriore peculiarità di questo prodotto, ovvero le sue proprietà terapeutiche e curative. Hanno quindi cominciato a svilupparsi credenze, detti popolari ed usanze che attribuivano al vino virtù più o meno giustificate e che si sono conservate in questo secolo.

"Moderate quantità di alcool, consumate come vino durante i pasti, svolgono un’azione protettiva sul cuore e contribuiscono a prevenire le malattie cardiocircolatorie."

Questa notizia, oramai approvata e comprovata, fu trasmessa ufficialmente nel 1991 da un programma televisivo americano e causò un completo svuotamento di tutte le scorte di vino che gli scaffali dei supermercati avevano a disposizione.

L’uso moderato di vino in un soggetto sano è in grado di ridurre di oltre il 25% il rischio di cardiopatie. Ne sono un esempio gli Stati uniti, dove da una ricerca è emerso che i bevitori moderati vivono più a lungo degli astemi.

La tesi è poi documentata anche da quello che è stato definito il “French Paradox“, ovvero il “Paradosso Francese“.

In cosa consiste questa famosa espressione? I francesi conducono una dieta con alte concentrazioni di grassi, burro e formaggio, alimenti considerati ben poco salutari in dosi non corrette. Eppure, la percentuale di queste patologie è molto bassa, proprio grazie al diffuso consumo di dosi moderate di vino durante i pasti.

La spiegazione è stata ricondotta al resveratrolo contenuto nel vino, derivato dal contenuto naturale della pianta di vite (Vitis vinifera) proveniente dalle bucce degli acini. Il resveratrolo è una delle fitoalessine (composti fenolici con proprietà anche antifungine) presenti nella vite e nel vino, dove esistono diverse sostanze che sono mobilitate e prodotte dai tessuti per affrontare le infezioni batteriche e da funghi, nel caso della vite soprattutto l'oidio.

Particolari iscrizioni sul Palmento

In realtà è meno noto che questo polifenolo è estratto principalmente dal Polygonum Cuspidatum, una pianta che già gli antichi conoscevano e usavano per le sue proprietà lassative. Questo vegetale è diventato oggi molto importante e studiato, da quando si è scoperto che le sue radici contengono un’elevatissima concentrazione di resveratrolo, in quantità anche 400 volte superiori rispetto a quelle dell’uva e del vino.

In dosi moderate, è in grado di favorire una pulizia delle arterie abbassando il colesterolo cattivo che in eccesso si deposita sulle pareti e favorendo la diuresi, aumentando così la capacità del nostro organismo di espellere le sostanze tossiche. Azione anticolesterolemica è supportata anche dalla vitamina C presente, ovviamente, anche nella composizione chimica del vino.

Anche alcuni elementi minerali presenti nel vino hanno funzione protettiva dei vasi sanguigni e del cuore, soprattutto il magnesio, agendo come anticoagulante per la prevenzione della formazione di trombosi ed il potassio, in grado di conferire tonicità ed elasticità al cuore. Il silicio, invece, contribuisce a dare omogeneità alle pareti delle vene e delle arterie, mentre il cromo svolge una azione di prevenzione contro l’arteriosclerosi evitando l’accumulo di colesterolo.

Influssi positivi sono poi riscontrabili anche nella composizione del sangue, dove il vino diminuisce l’aggregazione delle piastrine favorendo la fluidificazione del sangue prevenendo quindi arteriosclerosi ed infarti.

Non per niente si usa affermare che “il vino fa buon sangue“! Le sue proprietà sembrano infatti garantire anche una maggiore protezione contro il fumo aumentando la vita media di 2-3 anni ai fumatori!
Gli acidi presenti nella composizione chimica sono inoltre in grado di svolgere un’azione terapeutica e disintossicante, riducendo il tasso di urea nel sangue.

Tuttavia, è necessaria l’assunzione di differenti tipologie di prodotti anche in base agli effetti che si vogliono ottenere: il vino di buona qualità è anche quello che ha effetti migliori.

Sicuramente, dai vigneti di collina nasce una bevanda più ricca di polifenoli, così come dalle piante che hanno subito uno stress: la vendemmia verde, cioè l’asportazione anticipata di oltre il 50 per cento dei grappoli, provoca, infatti, uno stress alla vite, ma migliora la qualità del vino che è ricavato dai grappoli che rimangono, aumentando anche il tasso di polifenoli e antocianine. Ma quali vini? La scelta potrà ovviamente ricadere sui grandi rossi italiani: Brunello, Barolo, Chianti, Amarone, Sagrantino (il vino con il più alto tasso di polifenoli).

AZIONE DIURETICA:  Il vino più indicato è in questo caso la tipologia bianco secco, grazie al rilevante contenuto di potassio, variabile in base alla zona di produzione ed ai trattamenti. Questo sale esercita azione contraria al sodio non favorendo la ritenzione idrica, ovvero evitando l’assorbimento di acqua tra le pareti cellulari, causa di gonfiori dei tessuti.

Anche l’alcool presente nel vino svolge azione diuretica favorendo la filtrazione renale, inibendo la secrezione di un ormone in grado di trattenere l’urina ed esercitando una azione vasodilatatoria sui capillari renali.

È però da sconsigliare l’assunzione di vino in casi di gravi disturbi renali.

Particolare portone chiesetta san Nicola Vescovo

Apparato osteoarticolare:  da quanto sopra esposto, è facile intuire come il vino possa giovare, favorendo l’eliminazione di urina ed impedendo così l’accumulo di scorie, alle articolazioni svolgendo una azione di contrasto con le patologie infettive o metaboliche ad esse connesse.

In caso di reumatismi accompagnati da forme febbrili sono consigliati vini rossi ricchi di polifenoli come Barolo, Gattinara, Carema, Bramaterra e Médoc (notare la provenienza quasi esclusivamente piemontese e da vitigno Nebbiolo), che svolgono anche una egregia azione antivirale. Nei casi di reumatismi implicabili invece ad accumuli di scorie azotate sono consigliati invece vini bianchi secchi per l’azione diuretica e per la proprietà di stimolare l’eliminazione di urati.

Nei soggetti affetti da artrosi è consigliabile una opportuna combinazione a pasto di diverse tipologie di vini per poter assicurare una presenza di differenti elementi minerali, il cui difetto è causa della patologia.
Sono consigliati i vini delle Côtes du Rhône e di Provenza o i vini del Piemonte settentrionale e della valle d’Aosta.

EQUILIBRIO ACIDO-BASE, ACIDO URICO, DIABETE Particolarmente rilevante è il ruolo assunto nel metabolismo degli zuccheri. La presenza di cromo è in grado di stimolare la produzione di insulina diminuendo l’insorgenza di patologie diabetiche. Inoltre il vino risulta ricco di fruttosio, uno zucchero monosaccaride con la proprietà di non essere insulino-dipendente risultando quindi non dannoso anche per i soggetti diabetici. Il glucosio infatti, altro zucchero presente nel vino, avendo proprietà fermentescibile viene utilizzato nel processo di fermentazione alcolica del mosto e la quantità risulta notevolmente ridotta in particolare nei prodotti con presenza minima di residuo zuccherino, quelli genericamente definiti in fase di degustazione come “secchi”.

Palmento, finestra esterna

Una ricerca compiuta negli Stati Uniti ha dimostrato che l’alcool aumenta l’azione ipoglice-mizzante dell’insulina e le conclusioni rivelano che è stata riscontrata una diminuzione del 40% di probabilità di insorgenza del diabete nei soggetti adulti e bevitori moderati.

Notizia curiosa, in Germania è stata concessa la possibilità di vendere “vino per diabetici” in farmacia, ovvero la possibilità di apporre in seguito a rigidi controlli un’etichetta sulla bottiglia che certifichi il beneficio di quel prodotto nei soggetti diabetici.

Il prodotto ha riscontrato un grande successo ed attualmente risulta in vendita presso 14.000 farmacie tedesche ed è di origine italiana, ottenuto dalle denominazioni Cortese di Gavi e Barbera d’Asti.
Per ultimo è necessario ricordare che il fruttosio è acariogeno e non risulta quindi dannoso per i denti.

Ma attenzione! L’alcool è molto calorico! L’alcool, nel suo metabolismo, è in grado di produrre circa 7 kcal per 100 gr e, pertanto, un bicchiere da 150 ml ne fornisce circa 100. In una dieta ipocalorica (dimagrante) che può andare dalle 1200 alle 1700-1800 kcal giornaliere possono essere contemplate 100-200 calorie dal vino, senza alterare i rapporti tra glucidi, lipidi e proteine.

Bevanda

% Alcool

Dosi (ml)

Calorie prodotte

Vino rosso secco

11-12%

150-200

90-130

Vino bianco secco

10-11%

150-200

85-125

Spumante Brut

12%

100

71

Vino liquoroso

16%

40

41

Amari

25%

50

70

Grappa

42%

40

95

Whisky

43%

40

100

Cognac

42%

40

90

Brandy

40%

40

90

Liquori (generico)

36%

40

125

Birra chiara

3-5%

330

100-140

La chiesetta di via Pantano dedicata a San Nicola Vescovo

3. Dai piaceri, alla patologia; effetti tossici sull’organismo, dipendenza, etilismo

Ma quanto alcool si può assumere senza danni o pericoli per la propria salute? Ovvero quali sono i confini della sostenibilità?

C’è da risolvere l’annoso problema della dose massima di vino che un individuo può assumere al giorno senza incorrere nei danni derivati dall’alcol etilico.

Studi epidemiologici hanno determinato la dose tollerabile e quindi non tossica di alcol: 40 mg/die per l’uomo e 30 mg/die per la donna che corrispondono a circa tre bicchieri di vino per l’uomo e di due bicchieri di vino per la donna al giorno da dividere tra i pasti principali. Negli anziani ovviamente la dose si riduce a 2 bicchieri per l’uomo e a 1 bicchiere per la donna.

Rimangono controindicazioni assolute all’introito di vino per alcune categorie di persone (diabetici, donne in gravidanza, minori, patologie gravi) ed ovviamente la guida.

A tal riguardo, teniamo presente che la guida in stato di ebbrezza è un reato sanzionato dall'art. 186 del Codice della Strada. Il tasso alcolemico consentito per legge a chi si mette alla guida di un qualsiasi mezzo motorizzato è pari a 0,5 grammi di alcol per litro di sangue.

Ovviamente il vino produce anche dei danni causati soprattutto dall’alcol etilico da esso contenuto:

  • Sul sistema nervoso: a basse dosi può dare euforia ad alte dosi depressione

  • Sul fegato: produce danno cellulare con produzione di fegato grasso e a lungo andare fibrosi con formazione di epatopatia croniche fino alla cirrosi

  • Sul pancreas: danni alle cellule pancratiche con possibili pancreatiti

  • Sul cuore : possibili cardiopatie alcoliche

  • Sul metabolismo: a causa dell’elevato apporto calorico ( ogni grammo di alcool produce 7 Kcalorie) determina un conseguente aumento di trigliceridi nel sangue

  • Infine, ricordiamoci che i bisolfiti hanno un’azione allergizzante: attenzione, per gli allergici, ai vini che ne contengono tanti!

  • Una curiosità: il consumo eccessivo di birra può causare aritmie e cardiopatia dilatativi, a causa dell’elevato contenuto in Zinco! (Prof. Rizzon –Bari)

Purtroppo, se da un lato lo sviluppo ha determinato una crescita nel consumo di vino, non si può nascondere che abbia portato anche ai primi casi di abuso. Attualmente in Italia il consumo maggioritario tra le bevande alcoliche è rappresentato dal vino, seguito a ruota dalla birra, soprattutto nelle fasce d’età giovanili.

Fortunatamente, in Italia e nei principali paesi dove il vino sta riscontrando maggiori consensi come Francia e Stati Uniti, si sta assistendo a forti campagne di sensibilizzazione sul consumo moderato, oculato ed anche di qualità, fattore che alcune volte viene erroneamente lasciato in disparte.
L’attenzione del consumatore deve pertanto essere concentrata sui comportamenti a rischio, ma anche su quelle forme di controllo ed utilizzo che possono portare ad influssi benefici per l’organismo.

Proprio quest’argomento, estremamente affascinante, mi ha da tempo colpito, soprattutto per la forte relazione con il mio ambito professionale.

Ritengo sia estremamente importante saper proporre un vino in adeguato accompagnamento al piatto, mia sia altrettanto importante saper coinvolgere il consumatore sulla scelta, in relazione ai suoi desideri e, perché no, al suo stato fisico.

Consumare vino deve diventare un piacere e essere a conoscenza che quel determinato prodotto possa anche aiutarci a risolvere piccoli problemi di salute che ci possono affliggere allora aumenta notevolmente questa sensazione di benessere.

San Nicola vescovo

Cenni sull’alcolismo

L'alcolismo è una sindrome patologica determinata dall'assunzione acuta o cronica di grandi quantità di alcol, con un consumo compulsivo e incontrollato, che porta ad abuso e dipendenza.

Il termine alcolismo è ampiamente usato ed è stato coniato nel 1849 da Magnus Huss, ma in medicina il termine è stato sostituito dal concetto di "abuso di alcol" e "dipendenza da alcol" nonché "sindrome da dipendenza da alcool”, con incapacità di smettere di bere. I meccanismi biologici alla base dell'alcolismo sono incerti, tuttavia, fattori di rischio includono l'ambiente sociale, lo stress, http://it.wikipedia.org/wiki/ - cite_note-Glavas-6 la salute mentale, la predisposizione genetica, l'età, l'etnia e il sesso: Rispetto agli uomini, le donne sopportano meno l’alcool, sono più sensibili all'alcol e più inclini a subire i deleteri effetti fisici, cerebrali e mentali.  L'abuso a lungo termine di alcool produce cambiamenti fisiologici nel cervello come la tolleranza e la dipendenza fisica. Tali cambiamenti della chimica del cervello portano all'alcolista l'incapacità compulsiva di smettere di bere. I danni dall'abuso di alcol colpiscono quasi ogni organo del corpo, compreso il cervello, causando una serie di disturbi medici e psichiatrici. L'alcolismo è la presenza costante della tolleranza, dell'astinenza e dell'uso eccessivo di alcol. Le stime dell'Organizzazione Mondiale della Sanità parlano di 140 milioni alcolisti in tutto il mondo.

Il bere deve essere sapientemente accorto e sostenibile. Ci piace concludere con questa citazione letteraria: lo scrittore latino Lucio Apuleio commentava che “il primo bicchiere riguarda la sete, il secondo l’allegria, il terzo la voluttà, il quarto la pazzia”.

Bisceglie, 3 settembre 2011

Il Club UNESCO Bisceglie. Da sin. il dr. Mauro Dell'Olio, il dr. Nicolantonio Logoluso, dr. Michele Nacci, Donna Maria Consiglio, Pina Catino Presidente Club UNESCO Bisceglie, il Poeta Salvatore Memeo mentre legge un passo dall'Atto Costitutivo UNESCO, dopo l'ascolto dell'Inno Nazionale Italiano ed Europeo.

Poesia stata scritta dal poeta Salvatore Memeo Socio Club UNESCO Bisceglie proprio in occasione della manifestazione sulla Dieta Mediterranea.

Balsamo pugliese

Portato nutrito da un soffio innocente

momento d’amore disceso dal cuore

connubio di stirpi di ville vicine

tra gialli vigneti e distese d’ulivi

la Puglia m’ha dato, per farmi guarire

dal mio distacco da questa contrada

il balsamo giusto spremuta divina

che Bacco superbo con mano cordiale

alzava la brocca nel regno dei pari.

Non temo più brogli di falsi travasi

se sorbo il nèttare di questa Regione

poiché la forza che il suo vino infonde

m’inebria la mente e mi dà tanta pace.

Salvatore Memeo

Da sin. il Vicepresidente del Consiglio Comunale di Bisceglie dott. Domenico Storelli, il maestro d'Opera Michele Muzio, ND Maria Consiglio-Nacci, Pina Catino Presidente Cloub UNESCO Bisceglie, il Poeta Salvatore Memeo, l'attrice Annamaria Ceci. In occasione della giornata di formazione agli Ideali UNESCO, dedicata alla Dieta Mediterranea Patrimonio dell'UNESCO, attraversando i Luoghi con i 5 sensi… PERCORSI nel Patrimonio identitario pugliese, organizzata dal Club UNESCO di Bisceglie.

L’UNESCO e la Dieta Mediterranea

Gli antichi sapori della cucina biscegliese

Nicolantonio Logoluso, Presidente Società Operaia Mutuo Soccorso "Roma Intangibile"

Porgo un doveroso saluto e ringraziamento alla N.D. Maria Consiglio per la cortese ospitalità nella sua prestigiosa dimora. Alla dinamica Presidente UNESCO della sezione di Bisceglie, la cara amica Pina Catino, un affettuoso ringraziamento per l’invito a questa manifestazione ed un ulteriore GRAZIE per il Patrocinio Club UNESCO Bisceglie ricevuto alla prossima pubblicazione di un mio quaderno “Gli antichi sapori della cucina biscegliese”. Permettetemi quindi, di darvi alcune anticipazioni su questa prossima pubblicazione poiché in tema con gli argomenti qui trattati ed in ultimo, visto la presenza di autorevoli esponenti dell’Amministrazione Comunale, di fare una graziosa provocazione riguardo il famoso dolce biscegliese, “Il Sospiro”.

Antichi sapori e dieta mediterranea binomio assolutamente indivisibile per una corretta alimentazione, è il tema ricorrente della pubblicazione. Bruce Ames, nutrizionista dell’Università di Barkeley in California asserisce che una corretta alimentazione è l’elisir di lunga vita, usando però quei prodotti che, seguendo i cicli delle stagioni, nascono dalla terra e finiscono sulla tavola.

Tradizioni Ricordi Testimonianze “Gli antichi sapori della cucina biscegliese”, come dicevo, è il titolo di questo terzo quaderno. Si tratta di vecchie ricette in uso presso le massaie della generazione del secolo scorso ma disattese dalle nuove generazioni; anche se molte di esse possono generalmente trovarsi nella tradizione culinaria pugliese. Non dimentichiamo che la Puglia, condividendo l’entusiasmo di chi, per il clima, l’ha definita la “California italiana”, ha subito nel corso dei secoli vicende storiche drammatiche per un popolo dedito esclusivamente all’agricoltura, come il dominio di greci, romani, longobardi, bizantini, saraceni; che fu retta da normanni, svevi, principi francesi e vicerè spagnoli; che passò attraverso guerre, invasioni, rivoluzioni e restaurazioni e che, pur difendendo la propria identità, risentì necessariamente delle più varie influenze nell’arte, nei costumi, nel modo di vivere. Tra le tante testimonianze delle innumerevoli invasioni resta, - oltre a manufatti straordinari come cripte basiliane, castelli medioevali e palazzi barocchi, sullo sfondo di mirabili, ordinati paesaggi rurali – restano anche tracce degli antichi sapori, radicate in un popolo dall’intelligenza viva e creativa che, nonostante la congenita povertà, ha saputo conciliare la propria dignità con l’indigenza della sopravvivenza. Ed è proprio alla cucina popolare biscegliese che ho voluto dedicare questa mia ricerca, ascoltando, tra alcuni Soci plurinovantenni del Sodalizio, storie di vita vissuta, ricche di ricordi, testimonianze e tradizioni che si stanno perdendo. L’obiettivo, quindi, è quello del recupero di ciò che resta. Nutro anche una segreta speranza che la diffusione di alcune ricette possa incontrare consensi e approvazione. Naturalmente questo lavoro non ha la pretesa di essere una rassegna completa delle innumerevoli ricette biscegliesi, ma di raccogliere e trascrivere solo quelle che, a mio parere, le novelle massaie non conoscono o hanno dimenticato. Ricette tutte, fatte con ingredienti poco costosi, genuini e alquanto rispettose della Dieta Mediterranea.

Bisceglie, a differenza delle vicine Trani e Molfetta, è sempre stata una città a vocazione prevalentemente contadina e solo con marginale attività della pesca, considerando che anche i pescatori usavano coltivarsi il proprio orticello. Per questo, furono proprio le contadine biscegliesi che tramandarono, di madre in figlia, succulenti piatti, elaborati con i prodotti della loro terra. La cucina biscegliese, così come quella di molte località pugliesi, si caratterizza per il rilievo che dà alla materia prima, di terra o di mare, finalizzata ad esaltarne unicamente il sapore e la genuinità. Si è ormai compreso che la sobrietà, i cibi “poveri”, i sapori semplici, sono il miglior veicolo per una vita lunga e piena di salute. La Dieta Mediterranea è universalmente riconosciuta per i benefici della sua sana alimentazione e la cucina biscegliese la esprime al meglio per la ricchezza dei prodotti della sua terra generosa di colori, odori e sapori.

La cucina pugliese, ed in particolare quella biscegliese, forse a differenza di tante altre, è quella che è rimasta immune da trasformazioni nel corso dei secoli, lasciando invariati i suoi principali elementi: il grano, l’olio, il vino, i farinacei, l’agnello, il maiale, il cavallo, i legumi, il pesce, insaporiti dalle innumerevoli erbe aromatiche sparse nel territorio. Da ricordare, fra tutte, l’antica minestra di “Fave e cicorie selvatiche”, vanto della cucina contadina e il “ciambotto”, per quella dei pescatori.

Ascoltando quei soci anziani e le loro consorti, nati nella seconda decade del 1900, si ha un meraviglioso resoconto di storie e di ciò che mangiavano, amalgamando con cura i vari ingredienti, talvolta frutto di pura fantasia, sino ad ottenere quei gradevoli “intrugli” adatti al loro nutrimento quotidiano. Di tali intrugli, alcuni sono poi divenuti ricette raccolte in libri di cucina, altri, non più in uso, rischiano di andare perduti.

Ed ora, signori, eccovi la provocazione: Signor Assessore perché non si è ancora provveduto a dare una giusto riconoscimento di origine protetta o quant’altro al nostro famoso SOSPIRO? Perché l’amministrazione non ha ancora provveduto ad approfondite indagini circa la sua origine? Vi è ancora dibattito tra gli storici della nostra città lasciando così libero arbitrio a leggende e confuse interpretazioni su ciò che hanno riportato, sui loro appunti di viaggio, antichi storici che visitarono Bisceglie.

Permettetemi ora, quindi, di darvi anche un mio modesto contributo, senza pretendere di risolvere il problema ma di aprire un costruttivo dibattito con coloro che la pensano in modo diverso.

È innegabile che Bisceglie abbia un’antica tradizione dolciaria. La “Platea settecentesca di San Lorenzo” la documenta egregiamente, descrivendo la produzione di scarcelle, bocconi di dama, cartellate, occhi di Santa Lucia, paste reali ecc. per opera delle Monache Clarisse del Convento di San Luigi. La descrizione di un dolce particolare biscegliese, a parer mio, è documentata, però, due secoli prima, da Fra Leandro Alberti nella sua “Descrittione di tutta Italia” edito a Venezia il 1568. Egli narra della sua visita in Puglia avvenuta nel 1525 e parlando di Bisceglie, dopo aver narrato delle sue origini, del Martirio dei Santi Protettori, della Manna miracolosa, della situazione politica, scrive di aver gustato una specialità dolciaria: “...Quivi si confetta il zebibo tanto eccellente, con zuccaro e altre cose aromatiche, ch’è cosa molto delicata da gustare. Egli è molto più soave che non è quel di levante, sebbene Giovan Battista Pacichelli nella sua opera del 1702, “Il Regno di Napoli”, visitando Bisceglie, loda con i prodotti della terra, la produzione di vini dolci quale il moscato e “ò zebibo”, considerandolo un vino dolce, ritengo l’Alberti non si riferisse ad un vino, ma ad un dolce glassato poiché nella sua descrizione usa il verbo confettare parlando di zucchero ed altre cose aromatiche cose tutte presenti nella ricetta del sospiro. Facilmente la parola ZEBIBO si confonde con ZIBIBBO, vitigno autoctono di Sicilia, nelle province di Trapani e Messina, e dell’isola di Pantelleria, per la produzione di vino dolce. In Puglia i vini dolci sono prodotti solo dal vitigno moscato. Verosimilmente, a parer mio, il primo dei due illustri viaggiatori descrive quel dolce che noi chiamiamo sospiretto, poiché la dimensione grande del sospiro, come pasta alla crema, è un’invenzione più recente, del ventesimo secolo. Probabilmente quindi, il sospiro nasce come piccola pasta alla crema, delle dimensioni dell’attuale sospiretto, di nome ZEBIBO, evolvendosi poi in dimensioni maggiori unitamente all’uso dei tanti tipi di paste alla crema. Del perché fu chiamato sospiro non è dato sapere, al momento non è stato rinvenuto nessun documento. A tal proposito girano solo leggende metropolitane legate ad una visita mai fatta a Bisceglie da Lucrezia Borgia, moglie del Duca di Bisceglie. Credo però che SOSPIRO sia stato il nome appropriato dato da qualcuno che, dopo averne mangiato uno o magari due ed assaporatone la fragranza e la delicatezza, abbia come Leandro Alberti SOSPIRATO di soddisfazione per l’eccellenza e la soavità del dolce.

Eccovi la ricetta del sospiro, così come da me riportata nel volume, in cui gli elementi che la compongono sono frutto del nostro territorio:

Il Sospiro

Ingredienti e dosi su 10 uova:

10 uova, 200 gr. di zucchero semolato, 200 gr. di farina 00

crema pasticcera, vanillina, succo di limone q.b.

Preparazione e cottura:

Separate le uova dai tuorli e dall’albume. Montate delicatamente i tuorli con 100 gr di zucchero. A parte montate a neve gli albumi unendovi i rimanenti 100 gr di zucchero. Mischiate lentamente i due elementi, girando con una frusta sempre nello stesso verso, unendo piano e a pioggia la farina ed un po’ di vanillina. Si otterrà un impasto molle. Mettetelo in una siringa di stoffa e formate delle cupolette su dei tegami ricoperti con carta da forno. Con forno già caldo a 180° di temperatura, sono sufficienti 30 minuti di cottura. Sfornerete meravigliosi turgidi seni d’adolescente di colore ambra, di vellutata fragranza e morbidezza pronti ad unirsi a delicata crema pasticcera e dolce abito bianco nuziale di zucchero glassato.

Pubblicazione on-line del Portale del Sud, settembre 2011 - gennaio 2012. Testo ed immagini appartengono alla autrice. È severamente vietata la riproduzione, anche parziale, del contenuto della presente pagina web.

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