Estratto dalla tesi di laurea di Pier
Luigi Contino, architetto, a cura di Fara Misuraca
Scrive Al-Idrisi ne Il libro di
Ruggero:
“L’isola di Sicilia è la perla del
secolo per abbondanza e bellezze; il primo paese del mondo per bontà
di natura, frequenza di abitazioni e antichità. Vengovi da tutte le
parti i viaggiatori e i trafficanti delle città e delle metropoli, i
quali tutti ad una voce la esaltano, attestano la sua grande
importanza, lodano la sua splendida bellezza, parlano delle sue
felici condizioni, degli svariati pregi che si accolgono in lei e
dei beni d’ogni altro paese del mondo che la Sicilia attira a sé”.
“La storia della Sicilia durante l’alto medioevo presenta caratteri
di forte peculiarità. Mancò, in primo luogo, rispetto alle altre
province dell’impero d’occidente, lo stanziamento stabile e durevole
di popoli germanici sul sostrato romano o romanizzato. Mancò quindi
l’evento chiave che apre il medioevo europeo e ne determina i
caratteri. Ad una breve e poco incisiva fase barbarica seguì la
conquista bizantina che legò per oltre tre secoli il destino
dell’isola a Bisanzio. Ma l’evento che rivoluzionò definitivamente
la realtà geopolitica del Mediterraneo, e mutò il ruolo dell’isola
fu l’espansione musulmana e la fine del dominio bizantino in Africa
settentrionale”
.
Dopo la conquista araba nell’anno 830 d.C., l’isola viene divisa in
tre grandi distretti amministrativi: Val di Mazara che comprende la
parte centro-occidentale dell’isola, Val Demone che comprende la
parte nord-occidentale e Val di Noto che comprende la parte
meridionale. La capitale viene spostata da Siracusa a Palermo
provocando il passaggio dall’area culturale greca a quella del
Mediterraneo occidentale.
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San Cataldo
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L’occasione all’entrata dei musulmani in Sicilia viene fornita da
una rivolta militare che i cronisti, sia orientali che occidentali
narrano in modo vario.
L’anonimo Salernitano, che visse verso la fine del X secolo, narra
di come “un grechetto che reggea la Sicilia ingiuriasse
mortalmente Eufemio ricchissimo Siciliano. Corrotto per denari, il
Prefetto violentemente toglieva ad Eufemio la fidanzata Omoniza,
fanciulla di rara bellezza, per darla in braccio ad un rivale.
Eufemio, cercando vendetta, si imbarcava coi servi suoi per
l’Africa; andava a profferire la Signoria di Sicilia a quel barbaro
re il quale, colmatolo di doni, lo rimandò nell’isola con un
esercito. L’ingiuriato amante, così entrato per forza d’armi in
Catania e fattavi molta strage, ammazzò tra gli altri anche il
prefetto”.
Secondo le notizie bizantine che attingono alla Cronografia di
Costantino Porfirogenito, Eufemio non subisce un’ingiuria ma la
commette; egli, capo delle milizie in Sicilia, invaghitosi di una
fanciulla la rapisce e la prende in moglie. L’Imperatore, venuto a
conoscenza dei fatti, di infliggergli una punizione. Venuto a
conoscenza del pericolo, Eufemio si rifugia presso il miramolino
d’Africa al quale promette un tributo se gli concede gli aiuti
necessari per invadere la Sicilia.
Ancora diversa è la versione tramandata dalla tradizione musulmana
negli scritti di Ibn-en Athir, di Norwari e di Ibn Khaldun dai cui
racconti emerge che “Eufemio, fatto duce dei soldati di armata del
prefetto di Sicilia, andò a combattere in Africa gli arabi ma saputo
che si tramava di togliergli il comando e di punirlo per una colpa
appostagli, eccitò i soldati alla rivolta, tornò a Siracusa e
fattosi gridare imperatore chiamò al governo di alcune province uno
straniero suo partigiano di nome Palata, cugino di Michele che
reggeva Palermo. Ma questi si ribellarono ad Eufemio stesso
costringendolo a rifugiarsi in Africa ed a chiedere aiuto agli
arabi”.
L’Amari, posti alla prova della critica questi vari racconti,
considera quest’ultimo il più attendibile rifiutando la parte
romanzesca degli altri racconti.
Una delle più belle descrizioni della Sicilia è quella offertaci dal
geografo e scienziato Al-Idrisi il quale afferma: “Diaciam dunque
che l’isola di Sicilia è la perla del secolo per abbondanza e
bellezze; il primo paese del mondo per bontà di natura, frequenza di
abitazioni e antichità. Vengovi da tutte le parti i viaggiatori e i
trafficanti delle città e delle metropoli, i quali tutti ad una voce
la esaltano, attestano la sua grande importanza, lodano la sua
splendida bellezza, parlano delle sue felici condizioni, degli
svariati pregi che si accolgono in lei e dei beni d’ogni altro paese
del mondo che la Sicilia attira a sé. Nobilissime tra tute le altre
che ricordi la storia, furono le sue dominazioni; potentissime sopra
tutt’altre le forze che i Siciliani prostrarono chi lor facesse
contrasto. E veramente i re della Sicilia vanno messi innanzi di
gran lunga a tutti gli altri re, per la possanza, per la gloria e
per l’altezza de’ proponimenti”.
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San Giovanni degli
Eremiti, porticato
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Palermo città araba
Dopo la conquista dell’isola, Palermo, scelta come sede del governo,
deve essere dotata di tutte le strutture burocratiche e i servizi
che si confanno ad una capitale amministrativa.
Non appena giunti a Palermo,gli arabi iniziano un’opera di
lottizzazione delle terre della piana della città e la coltura
intensiva dell’agro palermitano; con delle ingegnose opere
idrauliche i conquistatori migliorano e bonificano le campagne
incentivando la coltivazione degli agrumi, del papiro, delle piante
di cotone. Si assiste al sorgere di opifici per la lavorazione delle
stoffe, dello zucchero e dei papiri per la scrittura. La città
diventa così un importante emporio per il commercio; ben presto
prendono la rotta per Palermo le navi dei commercianti dell’area
mediterranea. Ha inizio un periodo di vero benessere sotto la
dominazione degli arabi, portatori di una vigorosa ed originale
civiltà; la città vive un eccezionale periodo di fioritura che
investe l’arte, l’edilizia, le scienze, l’agricoltura e la cultura
in tutte le sue manifestazioni con un conseguente aumento
demografico. Tale fermento percorre l’intera isola, ma Palermo è al
centro di questo risveglio culturale.
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Porta Nuova,
particolare
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Sotto gli arabi vengono utilizzate al meglio le risorse idriche del
sottosuolo palermitano “recenti ricerche di speleologia urbana hanno
rivelato nel sottosuolo di Palermo e della Conca d’Oro una
straordinaria rete di condotti sotterranei di drenaggio delle acque.
Essi sono costruiti secondo la tipologia dei
qanat. Si tratta
di strette gallerie scavate artificialmente e collegate alla
superficie da pozzi seriali. Grazie alla leggera ma costante
pendenza dei cunicoli, l’acqua scorre dal punto di captazione per
centinaia e centinaia di metri, a volte per chilometri”.
Le antiche cerchia murarie non sono più sufficienti a contenere la
popolazione e cominciano a sorgere case e borghi al di là dei fiumi
Kemonia e Papireto che fin dai tempi antichi delimitavano il nucleo
originario della città punica.
Secondo la testimonianza di Ibn Hawqal, cronista del tempo, intorno
alle mura della città, si aprivano nove porte; egli le elenca,
seguendo il circuito delle mura in senso antiorario, partendo dalla
più importante: Bab al-bahr, Bab al-sifà, Bab S.
Agata, Bab rutah, Bab ar-riyad, Bab al-abna,
Bab as-sudan, Bab al-madid ed infine una nona porta di
cui non ci è pervenuto il nome.
Mentre la popolazione, legata alla coltivazione della terra, si
sposta nei nuovi borghi che si edificano al di fuori delle mura,
nella parte antica della città sorgono palazzi e negozi.
Gli arabi non sono intervenuti a modificare il tessuto urbano della
città; la grande strada centrale del Cassaro non subisce alcun
processo di trasformazione. Gli scrittori arabi la descrivono
affiancata da botteghe e pavimentata (simat al balat).
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La Cuba
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Oltre alle botteghe, che occupano determinate vie della città in
ragione della categoria merceologica, si sviluppano i suq
(mercati). Ibn Hawqal ci descrive i suq di Palermo indicando
per ciascuno il luogo ed il tipo di commercio che vi si svolgeva; il
suq al-buhariyya è il mercato delle carni meno nobili e delle
verdure; il suq al-balhara è il mercato delle carni più
nobili e del pesce ma anche delle spezie; il suq al-badik,
noto in epoca più tarda anche con il nome di caput seralcadi,
è specializzato nella vendita delle gramaglie
[abiti
per il lutto, n.d.r.]; infine il suq
al-attarin è rinomato per le sue spezie.
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San Giovanni
dei Lebbrosi
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Secondo Adalgisa De Simone in almeno due casi il nome dei mercati
odierni deriva dal nome arabo: Lattarini da attarun,
attarin che vuol dire speziali, droghieri; Ballarò da balhara,
suq così denominato dal villaggio di provenienza dei commercianti
che lo frequentavano; Vucciria da buhariyya ed infine il Capo
da caput seralcadi.
Palermo si arricchisce, in quest’epoca, di palazzi, di moschee e di
parchi diventando una metropoli orientale; fioriscono scuole di
medicina, di matematica, di diritto, di teologia musulmana, poeti e
storici fanno splendere il suo nome nel mondo intero. La città araba
esercita un ruolo predominante su tutta la Sicilia; questa posizione
elitaria è sottolineata anche dal nome significativo di Medinah
con il quale viene chiamata la città, termine che sta a significare
città capo di molti domini.
Nel linguaggio comune, comunque, la città continua ad essere
chiamata con il suo antico nome anche se si assiste alla
trasformazione fonetica del toponimo Πανορμος (Panormus) in Balarm o
Balarmuh.
Nel X secolo i due viaggiatori arabi, Al-Muqaddasi ed Ibn Hawqal,
forniscono delle descrizioni dettagliate della città; Al-Muqaddasi
nella sua opera intitolata Ahsan at-taqàsim fì mà rifat al-aqalìm
(La migliore delle ripartizioni per la conoscenza delle regioni)
scrive: “Palermo capitale di Sicilia, è situata sul mare in
quell’isola. È più grande di al-Fustàt (il Cairo vecchio), ma
è ripartita in diversi settori; i fabbricati della città sono di
pietra e calce ed essa appare rossa e bianca. La circondano sorgenti
e canneti, le fornisce acqua un fiume chiamato
Wadì Abbàs .
I mulini sono numerosi nel suo mezzo ed essa abbonda di frutta e di
produzioni del suolo e d’uva. L’acqua batte le sue mura. Possiede
una città interna, nella quale si trova la moschea gàmî; i
mercati sono nel sobborgo (rabad). Ha inoltre una città
esterna dotata di mura e chiamata al-Halisah, in cui si
aprono quattro porte”.
Il potere è nelle mani della figura del Walì prima, e dell’Emiro
dopo i quali hanno pieni poteri civili e militari ed sono coadiuvati
da un consiglio composto da esponenti della nobiltà araba.
“Quanto il Walì tanto l’Emiro non perdevano occasione per
manifestare il loro interessamento e la loro benevolenza verso il
popolo laborioso […]. Tra originari palermitani e arabi correvano
buoni rapporti ma non avvenne mai l’unificazione ed il gruppo etnico
conservò intatte le sue caratteristiche essenziali […]. I
palermitani, pur subendo la loro dominazione ed assimilandone molti
elementi della cultura e dell’arte, restarono, nel fondo della loro
mentalità e nella loro vita, attaccati alla religione cristiana e
alle loro secolari tradizioni”.
Sul punto più alto della città gli arabi costruiscono il primo
nucleo dell’attuale Palazzo dei Normanni. L’Emiro e la classe
dirigente risiedono all’interno delle mura dell’antica città di
impianto punico-romano fino al 937-938; le antiche mura
racchiudevano i quartieri della Galka (al-Halqâh, la cinta),
sede degli spazi amministrativi, e quello del Cassaro (al-Qasr,
il castello), corrispondenti rispettivamente alle primitive
paleapoli, e neapoli attraversati dalla simat al balat,
l’odierno Corso Vittorio Emanuele. Al di fuori delle mura, via via
che aumenta il numero degli abitanti per il naturale accrescimento
demografico, si vanno formando altri quartieri: l’hârat al masgid
Ibn Siqlâb (quartiere della moschea) e l’hârat al
gadîdah (quartiere nuovo) che abbracciano quelli che saranno i
quartieri dell’Albergheria e dei Lattarini, compresi fra le mura
meridionali della città e l’odierno corso Tukory; l’hârat as
Saqâlibah (quartiere degli Schiavoni), sede di mercanti e
milizia mercenaria, situato a settentrione, al di là delle rive del
Papireto; il muaskar, sede di stanza delle truppe, una vasta
contrada suburbana scarsamente edificata situata ad occidente. Tutti
i quartieri che vengono edificati al di fuori delle antiche mura
vengono indicati dagli arabi con il termine di rabad cioè
borgo.
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Il ponte
dell'Ammiraglio XII sec.
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Nei primi anni del X secolo, la dinastia fatimita, subentrata a
quella aghlabita, costruisce una cittadella autonoma fortificata;
questa necessità fu dettata in seguito al profilarsi della minaccia
normanna e delle turbolenze della popolazione palermitana. Sorge
così al-Halisah, l’Eletta, da cui deriva il nome dell’odierno
quartiere della Kalsa. La cittadella fortificata, estesa per circa
otto ettari, serve da centro direzionale e residenziale della nuova
classe fatimita e al suo interno si trasferiscono anche i bagni e le
prigioni, tutte attività che si svolgevano nei quartieri della Galka
e del Cassaro. La fondazione della Kalsa è ricordata da Michele
Amari nella sua Storia dei Musulmani di Sicilia dove scrive: “la
penisola in sul porto […] offriva sito difendevole, aperto agli
aiuti di fuori, e acconcio a vietarne ai palermitani. Khalîl vi
gettò subito le fondamenta d’una cittadella cui diede nome El –
Khalisa che suona l’Eletta; e invero doveva rinserrare il fior dei
leali: l’emiro, i suoi
mercenarii da spada e da penna;
palgio,
arsenale, oficii pubblici; prigione; tutta la macchina governativa
come una Media in piccolo, circondata di mura e molto bene
rafforzata”.
In questo periodo vengono costruiti numerosi bagni, e numerose
moschee come testimoniano gli scrittori arabi del tempo. “Or le
moschee di Palermo si moltiplicarono quasi in modo proverbiale;
degli antichi visitatori alcuni ne contarono trecento altri
addirittura cinquecento, aggiungendovi certamente quelle dei
popolosi borghi che si svilupparono ai margini della città”.
Gli hammâm (i bagni pubblici), profondamente legati alla
cultura ed alla religione islamica, sorgono numerosi nella Palermo
araba; Ibn Hawqal, nelle sue narrazioni, sembra essere piuttosto
colpito dai due bagni di al-Halisah. L’unica testimonianza di
bagni arabi in Sicilia è data da quelli di Cefalà Diana che
rappresentano anche una delle poche opere appartenenti con certezza
a questo periodo.
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Palazzo dei
Normanni
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La città manterrà la sua egemonia per tutta l’età araba manifestando
il suo fasto ed il suo splendore all’arrivo dei nuovi dominatori
normanni.
Note
[1]
Maurici F., 1999, pp. 11, 12
[2]
Amari M.,2002, vol. I p. 202
[5]
Maurici F., Op. cit., pp. 73, 74
[6]
Con il termine Wadì Abbàs è indicato il fiume conosciuto
oggi come fiume Oreto
[7]
De Simone A., Palermo araba, in La Duca R., 2003, p.80
[8]
Sucato I., 1963, pp. 11, 12
[9]
Amari M., 2002, vol. I p. 125
[10]
Sucato I., Op. cit., pp. 22, 23
|