Questione Meridionale
Attualità o superamento di uno slogan?
di Gherardo Mengoni
Non sono pochi coloro che coltivano,
sotto vari aspetti sociali e culturali, l’interesse per la riproposizione
politica ed economica, in termini attuali, del problema del Sud d’Italia
ovvero di una rinnovata “Questione Meridionale”.
Penso a Biagio de Giovanni; ad Aurelio
Musi; ad Aldo Masullo e forse ancor più a quanto scritto in questi anni da
Giuseppe Galasso.
La drammaticità degli eventi recenti, dai
quali è inequivocabilmente emerso che Politica e Malaffare vanno a
braccetto, ha tuttavia spinto anche fasce intellettuali meno
specialistiche verso una più acuta riflessione critica delle esperienze che
il passato recente e non recente del Sud ci pone sotto gli occhi.
Le condizioni storiche sono
sostanzialmente mutate se si confrontano con quelle esistenti all’inizio
dello scorso secolo allorquando, ad opera di più voci sapienti, si dette
corpo alla Questione Meridionale, dando organicità e spessore alla
depressione economica e civile in cui giacevano mezza Italia continentale e
le Isole maggiori, dopo la procellosa ed affrettata unificazione del 1860.
La parte a Nord del Paese non era
preparata a comprendere ed accettare l’altra parte, contribuendo, per
ignoranza ed illiberale prevenzione, ad innescare un processo, appena
mascherato dal linguaggio ufficiale, di vero e proprio separatismo delle
intenzioni, espressa da una sistematica resistenza all’accettazione
delle ragioni del Sud.
A questa condizione politica reale, che
Alianello definì “La Conquista del Sud” si opposero con ogni mezzo i
pensatori meridionali del tempo. Le voci di
Salvemini; di Nitti e poi di Giustino Fortunato si levarono, vigorose
contro i discendenti di Carlo Farini e del Generale Cialdini. Un confronto -
scontro, in primo luogo ideologico, con tentativi democratici da parte dei
primi e propositi d’espansione economica, tutt’altro che liberali
dall’altro.
A cento e più anni di distanza
sembrerebbe, a prima vista, improprio avviare una riflessione partendo da
premesse, apparentemente, tanto lontane dall’oggi, per tentare una lettura
delle attuali condizioni del Sud.
A rendere plausibile una visione
unificante del problema, infatti, sussisteva, a quell’epoca,
l’organizzazione sociale di base dell’intero territorio, identificata nella
civiltà rurale, generatrice di un vero e proprio blocco agrario,
come, nei suoi studi, fu definito da Pasquale Saraceno.
Altra circostanza unificante, nei fatti
deliberatamente ignorata o sottovalutata dai teorici dell’Italia sabauda,
risiedeva nella circostanza che l’intero Meridione si era retto, fino al
1860, come Stato autonomo ed indipendente.
Un marcata differenza, dunque, per
condizioni sociali ed economiche, tra il Sud Italia di quell’epoca e quello
attuale!
Se fosse proprio e solo così
risulterebbe, di fatto, inutile riesumare schemi apparentemente superati ed
ingialliti dagli anni trascorsi.
Eppure, come dicevo, non pochi sono gli
intellettuali che si domandano se non sia il caso, al contrario, di
riesaminare i termini del confronto a suo tempo emerso; attualizzarne
parametri ed esigenze alla luce della raggiunta modernità (se non
altro anagrafica) e procedere alla sistematica rilettura delle vicende del
Meridione d’Italia.
La prima constatazione, che dovrebbe
essere posta a base di ogni tentativo di interpretazione delle mutate,
attuali esigenze, parte dal tramonto della civiltà contadina; dall’esodo
massiccio dalle campagne e dall’emigrazione interna degli Anni sessanta .
L’abbandono delle terre e la migrazione
della forza lavoro verso l’Estero e verso il Nord d’Italia si produssero sul
territorio meridionale in forma disomogenea, “a macchia di leopardo”,
lasciando vaste aree di depressione sociale ed economica che, tuttora,
patiscono conseguenze di quella stagione dolorosa, in termini di
arretratezza, di reddito economico basso e di libertà, nel senso più ampio
della parola.
Ma poiché il resto del Sud Italia,
seppure a velocità ridotta rispetto al Nord, in maniera, ancora una volta,
disomogenea per molteplici fattori, è, comunque, riuscito a progredire, non
si dovrebbe più parlare di un Sud e di una Questione Meridionale.
Esistono ormai una molteplicità di Sud ed una parallela molteplicità
di esigenze, commisurate a ciascuna delle differenti morfologie territoriali
che si sono venute a determinare. Così i problemi della Regione Puglia sono
dissimili da quelli dell’area del Catanzarese; le esigenze della Campania
costiera sono molto, molto lontane da quelle della Lucania più interna. E’,
peraltro, altrettanto vero che molte delle disomogeneità emerse oggigiorno
erano presenti anche all’inizio del Novecento, quando si aperse la
discussione generale sul problema del Mezzogiorno e l’inchiesta Saredo,
considerata una delle più inquietanti ed impietose indagini socio-ambientali
eseguite in Italia , denunciò e comprovò l’intreccio esistente a Napoli tra
politica e criminalità, a tutto danno della condizione sociale dell’intero
Sud .
Intanto, tornando ai giorni nostri, il
divario tra il Nord e questo Sud disomogeneo, ovvero tra Nord e tutti questi
nuovi Sud, appare, paradossalmente, accresciuto da fattori sociali gravi,
come espansione della criminalità ed emigrazione intellettuale;
disoccupazione giovanile e degrado del territorio. Il tutto sempre in
rapporti disomogenei, con aree di arretratezza massima e punti di eccellenza
come il Polo Tecnologico siciliano o il Tarì campano. In alcune città come
Napoli, Bari e Messina si accusa una progressiva decadenza ambientale, con
la emersione di violenza urbana giovanile non controllata, mentre altre
forme di anarchia cittadina sono già pesantemente attive nei medesimi
tessuti urbani; basta osservare il traffico disordinato e caotico che si
determina in certe ore nel centro di Napoli, di Salerno o di Reggio Calabria
e la penosa vicenda delle guerriglie per lo smaltimento dei rifiuti
in Campania.
Orbene, come si diceva all’inizio, a
proposito di questi Sud, divenuti molteplici, si va rinnovando una stagione
di pensiero, e sembra sia aperta, da qualche tempo, una sessione virtuale
di analisi, con il contributo di eminenti studiosi. Costoro si interrogano
sui mas-media, nel dubbio di promuovere o meno una “Nuova Questione
Meridionale” o di trattare il problema socio-economico del territorio, che
inizia al Garigliano ed arriva a Lampedusa, come un aspetto della gestione
ordinaria dell’intero Paese, peraltro nella prospettiva allargata europea.
Nell’alternarsi delle varie voci è forse
venuto il momento di dare maggior peso e consistenza alle valutazioni ed
alle riflessioni di coloro che, come noi, in posizioni di responsabilità,
quotidianamente, vivono questa realtà asimmetrica.
Non dovremmo sottrarci al dovere sociale
di valutare la condizione storica che ci è dato di vivere sul nostro
territorio, né, ove possibile, d’avanzare proposte, maturate dalle
esperienze vissute giorno per giorno e sorrette da scelte ed orientamenti
scaturiti dall’apporto della nostra razionalità.
Non possiamo arrenderci alle definizioni
separatiste ed eticamente riprovevoli del tipo: “il Sud è territorio
irrecuperabile ed intrinsecamente afflitto da un blocco sociale,
ancorato alla criminalità ed incapace di emersione dall’incultura”!
Maturità, sagacia e senso della misura
possono ritrovarsi unite nel pensiero propositivo che può emergere da una
nostra riflessione attenta su quanto può e deve farsi per questi Sud
diversificati e, tuttavia, uniti dall’etichetta di territorio
depresso. Questa posizione intellettuale, emblematica e tangibile
espressione del pensiero meridiano, dovrebbe essere adottata non a
tavolino, in forma asettica, come accade nelle Accademie della politica,
ma sul campo, da operatori; professionisti, docenti che, nel rispetto
delle proprie origini, interpretino la loro appartenenza al Territorio come
una missione primaria di partecipazione sociale.
Bisogna guardare in avanti; ipotizzare;
operare con rettitudine; indignarsi quando occorre; talvolta sognare ad
occhi aperti, senza mai abbandonarsi alla sfiducia.
Una grande occasione di riscatto - che il
filosofo Aldo Masullo, in un suo recente libro, immagina - consisterebbe, ad
esempio, nella prevedibile caduta degli interessi commerciali verso
l’Atlantico, per la depressione economica che si protrarrà per anni negli
Stati Uniti, ed una conseguente rivalutazione degli scambi nel Mediterraneo,
con una auspicata ripresa della centralità del Sud d’Italia, quale
baricentro naturale, per i traffici e per gli scambi tra l’Europa
continentale ed i paesi che si affacciano sul Mare Nostrum di romana
memoria.
La Questione Meridionale resta,
dunque, argomento di attualità, seppur articolato in forme moderne d’analisi
che non stravolgono, tuttavia, l’originario tema d’emancipazione e di
annullamento del divario tra territori del Sud d’Italia ed … il resto
d’Europa.
Gherardo Mengoni
gennaio 2009 |