Il libro
La vita della
baronessa Bandiera, ferma nei suoi ideali di fedeltà all’Austria, viene
sconvolta dalla pazzia dei due figli che, esuli a Corfù,
perseguono ideali di unità e libertà dallo straniero. Intrepida li
raggiunge nel vano tentativo di farli rinsavire. Inizierà poi il viaggio
che la porterà in incognito fino a Cosenza, dove vedrà Attilio ed Emilio
sulla via della fucilazione. Cercherà a lungo di capire la ragione per
la quale si sono immolati, finché i complessi avvenimenti che plasmano
la nuova Italia libera e unita le daranno la consapevolezza che essi non
sono morti da traditori ma da eroi. L’opera comprende un’Appendice
documentaria e un Dizionario dei personaggi storici.
La storia
La vita
tranquilla della nobildonna veneziana è improvvisamente sconvolta dalla
pazzia dei suoi due
figli. Nel tentativo di farli
rinsavire
si reca a Corfù, sua città natale, ricca di ricordi personali. Delusa
dal loro rifiuto di lasciare l’isola, prende la via del ritorno. Gli
eventi precipitano: all’Editto
di Comparizione
da parte delle autorità austriache segue la cattura dei due ufficiali e
dei loro compagni di spedizione in Calabria a opera della polizia
borbonica.
La Baronessa non
si arrende. In incognito affronta un nuovo viaggio per implorare la
grazia dalla regina Maria Teresa. Ma dopo l’incontro con sua sorella
Caterina, moglie di un generale borbonico, decide di proseguire per
Cosenza dove i figli attendono il processo. Qui li vedrà avviarsi al
luogo della fucilazione. Ritornata a Venezia, cercherà invano di
capire la ragione per la quale essi si sono immolati.
Coinvolta negli
avvenimenti storici complessi e contraddittori che plasmano la nuova
Italia libera e unita, Anna Maria Marsich Bandiera si spegne a tarda età
nei pressi di Mestre. Ha terminato il suo
viaggio
finalmente consapevole che Attilio ed Emilio non sono morti da
traditori
ma da
eroi.
Intorno ai
protagonisti hanno ruoli diversi nella vicenda suo marito Francesco e
suo fratello Giuseppe Marsich, ammiragli dell’Imperial Regia Veneta
Marina, Maria, moglie di Attilio, personaggi noti come Mazzini,
Ferdinando II, Pio IX, Carlo Alberto, Manin, Pepe e altri meno noti che
consentono di ricostruire oggi il dramma di quella madre. Immancabile,
intorno a lei, gente semplice come la fedele Lucia, il gondoliere Momo,
la vecchia Sofia. Sullo sfondo delle vicende scorrono panorami mutevoli
ai quali la Baronessa volge lo sguardo alla ricerca di una pace
interiore che solo la Fede può darle.
La biografia
della Baronessa, l’eroica madre dei fratelli Bandiera fucilati nel
vallone di Rovito il 25 luglio 1844, si evince dalla narrazione del
vero in circostanze verosimili
attraverso
flash-back, lettere, documenti ed episodi alcuni dei quali ancora
inediti. Emergono così i sentimenti contrastanti che devono aver
albergato nei cuori degli italiani negli anni tormentati del
Risorgimento.
Una lettura
"Il pendio della collina, intersecato
da filari di svettanti cipressi scuri, era abbastanza ripido ma il
percorso sinuoso con tratti quasi pianeggianti rendeva meno ardua la
salita. Man mano che procedevano l’orizzonte si delineava d’un azzurro
intenso interrotto da piccole vele bianche. La città si stendeva silente
con le sue strade larghe e le piazze spaziose, gli edifici storici e i
vicoli stretti e ombrosi, i cantoni e i cortili, gli orticelli e i
giardini sui quali spiccavano come lance al cielo cipressi dal verde
intenso.
La Baronessa fissava una a una le
minuscole finestre e i balconi dei quali si vedevano appena le eleganti
ringhiere di ferro battuto, nella vana speranza di indovinare in quale
di quelle case i suoi figli, esuli e braccati, si nascondevano.
Raggiunsero l’oliveto. I tronchi
annosi, contorti, svuotati e squarciati da lunghe fessure, sembravano
reggere a stento la folta chioma argentea che la brezza proveniente dal
mare in lontananza scompigliava con un soffice fruscio. Erano giunte fin
lassù in silenzio. Un soffio tiepido sfiorava la pelle del viso:
slacciato il colletto e tirate su le maniche delle camicette leggere lo
sentivano sul collo e sulle braccia. Si sedettero su un’antica radice
ampia e levigata dal vento e dal tempo. Con la schiena appoggiata al
tronco sollevarono il capo e volsero lo sguardo verso l’alto. Il cielo,
sgombro di nubi, era chiarissimo. I rami nodosi lo ripartivano in forme
irregolari mentre in alto i rami sottili vi disegnavano mutevoli
arabeschi.
La dolcezza della natura circostante
placava gli animi, assopiva le ansie. Apriva il cuore alla speranza.
(Capitolo X)
Ma ecco, il cancello socchiuso si
spalanca con un triste cigolio: un drappello si dispone ad aprire il
corteo.
Aguzzò lo sguardo per non perdere un
solo attimo a cercarli fra gli altri; voleva guardarli fino a che la
distanza glielo avrebbe consentito.
Don Beniamino e Gaudio l’avevano
scongiurata di non alzarsi così di buon’ora, di non affacciarsi. Alle
sue amiche avevano raccomandando di non assecondarla, ma lei aveva
reagito con fermezza e infine le aveva fatte uscire dalla camera e
chiuso la porta a chiave. Voleva restare da sola. Contava sulla sua
forza d’animo che l’aveva sempre sorretta nelle avversità.
Ma ciò che vide la sconvolse. Un
braccio avvinghiato all’altro, le unghie conficcate nella pelle,
trattenne a stento un grido: non erano i suoi figli, non erano i loro
compagni quelli che uscirono dalla conforteria ognuno con due soldati
accanto e un sacerdote! Lunghi camicioni e veli neri spioventi dal capo,
sobbalzavano a piedi nudi sulle asperità del suolo scendendo dal colle
Triglio verso il Vallone di Rovito, presso il greto del Crati.
“Come, come hanno potuto inventare
una simile crudeltà? Non basta togliere loro la vita?
Perché ridurli fantocci senza volto e senza dignità?”
Avrebbe voluto uscire di corsa,
seguirli e strappare quei veli dai loro visi: che vedano ancora la luce
e il cielo che Dio ha creati per tutti! Perché privarli anzitempo?
L’avrebbe fatto, sì, certo! Ma avrebbe turbato il raccoglimento di quei
giovani che s’erano preparati alla morte con la certezza della vita
futura e la fiducia che dal loro sangue sarebbe nata la riscossa
d’Italia, come le aveva detto don Beniamino per confortarla.
Lentamente il corteo sparì alla vista
e la strada rimase deserta. Ella udiva ancora il tramestio dei soldati
in lontananza quando d’un tratto si levò l’armonia di un coro mesto,
travolgente: il motivo di un’opera nota. Cantavano. Li avevano
mascherati da fantocci, neri, scalzi e ora si rivelavano uomini, eroi.
(Capitolo XXXIX)"
L’autrice
Teresa Magliozzi,
Thea per gli amici, è nata a Gaeta nel 1933. Si è laureata in Lingue e
Letteratura straniera presso l’Istituto Orientale di Napoli iniziando
subito la carriera di docente, alla quale si è dedicata con piacere e
dedizione. La passione per la Storia – le mura di Gaeta trasudano Storia
da ogni pietra – l’ha indotta a ricerche mirate che si sono tradotte nel
romanzo La Baronessa.
Conversazione con
Thea Magliozzi
Quando
cominciai a scrivere
La Baronessa
non avevo assolutamente l’idea di scrivere un romanzo storico né di
dedicarmi con tanto impegno a ricerche. Io volevo solo tracciare una
facile biografia della madre dei fratelli Bandiera adatta a ragazzi
della scuola media. Ricordavo la serie di Vite di donne all’ombra dei
grandi pubblicata sul Corriere dei Piccoli, credo
negli anni Quaranta, e mi sarebbe piaciuto fare qualcosa di simile per
occupare un po’ del mio tempo libero.
Perché pensai
proprio a quella donna? Perché non ne avevo mai letto alcuna
notizia, non sapevo neppure il suo nome di battesimo. L’unica
informazione che i libri di storia riportano su di lei è il viaggio che
fece a Corfù per raggiungere i figli esuli. Così iniziai il primo
capitolo intitolandolo appunto Il viaggio e imbastii nella mia
fantasia una situazione familiare degna dei due eroi. Ovviamente non ne
rimasi soddisfatta, quindi partii per Roma per cercare qualcosa
nella Biblioteca Nazionale e lì trascorsi tre giorni interi,
dall’apertura alla chiusura, alternando richieste, lettura e
fotocopiatura a bar e self-service.
La bibliografia
era vasta ma riguardava esclusivamente i fratelli Bandiera. Sulla madre
c’era un solo articolo su una rivista che però non si trovava in loco.
Entrai in crisi. Ritornai a Gaeta e cominciai a studiare gli
appunti presi. Scoprii così che c’erano molte notizie contrastanti: era
la molla per farmi intestardire nella ricerca. Da tutto quel materiale
potei farmi un’idea più precisa sulla vera personalità dei due ufficiali
veneti, sulle circostanze della spedizione e del suo fallimento; però
ricavai ben poco che riguardasse la madre. Ritornai a Roma per
ricerche mirate sulla loro corrispondenza poi cercai altre vie e fui
fortunata. Dal Museo Correr riuscii a sapere il suo nome, Anna Marsich,
data e luogo di nascita e il nome dei genitori.
Dal cognome
cercai dei discendenti
e la fortuna non mi abbandonò. La loro spontanea cordiale collaborazione
e il loro apprezzamento mi sono stati di valido sprone. Dalla gentile
signora Maria Grazia Marsich ebbi due alberi genealogici che mi
permisero di dare un’esatta collocazione ai nomi di famigliari trovati
in alcune lettere e ricostruire l’ambito nel quale visse la nobildonna
veneziana, nata a Corfù e di origine bosniaca. Con l’ingegner Sergio
Marsich, fratello di Maria Grazia, iniziò una fitta corrispondenza via
e-mail: file con scritti, ritratti e stampe in suo possesso.
La baronessa
Bandiera mi conquistò del tutto.
La sentivo accanto a me, quasi la sentivo vivere in me, combattuta fra
l’ira, l’onta e la speranza in un pentimento di quei figli disertori ed
esuli. Mi chiedevo cosa avrei fatto io in una situazione simile e mi
rendevo conto che avrei avuto il coraggio di tentare qualsiasi cosa per
salvarli, armata della sola forza d’amore materno. Mi sembrava di
condividere amarezza e rabbia con lei, una fedele suddita
dell’imperatore d’Austria come suo marito, ammiraglio della Flotta del
Levante, e come una piccola schiera di ufficiali dell’Imperial Regia
Veneta Marina (undici fra cugini e nipoti, oltre al fratello).
Forse,
inconsapevolmente, ho sentito riaffiorare ricordi della storia
risorgimentale vissuta dai miei antenati: il nonno di mia nonna
paterna, Raffaele Di Janni, fu l’ultimo sindaco borbonico di Gaeta e i
Macarelli e Vendittis, famigliari della nonna di mia madre, lasciarono
l’Italia per non sottostare ai conquistatori piemontesi. Ho
capito perché nella storia scritta dai vincitori non aveva trovato posto
il dramma di Anna Maria Marsich che, solo quando le ceneri dei figli
furono solennemente traslate nel Tempio dei Santi Giovanni e Paolo a
Venezia, si diede pace: Attilio ed Emilio non erano morti da traditori
ma da eroi.
La scoperta
del viaggio segreto della Baronessa fu del tutto casuale:
merito di mia madre che ascoltava volentieri qualche pagina man mano che
procedevo nel mio lavoro. Fu quando le lessi una breve lettera di
Attilio indirizzata allo zio Raffaele Del Giudice, un ufficiale
borbonico. A quel nome lei m’interruppe esclamando: “Era un amico dei
bisnonni Vendittis! Sua moglie si chiamava Caterina. Abitavano a
Napoli e venivano spesso a Gaeta. Una volta venne ospite anche una
sorella di Caterina che viveva a Venezia. Poveretta, lei aveva delle
grosse preoccupazioni per i figli!” Non c’era alcun dubbio, si trattava
della baronessa Bandiera diretta a Napoli con la speranza di ottenere la
grazia dalla regina Maria Teresa, moglie di Ferdinando II di Borbone.
Così, fra domande mie e ricordi suoi, potei ricostruire il viaggio in
incognito attraverso tutta la penisola in velocifero e diligenza fino a
Cosenza e via mare, al ritorno, sul veliero di un capitano amico dei
Vendittis che raccontò tanti particolari. Quei ricordi erano stati
sempre tramandati indicando la nobildonna veneziana come la “sorella di
Caterina Del Giudice”! Se non avessi esaminato attentamente quella breve
lettera, che pareva di nessuna importanza, non avrei potuto scrivere del
viaggio segreto.
Ho voluto
corredare il romanzo di un certo numero di allegati perché
ritengo che la conoscenza diretta di tratti dello Statuto dell’Esperia
(la società segreta fondata da Attilio Bandiera), di alcuni atti del
processo e lettere dirette ai famigliari, a Mazzini e a Ferdinando II re
delle Due Sicilie, possa consentire al lettore riflessioni proprie.
Troppi apprezzamenti più o meno distorti sono stati fatti sui fratelli
Bandiera e alcune verità sono state taciute per l’evolversi degli eventi
unitari!
L’inserimento di
un dizionario dei personaggi storici citati è frutto di
manzoniana memoria: “Son cose che chi conosce la storia le deve
sapere; ma siccome per un giusto sentimento di noi medesimi, dobbiamo
supporre che quest’opera non possa esser letta se non da ignoranti, così
non sarà male che ne diciamo qui quanto basti per infarinarne che
n’avesse bisogno.”
(Alessandro
Manzoni)
La critica
“Il pregio
particolare del libro non sta tanto nella materia storica in sé sempre
avvincente, quanto nella scrittura scorrevole, limpida e propria animata
da un sentimento romantico di partecipazione che sa rendere vivo il
racconto e creare l’atmosfera dell’epoca a cui si riferisce.”
Prof. Antonio
Costanzo
“La Baronessa è
un romanzo storico dallo stile rapido e incisivo, scritto con lessico
ricercato e puntuale. L’autrice delinea efficacemente la personalità
della protagonista attraverso l’evolversi dei fatti storici che l’hanno
coinvolta. Per lei parlano i suoi personaggi, attraverso dialoghi,
sussurri, parole appena bisbigliate o attraverso la forza eloquente del
silenzio.”
Prof. Maria
Libera Di Biase
Info e
contatti:
Invitiamo a
contattare l’editore per informazioni sul libro o per incontrare Thea
Magliozzi ai fini di eventuali presentazioni, interviste o
approfondimenti sul tema: Francesca Mapelli,
Divisione Libreria:
f.mapelli@curcioeditore.it, tel. 06 22799669.
Thea Magliozzi, La Baronessa La
madre dei fratelli Bandiera, Collana Tracce
dal passato, Armando
Curcio Editore, Roma 2006 pp. 528, cm 14x20,5 € 15,90; ISBN
88-95049-05-5
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