La fondazione, 2 ottobre 1928. L’Opus Dei nasce a Madrid
per iniziativa del sacerdote Josemarìa Escrivà de
Balaguer. Il nome è successivo e risale all’inizio degli
anni Trenta. Al centro de suo messaggio l’ideale di
santità nella vita quotidiana.
Vari membri dell’Opera vengono nominati ministri nei
governi di Francisco Franco, mentre altri sono
perseguitati e costretti a esiliare. Escrivà si reca in
Andorra. Nel 1939 pubblica Cammino.
L'Opus si diffonde alla fine della seconda guerra
mondiale: Portogallo (1945), Inghilterra e Italia
(1946), Francia e Irlanda (1947),Usa e Messico(1949). E
poi Giappone, Australia, Sudafrica.
I fedeli, 1948-1950. Dal '48 possono entrare a far parte
dell'Opus, a pieno titolo, persone sposate che cercano
la santità nel proprio stato di vita. Nel 1950 Pio XII
concede l'approvazione pontificia.
Il fondatore muore a Roma il 26 giugno 1975. A quella
data appartengono all'Opus Dei circa 60 mila persone, in
ottanta diverse nazioni. Il 15 settembre è eletto suo
successore Alvaro del Portillo.
Il 17 maggio 1992 Escrivà è beatificato da Giovanni
Paolo II in Piazza San Pietro alla presenza di 300 mila
persone. Dieci anni dopo, il 6 ottobre 2002, avviene la
canonizzazione.
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Opus Dei
L’anima segreta della Chiesa
di
Filippo Ceccarelli
Spesso è
nei dettagli che si nasconde il diavolo - oltre che Dio, qualche
volta. E questo che si vorrebbe qui invocare a proposito dell'Opus
Dei in occasione del trentennale della morte del fondatore e santo
Escrivà de Balaguer, è davvero un piccolo dettaglio: meno di due
metri quadrati del suolo di Roma, due gradini di marmo in una
piazzetta un po' defilata di Trastevere, su cui si affaccia un
portone secondario di una bellissima residenza dell’Opus Dei.
La
facciata è frutto di uno straordinario restauro. Prima c'erano delle
monachine, e tutto andava in rovina. Poi è arrivata l'Opera e ha
comprato tutto, rapidamente e con garbo. Sull'entrata principale una
targa indica che si tratta di un collegio internazionale, Sedes
Sapientiae, e di sapienza ce ne deve essere parecchia dietro quelle
mura. Sapiente la sistemazione architettonica, rigogliose le piante
dell’ex orticello, lucidi i pavimenti, immacolate le tende alle
finestre, le cui persiane sono o tutte aperte, o tutte chiuse, o
tutte simmetricamente socchiuse. Insomma, "limpieza y gusto",come
raccomandava Escrivà. La mattina escono da lì, in piccoli gruppi e
biciclette, tutte pulite, tutte uguali, dei pretini educati e
sorridenti che arrivano da tutto il mondo in questo blocco di
palazzi a "U" che, pur nella grazia dell'impeccabile sistemazione,
ispira un che di roccioso, di insulare, di fortificato.
L'Opus
vive da tempo una stagione fulgida. Come non mai ha influenza, ha
denaro, ha prestigio, ha potere. In Vaticano, in Europa e nel mondo.
In Italia vive al di sopra e al di sotto della politica. Ha detto
una volta don Giussani a Vittorio Messori, che l'ha scritto nel suo
Opus Dei. Un'indagine, «Vede, noi di Cl siamo i ballila, gli
irregolari che tirano pietre. Ma loro, quelli dell'Opera, hanno i
Panzer: vanno avanti ben corazzati, con i cingoli anche se li hanno
rivestiti di gomma. Il rumore non si sente, ma ci sono, eccome. E ce
ne renderemo conto sempre di più».
Sembra
trascorso un secolo dal 1986, quando con qualche avventatezza a
Montecitorio si convocò un dibattito per stabilire se la creatura di
Escrivà fosse o no da considerarsi "associazione segreta". La difese
Scalfaro. Cossiga e Fazio sono di casa. Andreotti ha raccontato di
tenere sul comodino i pensieri del fondatore. Quando questi fu fatto
santo - e se non "santo subito", certo in un tempo
incommensurabilmente veloce - a piazza San Pietro c'erano anche
Rutelli, D'Alema e Veltroni, che da sindaco si diede assai da fare
per la buona riuscita dell'evento. Le Poste italiane hanno anche
emesso un francobollo con il volto del "Padre", e se pure le ragioni
formali di quella scelta sfuggono, beh, quelle sostanziali parvero
all'allora ministro Gasparri del tutto prevalenti.
Avere l'Opus
Dei come vicino di casa è un privilegio assoluto. E a Trastevere,
sempre più assediato dagli schiamazzi fuori dai pub e dagli effluvi
della rosticceria cinese, lo è ancora di più. Per i graffittari, il
complesso è off-limits: appena spunta una scritta, o uno sgorbio a
imbrattare le mura della residenza, arriva una speciale macchina e
senza tante storie, zac, in cinque minuti tutto ritorna lindo come
prima. (Va da sé che sugli edifici attorno continuano ad accumularsi
le più inverosimili stratificazioni semantiche e cromatiche).
«Si
smette di odiare allorché si smette di ignorare» scriveva
Tertulliano, proto-antropologo. Bene. Difficilmente si comprenderà
l'Opus Dei senza considerare che persegue la qualità totale
dell'anima. Santifica il Signore nell'eccellenza e nell'esemplarità
che si fa canone, norma, protocollo, prescrizione per vincere se
stessi, dedicandosi interamente e assolutamente a Dio. È un cammino
di perfezione. Questo non solo spiega, ma aiuta a capire senza
troppi stupori o allarmi o divertita curiosità le particolarissime
pratiche spirituali e ascetiche di questo mondo: il "minuto eroico",
cioè svegliarsi e tirarsi su dal letto di colpo, o dormire ogni
tanto per terra, non accavallare le gambe quando si fa formazione;
senza contare il silenzio, le autocensure su tante immagini e
letture, le confessioni in pubblico, i giuramenti, il cilicio e la "
disciplina", che non è solo una dura necessità
burocratico-militaresca,ma una specie di frusta, attraverso cui,
pure, si può mortificare la carne, raggiungere l'assoluto. Il punto,
semmai, è che la perfezione fa anche un po' paura. E forse ne fece
anche a Escrivà, che era certamente una persona straordinaria, ma
sulla lapide di alabastro verde della sua tomba ha voluto fosse
scolpito, in latino, "peccator".
E chi non
lo è? Riguardo ai presunti e pubblici peccati dell'Opus - o dei suoi
membri: la distinzione è sottile, ma c'è - esiste in effetti una
vasta letteratura e una altrettanto vasta leggenda nera. Limitata
all'Italia, si trovano tracce e zampini intorno a: caso Calvi, fondi
neri Iri, stecca Garofano-Enimont, vicenda delle guardie svizzere
(qui, purtroppo, non c'entrano i soldi). Ma una certa pubblicistica
dietrologica e demonizzante, cui non sfugge che Marcello Dell'Utri
ha organizzato in gioventù il settore sportivo dell'Opus, tende
sempre a strafare e a iper-dimostrare. Fermo restando che
difficilmente il potere e i quattrini, per quanto utili, sono
santificabili, anzi in linea di massima si direbbe proprio che
ostacolano il cammino verso la perfezione.
Bene:
Roma è per sua natura città eterna, ma imperfetta. E sa anche di
esserlo - il che non aiuta. Trastevere peggio. Così, per tornare
finalmente a quei gradini di marmo davanti al portone della "Sedes
Sapientiae", succedeva che ci si andava a sedere la gente. E a volte
- non sempre, per la verità - ci si "sbracava". Succede, a occhio,
da qualche millennio. Lì intorno, oltretutto, ci sono delle scuole,
per cui la mattina c'erano "i fidanzati" ad attendere le ragazze, ma
poteva capitare che lì, di sera, si fermassero anche teneri
innamorati e innamorati litigiosi, e "cannaroli" e pure barboni (la
comunità di Sant'Egidio, del resto, li cerca e meritoriamente li
assiste), però anche giovani normalissimi e turisti stanchi, chissà
magari persino pellegrini. E insomma, e comunque: la vita.
Ora,
rispetto alla grande missione dell’Opus e alla certificata santità
del suo fondatore, il piccolo dettaglio è che un bel giorno, o forse
una notte, attorno a quei gradini è spuntata una cancellata.
Discreta, ma solida, con sbarre nerofumo: parlava da sola. Di sicuro
non mancavano i permessi. L'Opera dispone senz'altro di fabbri,
geometri e legali di primissima qualità. Comunque quella barriera di
ferro diceva: qui non ci si siede (più). Quindi, alla larga.
Tanto
legittima, quella cancellata, quanto legittimo coglierne il valore
simbolico. L'Opus Dei si basta. Sin dall'inizio aggrappata alla
Tradizione, al Magistero; da sempre così nemica del relativismo, e
così pronta, così efficace, così celebrata, così tutto, da rischiare
d'incontrarlo là dove la tecnica perde se stessa.
Soldati
di Cristo
Ma senza
esoterismi
di
Marco
Politi
A
ventitre anni Juliàn Herranz era uno dei segretari personali di
Escrivà. Adesso l'amico intimo del fondatore dell'Opus Dei è
cardinale di Curia e presidente del Consiglio per i Testi
legislativi. Guardando indietro, il settantacinquenne porporato
nativo di Cordoba lo descrive come «uno specchio che rifletteva
Cristo».
Cardinale
Herranz, che personalità era Josemarìa Escrivà de Balaguer?
«Cristo,
snidiamo in teologia, aveva natura perfetta di Dio e natura perfetta
di uomo. Aveva tutta l'infinita capacità di amore di un Dio, messo
in un uomo che aveva la delicatezza umana di soffrire per la vedova
che aveva perso il figlio o il lebbroso rifiutato dagli uomini o il
cieco o colui che non può camminare. Questo amore aveva Gesù Cristo
e questo aveva Escrivà».
Lei come
lo ricorda?
«Una
personalità avvincente, dotata di una profonda dimensione
soprannaturale e di un’altrettanto profonda umanità. "Ho un unico
cuore - ci diceva – con cui amo Cristo, con cui ho amato mio padre e
mia madre, con cui amo voi, che volete con me compiere la volontà
divina, e tutti gli uomini, anche quelli che non mi capiscono o
pensano di essere miei nemici"».
Ne aveva
molti?
«Incontrò
anche molte incomprensioni e persino persecuzioni. In effetti
c'erano persone che non capivano il suo messaggio sulla chiamata
universale alla santità e sulla chiamata dei laici ad assumersi la
responsabilità di apostoli di Cristo in mezzo alla vita ordinaria
degli uomini. Allora, negli anni Trenta, erano concetti troppo nuovi
e ci sarebbero voluti decenni finché il concilio Vaticano II li
mettesse come punto centrale del magistero nella costituzione Lumen
Gentium».
Ed
Escrivà?
«Ricordo
che rispondeva quando qualcuno parlava di perdonare a chi non lo
capiva: "Io non devo imparare a perdonare nessuno, perché il Signore
mi ha insegnato ad amare. E quando mi hanno fatto partecipare alla
croce di Cristo, ho baciato la mano di chi mi faceva quel bene"».
Lei è
entrato nell'Opus da studente di medicina. Cosa la affascinava e
cosa crede che caratterizzi l'Opera?
«Mi
piaceva l'impegno molto secolare e diretto. Trovare Cristo nelle
realtà temporali: il lavoro professionale, la famiglia, lo sport,
l’arte, gli impegni sociali, politici, sindacali. La concezione del
lavoro come partecipazione all'opera creatrice di Dio, come qualcosa
che serve non solo a guadagnare il pane in terra ma anche il pane
del cielo».
Ci sono
testimonianze che descrivono Escrivà anche come temperamento
collerico, violento, rude nelle espressioni.
«Era un
uomo e gli uomini non sono tutti fatti di pasta frolla. Gli uomini,
come Gesù Cristo che era vero uomo, hanno anche necessità di
prendere atteggiamenti forti. Cristo ha cacciato i mercanti dal
tempio, eppure era un esempio di mansuetudine. Escrivà era capace di
enorme comprensione e amore, ma sapeva che ci sono valori e verità
da affermare con la stessa forza con cui lo faceva Cristo».
Nel
Codice da Vinci di Dan Brown milioni di lettori hanno visto l'Opus
Dei come organizzazione di potere, un po’ come i gesuiti nel
Seicento. Perché quest'idea colpisce l'immaginario popolare?
«Non
saprei. Per me questo libro, che non ho letto ma di cui conosco i
contenuti, va contro Gesù Cristo, offende più che l'Opus Dei Cristo,
la Chiesa e la fede in tutto il mondo. La leggenda nera in quel
libro è puramente aneddotica. Evidentemente serviva una qualche
istituzione che facesse da filo conduttore della leggenda. Tutte
queste cose, come la ricerca del Graal, riflettono una tendenza
esoterica. Quando la fede è scarsa, la gente cerca appagamento
nell'esoterismo. Tra l'altro si parla di "monaci dell'Opus",
dimostrando una totale ignoranza della nostra istituzione».
Come
giudica il processo di secolarizzazione in atto?
«Preferisco parlare di paganizzazione. Vivere come se Dio non ci
fosse e cercare di discriminare il soprannaturale. Lasciare che
l’anima si accontenti delle soddisfazioni puramente umane del
potere, del piacere, del denaro, della droga, del sesso
incontrollato. Stiamo assistendo a un degrado non solo religioso, ma
culturale. Ci sono valori umani che tutti dobbiamo difendere
altrimenti l'uomo si animalizza».
Nel suo
paese, in Spagna, è in corso un duro confronto tra Chiesa e Governo
sulla questione omosessuale.
«Esistono
documenti molto chiari della Congregazione per la Dottrina della
Fede su cui non ho niente da aggiungere. E per delicatezza non
voglio intervenire in una vicenda di cui si occupa la conferenza
episcopale spagnola».
Le chiedo
una valutazione pastorale.
«Tutti i
battezzati sono figli di Dio e hanno i diritti connessi con la
dignità della persona umana. Dal punto di vista soprannaturale le
persone omosessuali hanno il diritto di essere accudite e aiutate a
superare una situazione di disordine nella natura, che comporta un
impegno ascetico superiore al normale».
Eminenza,
l'Opus agisce anche in situazioni geopolitiche difficili, dove i
cristiani sono minoranza. Come avviene?
«Il
lavoro apostolico dei laici dell'Opus Dei si fa attraverso il lavoro
professionale. Non c'è una programmazione globale che inquadri le
iniziative. Siamo un'organizzazione disorganizzata, amava dire
Escrivà. Mi viene in mente la Cina. Nella regione di Canton e a
Pechino lavorano laici della Prelatura che hanno fondato due Ong.
Una si occupa di agricoltura, l’altra di ingegneria di manutenzione.
In aereo ho scoperto un giorno un altro laico che lavora per una
ditta farmacologica svizzera: prodotti per combattere la rogna delle
pecore».
E come
esercitano la loro missione?
«È un
apostolato di amicizia e di confidenza. Con i colleghi e le persone
che incontrano. Perché ci sono momenti in cui si parla della propria
famiglia, dell'esistenza, del senso della vita e della morte, del
destino dell'uomo. Chi sono? Chi mi ha creato? Che c'è dopo la
morte? Sono domande che ogni uomo si pone e noi cristiani abbiamo
risposte molto chiare».
Fede e
lavoro, la sfida ai laici
di
Agostino Giovagnoli
Laicità è
diventata una parola chiave nel dibattito di questi giorni, dopo il
referendum del 12 giugno. Consolidate certezze sono state messe in
discussione e non è più cosi sicuro che tale valore sia ancora
accettato dai più, come sembrava fino a pochi anni fa. Stentiamo, in
particolare, a capire se la laicità, affermatasi per garantire la
convivenza tra diversi mentre erano in atto scontri dirompenti fra
verità forti e ideologie titaniche, sia adeguata anche allo scontro
tra relativismo e fondamentalismo che sembra incombere sull'epoca in
cui viviamo.
La
questione non è di poco conto: la laicità, infatti, è servita a
lungo anche per definire la collocazione della Chiesa cattolica
nella società contemporanea. Tra XIX e il XX secolo, l'istituzione
ecclesiastica si è trovata davanti alle sfide del laicismo e
dell'anticlericalismo, della scristianizzazione e della
secolarizzazione, ed è toccato principalmente ai laici cattolici
cercare nuove vie per la Chiesa nella società contemporanea.
Oltre
all'Azione cattolica, si sono sviluppati terzi ordini (ispirati a
Francescani, Domenicani, Gesuiti e altri ordini religiosi), istituti
secolari (come quello della Regalità di Cristo fondato da padre
Gemelli e i Milites Christi di Giuseppe Lazzati), movimenti
ecclesiali (come Focolarini e Comunione e Liberazione), esperienze
ancora più recenti come i Neocatecumenali. E anche l'Opus Dei
rientra, a suo modo, nella lunga strada del cattolicesimo verso il
confronto con la laicità.
Il
percorso dei cattolici verso tale confronto ha conosciuto fasi
diverse. L'Opus Dei è stata fondata nell'epoca fra le due guerre,
mentre si stava affermando in Europa la società di massa, in più
casi all'interno di regimi autoritari, come in Italia e in Spagna.
Il ruolo accresciuto delle masse sollecitava la formazione di nuove
élite capaci di guidarle, come cercò di fare padre Gemelli,
fondatore non solo dell'Università Cattolica ma anche del primo
istituto secolare pensato per dare "identità spirituale" a queste
élite. Se, infatti, i laici cattolici si impegnavano sempre di più
nella società contemporanea e la loro vita era sempre più simile a
quella di chiunque altro, in che cosa si sostanziava la loro
specificità?
Il
terreno spirituale è stato ed è decisivo anche per l'Opus Dei,
secondo l'intuizione del suo fondatore che mise a fuoco la
centralità del rapporto tra fede e lavoro, molto sentita anche da
altri, come il Movimento Laureati Cattolici, un ramo dell’Azione
Cattolica fondato in Italia negli stessi anni.
L'Opus
Dei, però, si è posta obiettivi diversi da quelli perseguiti in
Italia da padre Gemelli o dai Laureati Cattolici, senza proiettare i
propri membri verso un ruolo pubblico di guida delle masse. Caduto
il fascismo, i cattolici italiani che si erano formati negli anni
Trenta diventarono dirigenti della Democrazia cristiana, verso cui
Escrivà de Balaguer nutrì perplessità. È un atteggiamento rivelatore
per comprendere il rapporto fra l'Opus Dei e la politica: il suo
fondatore non condivideva infatti il principio dell'unità politica
dei cattolici – a parte casi di estrema necessità - e, su questo
piano, auspicava un pluralismo di scelte. Negli ultimi anni del
franchismo, alcuni membri dell'Opera entrarono nei governi di
Franco, per lo più come ministri tecnici, ma altri si schierarono
dalla parte dell'opposizione.
La
politica, infatti, non era al centro del progetto di Escrivà e
l'obiettivo principale dell'Opera è diverso: far vivere ai propri
membri la spiritualità indicata dal fondatore e diffonderla il più
possibile. Sotto il profilo delle ricadute sociali, tale
spiritualità non alimenta anzitutto l'impegno politico, ma la
serietà nel lavoro, la capacità professionale, la preparazione
culturale, la competenza scientifica, l'abilità tecnica.
Indubbiamente, la spiritualità influenza la mentalità, le idee, i
giudizi e quindi, indirettamente, anche la politica, come sta
accadendo nello scontro in atto in Spagna fra il governo Zapatero e
molti cattolici mossi dalle loro convinzioni. Ma non c'è
necessariamente un nesso meccanico fra "intransigenza" spirituale e
intransigentismo politico ed è significativo che nelle
manifestazioni di piazza di questi giorni, contro il governo
spagnolo, ci siano stati in prima fila vari vescovi ma non dirigenti
dell'Opus Dei, malgrado l'ampia diffusione di questa nella Spagna di
oggi.
Se si
vuole indagare il "segreto" dell'Opus è, dunque, alla sua
spiritualità che si deve anzitutto guardare. Vari interrogativi sono
stati sollevati a questo proposito, dal ruolo assegnato all'autorità
nella guida delle coscienze allo spazio riservato alla Bibbia,
secondo alcuni non così centrale come in altre esperienze del
cattolicesimo contemporaneo, soprattutto post-conciliari. In un
certo senso, inoltre, si trovano qui le radici di una riservatezza
che ha alimentato il sospetto intorno a questa realtà: i membri
dell'Opera sono "gelosi" della loro identità spirituale e tale
gelosia si è estesa, soprattutto nella fase iniziale, anche ai loro
statuti e alla loro organizzazione. Tutto ciò ha provocato
perplessità, tra cui quelle della curia di Paolo VI - diversamente
da quanto è accaduto poi con Giovanni Paolo II - ma resta il fatto
che l'Opus Dei appartiene alla storia del cattolicesimo nel
Novecento, che ha cercato di misurarsi con la dimensione della
laicità sul cui futuro pesano oggi nuove incertezze.
Tratto da Diario di Repubblica, 28 giugno
2005 |