Matera, l'antichissima Cripta del Peccato
Originale
Il pastore che dormì tra
i santi
[1]
di Sergio Frau
Gravina di Picciano (Matera). Come scordarselo quel giorno. Come non
ricordarlo ora, che la Cripta del Peccato Originale finalmente è salva e che
ha ripreso vita e colore. Questa grotta tutta dipinta, nascosta in una crepa
della piana sotto Matera, ricomincia a sorprendere: proprio come doveva fare
dodici secoli fa, quando qui ancora ci pregavano monaci e pastori. E torna a
far paura - ora, dopo i restauri - la mano di Dio che spunta dal suo cielo:
prima per crearli Adamo ed Eva; poi per cacciarli via, nudi e fragili, dal
Paradiso Terrestre. Soggezione e rispetto - di nuovo, come un tempo - a
starle sotto, incute lo sguardo della Vergine Madre, santa e maestosa con il
suo bambino in braccio, ma tale e quale un'imperatrice. E non bastano tutti
quei fiori rossi, grandi, pazzi, dipinti lì a pennellate forti - che
sembrano voler avviluppare tutte le figure dei santi e degli arcangeli - a
tranquillizzare chi entra e guarda. Roba seria, questa: è il Giudizio di
Dio.
Ormai
questa Cripta non solo chiama giù, a Matera, storici dell'arte a visitarla,
ma sta anche obbligando i migliori esperti a riscrivere la genesi della
prima arte medievale del Sud, da sempre considerata soltanto greco-bizantina.
Bella storia, la sua storia: con tanto di lieto fine.
Un
avvocato a caccia di grotte dipinte sconosciute
Era
il 1° Maggio 1963, Festa del Lavoro dappertutto. Per l'avvocato Raffaello de
Ruggieri quello, però, è rimasto il Giorno dei Cento Santi. Un giorno di
ferie come tanti altri, in giro per la campagna a caccia di grotte dipinte.
Giusto sei mesi prima, tornava a casa, da Potenza a Matera, l'avvocato de
Ruggieri, dopo aver seguito una delle tante cause che suo padre, principe
del foro lì, gli aveva affidato. Sulla provinciale incocciò un agricoltore
della zona che, sotto il sole già forte, si era caricato in spalla il
radiatore del suo trattore: l’aveva piantato in asso a tradimento, proprio
mentre stava finendo l'aratura. Come non dargli un passaggio fino al primo
meccanico, in città? E, infatti, l' avvocato glielo diede.
E
visto che il passeggero teneva i suoi campi in zona Santa Lucia - a 14
chilometri da Matera - come non approfittarne per chiedergli di quel rovello
sul Cristo Pantocreatore che due studiosi francesi dell'Ottocento gli
avevano messo in testa: in un loro scritto a quattro mani giuravano di aver
visto in una delle tante grotte di Santa Lucia, un coloratissimo affresco
del Pantocreatore, di cui in zona non si era mai più saputo nulla.
De
Ruggieri, leggendo - appassionato alla terra sua com'è - si era impegnato a
ritrovarlo quel Cristo. Così le domande, una via l'altra, all'agricoltore
«indigeno» che aveva lì a disposizione: «L'hai mai visto un Cristo così, in
zona tua? E grotte dipinte? ». Silenzio, e solo dei no. Dopo cinque minuti
di mutismi, una risposta a sorpresa: «Quand'ero piccolo, però, e facevo
ancora il pastore alle pecore, mi spedivano a dormire nella grotta dei Cento
Santi. Non sono mai riuscito ad addormentarmici lì dentro. Che paura mi
facevano tutte quelle facce brutte, fotografate lì, che mi fissavano».
Figurarsi de Ruggieri. «Come "cento santi"? Come "fotografati"? Come ti
guardavano?». L'agricoltore glielo fece capire che di tutt'altra grotta
doveva trattarsi. Racconta de Ruggieri: «Feci un errore: non presi il
recapito di quel contadino. Così, per mesi e mesi, costrinsi amici e amiche
a battere tutto il canyon della Gravina: lungo quel torrente, da sterpi e
rovi, ci saltarono fuori una quindicina di insediamenti, alcuni pure
affrescati, ma nessuno rispondeva alle descrizioni del pastore.
Poi,
quel primo maggio, la scoperta: «Una meraviglia - una cappella Sistina,
piccola piccola e di campagna - usata da ovile per secoli!». Tutto vero,
poi, quel che gli era stato raccontato: non erano proprio cento i santi, ma
comunque roba straordinaria. Lo si capiva bene, nonostante la patina di
carbonato di calcio che, con il tempo, aveva velato i colori degli
affreschi, conservandoli però.
A far
paura al pastorello devono essere stati i tre arcangeli della terza nicchia
nella parete sinistra che oggi - con tutti quei loro riccioli e i paramenti
come nuovi - guardano brutto chiunque, su appuntamento (telefonando allo
0835/330582) visiti la Cripta.
A
dire il vero anche San Pietro, Sant'Andrea e San Giovanni evangelista -
tutti e tre insieme nell'altra nicchia, vicino l'ingresso hanno volti
intensi, ieratici ma niente affatto tranquillizzanti. Tra loro esplode la
severa maestà della Vergine che, da sola, ruba la scena a tutti gli altri.
Tutto
ormai - anche grazie a fibre ottiche che danno luce ma non scaldano l'aria -
squilla a tinte forti, incastonando ad arte la grande scena della Genesi,
che fa da vera protagonista. E sì, perché stavolta la storia ha un lieto
fine che fa notizia: De Ruggieri ci si è messo subito - con tutta la tigna
che serviva - per salvare quel «suo» luogo sacro che oggi comincia a passar
di bocca in bocca ed esser notificato come un indizio fondamentale del Big Bang dell'arte meridionale alto-medievale. Così ha fatto
un'associazione prima; la fondazione Zètema, poi; ha cercato fondi e
sponsor; ha coinvolto Michele d'Elia, direttore dell'Istituto centrale del
Restauro dal 1987 al '91. Con lui ha messo in piedi un'equipe di salvataggio
di gran lignaggio. Hanno studiato per quattro anni il posto con le mille
analisi che servivano per fame un prototipo di altri salvataggi possibili.
Racconta d'Elia:
«La
nostra preoccupazione maggiore era di non rompere l'equilibrio climatico
della grotta che, comunque, aveva conservato, sotto la patina, i colori
originali per più di un millennio. Così, per un anno intero, l'abbiamo
monitorata, perquisita, ventilata. Poi ripulita, impermeabilizzata, messa in
sicurezza. E anche oggi che è tornata bella, sarà trattata con le mille
attenzioni che un capolavoro così merita: piccoli gruppi, visite
scaglionate, periodi di riposo».
La
storica dell'arte Gioia Bertelli, che sta per dare alle stampe un suo studio
sulla Cripta del Peccato Originale, la descrive con vera ammirazione,
avvertendo che, probabilmente, l'ispirazione alla composizione venne da
qualche antica Bibbia miniata arrivata fin qui con i Benedettini. Le sue
parole: «Il piano su cui poggiano i piedi tutte le figure è costituito da un
va sto campo di colore giallo arricchito da numerosissimi fiori rossi di
diverse dimensioni, un motivo che è una sorta di "cifra", comune ad
affreschi di età alto-medievale presenti nella cattedrale di Benevento, a
San Vincenzo al Volturno, nella Grotta di San Michele al Gargano. Questo
ovviamente ci spalanca mille affascinanti percorsi di indagine nel mondo
benedettino di allora, impensabili fino a qualche anno fa». E Vittorio
Sgarbi: «È talmente grande quel pittore della Cripta che ha il diritto di
avere un suo nome. Per me, ormai, lui è il Maestro dei Fiori di Matera». E
sull'aspetto tutto nostrano di queste pitture anche lui concorda: «Bisanzio
qui non c'entra. A parte la Madonna che - con quei suoi sontuosi paramenti -
ricorda assai da vicino la figura della Basilissa imperatrice che troviamo a
Ravenna, altri importanti particolari attribuiscono le scene al
cristianesimo d'Occidente: sia la tonsura dei due chierici ritratti lì, che
il pallio del vescovo, lasciano presupporre un rito latino. Poi ci sono le
scritte, anch' esse in latino. E tutti quei fiori, poi: un'esplosione così
azzardata di pittura la troviamo nella Benevento dei Longobardi. E questo,
certo, non può essere un caso». Michele d'Elia rilancia: «Ora questa grotta
è salva: ce ne sono altre mille, però, che aspettano ancora di raccontarsi,
mentre rischiano di sparirci sotto gli occhi».
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la
mano di Dio spunta su Adamo ed Eva |
Le Chiese rupestri da non perdere
Un
vero peccato ripartire senza visitarle: sono decine, infatti, le chiese
medievali rupestri nel territorio di Matera.
Sette, facilmente visitabili, sono sparse nella zona dei Sassi. Ecco un
elenco: Santa Barbara delle Cupole (IX-X secolo); Sant'Antonio del Cortile e
delle Quattro Chiese (XII-XIII secolo); Santa Lucia alle Malve, con le sue
tre navate e meravigliose pitture (IX secolo); Santa Maria de Idris e San
Giovanni in Monterone (XII-XIV secolo).
Note
[1]
Tratto da la Repubblica, 15 agosto 2006 – pag. 41
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