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Pina Catino
Il Palmento di
Bisceglie sec. XVII
(proprietà privata Famiglia Maria Consiglio)
Un museo all’aperto della civiltà contadina. Patrimonio della
cultura di un territorio.
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Questo manufatto sito a Bisceglie in
contrada San Francesco è stato costruito tra il 1650 e
il 1658, come riportato dalle incisioni su pietra
(scolatoio e arco rispettivamente) |
con due saggi ivi presentati in occasione
dell'incontro "Dieta mediterranea
patrimonio dell'UNESCO"
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Restauro a cura del Maestro d'Opera
Michele Muzio |
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Mole del Palmento |
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Palmento, Madonna del buon Consiglio
restaurata dal prof. Vito Sette |
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Tetto del Palmento lastricato da lapilli
di mare della costa biscegliese |
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Bisceglie, Palmento, 3 sett. 2011. Da ds
la piccola attrice Annamaria Ceci, poeta Salvatore Memeo,
Pina Catino Presidente Club UNESCO Bisceglie, ND Maria
Consiglio-Nacci, Vicepresidente Consiglio Comune di
Bisceglie dott Domenico Storelli, dott Michele Nacci,
Nicolantonio Logoluso presidente Soc. Operaia Mutuo
Soccorso "Roma Intangibile" dr Mauro Dell'Olio
Presidente LIONS Club Bisceglie. |
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Particolari iscrizioni sul Palmento |
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dott. Michele
Nacci
Vigne e vini della Puglia antica
Nell’ambito della celebrazione della dieta mediterranea, il Club
Unesco di Bisceglie ha organizzato una giornata in data 3 settembre
2011 dedicata al vino, quale alimento importante nella dieta stessa.
Il programma prevede una visita guidata ad un palmento del ‘600 sito
nell’agro di Bisceglie, quale testimonianza di archeologia
agro-industriale dell’epoca, a conferma dell’importanza della
vitivinicoltura nel panorama agricolo ed economico.
Prima
della visita al palmento, è interessante inserire questo manufatto
nel sistema agrario dell’epoca e ripercorrere brevemente le tappe
più importanti della vitivinicoltura in Puglia partendo dalle
origini. La Puglia geograficamente si può dividere in 3 zone:
-
a
Nord la Daunia, (compresa tra il Tiferno a Nord e l’Ofanto a
Sud), che era abitata dal popolo dei Dauni, caratterizzata da un
terreno ricco di corsi d’acqua, a volte paludoso, costituita da
pianure e basse colline;
-
la
zona centrale, l’attuale Terra di Bari, era invece abitata dai
Peuceti: territorio ricco di boschi, pietroso e privo di corsi
d’acqua;
-
il
Salento, abitato dai Messapi: pianeggiante e poco fertile a
causa dello scarso manto di terreno coltivabile che poggia su
tufi.
Anche se
si fa risalire l’origine della vitivinicoltura ai coloni greci,
giunti in Italia nell’VIII sec. a.C., molto probabilmente la vite
era già presente in Puglia. Non si sa con certezza se queste
popolazioni autoctone coltivassero la vite solo per raccogliere e
mangiare le bacche o anche per produrre il vino.
E’ certo
che i fondatori della Magna Grecia diedero uno sviluppo notevole
alla vitivinicoltura, come oggi noi la intendiamo: coltivazione e
allevamento della vite e trasformazione dell’uva in vino. Tutto
questo è confermato da numerosi reperti archeologici rinvenuti nel
territorio, soprattutto a Taranto e Ruvo di Puglia (museo Jatta).
I greci
già conoscevano la Vitis Vinifera Sativa (domestica) e trovando in
Puglia le condizioni pedo-climatiche favorevoli (terreni sciolti,
clima mite con inverni piovosi ed estati calde e asciutte), ne
attuarono un’ampia diffusione adottando raffinate tecniche
agronomiche, come per esempio il sistema di allevamento a “ceppo
isolato”, l’alberello. In tal modo la pianta prende tutto il sole
possibile, sfruttando al massimo la fertilità del terreno, senza
competizione con altre piante.
Il vino
diventa una importante fonte di ricchezza per la Magna Grecia, la
cui fortuna si basava proprio sugli scambi commerciali delle derrate
alimentari con la madre patria.
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Particolare mole del Palmento |
Nel 272
a.C. Taranto viene sconfitta da Roma e perde l’indipendenza
diventando provincia: la civiltà greca inizia a tramontare. Ma dopo
l’89 a.C., quando tutta l’Italia viene unificata da Roma, viene
attuata una vera e propria politica economica centralizzata che
tiene conto delle esigenze generali dell’impero e che tende a
massimizzare le produzioni agricole, sfruttando al meglio le
vocazioni colturali dei vari territori.
In Puglia
si adottano questi indirizzi produttivi: nel Salento si incentiva la
coltivazione dell’ulivo e nelle zone meno fertili della vite; nella
Peucezia l’ulivo e la vite; nella Daunia la zootecnia.
Probabilmente con i romani la diffusione in Puglia diminuisce, ma
nel contempo si procede ad una selezione e razionalizzazione dei
vitigni e ad una loro ridistribuzione in base alle caratteristiche
pedo-climatiche dei territori, al fine di ottenere una
massimizzazione delle rese produttive.
In epoca
romana la viticoltura si concentra nella zona costiera della
Capitanata, della Terra di Bari, Taranto e Brindisi.
Infatti i
vini pugliesi sono molto apprezzati e famosi: il Canusium, i mera
Tarentina, i Brundusium, i Babia.
Con la
caduta dell’Impero Romano saranno i monaci Basiliani a preservare
l’agricoltura, disboscando e dissodando i terreni per piantare
soprattutto ulivi, ma anche la vite sulle coste ioniche e
adriatiche.
Dopo
l’anno 1000 con le crociate la viticoltura ebbe un discreto impulso:
Brindisi diventa il porto da cui partivano i Crociati e tutti i
vettovagliamenti tra cui anche il vino.
Nel 1200
con Federico II vengono introdotti nel territorio del Castel del
Monte i vini bianchi vesuviani.
Nel
periodo angioino si istituiscono importanti fiere commerciali, come
la fiera di Gravina e la “fiera pessima” di Manduria.
Per
regolamentare la coltura della vite, nel XIII sec. Andrea da Bari
fissa le regole di diritto, data l’importanza economica della
viticoltura. Anche un altro famoso giureconsulto barese Sparano,
nella raccolta di Consuetudini, fissa le norme per la compravendita
del vino.
Nel
periodo rinascimentale il vino pugliese gode di un buon
apprezzamento commerciale: viene esportato a Venezia, Firenze, Roma,
in Medio Oriente e anche in Francia.
Situazione nel XVII sec.
Vediamo
la situazione vitivinicola in questo periodo in quanto è l’epoca in
cui è stato edificato il palmento oggetto della visita guidata.
L’agricoltura, secondo una relazione del monaco Pacichelli
commissionata dai Borbone, è piuttosto variegata: cereali, ulivo,
vite, legumi, aranci. Sicuramente la coltura più diffusa, perché più
redditizia è l’ulivo. La seconda è la vite concentrata nelle
province di Bari, Brindisi e Lecce e in preferenza nelle zone
collinari.
Dal tardo
‘500 si registra un incremento della viticoltura anche per ragioni
climatiche: un aumento dell’inaridimento del clima rende poco
remunerative alcune colture, come la stessa cerealicoltura. Pertanto
viene incentivata la viticoltura: terreni demaniali, che non si
riescono più a dare in affitto, vengono venduti a basso prezzo (10
carlini/vigna) con l’impegno di chi compra a piantare vite.
Nel
contempo aumenta il commercio e l’esportazione del vino soprattutto
dal porto di Trani.
Il
sistema di allevamento era quello cosiddetto “francese”, con le viti
non appoggiate ad alcun sostegno, neppure ad altri alberi in modo
che assorbissero tutta la fertilità del terreno.
Purtroppo
a fronte di una tecnica di coltivazione di buon livello, corrisponde
una tecnica enologica di basso livello: i vini prodotti non sono
adatti all’invecchiamento e pertanto non si possono ottenere vini di
qualità.
All’epoca
esisteva ed esiste tuttora una netta differenza tra la viticoltura
del Salento e quella della Terra di Bari.
Nel sud
sono presenti i vitigni tradizionali: Negroamaro, Malvasia nera e
bianca, Susumaniello (rosso) e Primitivo.
Nella
Terra di Bari c’è una viticoltura più varia, anche se prevalgono i
vitigni bianchi: oltre all’uva da tavola, i moscati di Trani e di
Bitonto, lo Zagarese (nero) di Bitonto, il Bombino di Terlizzi, la
verdeca di Gravina.
A
Bisceglie, anche per la vicinanza con Trani, si confermano queste
varietà, come riportato dal Pacichelli: “A Bisceglia veggonsi allo
spesso le piazze di lei colme di olio, di mandorle, di frutti vari,
di agrumi e de’ più dolci moscati secchi o zebibi.”
Nelle
Murge (Minervino, Cisternino, Gravina ) vengono coltivati vitigni
bianchi di pregio, oggi scomparsi tranne la verdeca di Gravina.
Nel ‘700
continua la diffusione della viticoltura, testimoniata dall’intenso
traffico commerciale del porto di Trani. In questi anni si conferma
come vino pregiato il Moscato di Trani, progenitore dell’attuale
vino Doc. Si fa riferimento negli atti notarili oltre che alle “viti
d’uva” pure alle “viti di moscatello”. Infatti il prezzo di tale
vino era 2-3 volte più elevato di quello comune.
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Il mosto ottenuto defluiva attraverso i
canaletti e lo scolatoio nella cantina sottostante. La
cantina rettangolare (m. 3,40x1.40) con volta a botte
(altezza m. 1,70) ha una capienza di circa 4.000 lt. In
questo locale avveniva la fermentazione del mosto in
vino, che veniva successivamente trasferito in altre
cantine. La cantina è accessibile tramite una scala in
pietra di 8 scalini e larga m. 0.70.
Esso è costituito da due locali a livello
del piano campagna e una cantina sottostante. Adiacente
al locale della pigiatura, separato da un muro di 0,80
m, con al centro una finestra si presenta un altro
locale che aveva funzioni tecniche (ricovero degli
attrezzi e degli operai): rettangolare con superficie di
7mq, volte a botte con altezza di m. 2.30.
Nei pressi della facciata anteriore del
palmento sono visibili due basamenti circolari in pietra
con diametro di m. 1,40 e due relative cisterne. Questi
manufatti erano adibiti alla torchiatura delle vinacce
dopo che avevano subito la pigiatura nel vicino locale.
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Nell’800
il governo borbonico istituisce in ogni provincia le “Società
Economiche” che promuovono un miglioramento delle tecniche
enologiche. Questo permette una ulteriore espansione della
vitivinicoltura e soprattutto un miglioramento qualitativo nel
Salento con la Lagrima e lo Zagarese.
Con
l’Unità d’Italia si libera la terra, si forma una classe borghese
che dà una svolta capitalistica alla viticoltura e all’agricoltura
in generale.
Verso la
fine del secolo in Francia i vitigni sono falcidiati dalla
fillossera (insetto parassita). La conseguenza è un aumento della
richiesta di vino su tutti i mercati che spinge gli agricoltori
della Terra di Bari, del Salento a spiantare gli uliveti secolari
per piantare nuovi vigneti.
E’
proprio in questo periodo che nascono i vitigni e l’industria
enologica del comprensorio del Castel del Monte (da Bitonto ad
Andria) ad opera di due famiglie con forte spirito imprenditoriale:
Rogadeo e Jatta.
Le
varietà più diffuse sono: Somarello, Uva di Troia, Bombino nero,
Bombino Bianco e Pampanuto. Si produce per la prima volta in zona il
vino rosato da Bombino Nero dall’azienda Rogadeo, che riceverà
diversi riconoscimenti a livello internazionale.
Ma le
relazioni commerciali con la Francia si interrompono: le
esportazioni si bloccano, la Francia ha rinnovato i propri vigneti
usando i portinnesti americani (resistenti alla fillossera) e il
prezzo del vino crolla.
Questo è
il periodo più nero per la vitivinicoltura pugliese: nel 1891 quasi
tutta l’uva non fu raccolta e marcì sulla pianta perché il prezzo
era troppo basso.
La
situazione migliora leggermente grazie a nuovi accordi con
l’Austria, la Germania e l’Ungheria, ma nel frattempo la fillossera
arriva in Puglia con gravi conseguenze per la viticoltura.
Dal 1910
anche in Puglia si reimpiantano i vitigni su base americana, come in
Francia.
L’altra
importante novità è che si adotta un nuovo sistema di allevamento:
si abbandona dopo secoli l’alberello a favore della “spalliera” più
produttiva, che a sua volta sarà sostituita nel secondo dopoguerra
dal “tendone” tuttora in uso.
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Raccoglitore del mosto |
In
riferimento all’agro di Bisceglie, nel
secondo dopo guerra la vinicoltura perde di importanza: la
produzione di vino rimane limitata per il fabbisogno familiare. A
conferma di ciò l’assenza di cantine di grosse dimensioni, che
invece in questi anni sorgono nei paesi limitrofi, soprattutto su
base cooperativistica.
Di contro
certamente la viticoltura non scompare a Bisceglie, ma si
specializza con i vitigni di uva da tavola come la Regina e l’uva
Italia.
Questa
trasformazione si giustifica per una maggiore redditività delle
varietà da mensa, in quanto grazie alla maggiore velocità ed
efficienza dei treni merci refrigerati, si aprono nuovi mercati al
nord Italia e anche all’estero.
A
tutt’oggi perdura questa realtà: una viticoltura orientata quasi
esclusivamente all’uva da tavola.
Rif. Bibliografici
-
Storia del vino in Puglia, M. Vitagliano, Ed. Laterza
-
La
Puglia dell’uva e del vino, V. Buonassisi, B. Del Monaco, C.
Liuni, Ed.
Laterza
-
D. Tupputi, Reflexions succintes sur l’etat de l’agriculture…”,
Paris 1807
-
G.
Palumbo, La vitivinicoltura a Molfetta nel XVI e XVII sec.
-
E.
Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Ed. Laterza
|
|
Finestrella comunicante locale degli
attrezzi con il locale della pigiatura delle uve |
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Dr. Mauro
Dell’Olio
Vino, Alcool e dintorni, ovvero: la
bevibilità sostenibile
Intervento tenuto nel corso dell’evento: La Dieta Mediterranea
patrimonio mondiale dell’UNESCO - Dimora storica Consiglio-Nacci.
La mia
non pretende di essere una rigorosa trattazione scientifica, bensì
una dissertazione, documentata ma -spero- piacevole, per chi voglia
trovare nel vino un piacere, un argomento di studio o semplicemente
provi, verso questa antica ma sempre attuale bevanda, un sentimento
di curiosità ed un desiderio di maggiore conoscenza.
Ed
infatti cercheremo di dire “vino al vino”, partendo dalla sua
storia, così ricca, e tessendone pregi, piaceri, curiosità ed ahimè
difetti, ma cercando sempre di muoverci sapientemente nelle delizie
enologiche, così attraenti ma comunque molto insidiose, soprattutto
se si esagera.
Il vino
resta la bevanda sociale preferita nelle occasioni tradizionali o
nella dieta personale e proprio per questo è necessario che la sua
diffusione sia gradualmente accompagnata da una sana e consapevole
conoscenza sulle peculiarità positive e negative di questo prodotto.
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Palmento, stanza degli attrezzi,
particolare foglia di uva scolpita |
Il
vino è un alimento che da sempre fa parte della nostra cultura
enogastronomica.
Il
Vino è, insieme alla birra, una delle principali bevande
alcoliche che si ottengono mediante il processo di
fermentazione: viene prodotto dalla fermentazione del mosto
d’uva, ovvero dell’uva diraspata, pigiata e preparata per il
processo fermentativo che consiste nella trasformazione degli
zuccheri contenuti nel mosto in alcool etilico. Il vino però,
oltre all’alcool, contiene anche altre sostanze presenti in
tracce quali i polifenoli, flavonoidi, antociani, tannini,
zuccheri, glicerolo, sali minerali, vitamine, anidride carbonica
ecc.
Pertanto, la sua, azione sull’organismo non è legata solo alla
presenza di alcol etilico, per cui il suo valore nutrizionale
deriva anche dalla presenza di questi micronutrienti.
Cercheremo, in definitiva, di delineare quell’ampio margine di
piacere e, a volte, addirittura di benessere derivante dal vino, ma
solo a condizione che ci si muova sempre nell’ambito di una
“bevibilità sostenibile”…
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Raccoglitore del mosto |
Un po'
di Storia
La storia
del vino è un po' la storia stessa dell'umanità. Risulta quindi
difficile tracciarne con precisione il corso: ogni civiltà, ogni
impero, ogni vicenda politica e di potere ha avuto le proprie storie
di vino, più o meno legate agli eventi stessi che hanno delineato il
corso della storia.
Ogni
popolazione ha tratto da piante, erbe e secrezioni naturali,
attraverso la fermentazione, prodotti alcolici e analcolici,
commestibili, permeando tutta la storia dello sviluppo umano.
Bevande fermentate esistevano già nell’antica civiltà egizia e ci
sono prove di un’antica bevanda alcolica in Cina intorno al 7.000
a.C. In India, una bevanda alcolica chiamata sura, distillata dal
riso, era in uso tra il 3000 e il 2000 a.C. I Babilonesi adoravano
una dea del vino all’inizio del 2700
a.C.
In Grecia, una delle prime bevande alcoliche a conquistare la
popolarità fu l’idromele, una bevanda fermentata fatta di acqua e
miele. La letteratura greca è piena di ammonimenti contro il bere
smodato.
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Da notare i segni del tempo lasciati dal
mosto sulle pareti nella cantina |
Anche in
Italia la vinificazione ha origini remote: l’Italia veniva chiamata
Enotria proprio per questo.
Diverse
civiltà degli Indiani d’America svilupparono bevande alcoliche nel
periodo precolombiano: una
varietà di bevande fermentate nella regione delle Ande, in Sud
America, veniva creata da granoturco, uva o mele, ed era chiamata
“chicha”
L’origine
della vite e dove e quando si iniziò ad usare l’uva per la
produzione del vino, sono problemi molto controversi, soprattutto
per l’inestricabile mescolanza di mito e storia.
La Bibbia
attribuisce a Noè la prima coltivazione: finito il diluvio, Noè
cominciò a fare l’agricoltore e piantò una vigna; ne bevve il vino,
s’inebriò e dormiva ignudo in mezzo alla sua tenda (Gen. 9, 20-21).
Questo dimostra senza dubbio l’antichità della coltura della vite e
della pratica della vinificazione.
Gli
Egiziani furono maestri e depositari di tali tecniche.
Con la cura e la precisione che li distingueva, tenevano
registrazioni accurate di tutte le fasi del processo produttivo, dal
lavoro in vigna alla conservazione. Ne abbiamo testimonianza dai
numerosi geroglifici che rappresentano con grande ricchezza di
particolari come si produceva il vino dei faraoni. Paradossalmente
possiamo dire di sapere tutto e niente del loro vino, ovvero
sappiamo come lo facevano ma non possiamo purtroppo sapere che
sapore avesse!
Attraverso i
Greci e i
Fenici il vino
entrò in Europa. I poemi omerici testimoniano ampiamente la presenza
e l'importanza del vino: a Polifemo, ad esempio, viene propinato
puro un vino che secondo le usanze dell'epoca veniva diluito con 16
parti di acqua! A quel tempo il vino si diffuse proprio in terre
come l'Italia, la Francia e la Spagna che ne sarebbero diventate la
patria.
All'epoca
dell'Impero
Romano la viticoltura si diffuse enormemente,
raggiungendo l'Europa settentrionale. I più celebri scrittori non
lesinavano inchiostro per elargire i propri giudizi e decantare le
virtù dei vini a loro più graditi. Si scrisse tanto sul vino che
oggi non è difficile ricostruire una mappa vinicola della penisola
al tempo dei Cesari. Le tecniche vitivinicole conobbero in quei
secoli notevole sviluppo: a differenza dei Greci, che conservavano
il vino in anfore di terracotta, i Romani cominciarono a usare
barili in legno e bottiglie di vetro, introducendo, o quantomeno
enfatizzando, il concetto di "annata" e "invecchiamento". Fu a
partire dal secondo secolo che si cominciò a dare importanza alla
coltivazione della vite in Borgogna, nella Loira e nella Champagne.
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Dimora storica nd Maria Consiglio,
cantina ipogea |
Nei
secoli bui del Medioevo il potere assoluto della
Chiesa influì
fortemente sullo sviluppo della vitivinicoltura, così come sullo
sviluppo di ogni altro campo della vita sociale e artistica. Il
vino, ma soprattutto il buon vino, era ancor più sinonimo di
ricchezza e prestigio e l'eccellere nella produzione di qualità
divenne per alcuni ordini ecclesiastici quasi una ragione di vita. I
Benedettini,
diffusi in tutta Europa, erano famosi per il loro vino e per il
consumo non proprio moderato che ne facevano.
Quando
Bernardo, ex monaco benedettino, fondò nel 1112 l'ordine dei
Cistercensi, fu
dato ulteriore impulso al tentativo di produrre vini di alta qualità
specialmente in
Borgogna,
obiettivo alimentato anche dalla forte competizione tra le abbazie.
Intanto
Bordeaux fa
storia a sé, dominata non dal potere ecclesiastico ma da interessi
commerciali con l'Inghilterra, sempre più interessata al suo claret
o chiaretto. Questo legame vinicolo tra Francia e Inghilterra,
nonostante qualche peripezia, è destinato a durare nei secoli.
Si
comincia a delineare fortemente in questi secoli il ruolo centrale
della Francia nella produzione di grandi vini, ruolo che ormai da
molto tempo ha cominciato a conoscere degni antagonisti, fra i quali
l'Italia.
Gli
ultimi secoli della nostra era sono stati testimoni di uno sviluppo
straordinario delle tecniche vitivinicole. L'arrivo della cioccolata
dall'America, del tè dalla Cina, del caffè dall'Arabia e la
diffusione di birra e distillati nel
XVII secolo,
rese la vita difficile al vino, che perse il primato di unica
bevanda sicura e conservabile. Questo ha spinto i produttori a
cercare la migliore qualità per competere con i nuovi arrivati.
L'evoluzione tecnologica nella lavorazione del vetro rese più facile
la realizzazione di bottiglie adatte e la scoperta del sughero rese
possibile condizioni di conservazione ideali.
Nella
Champagne si cominciò a parlare di un monaco benedettino,
Dom Perignon,
famoso per il suo perfezionismo quasi maniacale e per il suo
straordinario vino. Molti non sanno che l'obiettivo di Dom Perignon
era quello di ottenere un vino perfettamente fermo, ma i suoi sforzi
erano frustrati da un clima e da un terreno che facevano
inesorabilmente rifermentare il vino nelle bottiglie rendendolo
spumeggiante!
Nel
XVIII secolo si
consolidò la tendenza a produrre vini più intensi, scuri e
fermentati a lungo. Cominciò ad affermarsi in questo contesto il
porto come straordinario vino da lungo invecchiamento.
Intanto i
grandi Chateau di Bordeaux continuavano a produrre vini di pregio
per i loro migliori clienti, gli inglesi, che non hanno mai potuto
contare su una produzione locale di quantità (e tantomeno di
qualità).
Il
XIX secolo ha
vissuto la massima euforia vitivinicola. L'economia nazionale di
molti paesi si basava sulla produzione di vino. Ma prima della fine
del secolo, doveva abbattersi il grande flagello della
fillossera, un
parassita che colpisce le radici della vite europea. Quasi tutti i
vigneti d'Europa andarono distrutti o furono gravemente danneggiati.
La soluzione, non certo indolore, fu quella di ripartire da zero
innestando la vite europea sulla radice americana immune alla
filossera.
La
rivoluzione industriale ha cambiato, negli ultimi decenni, il mondo
del vino. Grazie alle tecniche di refrigerazione dei vasi vinari,
paesi caldi come la California e l'Australia hanno cominciato a
produrre vini eccellenti, grazie anche a uve di eccezionale qualità.
Il
Nuovo Mondo ha
avuto la capacità, grazie alla mancanza di convenzioni e
condizionamenti, di imparare in fretta e raggiungere risultati
straordinari in pochissimo tempo.
Da alcuni
anni sempre più aziende cominciano a lavorare sulla qualità, nonché
sull'applicazione di criteri scientifici in fase di vinificazione.
Così al fianco di Sassicaia, Tignanello e compagnia stanno sorgendo
una gran quantità di vini eccellenti che nulla hanno da invidiare ai
grandi vini francesi, californiani o australiani: il potenziale
dell'Italia vitivinicola è immenso. D'altra parte i consumatori si
dividono ancora in "bevitori" e "degustatori", i primi (ancora la
maggioranza) affezionati al vino della casa e un po' incuranti della
qualità, i secondi più consapevoli del fatto che il vino può essere
un'opera d'arte.
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Particolare cantina ipogea dimora storica
nd Maria Consiglio |
Vino e
salute
1. I
piaceri del vino
Cos’è il
vino?
Il vino è una soluzione
idroalcolica di oltre 6000 microelementi e macroelementi, ottenuto
per fermentazione alcolica totale o parziale del mosto d’uva o uva
ammostata
Possiamo
dunque trovare acqua nella percentuale dell’80-85% e a seguire:
Sostanze
responsabili del colore
-
Polifenoli, sostante tanniche e coloranti
-
Vini
bianchi: leucoantociani e catechine (15-20 mg/l)
-
Vini
rossi: antociani e tannini (200-500 mg/l)
Sostanze
responsabili del profumo
-
Aromi
primari e varietali, ovvero i terpeni dell’uva (geraniolo,
linaiolo, nerolo)
-
Aromi
secondari o di fermentazione (esteri, eteri, alcoli)
-
Aromi
terziari o di invecchiamento (esteri, eteri, aldeidi, chetoni,
lattoni, acetali)
Sostanze
responsabili del gusto
Dolcezza
-
Zuccheri monosaccaridi esosi (glucosio, fruttosio)
-
Zuccheri monosaccaridi pentosi (xilosio, arabinosio)
-
Zuccheri disaccaridi (saccarosio)
Morbidezza
-
Alcoli monovalenti (etilico, metilico, propilico)
-
Alcoli polivalenti (glicerolo, mannitolo, sorbitolo)
-
Alcoli superiori
Acidità
-
Acidi
pre fermentativi (tartarico, malico, citrico)
-
Acidi
post fermentativi (lattico, citrico, succinico)
-
Acidi
volatili (acetico)
Tannicità
-
Tannini delle uve (catechici) 1-2 g/l
-
Tannini del legno (gallici) 20-50 mg/l
Sapidità
-
Sali
minerali
Amaro
-
Sostanze organiche ed inorganiche
-
Sostanze di derivazione ossidativa
Vivacità
-
CO2
Estratto
secco
Vitamine
-
In
particolare C e gruppo B
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Uva regina, del vigneto intorno al
Palmento |
2. Virtù
terapeutiche
Solo agli
inizi del ‘900 si è cominciato a prestare attenzione ad una
ulteriore peculiarità di questo prodotto, ovvero le sue proprietà
terapeutiche e curative. Hanno quindi cominciato a svilupparsi
credenze, detti popolari ed usanze che attribuivano al vino virtù
più o meno giustificate e che si sono conservate in questo secolo.
"Moderate
quantità di alcool, consumate come vino durante i pasti, svolgono
un’azione protettiva sul cuore e contribuiscono a prevenire le
malattie cardiocircolatorie."
Questa
notizia, oramai approvata e comprovata, fu trasmessa ufficialmente
nel 1991 da un programma televisivo americano e causò un completo
svuotamento di tutte le scorte di vino che gli scaffali dei
supermercati avevano a disposizione.
L’uso
moderato di vino in un soggetto sano è in grado di ridurre di oltre
il 25% il rischio di cardiopatie. Ne sono un esempio gli Stati
uniti, dove da una ricerca è emerso che i bevitori moderati vivono
più a lungo degli astemi.
La tesi è
poi documentata anche da quello che è stato definito il “French
Paradox“, ovvero il “Paradosso
Francese“.
In cosa
consiste questa famosa espressione? I francesi conducono una dieta
con alte concentrazioni di grassi, burro e formaggio, alimenti
considerati ben poco salutari in dosi non corrette. Eppure, la
percentuale di queste patologie è molto bassa, proprio grazie al
diffuso consumo di dosi moderate di vino durante i pasti.
La
spiegazione è stata ricondotta al resveratrolo contenuto nel
vino,
derivato dal contenuto naturale della pianta di vite (Vitis
vinifera)
proveniente dalle bucce degli acini. Il resveratrolo è una delle
fitoalessine (composti fenolici con proprietà anche antifungine)
presenti nella vite e nel vino, dove esistono diverse sostanze che
sono mobilitate e prodotte dai tessuti per affrontare le infezioni
batteriche e da funghi, nel caso della vite soprattutto l'oidio.
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Particolari iscrizioni sul Palmento |
In realtà
è meno noto che questo polifenolo è estratto principalmente dal
Polygonum Cuspidatum, una pianta che già gli antichi conoscevano e
usavano per le sue proprietà lassative. Questo vegetale è diventato
oggi molto importante e studiato, da quando si è scoperto che le sue
radici contengono un’elevatissima concentrazione di resveratrolo, in
quantità anche 400 volte superiori rispetto a quelle dell’uva e del
vino.
In dosi
moderate, è in grado di favorire una pulizia delle arterie
abbassando il colesterolo cattivo che in eccesso si deposita sulle
pareti e favorendo la diuresi, aumentando così la capacità del
nostro organismo di espellere le sostanze tossiche. Azione
anticolesterolemica è supportata anche dalla vitamina C presente,
ovviamente, anche nella composizione chimica del vino.
Anche
alcuni elementi minerali presenti nel vino hanno funzione protettiva
dei vasi sanguigni e del cuore, soprattutto il magnesio, agendo come
anticoagulante per la prevenzione della formazione di trombosi ed il
potassio, in grado di conferire tonicità ed elasticità al cuore. Il
silicio, invece, contribuisce a dare omogeneità alle pareti delle
vene e delle arterie, mentre il cromo svolge una azione di
prevenzione contro l’arteriosclerosi evitando l’accumulo di
colesterolo.
Influssi
positivi sono poi riscontrabili anche nella composizione del sangue,
dove il vino diminuisce l’aggregazione delle piastrine favorendo la
fluidificazione del sangue prevenendo quindi arteriosclerosi ed
infarti.
Non per
niente si usa affermare che “il
vino fa buon sangue“! Le sue proprietà sembrano
infatti garantire anche una maggiore protezione contro il fumo
aumentando la vita media di 2-3 anni ai fumatori!
Gli acidi presenti nella composizione chimica sono inoltre in grado
di svolgere un’azione terapeutica e disintossicante, riducendo il
tasso di urea nel sangue.
Tuttavia,
è necessaria l’assunzione di differenti tipologie di prodotti anche
in base agli effetti che si vogliono ottenere: il vino di buona
qualità è anche quello che ha effetti migliori.
Sicuramente, dai vigneti di collina nasce una bevanda più ricca di
polifenoli, così come dalle piante che hanno subito uno stress: la
vendemmia verde, cioè l’asportazione anticipata di oltre il 50 per
cento dei grappoli, provoca, infatti, uno stress alla vite, ma
migliora la qualità del vino che è ricavato dai grappoli che
rimangono, aumentando anche il tasso di polifenoli e antocianine. Ma
quali vini? La scelta potrà ovviamente ricadere sui grandi rossi
italiani:
Brunello,
Barolo,
Chianti,
Amarone,
Sagrantino (il vino con il
più alto tasso di polifenoli).
AZIONE
DIURETICA: Il vino più indicato è in questo caso la tipologia
bianco secco, grazie al rilevante contenuto di potassio, variabile
in base alla zona di produzione ed ai trattamenti. Questo sale
esercita azione contraria al sodio non favorendo la ritenzione
idrica, ovvero evitando l’assorbimento di acqua tra le pareti
cellulari, causa di gonfiori dei tessuti.
Anche
l’alcool presente nel vino svolge azione diuretica favorendo la
filtrazione renale, inibendo la secrezione di un ormone in grado di
trattenere l’urina ed esercitando una azione vasodilatatoria sui
capillari renali.
È però da
sconsigliare l’assunzione di
vino in casi di gravi disturbi renali.
|
Particolare portone chiesetta san Nicola
Vescovo |
Apparato
osteoarticolare: da quanto sopra esposto, è facile intuire come il
vino possa giovare, favorendo l’eliminazione di urina ed impedendo
così l’accumulo di scorie, alle articolazioni svolgendo una azione
di contrasto con le patologie infettive o metaboliche ad esse
connesse.
In caso
di
reumatismi accompagnati da
forme febbrili sono consigliati vini rossi ricchi di
polifenoli come Barolo, Gattinara, Carema, Bramaterra e Médoc
(notare la provenienza quasi esclusivamente piemontese e da vitigno
Nebbiolo), che svolgono anche una egregia azione antivirale. Nei
casi di
reumatismi implicabili
invece ad accumuli di scorie azotate sono
consigliati invece vini bianchi secchi per l’azione diuretica e per
la proprietà di stimolare l’eliminazione di urati.
Nei
soggetti affetti da artrosi
è consigliabile una opportuna combinazione a pasto di diverse
tipologie di vini per poter assicurare una presenza di differenti
elementi minerali, il cui difetto è causa della patologia.
Sono consigliati i vini delle Côtes du Rhône e di Provenza o i vini
del Piemonte settentrionale e della valle d’Aosta.
EQUILIBRIO ACIDO-BASE, ACIDO URICO, DIABETE Particolarmente
rilevante è il ruolo assunto nel
metabolismo degli zuccheri.
La presenza di cromo è in grado di stimolare la produzione di
insulina diminuendo l’insorgenza di patologie diabetiche. Inoltre il
vino risulta ricco di fruttosio, uno zucchero monosaccaride con la
proprietà di non essere insulino-dipendente risultando quindi non
dannoso anche per i soggetti diabetici. Il glucosio infatti, altro
zucchero presente nel vino, avendo proprietà fermentescibile viene
utilizzato nel processo di fermentazione alcolica del mosto e la
quantità risulta notevolmente ridotta in particolare nei prodotti
con presenza minima di residuo zuccherino, quelli genericamente
definiti in fase di degustazione come “secchi”.
|
Palmento, finestra esterna |
Una
ricerca compiuta negli Stati Uniti ha dimostrato che l’alcool
aumenta l’azione ipoglice-mizzante dell’insulina e le conclusioni
rivelano che è stata riscontrata una diminuzione del 40% di
probabilità di insorgenza del diabete nei soggetti adulti e bevitori
moderati.
Notizia
curiosa,
in Germania è stata concessa
la possibilità di vendere “vino per diabetici” in farmacia,
ovvero la possibilità di apporre in seguito a rigidi controlli
un’etichetta sulla bottiglia che certifichi il beneficio di quel
prodotto nei soggetti diabetici.
Il
prodotto ha riscontrato un grande successo ed attualmente risulta in
vendita presso 14.000 farmacie tedesche ed è di origine italiana,
ottenuto dalle
denominazioni Cortese di
Gavi e Barbera d’Asti.
Per ultimo è necessario ricordare che il fruttosio è acariogeno e
non risulta quindi dannoso per i denti.
Ma
attenzione! L’alcool è molto calorico! L’alcool, nel suo
metabolismo, è in grado di produrre circa 7 kcal per 100 gr e,
pertanto, un bicchiere da 150 ml ne fornisce circa 100. In una dieta
ipocalorica (dimagrante) che può andare dalle 1200 alle 1700-1800
kcal giornaliere possono essere contemplate 100-200 calorie dal
vino, senza alterare i rapporti tra glucidi, lipidi e proteine.
Bevanda |
% Alcool |
Dosi (ml) |
Calorie prodotte |
Vino rosso secco |
11-12% |
150-200 |
90-130 |
Vino bianco secco |
10-11% |
150-200 |
85-125 |
Spumante Brut |
12% |
100 |
71 |
Vino liquoroso |
16% |
40 |
41 |
Amari |
25% |
50 |
70 |
Grappa |
42% |
40 |
95 |
Whisky |
43% |
40 |
100 |
Cognac |
42% |
40 |
90 |
Brandy |
40% |
40 |
90 |
Liquori (generico) |
36% |
40 |
125 |
Birra chiara |
3-5% |
330 |
100-140 |
|
La chiesetta di via Pantano dedicata a
San Nicola Vescovo |
3. Dai
piaceri, alla patologia; effetti tossici sull’organismo, dipendenza,
etilismo
Ma quanto
alcool si può assumere senza danni o pericoli per la propria salute?
Ovvero quali sono i confini della sostenibilità?
C’è
da risolvere l’annoso problema della dose massima di vino che un
individuo può assumere al giorno senza incorrere nei danni
derivati dall’alcol etilico.
Studi
epidemiologici hanno determinato la dose tollerabile e quindi
non tossica di alcol: 40 mg/die per l’uomo e 30 mg/die per la
donna che corrispondono a circa tre bicchieri di vino per l’uomo
e di due bicchieri di vino per la donna al giorno da dividere
tra i pasti principali. Negli anziani ovviamente la dose si
riduce a 2 bicchieri per l’uomo e a 1 bicchiere per la donna.
Rimangono
controindicazioni assolute all’introito di vino per alcune categorie
di persone (diabetici, donne in gravidanza, minori, patologie gravi)
ed ovviamente la guida.
A tal
riguardo, teniamo presente che la guida in stato di ebbrezza è un
reato sanzionato dall'art. 186 del Codice della Strada. Il tasso
alcolemico consentito per legge a chi si mette alla guida di un
qualsiasi mezzo motorizzato è pari a
0,5
grammi di alcol per litro di sangue.
Ovviamente il vino produce anche dei danni causati soprattutto
dall’alcol etilico da esso contenuto:
-
Sul sistema nervoso: a basse dosi può dare euforia ad alte
dosi depressione
-
Sul fegato: produce danno cellulare con produzione di fegato
grasso e a lungo andare fibrosi con formazione di epatopatia
croniche fino alla cirrosi
-
Sul pancreas: danni alle cellule pancratiche con possibili
pancreatiti
-
Sul cuore : possibili cardiopatie alcoliche
-
Sul metabolismo: a causa dell’elevato apporto calorico (
ogni grammo di alcool produce 7 Kcalorie) determina un
conseguente aumento di trigliceridi nel sangue
-
Infine, ricordiamoci che i bisolfiti hanno un’azione
allergizzante: attenzione, per gli allergici, ai vini che ne
contengono tanti!
-
Una curiosità: il consumo eccessivo di birra può causare
aritmie e cardiopatia dilatativi, a causa dell’elevato
contenuto in Zinco! (Prof. Rizzon –Bari)
Purtroppo, se da un lato lo sviluppo ha determinato una crescita nel
consumo di vino, non si può nascondere che abbia portato anche ai
primi casi di abuso. Attualmente in Italia il consumo maggioritario
tra le bevande alcoliche è rappresentato dal vino, seguito a ruota
dalla birra, soprattutto nelle fasce d’età giovanili.
Fortunatamente, in Italia e nei principali paesi dove il vino sta
riscontrando maggiori consensi come Francia e Stati Uniti, si sta
assistendo a forti campagne di sensibilizzazione sul consumo
moderato, oculato ed anche di qualità, fattore che alcune volte
viene erroneamente lasciato in disparte.
L’attenzione del consumatore deve pertanto essere concentrata sui
comportamenti a rischio, ma anche su quelle forme di controllo ed
utilizzo che possono portare ad influssi benefici per l’organismo.
Proprio
quest’argomento, estremamente affascinante, mi ha da tempo colpito,
soprattutto per la forte relazione con il mio ambito professionale.
Ritengo
sia estremamente importante saper proporre un vino in adeguato
accompagnamento al piatto, mia sia altrettanto importante saper
coinvolgere il consumatore sulla scelta, in relazione ai suoi
desideri e, perché no, al suo stato fisico.
Consumare
vino deve diventare un piacere e essere a conoscenza che quel
determinato prodotto possa anche aiutarci a risolvere piccoli
problemi di salute che ci possono affliggere allora aumenta
notevolmente questa sensazione di benessere.
|
San Nicola vescovo |
Cenni
sull’alcolismo
L'alcolismo
è una
sindrome
patologica determinata dall'assunzione acuta o cronica di grandi
quantità di
alcol,
con un consumo compulsivo e incontrollato, che porta ad abuso e
dipendenza.
Il
termine alcolismo è ampiamente usato ed è stato coniato nel
1849
da Magnus Huss, ma in medicina il termine è stato sostituito dal
concetto di "abuso di alcol" e "dipendenza da alcol"
nonché
"sindrome da dipendenza da alcool”, con incapacità di smettere di
bere. I meccanismi biologici alla base dell'alcolismo sono incerti,
tuttavia, fattori di rischio includono l'ambiente sociale, lo
stress,
http://it.wikipedia.org/wiki/
- cite_note-Glavas-6
la
salute
mentale,
la predisposizione genetica, l'età, l'etnia e il sesso: Rispetto
agli uomini, le donne sopportano meno l’alcool, sono più sensibili
all'alcol e più inclini a subire i deleteri effetti fisici,
cerebrali e mentali. L'abuso a lungo termine di alcool produce
cambiamenti fisiologici nel cervello come la tolleranza e la
dipendenza fisica. Tali cambiamenti della chimica del cervello
portano all'alcolista l'incapacità compulsiva di smettere di bere. I
danni dall'abuso di alcol colpiscono quasi ogni organo del corpo,
compreso il cervello, causando una serie di disturbi medici e
psichiatrici. L'alcolismo è la presenza costante della tolleranza,
dell'astinenza e dell'uso eccessivo di alcol. Le stime
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità parlano di 140 milioni
alcolisti in tutto il mondo.
Il
bere deve essere sapientemente accorto e sostenibile.
Ci piace
concludere con questa citazione letteraria: lo scrittore latino
Lucio Apuleio commentava che
“il primo bicchiere riguarda
la sete, il secondo l’allegria, il terzo la voluttà, il quarto la
pazzia”.
Bisceglie, 3 settembre 2011 |
|
Il Club UNESCO Bisceglie. Da sin. il dr.
Mauro Dell'Olio, il dr. Nicolantonio Logoluso, dr.
Michele Nacci, Donna Maria Consiglio, Pina Catino
Presidente Club UNESCO Bisceglie, il Poeta Salvatore
Memeo mentre legge un passo dall'Atto Costitutivo
UNESCO, dopo l'ascolto dell'Inno Nazionale Italiano ed
Europeo. |
|
Poesia
stata scritta dal poeta Salvatore Memeo Socio Club UNESCO Bisceglie
proprio in occasione della manifestazione sulla Dieta Mediterranea.
Balsamo
pugliese
Portato
nutrito da un soffio innocente
momento
d’amore disceso dal cuore
connubio
di stirpi di ville vicine
tra
gialli vigneti e distese d’ulivi
la Puglia
m’ha dato, per farmi guarire
dal mio
distacco da questa contrada
il
balsamo giusto spremuta divina
che Bacco
superbo con mano cordiale
alzava la
brocca nel regno dei pari.
Non temo
più brogli di falsi travasi
se sorbo
il nèttare di questa Regione
poiché la
forza che il suo vino infonde
m’inebria
la mente e mi dà tanta pace.
Salvatore
Memeo |
|
Da sin. il Vicepresidente del Consiglio
Comunale di Bisceglie dott. Domenico Storelli, il
maestro d'Opera Michele Muzio, ND Maria Consiglio-Nacci,
Pina Catino Presidente Cloub UNESCO Bisceglie, il Poeta
Salvatore Memeo, l'attrice Annamaria Ceci. In occasione
della giornata di formazione agli Ideali UNESCO,
dedicata alla Dieta Mediterranea Patrimonio dell'UNESCO,
attraversando i Luoghi con i 5 sensi… PERCORSI nel
Patrimonio identitario pugliese, organizzata dal Club
UNESCO di Bisceglie. |
|
L’UNESCO e la Dieta Mediterranea
Gli antichi sapori della cucina
biscegliese
Nicolantonio Logoluso,
Presidente Società Operaia Mutuo Soccorso "Roma
Intangibile"
Porgo un doveroso saluto e ringraziamento alla N.D. Maria Consiglio
per la cortese ospitalità nella sua prestigiosa dimora. Alla
dinamica Presidente UNESCO della sezione di Bisceglie, la cara amica
Pina Catino, un affettuoso ringraziamento per l’invito a questa
manifestazione ed un ulteriore GRAZIE per il Patrocinio Club UNESCO
Bisceglie ricevuto alla prossima pubblicazione di un mio quaderno
“Gli antichi sapori della cucina biscegliese”. Permettetemi quindi,
di darvi alcune anticipazioni su questa prossima pubblicazione
poiché in tema con gli argomenti qui trattati ed in ultimo, visto la
presenza di autorevoli esponenti dell’Amministrazione Comunale, di
fare una graziosa provocazione riguardo il famoso dolce biscegliese,
“Il Sospiro”.
Antichi sapori e dieta mediterranea binomio assolutamente
indivisibile per una corretta alimentazione, è il tema
ricorrente della pubblicazione. Bruce Ames, nutrizionista
dell’Università di Barkeley in California asserisce che una
corretta alimentazione è l’elisir di lunga vita, usando però
quei prodotti che, seguendo i cicli delle stagioni, nascono
dalla terra e finiscono sulla tavola.
Tradizioni Ricordi Testimonianze “Gli antichi sapori della cucina
biscegliese”, come dicevo, è il titolo di questo terzo quaderno. Si
tratta di vecchie ricette in uso presso le massaie della generazione
del secolo scorso ma disattese dalle nuove generazioni; anche se
molte di esse possono generalmente trovarsi nella tradizione
culinaria pugliese. Non dimentichiamo che la Puglia, condividendo
l’entusiasmo di chi, per il clima, l’ha definita la “California
italiana”, ha subito nel corso dei secoli vicende storiche
drammatiche per un popolo dedito esclusivamente all’agricoltura,
come il dominio di greci, romani, longobardi, bizantini, saraceni;
che fu retta da normanni, svevi, principi francesi e vicerè
spagnoli; che passò attraverso guerre, invasioni, rivoluzioni e
restaurazioni e che, pur difendendo la propria identità, risentì
necessariamente delle più varie influenze nell’arte, nei costumi,
nel modo di vivere. Tra le tante testimonianze delle innumerevoli
invasioni resta, - oltre a manufatti straordinari come cripte
basiliane, castelli medioevali e palazzi barocchi, sullo sfondo di
mirabili, ordinati paesaggi rurali – restano anche tracce degli
antichi sapori, radicate in un popolo dall’intelligenza viva e
creativa che, nonostante la congenita povertà, ha saputo conciliare
la propria dignità con l’indigenza della sopravvivenza. Ed è proprio
alla cucina popolare biscegliese che ho voluto dedicare questa mia
ricerca, ascoltando, tra alcuni Soci plurinovantenni del Sodalizio,
storie di vita vissuta, ricche di ricordi, testimonianze e
tradizioni che si stanno perdendo. L’obiettivo, quindi, è quello del
recupero di ciò che resta. Nutro anche una segreta speranza che la
diffusione di alcune ricette possa incontrare consensi e
approvazione. Naturalmente questo lavoro non ha la pretesa di essere
una rassegna completa delle innumerevoli ricette biscegliesi, ma di
raccogliere e trascrivere solo quelle che, a mio parere, le novelle
massaie non conoscono o hanno dimenticato. Ricette tutte, fatte con
ingredienti poco costosi, genuini e alquanto rispettose della Dieta
Mediterranea.
Bisceglie, a differenza delle vicine Trani e Molfetta, è sempre
stata una città a vocazione prevalentemente contadina
e solo con marginale attività della pesca, considerando che anche i
pescatori usavano coltivarsi il proprio orticello. Per questo,
furono proprio le contadine biscegliesi che tramandarono, di madre
in figlia, succulenti piatti, elaborati con i prodotti della loro
terra. La cucina biscegliese, così come quella di molte località
pugliesi, si caratterizza per il rilievo che dà alla materia prima,
di terra o di mare, finalizzata ad esaltarne unicamente il sapore e
la genuinità. Si è ormai compreso che la sobrietà, i cibi “poveri”,
i sapori semplici, sono il miglior veicolo per una vita lunga e
piena di salute. La Dieta Mediterranea è universalmente riconosciuta
per i benefici della sua sana alimentazione e la cucina biscegliese
la esprime al meglio per la ricchezza dei prodotti della sua terra
generosa di colori, odori e sapori.
La cucina pugliese, ed in particolare quella biscegliese, forse a
differenza di tante altre, è quella che è rimasta immune da
trasformazioni nel corso dei secoli, lasciando invariati i suoi
principali elementi: il grano, l’olio, il vino, i farinacei,
l’agnello, il maiale, il cavallo, i legumi, il pesce, insaporiti
dalle innumerevoli erbe aromatiche sparse nel territorio. Da
ricordare, fra tutte, l’antica minestra di “Fave e cicorie
selvatiche”, vanto della cucina contadina e il “ciambotto”, per
quella dei pescatori.
Ascoltando quei soci anziani e le loro consorti, nati nella seconda
decade del 1900, si ha un meraviglioso resoconto di storie e di ciò
che mangiavano, amalgamando con cura i vari ingredienti, talvolta
frutto di pura fantasia, sino ad ottenere quei gradevoli “intrugli”
adatti al loro nutrimento quotidiano. Di tali intrugli, alcuni sono
poi divenuti ricette raccolte in libri di cucina, altri, non più in
uso, rischiano di andare perduti.
Ed ora, signori, eccovi la provocazione: Signor Assessore perché non
si è ancora provveduto a dare una giusto riconoscimento di origine
protetta o quant’altro al nostro famoso SOSPIRO? Perché
l’amministrazione non ha ancora provveduto ad approfondite indagini
circa la sua origine? Vi è ancora dibattito tra gli storici della
nostra città lasciando così libero arbitrio a leggende e confuse
interpretazioni su ciò che hanno riportato, sui loro appunti di
viaggio, antichi storici che visitarono Bisceglie.
Permettetemi ora, quindi, di darvi anche un mio modesto contributo,
senza pretendere di risolvere il problema ma di aprire un
costruttivo dibattito con coloro che la pensano in modo diverso.
È innegabile che Bisceglie abbia un’antica tradizione dolciaria. La
“Platea settecentesca di San Lorenzo” la documenta egregiamente,
descrivendo la produzione di scarcelle, bocconi di dama, cartellate,
occhi di Santa Lucia, paste reali ecc. per opera delle Monache
Clarisse del Convento di San Luigi. La descrizione di un dolce
particolare biscegliese, a parer mio, è documentata, però, due
secoli prima, da Fra Leandro Alberti nella sua “Descrittione di
tutta Italia” edito a Venezia il 1568. Egli narra della sua visita
in Puglia avvenuta nel 1525 e parlando di Bisceglie, dopo aver
narrato delle sue origini, del Martirio dei Santi Protettori, della
Manna miracolosa, della situazione politica, scrive di aver gustato
una specialità dolciaria: “...Quivi si confetta
il zebibo tanto eccellente, con zuccaro e altre cose aromatiche,
ch’è cosa molto delicata da gustare. Egli è molto più soave che
non è quel di levante, sebbene Giovan Battista Pacichelli nella sua
opera del 1702, “Il Regno di Napoli”, visitando Bisceglie, loda con
i prodotti della terra, la produzione di vini dolci quale il moscato
e “ò zebibo”, considerandolo un vino dolce, ritengo l’Alberti non si
riferisse ad un vino, ma ad un dolce glassato poiché nella sua
descrizione usa il verbo confettare parlando di zucchero ed altre
cose aromatiche cose tutte presenti nella ricetta del sospiro.
Facilmente la parola ZEBIBO si confonde con ZIBIBBO, vitigno
autoctono di Sicilia, nelle province di Trapani e Messina, e
dell’isola di Pantelleria, per la produzione di vino dolce. In
Puglia i vini dolci sono prodotti solo dal vitigno moscato.
Verosimilmente, a parer mio, il primo dei due illustri viaggiatori
descrive quel dolce che noi chiamiamo sospiretto, poiché la
dimensione grande del sospiro, come pasta alla crema, è
un’invenzione più recente, del ventesimo secolo. Probabilmente
quindi, il sospiro nasce come piccola pasta alla crema, delle
dimensioni dell’attuale sospiretto, di nome ZEBIBO, evolvendosi poi
in dimensioni maggiori unitamente all’uso dei tanti tipi di paste
alla crema. Del perché fu chiamato sospiro non è dato sapere, al
momento non è stato rinvenuto nessun documento. A tal proposito
girano solo leggende metropolitane legate ad una visita mai fatta a
Bisceglie da Lucrezia Borgia, moglie del Duca di Bisceglie. Credo
però che SOSPIRO sia stato il nome appropriato dato da qualcuno che,
dopo averne mangiato uno o magari due ed assaporatone la fragranza e
la delicatezza, abbia come Leandro Alberti SOSPIRATO di
soddisfazione per l’eccellenza e la soavità del dolce.
Eccovi la ricetta del sospiro, così come da me riportata nel
volume, in cui gli elementi che la compongono sono frutto
del nostro territorio:
Il Sospiro
Ingredienti e dosi su 10 uova:
10 uova, 200 gr. di zucchero semolato, 200 gr. di farina 00
crema pasticcera, vanillina, succo di limone q.b.
Preparazione e cottura:
Separate le uova dai tuorli e dall’albume. Montate delicatamente i
tuorli con 100 gr di zucchero. A parte montate a neve gli albumi
unendovi i rimanenti 100 gr di zucchero. Mischiate lentamente i due
elementi, girando con una frusta sempre nello stesso verso, unendo
piano e a pioggia la farina ed un po’ di vanillina. Si otterrà un
impasto molle. Mettetelo in una siringa di stoffa e formate delle
cupolette su dei tegami ricoperti con carta da forno. Con forno già
caldo a 180° di temperatura, sono sufficienti 30 minuti di cottura.
Sfornerete meravigliosi turgidi seni d’adolescente di colore ambra,
di vellutata fragranza e morbidezza pronti ad unirsi a delicata
crema pasticcera e dolce abito bianco nuziale di zucchero glassato. |
Pubblicazione on-line del Portale
del Sud, settembre 2011 - gennaio 2012. Testo ed immagini appartengono alla autrice.
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