Le ragioni di un NO
Appello del
Comitato Scientifico
Il referendum del
25-26 giugno 2006 è una decisiva occasione per azzerare una riforma che investe
parti essenziali della Costituzione repubblicana. Il nostro proposito,
dichiarato due anni fa, è stato: aggiornare, non demolire la nostra Carta
costituzionale: ma le riforme coerenti con i principi fondamentali della
Costituzione possono realizzarsi solo se viene cancellata questa pessima
controriforma.
Il testo
sottoposto a referendum, indicato con l'improprio nome di "devolution":
a) ferisce
l'unità nazionale attribuendo alle Regioni la competenza esclusiva in
materie che riguardano i livelli essenziali delle prestazioni per i diritti
alla salute ed alla istruzione. Oltre ai costi mai precisati di questa
operazione, che sarebbero comunque molto alti, è chiaro che soluzioni
dissociative di questa natura si risolverebbero in un ulteriore
depotenziamento delle Regioni finanziariamente più deboli, rendendo vano
ogni sforzo di perequazione nell'ambito del federalismo fiscale. In più, il
sistema sanitario tenderebbe a differenziarsi per il diverso rapporto tra
sanità pubblica e sanità privata. Bisogna poi tener conto dei pesanti
effetti di differenziazione derivanti dalla attribuzione del carattere
esclusivo alle competenze regionali nelle altre materie non espressamente
riservate alla legislazione dello Stato (agricoltura, industria e turismo,
tra le altre): in queste materie potrebbe diventare impossibile la
determinazione di principi generali unitari e di qualunque politica
nazionale;
b) concentra nel
Primo ministro poteri che rendono del tutto squilibrata in senso autoritario
la forma di governo dell'Italia, isolandola dagli Stati liberal-democratici.
La blindatura del vertice del governo è praticamente assoluta, perché la sua
sostituzione con un altro Primo ministro appartenente alla stessa
maggioranza (che eviterebbe lo scioglimento della Camera), è resa
impossibile dall'altissimo quorum richiesto. Il Presidente della Repubblica
perde il potere di scioglimento della Camera, che passa integralmente al
Primo ministro: la Camera dei deputati è degradata ad una condizione di
mortificante inferiorità: o si conforma alla richiesta di approvazione di un
testo legislativo su cui il Premier ha posto la questione di fiducia o, se
dissente, provoca lo scioglimento dell'Assemblea e il ritorno di fronte agli
elettori. La finalità "antiribaltone" non giustifica queste scelte estreme,
perché la stabilità del governo dipende soprattutto dal "fatto
maggioritario", realizzabile anche con l'attribuzione di un premio di
maggioranza, come è già avvenuto nelle XIV e XV legislature;
c) Il superamento
del bicameralismo paritario (escludendo il Senato dal rapporto di fiducia)
non è giustificato dalla creazione di un vero Senato federale
rappresentativo degli enti e delle comunità territoriali. La riduzione del
numero dei parlamentari è un espediente puramente demagogico perché essa è
operativa solo dal 2016 quando i capi e capetti di oggi saranno
sperabilmente in pensione;
d) La
distribuzione delle attribuzioni legislative tra Camera e Senato in base
alle diversità delle materie (quelle di competenza esclusive dello Stato, le
altre di competenza concorrente con le Regioni) rende del tutto incerto
l'esercizio del potere di legiferare, anche perché il Primo ministro può
spostare dal Senato alla Camera la deliberazione in via definitiva sui testi
ritenuti fondamentali per l'attuazione del programma di governo;
e) da ultimo, ma
non per ultimo, il testo sottoposto a referendum viola l'art. 138 della
Costituzione, che non prefigura "riforme totali" della Carta, e viola i
diritti degli elettori, radicati negli artt. 1 e 48 Cost., elettori che con
un solo "si" o "no" vengono costretti a prendere contemporaneamente
posizione sulle modifiche delle funzioni del Presidente del Consiglio, delle
funzioni del Presidente della Repubblica, del procedimento legislativo,
della composizione e delle funzioni di Camera e Senato, delle competenze
legislative regionali, della composizione della Corte costituzionale, del
giudizio di legittimità costituzionale in via diretta e del procedimento di
revisione costituzionale.
Se vincesse il sì
diventerebbe impossibile per molto tempo cambiare un testo approvato dal
popolo; mentre se vince il no, c'è solo il rifiuto di "quella" riforma
(votata nella passata legislatura) restando aperta la strada per emendamenti
migliorativi puntuali coerenti con i principi ed equilibri fondamentali
dell'impianto costituzionale: emendamenti da approvare a maggioranza
qualificata, in forza della auspicata riforma dell'art. 138 della
Costituzione, volta a mettere fine una volta per tutte all'epoca delle
riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza. |