"Molte famiglie albanesi,
macedoni e greche di confessione cristiana-ortodossa e cattolica
nel periodo che va dal XIII secolo al XVI furono costrette alla
diaspora per l'avanzata dei Turchi mussulmani, che occuparono i
loro territori. Per non subire il crudele dominio Ottomano, si
rifugiarono nell'Italia meridionale, terra di popoli di grande
tolleranza ed apertura mentale, che accettarono ben volentieri
queste famiglie costrette all'esilio, le quali ricambiarono
sempre con gratitudine, integrandosi ed assimilando al meglio la
cultura popolare meridionale, pur tenendo sempre presente le
proprie origini e conservando ancor oggi la loro lingua, usi e
costumi. Questa rubrica è un piccolo omaggio a queste famiglie,
affinché non ne vada persa la memoria, che hanno notevolmente
arricchito il nostro patrimonio culturale."
Foto Ciro La Rosa.
Ringraziamento alla comunità Greca di Napoli, via dei
Fiorentini
Titoli: ramo
primogenito:
conte di Torre di Santa Susanna, conte, col predicato : della
Torre; ramo secondogenito: marchese di Montesilvano,
conte, nobili dei conti di Torre di Santa Susanna, col
predicato: della Torre.
Dimora:
Altamura, Bari, Roma.
Antica famiglia di origine greca, dal cognome originario Philo,
della quale si hanno notizie dal XIII secolo. Molti membri della
famiglia furono cavalieri di giustizia dell'Ordine di Malta e
dell'Ordine Costantiniano di San Giorgio, resa illustre da
uomini d'arme, governatori, prelati e dottori, fedeli alla
Patria Napolitana.
Le
prime notizie certe si hanno da un “mutuandi” compilato
il 23 gennaio ed il 15 febbraio 1270 dal giustiziere dell'Erario
di Terra Bari, con Nicolaus de Filo (Archivio di Stato
di Napoli, Cancelleria Angioina, Registro 5, foglio 73 e
seguenti); nel catalogo dei “Baronum et pheudatariorum et
nobillium...” compilato per ordine di re Carlo I d'Angiò nel
1282, compare tra i nobili di Altamura Leo de Fila (Archivio
di Stato di Napoli, Cancelleria Angioina fascicolo 45, folio
1-97) Iscritta “ad antiquo” al patriziato di Altamura
ricoprendo gli incarichi di Camerlengo e di Giudice della
Bagliva, di Eletto e Sindaci del ceto patrizio.
Antonio Filo
(Philo), nobile d'Altamura, fondò nel 1441 fondò un beneficio
ecclesiastico di “jus patronato” per la sua famiglia col titolo
di San Salvatore. Tale beneficio venne ampliato dal figlio
Giovanni che si trasferì a Rodi per conto dell'Ordine dei
cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme e nominato gran maestro
dell'Ordine il 18 febbraio 1477; egli stesso fu ambasciatore
dell'Ordine per concludere e firmare la pace col re di Tunisi e
costituire in Tunisi un consolato di Rodi affidato a Geronimo
Barbo (Proc. Nobilitatis pro nobili puero Bisantio Philo,
1703; Archivio Gran Priorato di Capua; ricezione di Bisanzio
Filo, 1791; Archivio del Governo a Malta: proc. Filo, volume
4295, fol.28/29). Il “nobilis vir” Pascasius de Filo
contribuì alla conquista di Taranto da parte di Ferrante
d'Aragona ed essendo sindaco dei nobili di Altamura fece
sottomettere la città agli Aragonesi, per tali servizi
Ferdinando I d'Aragona gli rilasciò due diplomi: col primo
concesse a lui ed ai suoi eredi una rendita annua di dieci once
sui diritti di dogana di Bari, dato in Altamura il 3 dicembre
1463; col secondo concesse una torre con annessa terra oltre il
fossato di Altamura, dato in Matera il 24 gennaio 1464; il 21
gennaio 1464 il sovrano accordò capitoli di concessione alla
città di Altamura su “petizione de' Nobili Giorgio e
Pasquale de Filo” in data 21 gennaio 1464.
Pietro Aurelio
ottenne da Carlo V,con diploma rilasciato a Bruxelles il 2
gennaio 1544, il riconoscimento di antica nobiltà e nominato
“famigliare e commensale domestico” dell'imperatore; Pietro
Aurelio Juniore, ottenne il feudo di Torre di Santa Susanna,
nel 1723 con Allegrocore, Galesano, Paretaldo, Surboli, Tubiana,
Vetrara; il figlio Bisazio ebbe l'elevazione a contea del
feudo di Torre di Santa Susanna. Con decreto del 26 settembre
1788, la Gran Corte della Vicaria riconobbe l'ascendenza della
famiglia dall'identità del cognome nelle sue varie forme: Filo,
Fili, de Philo, Philus (Archivio di Stato di Napoli; pandetta
3643). Con risoluzione Sovrana, del re del Regno delle Due
Sicilie, del 12 agosto 1857 venne concesso a tutti i maschi del
casato il titolo di conte.
Con
rinuncia del duca Sanfelice di Acquavella in favore della
matrigna Giuditta Filo, questa venne decorata del titolo
di marchese di Montesilvano, titolo reso trasmissibile, con
RR.LL.PP. Del 5 luglio 1896, alla discendenza del fratello conte
Carlo Filo della Torre di Santa Susanna. Ammessa al
“Reali baciamani” dal 1803, nelle Regie Guardie del Corpo nel
1839.
Pietro
arcivescovo di Acerenza nel 1279; Roberto dottore in
teologia, notaio apostolico e vicario Vescovile di Altamura,
nominato vescovo di Martorano il 9 aprile 1590; Nicolantonio
cameriere segreto di papa Clemente X, rifiutò la nomina
cardinalizia, morì in odore ddi santità, ed in suo onore vennero
battezzate con il nome di Filo le ossa di un Martire
sconosciuto, ossa che sono da generazioni custodite dal capo
famiglia del casato; Bisanzio I dottore, vicario generale
di Altamura, di Trani e Bitonto, nominato vescovo di Oppido il 8
febbraio 1697, vescovo di Ostuni l'11 aprile 1707; Bisanzio
II conte della Torre, cavaliere di giustizia dell'Ordine di
Malta nel 1702, oratore e poeta; Massenzio canonico di
Ostuni e vicario generale di Altamura, vescovo di Castellaneta
l'11 maggio 1733, nominato vescovo assistente al Soglio
Pontificio, fondò una biblioteca ed un ospedale; Bisanzio
III, juniore, conte della Torre, cavaliere di giustizia e poi
d'onore e devozione dell'Ordine di Malta, durante il periodo
della Repubblica Partenopea restò fedele alla sua Patria ed ebbe
dal cardinale Ruffo, il 20 maggio 1799, il comando della piazza
di Altamura, nel 1816 insignito delle Chiavi d'Oro e con Regio
Rescritto del 22 marzo 1825 venne nominato presidente del
Consiglio Provinciale di Terra di Bari; Gaetano, conte
della Torre, cavaliere d'Onore e devozione dell'Ordine di Malta,
croce dell'Ordine Pontificio di San Gregorio Magno, gran cordone
del Real Ordine di Francesco I, gentiluomo di camera con
esercizio di Sua Maestà re Francesco II di Borbone; Giovan
Tommaso capitano delle milizie urbani di Altamura e Gravina,
Diego morì nella I Guerra Mondiale il 21 agosto 1917
presso la città di Selo.
Il
ramo primogenito
investito del titolo di conte di Torre Santa Susanna con D.M. di
Riconoscimento del 15 giugno 1897;
il
ramo secondogenito
investito del titolo di marchese di Montesilvano, conte, nobile
dei conti di Torre con RR.LL.PP. Del 5 luglio 1896 e D. M. di
Riconoscimento del 28 novembre 1896.
Il
casato è iscritto nel Libro d'Oro della Nobiltà Italiana e
nell'Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1933.
Gentile concessione Gianni Mercadante, clicca sulle
immagini per ingrandire
Arma:
d’azzurro alla banda d’oro accompagnata da due stelle comete
dello stesso;
alias:
d’azzurro alla banda di rosso accompagnata da due stelle comete
d’argento.
Famiglia di origine greca, passata in Calabria in
tempi remoti, si crede verso il X secolo. Aggregata al primo
ordine civico di Reggio ed a quello di Messina nel 1585,
ricevuta nel Sovrano Militare Ordine di Malta nel 1749;
Francesco con Breve Pontificio (Decreto) del 1921 venne
decorato del titolo di conte della Candelora con riconoscimento
del solo Stato Pontificio.
Iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano
del 1922.
Arma:
1° d’azzurro ad una stella d’oro, 2° d’oro, 3° d’argento.
Famiglia di origine albanese detta de Florea
che ha come capostipite Galeotto Franco Florea di Scutari
signore d’Albania, i suoi discendenti dovettero riparare in
Italia nel XII secolo quando le loro terre vennero invase dai
Turchi, si stabilirono a Venezia e poi verso la fine del XIV
secolo in Manfredonia, mentre un altro ramo si stabilì nel
Friuli nell’anno 1460. Il casato iscritto “nell’Elenco dei
Baroni di Terra del Lavoro” del 1239, ottenne il privilegio di
conte di Huiz, Persano e Sandionisio nel 1312, possedette vari
feudi tra cui Cantalupo, Montagano, Oppido, Palma, Roccaguadagna,
Santangelo ed altri.
Giorgio Franco
(+1252) signore d’Albania (de Florea) al seguito dell’imperatore
Federico II si stabilì nel Napoletano, furono suoi eredi
Andrea e Galeotto, quest’ultimo barone di Terra del
Lavoro e giustiziere del Contado del Molise e di Terra del
Lavoro; Tommaso barone di Roccaguadagna regnando Carlo I
d’Angiò; Ruggiero “generalissimo” di re Pietro I
d’Aragona, il quale ottenne una splendida vittoria contro i
Turchi nel 1303; PIETRO capitano di giustizia in Sessa;
Michelangelo ciambellano di Roberto d’Angiò e capitan
generale di Bari e Basilicata e portolano delle Puglie;
Giannotto “familiare” di Roberto d’Angiò, in possesso dei
feudi di Sandionisio e Persano per se ed i suoi eredi in
perpetuo con i diritti di conti e baroni del Regno; Angelo
religioso dell’Ordine dei Predicatori in Santa Maria Novella in
Firenze, creato cancelliere del Regno, da re Roberto d’Angiò,
per essersi adoperato per la pace tra re Ludovico d’Ungheria e
Ludovico principe di Taranto; Filippo, ciambellano di re
Carlo III d’Angiò Durazzo, riuscì a catturare Ottone di
Brunswich principe di Taranto marito della regina Giovanna I e
ne venne gratificato con un feudo in terra di Lecce ed una
cospicua somma di denaro. Jacopo ciambellano di Carlo III,
creato da re Ladislao maresciallo del Regno, Consigliere di
Stato, giustiziere di Principato; Petruccio signore di
Oppido, maresciallo del Regno di re Ladislao, tesoriere del
porto di Manfredonia, capitano di giustizia dell’Isola di
Lipari; Carlo Jacopo conte di Sanpolo nel 1431, titolo
per se e i suoi eredi. I fratelli Annibale, Scipione,
Domenico e Giorgio ottennero da re Alfonso II
d’Aragona, in perpetuo, la nomina a “regi familiari” con il
diritto di usufruire “de tuti li honori, gratie et privilegi
lo che nel più lato senso godono i Gentil homini de la Real
Casa”;
Giovanni archiviario della Regia Camera nel 1552;
Isabella fondatrice in Manfredonia del Monastero di Santa
Chiara nel 1592; Giacomo che edificò a proprie spese il
teatro di Manfredonia nel 1692. Federico, Michelangelo
ed Antonio in Manfredonia e Cesare in Napoli
viventi nell’ultima metà del XIX secolo.
Arma:
interziato in fascia: nel 1° d’argento all’aquila bicipide di
nero, nel 2° d’azzurro al leone uscente d’oro caricato da un
lambello a quattro punte dello stesso, nel 3° di rosso alla
fascia d’oro dalla quale partono tre bande dello stesso.
Famiglia originaria della Grecia,
iscritta nel primo ordine civico di Brindisi; Scipione
ottenne il possesso di Carovigno e del marchesato di Serranova nel
1678; nel 1796 i fratelli Donato Maria e Vincenzo
ricevuti per “giustizia” nell’Ordine di Malta ed iscritti al
Priorato di Barletta; con Riconoscimento Ministeriale del 19 ottobre
1892 riconosciuta nel titoli di nobile col predicato dei marchesi di
Serranova; Giorgio, nobile dei marchesi, Aslan
capitano di vascello, cavaliere dell’Ordine Militare di Savoia,
decorato di due medaglia al valor militare, promosso per meriti di
guerra, viventi nella prima metà del XX secolo; Ugo tenente
del “Reggimento Cavalleria Lodi” caduto nella guerra Italo-turca a
Sciara-Sciatt il 23 ottobre 1911, decorato di due
medaglie d’argento al valor militare.
Iscritta nel Libro d’Oro della
Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano
anno 1922.
Arma:
d’oro al leone tenente tre spighe di frumento sostenuto da un monte
di tre colli il tutto nero.
Si ritiene di origina greca come
testimonia lo stesso cognome, già nota a Napoli ed in terra di
Puglia sin dal XVI secolo. Pasquale ottenne il feudo di
Polignano nel 1796; decorata col titolo di marchese con Real
Privilegio del Regno di Napoli in data 20 ottobre 1798.
La Famiglia è iscritta
nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922.
Arma:
d’azzurro alla torre d’oro poggiata d’argento, con due stelle d’oro,
una fascia divisa d’oro caricata di un’aquila di nero di un leone al
naturale sormontati da una stella d’argento e una d’oro
Alias:
troncato: nel primo partito d'oro all'aquila di nero, di rosso al
leone d'argento; nel secondo d'azzurro alla torre di due palchi
d'oro merlati alla guelfa, il primo di sette ed il secondo di
quattro pezzi; sul tutto di nero alla fascia accompagnata nei
quattro angoli da una stella il tutto d'oro ( D. M. di
riconoscimento dell' 11 maggio 1928).
Di
origine greca, portata in Sicilia da Antonio che sposò Miuzza
Paternò nel 1406; Girolamo iscritto nella Mastra Nobile del
Mollica nel 1590, acquistò il feudo di Fegogrande con il castello la
tonnara e la marina di Capo d’Orlando ottenendone l’investitura l’8
agosto 1595, fu tra i fondatori dell’Ordine della Stella in Messina,
barone di Sinagra; Blasco giudice della Corte Pretoriana in
Palermo nel 1612/13 e della Gran Corte 1625; Tommaso, dottore
in legge, “maestro secreto” (segretario di Stato) del Regno di
Sicilia nel 1628; Girolamo con privilegio del 16 novembre
1654 ottenne il titolo di duca di Sinagra; Diego duca di
Sinagra e cavaliere dell’Ordine di San Giacomo della Spada; Diego
presidente del Tribunale del Regio Patrimonio, luogotenente del
Giustiziere del Regno, reggente del Consiglio d’Italia nel 1687
(organo amministrativo e fiscale del Viceregno), duca di San Biagio
con privilegio del 25 maggio 1687; Giuseppe Antonio capitano
di giustizia in Palermo 1671 e pretore 1690/91, ottenne il titolo
di principe di Sant’Antonino il 27 aprile 1687; Giovanni Antonino
con privilegio del 7 settembre 1665 ottenne il titolo di barone
di Ciancimino e Santa Rosalia, presidente del Tribunale del Regio
Patrimonio, reggente del Consiglio d’Italia, vicario generale in
Messina, con privilegio del 10 agosto 1693 ebbe il titolo di duca di
Cesarò dell’Isola; Ludovico , duca di San Biagio, ottenne la
nomina a “Grande di Spagna” il 24 agosto 1727 ed in eredità al
figlio Pietro; Diego console del commercio in Palermo
1746 e senatore nel 1749/50, 56, 57, governatore del Monte di Pietà
nel 1791, Antonino proconservatore di Sinagra 1761; Cono
stessa carica 1797/1810; Bernardo con sentenza del
tribunale della gran Corte Civile e del Concistoro ottenne la nomina
a conte di Naso con investitura del maggio 1811. Questa fu l'ultima
investitura, successivamente la famiglia fu rappresentata da don
Sebastiano Luciano, sindaco di Sinagra; a lui successe il figlio
Antonino Leone (1862-1938) che fu anch'egli sindaco e
proprietario del castello di Sinagra; gli successe il figlio
Sebastiano Gaetano che non ebbe eredi, ed a lui succede
Teobaldo, figlio del fratello Giuseppe, a cui seguirà il
primogenito Giuseppe, artista e pittore, che attualmente vive
e lavora in Biella.
Iscritta
nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922.
Arma:
d’azzurro a due bande d’oro sotto la fascia divisa accompagnata da
cinque stelle, la divisa sostenente un drago passante al giglio il
tutto d’oro.
Famiglia di origine greca, il cui cognome originario
era Lekkas, trasferitasi a Napoli sul finire del XVIII secolo,
facente pare della nutrita colonia ellenica stabilitasi nel
Regno di Napoli che dette uomini di fedeltà all’esercito
Napoletano nei reggimenti Macedoni fin dai tempi di Carlo III.
Dichiarata nobile per l’ammissione nella “Compagnia Reale delle
Guardie del Corpo”. Demetrio (Drimades (Grecia)
24 aprile 1779 – Napoli 21 aprile 1862) tenente generale
dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, ispettore generale
della Fanteria di Linea nel 1860, cavaliere dell’Ordine di San
Giorni della Riunione, dell’Ordine del Santo Salvatore di
Grecia, dell’Ordine di Sant’Anna di Russia e di San Michele di
Baviera, all’entrata di Garibaldi a Napoli diede le dimissioni
non volendo prestare giuramento agli occupanti savoiardi, è
sepolto nella Chiesa Greco-Ortodossa di Napoli. Il figlio
Achille (Napoli 7 febbraio 1832 – Napoli 9 febbraio 1900)
capitano di Seconda Classe dell’Arma del Genio dell’Esercito
delle Due Sicilie non volle entrare nell’esercito italiano e si
ritirò a vita privata.
Chiesa di San Pietro e Paolo di rito
greco ortodosso, secolo XVI Napoli via dei Fiorentini,
Sagrato con Monumento funebre a Demetrio Lecca. Foto di
Ciro La Rosa, clicca sulle immagini per ingrandire
Arma:
non ci sono riferimenti al colore dei metalli e degli smalti che
lo compongono.
L’antichissima e prestigiosa famiglia greco-alabanese dei Marchianò de’
Coronei, giunta in Italia nel 1533 per grazia dell’Imperatore
Carlo V (N.d.A. come la famiglia Trasci) si è estinta nella sua
linea patrizia primogenita con la morte della nobildonna
Maria MatildeOrizia Marchianò avvenuta a Santa Sofia
d’Epiro (Cs) il 2 aprile 1912. La stessa era nata a San Demetrio
Corone (Cs) il 12 gennaio 1833, unica erede di Pietro Paolo
Marchianò e Maria Vincenza Cadicamo, ed aveva sposato il 2 ottobre
1856 il cugino primo nobile Gabriele Baffa Trasci (1833 +
1907) di Vincenzo e Agata Marchianò, figlia quest’ultima di don
Gennaro e donna Marcellina d’Ayello.
Nel XVI secolo troviamo tale sig. Baldassarre Marchianò de’
Coronei che, nel 1583, compariva come rappresentante e procuratore
del vescovo monsignor Spinelli, abate commendatario della badia di
S. Benedetto Ullano (Cs), nella stipula dei capitoli del 19 novembre
1583 con la popolazione albanese stipulati dal notaio Giacomo de
Pretis in Montalto.
La
famiglia in San Demetrio Corone (Cs), si divise, nel corso dei
secoli, in molteplici rami, appartenevano: Giovanni, che,
nato nel 1580 e coniugato con Beatrice Capparelli, nel XVII secolo
fu cappellano della chiesa di San Demetrio; Giovanni (XVIII
sec.) il quale all’atto della stesura della “Platea dei beni di
Sant’Adriano” tra il 1756 ed il 1761 ricopriva l’ufficio di
Procuratore generale dell’Abate don Nilo Malena; Fedele (1789
+ 1845), filo-francese, fu confidente di Letizia Bonaparte madre
dell’Imperatore Napoleone, direttore del Seminario di Bisignano e
cappellano della chiesa di San Ferdinando in Napoli; il
reverendissimo Gennaro (+ 1726) autore di un’opera
teologico-dogmatica sul pensiero di S. Tommaso, il MagnificoMaurizio Luigi (1730 + 1810), gentiluomo sposato con la
Magnifica Lucrezia Lopez (1735 + 1802), che, sul finire del
XVIII secolo, fu parte di una famosa vertenza civile contro l’allora
governatore di San Demetrio, Vincenzo Altomari. Altri personaggi
degni di nota furono: la monaca di casa Agatha che moriva
nella seconda metà del XVIII secolo venendo ritenuta dal popolo in
odore di beatitudine ed il MagnificoGennaro (1767 +
1821), attivo rivoluzionario giacobino durante il periodo
filofrancese, nonché implicato nei moti napoletani del 1799, fu per
molti anni Governatore di San Demetrio Corone, marito della
nobildonna Marcellina d’Ayello dalla quale ebbe tre figli: don
Pietro Paolo (1800 + 1947), giudice, sposato con Maria
Vincenza Cadicamo (1813 + 1846), i quali ebbero un'unica figlia ed
erede universale di tutte le sostanze della famiglia Maria
Matilde Orizia (1838 + 1912) che nel 1856 sposò il cugino primo,
nobile Gabriele Baffa Trasci;donna Agatha
(1809 + 1894) sp. 1828 con nobile Vincenzo Baffa Trasci:
ebbero molti figli tra i quali Gabriele (che sposa la cugina
Maria Matilde Marchianò) e Maria Zita de las Mercedes Baffa Trasci
(1836 + 1864) che nel 1856 sp. il nobile Giuseppe Toscano;
donnaMaria Lucrezia (1804) sp. 1833 don Angelo
Maria Jeno.
N.d.A.: Si ringrazia il dottor Demetrio Baffa Trasci
per le utilissime notizie relative al casato.
Stemma:
di rosso alla palma al naturale sinistrata da un drago che vi si
arrampica sempre al naturale.
Di origine greca stabilitasi in
Conversano ed in Altamura ed iscritta nel suo primo ordine civico,
diede vari personaggi di toga e di dignità ecclesiastica, ricevuta
nell’Ordine di Malta, ed in quello Costantiniano in persona di
Domenico nel 1830; Pietro cavaliere di “croce di
giustizia” dell’Ordine Costantiniano nel 1840; dichiarata
ammissibile nel Corpo delle Regie Guardie del Corpo dalla
Commissione per i Titoli di Nobiltà il 1 marzo 1850 in persona di
Luca, proveniente dalla “Compagnia delle Regie Guardie del
Corpo”, che in qualità di 1° tenente dello “Stato Maggiore”
dell’Esercito del Regno delle Due Sicilie, in forza nella “2ª
Brigata Ruffano”, ha partecipato alla campagna del 1860/61 per la
difesa del Regno delle Due Sicilie.
Iscritta nell’Elenco Ufficiale
Nobiliare Italiano anno 1922.
Gentile concessione Gianni Mercadante, clicca sulle
immagini per ingrandire
Arma:
d’azzurro al terrazzo di verde al leone al naturale coronato d’oro.
Famiglia distintasi nelle scienze
e nelle arti con valenti rappresentanti. Originaria dell’isola di
Creta e di Corfù dei ducali greci “Melissenos e Melissurgos”, passò
in Italia con Emanuele Mellissurgos che si rifugiò a Bari
quando i Turchi invasero l’isola di Creta il 4 settembre 1692; da
lui discesero Spiridone e poi Francesco, Nicola,
Giulio Cesare.
Riconosciuta nobile con D. M. del
26 giugno 1895; Alfonso commendatore della Corona d’Italia;
Guglielmo ingegnere, architetto, cavaliere Ufficiale
dell’Ordine Mauriziano, ingegnere dell’Ufficio Tecnico del Comune di
Napoli dal 1883 al 1900, ispettore delle opere del “Risanamento”
della città di Napoli, perito tecnico dell’Avvocatura Municipale,
direttore dell’Ufficio Tecnico del Risanamento 1900/7, professore
onorario della Scuola Superiore di Architettura delle Belle Arti di
Napoli, autore della prima ricerca documentata sulle profondità e
caverne della città di Napoli con il tomo dal titolo “Napoli
Sotterranea” edito nel 1889; Emanuele ideatore della prima
linea ferroviaria dell’Appennino (Napoli – Bari – Brindisi) di cui
ne ebbe la concessione da re Ferdinando II di Borbone; Giulio
Cesare progettò per la città di Napoli via Partenope, via
Caracciolo, la ferrovia Cumana a fine del XIX secolo.
Iscritta nel Libro d’Oro della
Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco Ufficiale Nobiliare Italiano
anno 1922.
Arma: d’azzurro a tre
monti di verde, da tre margherite gambute fogliate al naturale, al
capo di quattro api d’oro al sole dello stesso movente al cantone
destro.
Originaria dell’Albania
trapiantata in Calabria nel XIV secolo. Vincenzo,
giureconsulto di eccezionale valore, presidente della Suprema Corte
di Giustizia del Regno delle Due Sicilie, con l’avvento dell’Unità
d’Italia venne nominato primo presidente della Corte di Cassazione
di Napoli, proclamò l’8 novembre del 1860 i risultati farsa del
“Plebiscito” per l’annessione dell’ex Regno delle Due Sicilie al
regno sabaudo, alla sua persona è intitolata una strada nella città
di Napoli. Giunsero ad alti gradi della magistratura: Domenico,
Ilario, Nicola, Vincenzo; Francesco
grado onorifico di primo presidente della Corte di Cassazione nella
prima metà del XX secolo; Ugo, tenente aviatore, medaglia
d’oro alla memoria caduto in combattimento aereo nel 1916 durante la
1ª guerra mondiale, anch’egli ha una strada intitolata nella città
di Napoli. Il casato venne insignito del titolo di duca con
anzianità dal 1722, di marchese di Marescotti con anzianità dal
1719; Giovanni, duca e marchese, fu vice prefetto e vice
podestà della città di Napoli durante il ventennio fascista
(1922/1943), commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia,
cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro.
Famiglia
di origine greca, le prime memorie certe si hanno con Anfusio
cavaliere greco e Signore del castello di Sterope all’epoca della
dominazione bizantina. Nell’anno 892 il castello venne assediato dai
saraceni, i quali stipularono condizioni di resa con Anfusio, ma i
patti non vennero mantenuti: egli venne assalito, ma si rivalse sul
figlio del comandante saraceno Vindecair, da lui tenuto in ostaggio,
uccidendolo, ma a sua volta venne trucidato dai saraceni. Questo
tragico avvenimento diede il nome al casato e alla città di Patti,
edificata dai saraceni. Il casato fu iscritto nella Mastra Nobile di
Messina negli anni 1798/1807.
Ansaldo
fu uno
dei promotori della venuta dei Normanni in Sicilia per la
liberazione dell’isola dal giogo saraceno; Riccardo
stradigoto (giudice criminale) di Messina nel 1137; Pellegrino
vescovo di Mazzara, gran protonotario del Regno nel 1280, gran
cancelliere del Regno nel 1300.
Luzio
fu uno
dei capi, assieme a Giovanni da Procida, della congiura dei
Vespri Siciliani,
resse le città di Girgenti (Agrigento) e di Naro a nome di re Pietro
d’Aragona, per i servigi resi venne nominato barone da re Federico
II d’Aragona nel 1325; Pellegrino combatté contro gli
Angioini di Napoli e con 12 galee affrontò l’ammiraglio Guglielmo di
Lauria, comandate delle a flotta napoletana, nel 1300 ma venne fatto
prigioniero preso l’isola di Ponza; Ansaldo barone in
Messina, cavaliere di re Ludovico d’Aragona; Nicolò signore
di Scaletta, di Foresta, di Fraina, Attilia e Guidomandri;
Giovanni signore del feudo di Placa, gran siniscalco di Sicilia;
Italiano cavaliere dell’Ordine Militare di Malta nel 1492;
Bartolomeo senatore in Messina, barone di Linguaglossa;
Ansaldo senatore di Messina, barone di Belvedere, tra i
fondatori dell’Ordine Militare della Stella, nonchè confratello
della “Compagnia della Pace” di Palermo; Scipione cavaliere
dell’Ordine di Malta, morì in combattimento all’assedio di Malta
tenuto dadi saraceni; Andrea senatore in Messina, principe
dei Cavalieri dell’Ordine Militare della Stella nel 1644; GIOVANNI
cavaliere dell’Ordine di Malta nel 1566; Domizio giudice
della Regia Gran Corte; Bartolomeo minore conventuale,
maestro in Teologia, vescovo Badense; Carlo cavaliere di
Malta nel 1710; Francesco duca di Sorrentino “pari” del Regno
di Sicilia, poeta e cultore di medicina; il ramo dei duchi di
Sorrentino si estinse col matrimonio di Carolina Patti con il
casato Settimo. Il casato edificò in Messina l’Ospedale di San Luca.
Vincenzo guardia del corpo a cavallo della ”Compagnia delle
Reali Guardie del Corpo” nei ruoli attivi dell’Esercito del Regno
delle Due Sicilie anno 1860.
Rappresentate del casato nei primi anni del XX secolo Giuseppe
barone del Piraino, vivente in Palermo.
Arma:
spaccato
d’oro e di rosso, alla sbarra d’azzurro sul tutto.
Titoli: Conte, barone,
signore d’Aragona, patrizio bizantino, nobile di Valenzana, di
Rutigliano, di Conversano, di Locorotondo, di Bitritto, cavaliere
ereditario, col trattamento di don e donna
Dimora: Toscana, Puglia.
Motto: “Per vim et
honorem”
Antichissima casata di origine
ellenica, si stabilì in Magna Grecia in epoca remota, precisamente
in terra di Bari. Sin dal XIV secolo la si trova iscritta tra le
nobili famiglie pugliesi. Il primo personaggio di cui si hanno
notizie certe è il “Magister” Giuseppe di Conversano che si
trasferì a Valenzano, dove sposò nel 1640 Porzia Azzone; tra i suoi
figli vanno notati: il vescovo don Vitoantonio (1643-1724) ,
il medico Domenico Antonio (1644 – 1724), il figlio ed il
nipote di quest’ultimo furono medici: Vito Antonio (1682 –
1718) e Domenico Antonio che si trasferì a Bitritto, il
figlio don Nicola Pasquale canonico.
La famiglia ascritta alla nobiltà
di Valenzano, Rutigliano, Conversano, Locorotondo e Bitritto,
vantando il titolo di patrizio bizantino e del trattamento di don e
donna; il casato diede tre badesse: donna Angelica Teresa,
donna Maria Vittoria e donna Maria Severa; ed inoltre
tre governatori di Valenzano: il “Magnificus” Vito Francesco
(1681 – 1744) nel 1730/1, il figlio Nicola Pasquale (1717 –
1768) nel 1747/8 e Domenico Antonio nel 1755/6.
Ai primi del XVIII secolo
costruirono la cappella della “Vergine del Rosario ed Anime del
Purgatorio”, nella strada di Trappeti in Valenzano, con un legato di
un cospicuo lascito. Ai primi del XIX secolo si trasferì il casato
in Matera, dove il 3 novembre 1821 nacque Gianbattista, il
quale a 27 anni partecipò alle barricate del 1848 a Napoli, indossò
la divisa militare; partecipò alla prima guerra d’indipendenza con
importanti incarichi nel campo delle telegrafia, venne ferito a
Vicenza; nel 1850 fu istruttore degli allievi telegrafisti in
Piemonte, ed incaricato di redigere un manuale di telegrafia e di
ispezionare gli uffici telegrafici, nello stesso tempo compì studi
nel campo che gli valsero la laurea in dottore in fisica. Nominato
tenente colonnello, insignito del titolo di conte, cavaliere di
numerosi ordini equestri, tra cui l’Ordine di SS. Maurizio e
Lazzaro. Senatore del regno d’Italia, si occupò di comunicazione
telegrafiche,ideò e pose in opera il cavo telegrafico sottomarino
tra la Sicilia e la Sardegna e sullo stretto di Messina; partecipò
alla terza guerra d’indipendenza da valoroso, nel 1864 tornò a
Matera come ispettore capo dei telegrafi. La città gli offrì una
medaglia d’oro per il suo patriottismo, intitolandogli strade,
scuole e piazze; diede inizio alla collezione di armi antiche. Ai
primi del XX secolo la famiglia si trasferì in Toscana per la
gestione del patrimonio, in quel di Firenze.
N.d.A.: si ringrazia il dottor
Michel Pentasuglia per le preziose notizie fornite relative al
casato
Arma:
inquartato: nel primo e quarto d’oro a cinque losanghe nere poste 1,
3, 1; nel secondo e terzo d’azzurro al leone d’oro armato e linguato
di rosso.
Di
origine greca, venuta nel Napoletano con Bernardo nel
1302 a seguito dell’invasione ottomana delle sue terre natie, e
che a quanto riferisce il Mugnos, si trasferì in Sicilia dove
per i servigi resi come cavaliere presso re Federico II, ottenne
feudi e la nomina di regio giustiziere in Siracusa nel 1306,
passò in Catania dove diede inizio alla sua stirpe. Godette
nobiltà in Palermo, Catania, Siracusa, Messina; possedette i
principati di Cutò, Larderia, Rosolini; la ducea di Belmurgo; il
marchesato di Mezzoiuso; la contea di Sant’Antonio; le baronie
di Boscaglia, di Cattasi, Cefali, Churca, Cipolla, Imposa,
Longarini, Mazzarone, Melia, Morbano, Nadore, Passaneto, Pojura,
Priolo, Recattivo, Riddidini e Almidara, Risichilla,
Roccapalumba, Rosabia e Raffo, Salto dei molini di Piazza, San
Marco, Sannini e Cugno di Combaudo, Scirinda, Solarino, Terrati
e Cavaleri, i Mezzigrani sulle tonnare di Arenella, San Giorgio,
San Nicola e Solanto l’ufficio di detentore dei libri della
deputazione del Regno di Sicilia, ecc. ecc. A noi però risulta
che, nel 1366, Francesco era notaro in Sicilia nel 1366,
Paolo acatapano nobile di Catania 1466. Antonio
benedettino vescovo di Malta nel 1412; Battista giudice
della Gran Corte nell’anno 1434, signore di Iaci, ambasciatore
al re Alfonso e al pontefice Eugenio III, presidente del Regno
di Sicilia nel 1436; Giulio Sancio (figlio del
precedente) barone di Iaci, fu stratigoto (giudice criminale) di
Messina negli anni 1441-42, 1451-52; Tommaso patrizio di
Catania negli anni 1445-46, 1451-52 e strategoto di Messina nel
1453 e 1454; Bernardo senatore di Catania negli anni
1459-60, 1466-67, 1470-71; Giovanni Ferrante patrizio
della stessa città nel 1462-63; Luigi tenne la carica di
senatore in detta città negli anni 1465-66, 1472-73, 1479-80;
Pietro patrizio di Catania nel 1467-68; Antonio
senatore di Catania negli anni 1481-82, 1535-36 e capitano di
giustizia nel 1500-501; Blasco senatore di Catania negli
anni 1483-84, 1496-97; Giaimo la stessa carica nella
stessa città nel 1490-91; Givan Battista fu patrizio di
Catania negli anni 1497-98, 1503-504; Pietro giurato in
Messina negli anni 1500-01, 1519-20, 1530-32 e senatore negli
anni 1530-31, 1539-40; Ferdinando senatore di Siracusa
nel 1504-505; un fu senatore di Catania nell’anno 1509-10;
Girolamo senatore in Catania negli anni 1524-25, 1552-53;
Girolamo, barone d’Imposa, giurato di Siracusa negli anni
1537-38, 1545-46, 1549-50 e senatore nel 1556-57; Cesare
capitano di giustizia di Palermo nel 1537-38; Antonio Giacomo
senatore della stessa città nel 1537-38; Giovanni,
dottore in legge, fu sindacatore di Randazzo nel 1550;
Ludovico giurato di Siracusa negli anni 1555-56, 1560-61,
1566-67 e senatore negli anni 1563-64, 1574-75 e, con privilegio
del 18 dicembre 1560, ottenne il titolo di “regio cavaliere”;
Giovanni giurato di Siracusa negli anni 1556-57, 1584-85,
1590-91 e forse egli stesso fu giudice della Gran Corte
nell’anno 1559-60; Guglielmo senatore di Catania negli
anni 1560-61, 1563-64; Carlo tenne la stessa carica in
Palermo negli anni 1566-67 e 1574-75; Galeotto con
privilegio dato il 3 maggio esecutoriato il 23 novembre 1575,
ottenne il titolo di nobile col Don, fu giudice della Gran Corte
negli anni 1575-76 e 1579-80-81, ecc., deputato del regno nel
1585, e capitano di giustizia in Catania nell’anno 1590-91;
Silvio capitano di giustizia di Siracusa nel 1578-79;
Cesare senatore di Catania negli anni 1576-77; Francesco,
barone di Mazzarrone, senatore di Siracusa nel 1582-83;
Francesco, da Catania, con privilegio del 31 agosto 1589,
ottenne il titolo di “regio cavaliere”; Vincenzo senatore
di Palermo negli anni 1609-10, 1615-16; Andrea, barone di
Priolo, fu giurato di Siracusa nel 1614-15, senatore nel 1626-27
e capitano di giustizia negli anni 1629-30, 1630-31;
Salvatore, barone di Cefali, senatore in Siracusa nel
1655-56; Biagio fu capitano di giustizia in Siracusa nel
1660-61; Gaspare Platamone e Romano proconservatore della
detta città nel 1661; Cesare capitano di giustizia in
Catania negli anni 1659-60, 1665-66; Francesco, barone
del Priolo, fu senatore di Siracusa negli anni 1667-68, 1672-73,
capitano di giustizia nel 1668-69; Filippo giurato nobile
in Siracusa negli anni 1683-84, 1685-86, 1689-90 e capitano di
giustizia nel 1670-71; Antonio principe di Rosolini,
senatore di Siracusa nel 1685-86; Carlo senatore di
Palermo negli anni 1688-90; Graziano senatore di Palermo
nel 1695-96 e 1703-704; Giovan Battista giurato nobile in
Siracusa negli anni 1695-98, 1700-01; Antonino giurato di
Licata nel 1701-2; Gaspare senatore di Palermo negli anni
1705-6, 1714-15 e maestro razionale di cappa corta del Real
Patrimonio; Nicolò, già capitano di giustizia in Vizzini,
concorreva agli uffici nobili di detta città nel 1731;
Lorenzo giurato nobile di Siracusa negli anni 1747-48,
1754-55 e sindaco di detta città nel 1750 al 1752; Michele
Platamone e Lucchese con investitura del 18 giugno 1748
ottene i titoli di duca di Belburgo, barone di Passaneto, di
Nardore, dell’ufficio di Detentore dei Libri della Deputazione
del Regno; Baldassare, (figlio del precedente) duca di
Cannizzaro e Belmurgo per investiture del 7 febbraio 1780 e del
27 febbraio 1787, senatore di Palermo negli anni 1777-78,
1782-83, pretore di detta città negli anni 1792-94, gentiluomo
di camera; Alessandro capitano di giustizia di Licata nel
1786-87; DIEGO, barone di Pojura, senatore di Piazza nel
1797-98; Giuseppe acatapano nobile di Piazza nel 1798-99;
LIBORIO senatore di Piazza nel 1799-800; Giovan Battista,
barone di S. Marco, fu senatore e patrizio di Siracusa nel
1804-805; Michele Platamone e Moncada (figlio di
Baldassare, duca di Belmurgo), fu investito il 16 marzo 1803 dei
titoli di principe di Larderia, principe di Rosolini, conte di
Sant’Antonio, barone di Roccapalumba, barone di Cipolla, barone
dell’Imposa, barone di Longarini, signore di Buscaglia,
Ritibillini e Almidara, Sannini e di onze 51 annuali sui porti e
caricatori del regno ed a 18 novembre 1805 di quello di signore
di Recattivi per precedete investitura “maritali nomine” del
padre che aveva sposato Rosalia Moncada e Branciforte;
Francesco Platamone e Moncada (fratello del precedente)
ottenne, con real rescritto del 24 agosto 1829, concessione del
titolo di duca di Belmurgo. Giuseppe (dec.1859), senatore
di Piazza nel 1799-800, commissario per il Governo Nazionale nel
1848-49. Con Decreto Reale dell’11 agosto 1897 seguito da Regie
Lettere Patenti del 15 maggio 1898 venne concesso ad Enrico
Platamone, (figlio del precedente), nato in Trapani a 3
gennaio 1841, il titolo di marchese con trasmissibilità maschi
da maschi in linea e per ordine di primogenitura, consigliere
provinciale di Trapani, medaglia di bronzo per benemerito della
salute pubblica: figli: Giuseppe (1876) , tenente
colonnello della Milizia territoriale del regio Esercito
Italiano, podestà della città di Trapani nel ventennio fascista;
Enrico Angelo Maria (1908).
Iscritta nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco
Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922, ed inoltre nell’elenco
ufficiale definitivo delle famiglie nobili e titolate della
Regione Siciliana. È iscritto, con il titolo di barone di San
Marco, Nicolò Gaetano Platamone, di Giovan Battista.
Arma:
d’oro, al monte di nero, di cinque vette, sormontato da tre
conchiglie montanti, ordinate in fascia, queste sormontati da un
giglio, il tutto di rosso.
Rodinò
Titoli: nobile, barone di
Miglione, predicato di D’Acrari Migilione
Dimora: Napoli, Polistena,
Calabria
Motto: “In virtute Robur”
Originaria della Grecia e
trasferitasi in Francia, venuta nel Napoletano con gli Angioini nel
1265 in persona di Giulio Cesare. Passò in Calabria dove
possedette fin dal 1593 il feudo di Miglione ed iscritta al Registro
delle famiglie feudatarie da oltre duecento anni con il relativo
titolo di barone, nobile in Catanzaro, Reggio, San Giorgio di
Polistena. Giovan Francesco occupò cariche amministrative
nella provincia di Reggio Calabria. Luigi, barone di Miglione,
maggiordomo di re Ferdinando II, “pari” del Regno nel 1848, gran
cordone dell’Ordine di Francesco I, commendatore dell’Ordine di San
Gregorio Magno; Giovan Francesco gentiluomo di camera di S.M.
Siciliana, cavaliere Costantiniano, commendatore dell’Ordine San
Gregorio Magno; Carmelo guardia a cavallo della “Compagnia
delle Regie Guardie del Corpo”, figlio del barone LUIGI, partecipò
alla difesa del Regno delle Due Sicilie quale aggregato al “9°
Battaglione Cacciatori” compiendo tutta la campagna del 1860/61 in
prima linea, capitolando con i resti dell’’Esercito in Gaeta il 14
febbraio 1861; Giovan Francesco cavaliere di giustizia del
S.M.O. Costantiniano, commendatore dell’Ordine del Santo Sepolcro,
cameriere secreto di spada e cappa di Sua Santità; Giulio
(Napoli 1871 – Roma 1946), barone di Miglione, avvocato, cavaliere
di Gran Croce Cordone dei SS. Maurizio e Lazzaro, Gran Cordone della
Corona d’Italia, cavaliere dell’Ordine di Cristo del Portogallo,
deputato al Parlamento, Ministro della guerra e Ministro di
Giustizia e dei Culti, vice presidente della Camera dei Deputati
anni 1919/21, 1924/26, vice presidente del Consiglio dal dicembre
del 1944 al giugno 1945 del Regno del Sud, alla sua persona è
dedicata una piazza in Napoli nel quartiere Chiaia.
Iscritta nell’Elenco Ufficiale
Nobiliare Italiano anno 1922.
Arma:
partito 1° d’oro alla mezza aquila di nero col volo abbassato e
coronata di nero, 2° di verde con al capo tre rose di rosso ed in
punta due rami d’alloro posti in decusse d’oro.
Arma: di
rosso a tre torri d’oro merlate alla guelfa di tre merli
visibili, poste due e una, la prima aperta, la seconda e terza
aperte e finestrate di due. Motto: VIS IN SANGUINE Dimore: Napoli, San Giovanni a Teduccio, San Giorgio a
Cremano, Santa Caterina dello Jonio, Sant’Andrea dello Jonio,
Badolato, Salerno.
L’etimologia del cognome SAMO non è certa. Alcuni ritengono che
per la prima volta sia stato usato dai regnanti dell’Isola di
Samo, e diffuso nel territorio italico nel 531 a.C. quando
approdarono presso le coste puteolane alcuni profughi di Samo
fondando la città di Dicearchia cioè del giusto governo, oppure
allorquando gli abitanti dell’isola si spostarono sulle coste
della locride ionica greca, ed in particolare in Sant’Andrea
Apostolo Jonio dove le origine del luogo si fanno risalire al
III sec. a.C.. In tal modo, il cognome Samo discenderebbe dal
più antico termine greco “ samaìos”, che significa abitante
dell’isola di Samo. Altri ritengono che il cognome SAMO si debba
al re slavo SAMO. Fu re degli slavi dal 623 al 658 d.C.,
Fondatore del primo regno slavo nell'Europa centrale, che per
estensione geografica viene indicato come Impero di Samo. La
fonte primaria su SAMO è un documento conosciuto come la “
Cronaca di FREDEGARIO”, scritto originariamente nel VII secolo
D.C.. Secondo la Cronaca di FREDEGARIO, SAMO era
originariamente un mercante franco, probabilmente di armi,
giunto nei paesi danubiani circa il 623-624. Egli costruì un
solido regno, basato su molte alleanze con diverse famiglie
venede: sposò dodici donne, ed ebbe 22 figli e 15 figlie.
Divenuto re, aumentò le sue ricchezze grazie al commercio,
sfruttando la posizione geografica del suo regno. Liberò gli
slavi dai Avari e dai Franchi. SAMO morì nel 658 d.C.. ed il suo
Regno morì con lui. Secondo tradizione familiare risalente, uno
dei discenti di re SAMO
tra il 1187 e 1192 cc. partì per la Terra Santa, combattendo la
terza crociata con le insegne della santa croce, le cui tracce
si persero nel nulla.
Altra possibile interpretazione potrebbe essere quella legata al
noto Banchiere SAMO DI TAGLIOLO, che, così come riportato
nell’Archivio di Stato di Perugia, tra il 1280 ed il 1285 prestò
ingenti somme al Comune di Perugia.
È doveroso evidenziare come il cognome Samo si sia modificato
nel corso dei secoli mediante unfenomeno di traslitterazione.
Infatti, come è possibile analizzare dall’Archivio Diocesano di
Napoli e di Squillace, nonché dall’Archivio della Chiesa Matrice
di San Giovanni a Teduccio in Napoli, il Cognome Samo in origine
era Samà, divenuto prima Sama ( così riportato in alcuni
processetti matrimoniali del 1680) e successivamente in Samo (
come riportato sin dal 1712 nei processetti matrimoniali),
tuttavia non si esclude che il cognome originario sia Samo.
I legami tra la famiglia e la terra Calabra sono molto profondi.
Infatti, come si evince dalle fonti storiche ecclesiastiche e
notarili nel territorio compreso tra Santa Caterina dello Jonio
e sant’Andrea dello Jonio la famiglia dimorava lì tra il 1500 e
1600. L’alto grado della famiglia può essere compreso da due
elementi caratterizzanti i secoli passati, ossia l’appartenenza
agli ordini religiosi nonché i matrimoni con membri di spicco di
nobili famiglie.
È sempre attraverso alleanze matrimoniali che si evidenzia un
alto stato della famiglia, ravvivando alla memoria, Donna
CATERINA SAMA’, madre di Don IVAN CUTIERREZ, capitano
dell’esercito spagnolo, ricordato dalla lastra tombale sita
nella chiesa del Monte dei Morti a Salerno eretta nel 1530. È
menzionato per essere stato tra i fondatori del Monte dei morti,
dove per una convenzione del 27 febbraio 1617 redatta dal notaio
Gio Pandolfo di Salerno, fra il Monte dei Morti ed il Regio
esercito per la sepoltura di capitani e soldati del Principato
Citra.
Da ricordare il matrimonio tra Donna CATERINA SAMA’e il
Barone ANTONIO BADOLATO, Patrizio di Monteleone Calabro,
e figlio del Barone FRANCESCO BADOLATO, atto per notar
PAOLINO DE MARCO del 25 febbraio 1704. Donna CATERINA era
figlia di Don JACOBO SAMA’ e di Donna ELISABETTA GULLA’,
nipote del Rev.ssimoDonFILIPPO SAMA’, Parroco della
Parrocchia di San Pantaleone, nonché nipote di Don FRANCESCO
JERONIMO SAMA’.
E’ lodevole altresì ricordare che da questa unione sono nati sei
figli, di cui NICOLA che impalmerà Donna ANTONIA MARZANO, figlia
del Magnifico Don FEDERICO MARZANO, figlio del Duca di Ardore
e feudatario di Santa Caterina, Don ERASMO MARZANO.
Il predetto Don FRANCESCO JERONIMO SAMA’, figlio di
Don PIETRO, nacque in Santa Caterina dello Jonio nel 1608
cc. Questi impalmò Donna ISABELLA CATERINA CEPANO e da tale
unione nacque
Don STEFANO SAMA’nel
1640 cc. Don STEFANO fu Uomo d’Arme di Don CARLO PIGNATELLIe
di molti altri cavalieri e proprio per fedeltà verso il suo
principe seguì quest’ultimo nel suo feudo tra San Giovanni a
Teduccio, Barra e San Giorgio a Cremano. Si stabilì nel
napoletano in San Giovanni a Teduccio (regio casale franco di
tasse per i privilegi concessi ai casali del napoletano), ove
godé di privilegi, potere e ricchezza derivanti dalla sua
vicinanza con la famiglia Pignatelli. In tale luogo edificò il
suo palazzo sui ruderi di un antico casale del 1500 e sposò nel
1679 Donna CANDIDA BUONINCONTRO. Morì nel 1712.
Don FRANCESCO NICOLA,
figlio di Don STEFANO, nacque in San Giovanni a Teduccio il 14
febbraio 1697. Visse amministrando le proprietà familiari, in
particolar modo quelle in San Giovanni a Teduccio e di San
Giorgio a Cremano. Impalmò Donna TERESA CAVALLO il 30 gennaio
1718. Purtroppo, questa pochi anni dopo morì. In seconde nozze
impalmò Donna ISABELLA MORELLO nel 1749. Don NICOLA morì il 26
dicembre 1764. Suo unico figlio superstite Don PASCALE
FRANCESCO GAETANO nacque il 16 aprile 1751 in San Giorgio a
Cremano. Impalmò donna CARMINA PAUDICE l’8 dicembre 1771.
Incrementò considerevolmente le ricchezze familiari nonché i
possedimenti e gli immobili, pur vivendo in modo adeguato
all’elevato status sociale, così come si evince da quanto
riportato sopra. A testimonianza di tale status sociale basti
ricordare una fede di deposito ritrovata nell’Archivio Storico
del Banco di Napoli del 15 aprile 1785 notarizzata per notar
VINCENZO CIPRO di Napoli dove il Nobiluomo versava 40 ducati
al proprio sarto per pregiati e fini abiti di velluto. E’ da
rimarcare che una tale somma in quel tempo rappresentava il
corrispettivo di una rendita annuale derivante da un piccolo
feudo. Don PASCALE morì nel suo palazzo di San Giovanni
aTeduccio il 21 novembre 1816. Cugino di don PASCALE è il Rev.
Don ANDREA SAMO,parroco della Chiesa di San Giuseppe di
Polla, il quale presenta richiesta al Re per fondare una
Congregazione a Galdo a testimonianza della operosità che
albergava nei vari membri della famiglia la cui vita era
improntata , in ragione del loro status nobiliare, alla
dedizione verso gli altri ed al bene comune (Come riportato
nell’Archivio di Stato di Napoli).
C’è da dire che nei piccoli centri, come predominio sociale, in
mancanza di altre carriere, l’avere dei sacerdoti e delle suore
in famiglia garantiva ampi benefici spirituali e di
considerazione e prestigio sociale. Così per la famiglia
Samàolim Samo specie tra il ‘500 e il ‘600 e nei secoli
successivi, troviamo una schiera di sacerdoti e suore, come ci
viene elencato da S.Tropianonel suo “patrimonio ecclesiastico”
che danno lustro al ceppo familiare e denotano un grande fervore
religioso accompagnato da un mecenatismo rivolto ai ceti sociali
più disagiati e bisognosi.
Don GIUSEPPE GIOVANNI NICOLA,
figlio di Don PASCALE, nacque in San Giovanni a Teduccio il 10
aprile 1793. Impalmò Donna RAFFAELA BUCCINO. Incrementò i suoi
possedimenti con particolare dedizione pur essendo molto
generoso, soprattutto con i più bisognosi. Dalle memorie
storiche familiari tramandate di generazione in generazione si
ricorda la fedeltà alla Famiglia Borbone ed in particolar modo a
Re Ferdinando II. Infatti, così come possiamo rilevare
dall’ampia bibliografia sulla costruzione della prima ferrovia
al mondo, la Napoli–Portici, Don GIUSEPPE SAMO elargì alcuni
appezzi di terra per facilitare la realizzazione della novella
strada ferrata. Rimasto vedovo a causa della morte della moglie
dovuta all’epidemia di colera nel 25 luglio 1854, continuò a
vivere insieme ai suoi figli in San Giovanni sino alla morte
avvenuta il 29 dicembre 1870.
Zio di GIUSEPPE, nel territorio salernitano, ritroviamo Don
GRAZIANO SAMO raffinato teologo e giurista il quale a
seguito di una disputa di diritto canonico produce un parere in
diritto ecclesiastico, prevalendo sul parere precedentemente
reso dal defunto Vescovo di Capaccio (Archivio di Stato di
Napoli).
Da Don GIUSEPPE e Donna RAFFAELLA BUCCINO si avrà Don
PASQUALE PAOLO GIOVANNI nel 23 giugno 1825. Questi rimpinguò
di molto le sostanze di famiglia, impalmando Donna ROSA GALLO,
di distintissima famiglia di Teano il 2 luglio 1853. Fu molto
amata dai padulani locali per la sua disponibilità ed umiltà.
Molti le chiesero aiuto ed ella fu sempre disponibile e prodiga,
e gli abitanti locali definirono quel luogo “ A Curtinae’Donna
Rosa e Teano”, così conosciuta fino ad alcuni decenni fa, a
testimonianza che la generosità di questa nobile donna si era
tramandata nel tempo. Inoltre, non possiamo tacere che Don
PASQUALE prese parte, nonostante le pressioni contrarie ricevute
dal fratello maggiore di ideologia liberale, come volontario
all’assedio di Gaeta, al seguito di Re Francesco II, rimanendo
ferito gravemente ad un braccio. Don PASQUALE morì nel suo
palazzo il 28 settembre 1909.
Da questi si avrà Don SALVATORE SAMO, nato il 18 ottobre
1865 in San Giovanni a Teduccio. Fu funzionario dell’Arsenale
Marittimo e Presidente, nello stile liberale dell’epoca del
locale “Circolo San Luigi”. Il 15 giugno 1892 questi impalmò
Donna GELSOMINA RUSSO, della borghesia locale, sorella del
medico MATTEO RUSSO e dell’Arciprete della Chiesa Madre di San
Giovanni a Teduccio,
Rev. Don GIOVANNI RUSSO. Non mancando di citare, il cugino di
Don SALVATORE, Don GIUSEPPE decorato al valore, immolatosi per
la Patria nel I Conflitto Mondiale, che ricevette la croce di
guerra e che nella chiesa madre di San Ciro a Portici è
ricordato in un monumento funebre. Don SALVATORE perì nel
proprio palazzo raso al suolo, durante il violento bombardamento
che colpì Napoli dagli “alleati” il 17 luglio 1943.
Dalla coppia Samo-Russo, si ebbe Don GIOVANNI SAMO il 30
marzo 1902. Il 22 luglio 1926 questi impalmò Donna ROSA TESTA,
che nel suo parentado annoverava diversi togati e religiosi ed è
ricordata quale fervente operatrice di opere pie.
Don GIOVANNI fu imprenditore e fondò la Società SAMO-ALTOMISI,
che ebbe un importante e florido ruolo nel dopo guerra, sia per
la ricostruzione e sia perché inserito nell’indotto delle
acciaierie della Italsider di Bagoli e la Società Siderurgica
Commerciale italiana. Morì in Napoli il 23 agosto 1959. Suo
figlio Don SALVATORE SAMOnacque a San Giovanni a Teduccio
il 4 aprile 1928. Il 28 aprile 1958 impalmò la Nobildonna LAURA
SORRENTINO, il cui casato vantava l’ammissione alla “ Compagnia
delle Regie Guardie del Corpo” nel 1835.
Don SALVATORE SAMO era funzionario presso la Società Sidercomit
sede di Napoli. Cavaliere del Comitato Diocesano San Gennaro
nominato con decreto Arcivescovile dal Venerato Cardinale
Corrado Ursi. Presidente dell’Associazione Nazionale Lavoratori
Anziani Sidercomit fino al decesso. Morì a Napoli il 14 marzo
1993.
Dalla loro unione Don GIOVANNI SAMO, nato a Napoli, il 17
dicembre 1961, Commendatore del
Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, funzionario
presso la Provincia di Napoli, Cavaliere del Comitato Diocesano
San Gennaro Guardia d’Onore alla Tomba del Martire e Patrono San
Gennaro nella Cappella Carafa del Duomo di Napoli e Cavaliere
fondatore della Guardia d’Onore alle Reali Tombe dei Sovrani
Borbone in Santa Chiara di Napoli.
Sposa Donna PATRIZIA GIANNETTI, da cui Don SALVATORE SAMO,
dottore in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di
Napoli Federico II, nonché iscritto al Foro di Napoli come
praticante avvocato, già decorato della Croce Costantiniana per
volere delle LL. AA. RR. i Principi Don Carlo e Donna Beatrice
di Borbone delle Due Sicilie, e Don ANTONIO e Donna
LAURA, laureando il primo in Giurisprudenza e la seconda
diplomanda. Entrambi questi ultimi sono Volontari della Guardia
d’Onore alle Reali Tombe dei sovrani Borbone in Santa Chiara in
Napoli.
Fa corona nel tempo odierno, S. E. Rev.ma AMANDO SAMO,
Vescovo di Caroline Islands, deceduto il 7 agosto 2021; nonché
una Serva di Dio BEATA MARIANTONIA (Sant’Andrea Jonio, 2
marzo 1875 †27 maggio 1953). TOM SAMO, Sergente della
Forza Armata Aerea USA, 343 Squadrone Bombe, perito nel corso
dell’ultimo conflitto mondiale e sepolto nel cimitero militare
di Nettuno.
Un riscontro di carattere pubblico, è offerto dallo stemmario
settecentesco del Gaetano Montefuscoli una raccolta araldica
custodita presso la Biblioteca Universitaria di Napoli del 1780,
collocata precisamente al MSS121, dal titolo: “ Imprese ovvero
stemma delle Famiglie italiane raccolte da Gaetano Montefuscoli
”, in sei volumi. L’arma Samà è vergata al tomo III a tergo
della pagine 33. Da riscontri e memorie di famiglia, l’uso
dell’arma è da rilevarsi già a Don STEFANO SAMA’ e
visibile all’interno del portico di accesso del Palazzo Samo in
Via Regia San Giovanni a Teduccio, dove ad oggi dopo i
bombardamenti del 1943 che lo rasero al suolo, è ricordato dalla
toponomastica locale con il nome di <vicoletto Samo>e riportato
sul noto saggio di GIANNI INFUSINO, dal titolo “ Le Nuove Strade
di Napoli, Saggio di Toponomastica del 1987”.
In epoca più recente alcuni membri del casato hanno utilizzato
un ulteriore stemma familiare, di probabile derivazione
ecclesiastica, per il quale sono in corso studi e
approfondimenti.
Arma:
troncato azzurro divisi da una fascia rossa orlata d’oro
caricata di un giglio d’oro, al capo una luna crescente rivolta
d’argento in punta una stella d’oro; a sinistra partito rosso
orlato d’oro con leone rampante armato e linguato d’oro coronato
del medesimo.
Re Samo mostrato negli affreschi di Santa Caterina
rotonda a Znojmo , XII secolo
Lastra tombale di Don Ivan Cutierrez de Sama,
capitano dell’esercito spagnolo sita nella chiesa del Monte dei
Morti a Salerno eretta nel 1530.
Don Giovanni Samo con la sua consorte Rosa Testa in
una foto del 1930
Don Salvatore Samo ritratto anni 1930
Don Salvatore Samo in una foto inizio 1960
Don
Giovanni Samo con S.A.R. Carlo di Borbone - Anno 2016
Don Salvatore Samo, Cavaliere del Sacro Militare
Ordine Costantiniano di San Giorgio
Famiglia
originaria dell’Albania, venuta nel Napoletano, nel XV secolo, al
seguito di Giorgio Scanderbech, quali truppe in aiuto di re Ferrante
d’Aragona per difenderlo dai baroni ribelli. Giorgio si
stabilì in Lucera, ove venne iscritto nella sua nobiltà; possedette
il feudo di Palmori, maestro giurato e luogotenente del governatore
di Lucera; Nicolò cacciatore maggiore della provincia di
Capitanata (Foggia) nel 1598; Diego ottenne le “60 some di
terraggio” spettanti ai nobili della città, venne inviato, quale
notabile della città, nel 1702 ad omaggiare re Filippo V, il quale
gli riconfermò i privilegi e gli donò 500 scudi; Giuseppe
autore della “Vita pubblica dei Romani”, governatore della
provincia di Capitanata e giudice della Sommaria.
Titoli: barone di
Bugnano e Casapuzzano, conte e duca di Mottola
Dimora: Napoli,
Bari, Giovinazzo
Famiglia
di origine greca, venuta nel napoletano nel XIII secolo a seguito
dell’invasione mussulmana del Peloponneso, feudataria al tempo di re
Manfredi di Svevia con Pietro e Riccardo “inquisiti”
da re Carlo I d’Angiò per la loro fedeltà agli Svevi; Berardo
cavaliere alla corte di Carlo I d’Angiò; Gualtiero cameriere
di re Carlo I d’Angiò, preposto (responsabile amministrativo) alle
fabbriche del Regno; Arrigo giustiziere dell’Abruzzo, tra i
cavalieri che seguirono re Roberto nell’impresa della “guerra di
Sicilia”; Roberto cavaliere dell’Ordine del Nodo (suggestivo
Ordine Cavalleresco di casa d’Angiò, conferito a chi ritornava dal
voto di crociato in Terrasanta); Antonio e Iacopo
maggiordomo e cameriere di re Ladislao e della regina Giovanna II;
Sergio ammiraglio di Rodi, Rallio di Santa Eufemia, tesoriere
generale dell’Ordine Gerosolimitano, luogotenente del Gran Maestro
dell’Ordine di Malta in Castellamare nel 1468; Tesco
commendatore di Orta dell’Ordine gerosolimitano nel 1502;
Girolamo I (1493 – 1563) generale dell’Ordine degli Agostiniani,
arcivescovo di Salerno nel 1554, poi elevato al rango cardinalizio
di Santa Susanna da papa Pio IV il 26 febbraio 1561, presente al
Concilio di Trento, ambasciatore per Napoli alla corte
dell’imperatore Carlo V nel febbraio del 1553, col compito di far
riconoscere e ripristinare i privilegi relativi alle autonomie
locali che il vicerè don Pietro da Toledo aveva ignorato, riuscì
nella sua missione: “Gratie immunità et privilegi… concesse et
espedite… per il R. P. Hieronimo Seripanno oratore de la detta città
nel presente anno 1554”
(dal
tomo: Il Santo Uffizio, pag. 222 di Ludovico Amabile).
Pompeo
valoroso capitano d’arme nel 1572; Girolamo cardinale e
prefetto della Propaganda, nel 1715 donò una ricchissima biblioteca
al Monastero della chiesa di San Giovanni a Carbonara in Napoli, la
“Biblioteca Seripandina”, andata dispersa nel bombardamento della
chiesa dell’agosto del 1943 da parte dell’aviazione Alleata. Esiste
ancora oggi, secolo XXI, la Cappella Seripando del “SS. Crocefisso a
Carbonara” eretta nel 1533 annessa alla chiesa di San Giovanni a
Carbonara in Napoli tutt’ora non visitabile, utilizzata nella prima
metà del XX secolo come “Congrega dei Giovani Studenti”, nel suo
interno si “potrebbe” ammirare il cinquecentesco mausoleo di
Antonio Seripando, con la presenza sull’altare di un prezioso
Crocifisso su tavola opera del pittore toscano Giorgio Vasari.
Sorgono
monumenti celebrativi del casato in Napoli: nel Duomo, nelle chiese
di San Giovanni a Carbonara, di San Lorenzo Maggiore e di San
Gaudioso.
Duomo di Napoli, Cappella Seripando sec. XVI, da
sinistra: sepolcro di Scipione, sepolcro di Francesco, particolare
blasone Seripando, particolare blasone Seripando Capuana. Foto Ciro
La Rosa.
Clicca sulle immagini per ingrandirle.
Cappella Seripando, interno sagrato chiesa di San
Giovanni a Carbonara e particolare del Crocifisso del Vasari. Foto
Ciro La Rosa.
Clicca sulle immagini per ingrandirle.
Arma:
di rosso
al leone d’oro tenente con la zampa destra un crescente (mezza luna)
dello stesso, col rastrello (lambello) a tre pendenti d’azzurro in
fascia attraversante il tutto.
Famiglia
di origine greca, rifugiatasi nel Napoletano al tempo dell’invasione
ottomana delle terre d’Epiro nel XIII secolo. Le prime memorie si
hanno con Filippo barone di Zuncoli, che nel 1240 fu tra i
baroni chiamati presso il Parlamento Generale in Foggia; il casato
venne ascritto presso il seggio di Capuana in Napoli. Da
Passarello Siginulfo ebbe origine la famiglia Passarelli che
godette nobiltà in Catanzaro ed investita del titolo di baroni di
Brocentoro, Motta e Paganica si estinse nel XV secolo. I Siginulfo
furono conti di Caserta nel 1308 e di Telese nel 1296, baroni di
Zuncoli, Mondragone, Pascarola, Teverola, Brusciano, Melito ed altri
feudi.
Giovanni
feudatario di re Manfredi, in seguito divenne cavaliere di Carlo
d’Angiò e creato “secreto” di Principato, maestro portulano in
Puglia e vicerè di Terra di Lavoro e del Molise; Gualtiero
sindaco di Napoli per concessione di re Carlo d’Angiò; Cesare
grande almirante (ammiraglio) di Carlo II d’Angiò; Giovanni “Passarello”
maestro razionale di Corte, maestro ostiario (addetto alla cura
degli appartamenti reali) e vice ammiraglio del Regno; Sergio
sindaco di Napoli, ciambellano, consigliere e cavallerizzo maggiore,
grand’ammiraglio; Bartolomeo conte di Caserta e Telese, gran
condottiero combattè nella “guerra di Sicilia” dove venne fatto
prigioniero e riscattato da re Carlo II in cambio di Giovanni
Chiaromonte; innamoratosi della principessa Tomar, moglie di Filippo
principe di Taranto, e fratello di re Roberto, tentò di uccidere il
principe, messo in catene in Castel Sant’Angelo di Pozzuoli riuscì a
fuggire e condannato a morte in contumacia, i suoi beni vennero
requisiti: la contea di Caserta data ai della Ratta e gli atri beni
ai de Niana di Aversa. Giovanni luogotenente del Gran
Camerario del regno al tempo di re Roberto d’Angiò; Gurello
gran ciambellano vicerè e gran capitano d’Abruzzo; Filippo
“familiare” di re Carlo l’Illustre, maresciallo nella “guerra di
Sicilia”; Marino tra i baroni che accompagnarono re Ladislao
in Abruzzo, suo “familiare” ed in seguito anche della regina
Giovanna II. Esistono monumenti del casato eretti nel Duomo e chiesa
di Santa Restituta in Napoli, ed in Bari nella chiesa di San Pietro
Maggiore.
Titoli:
principe
e duca di Spadafora, signore di San Pietro li Curri, patrizio
veneto, nobiluomo, nobildonna.
Dimora:
Messina,
Taormina, Palermo, Mazzara,
Motto:
Prodes in
bello
Famiglia
di chiarissima nobiltà, di origine greca proveniente da
Costantinopoli portata in Sicilia da Basilio, esarca -
èxsarchos - (governatore civile e militare delle province
dell’impero bizantino) per l’imperatore Isauro Isacco Commeno nel
1058 e capitano della guardia dell’imperatore stesso; sposò Umfrida
nipote dei duca normanno Roberto e del conte Ruggiero. Il casato
occupò le più importanti cariche del regno di Sicilia e possedette
un gran numero di titoli e di feudi, godendo ovunque nobiltà, tra
cui notiamo i principati di Maletto, Mazzarà, Venetico, Spatafora;
la ducea di Spatafora; i marchesati di San Martino, Roccella; la
contea di Sclafani; le baronie di Bavuso e Rapano, Caccione e
Michinesi, Calamita e Sant’Andrea, Carcaci, Cassaro e Didino,
Cerami, li Currii di San Pietro, Cutò, Ferla, Feudarasi, Maletto,
Martini, Mazzarà, Roccella, Sant’Andrea, San Martino, Scordia
Soprana, Solanto, San Giorgio, Arenella e San Nicola, Venetico,
Vigna del Re, ecc. ecc. Tra i membri di detta famiglia, degni di
menzione per le cariche sostenute ci sono: Matteo senatore di
Messina nell’anno 1358; Corrado stratigoto di detta città nel
1395; Galeotto o Gulotto capitano di Corleone nel
1396; Federico maestro razionale del real Patrimonio da re
Alfonso e per i servigi resi all’Ordine di Malta ottenne il diritto
alla “croce in perpetuum”per se e d i suoi eredi in linea
maschile e femminile; Federico, milite, capitano e castellano
di Taormina nel 1391/99, giustiziere del Val Demone nell’anno 1403,
che, con privilegio dato il 12 maggio 1409, ottenne dal doge Michele
Steno e dal senato la iscrizione per se e suoi al patriziato veneto
per i servigi resi; Tommaso pretore di Palermo negli anni
1412-13, 1419-21, 1424-25; Corrado, che tenne la stessa
carica in detta città negli anni 1418-19, 1426-28, 1436-37; GERARDO
capitano di giustizia di Palermo nel 1421-22; Guglielmo, che
tenne la stessa carica in Caltagirone nel 1430-31, senatore di
Messina negli anni 1433-34, 1438-39, 1443-44, 1447-48, 1456-57;
Corrado, barone di Venetico, pretore di Palermo nel 1436,
stratigoto (giudice criminale) di Messina nel 1443; Federico
senatore di Messina negli anni 1441-42; Gerardo, capitano di
giustizia di Palermo nel 1482-83; Annibale vescovo di Lipari
nel 1485 ed archimandrita (titolo di ecclesiastico superiore di
monastero nella Chiesa di rito bizantino) di Messina; Corrado
cavaliere dell’ordine di Malta nel 1485; Antonino senatore di
Messina negli anni 1496-97, 1510-11; Pietro che tenne la
stessa carica in detta città nel 1514-15; Guglielmo, senatore
di Palermo nel 1517-18, pretore negli anni 1525-26, 1528-29,
1534-35, 1539-40 e capitano di giustizia nel 1521-22; Scipione,
senatore in Messina negli anni 1528-29, 1541-44 , maestro marammiere
del Terzanà e Real Palazzo di Messina nel 1593; Giovan Vincenzo
senatore di Palermo negli anni 1533-34, 1549-50, 1553-54;
Berardo capitano giustiziere di Messina nel 1546-47; Nicolò
Antonio senatore di Palermo nel 1552-53, pretore negli anni
1564-65, 1570-71, 1579-80 e capitano di giustizia nell’anno 1587-88;
Ludovico senatore di Palermo negli anni 1567-68, 1572-73,
1599-600, che, con privilegio dato il 13 luglio 1573 esecutoriato il
17 febbraio 1574, ottenne concessione del titolo di nobile col Don e
capitano di giustizia in Palermo nel 1576-77; Guglielmo che
tenne la stessa carica in detta città nel 1574-75; Pietro
senatore di Messina negli anni 1574-75, 1579-80, 1583-84;
Annibale, che tenne la stessa carica in detta città nel 1579-80;
Michele, barone di Maletto, con privilegio dato il 23 giugno
esecutoriato il 23 novembre 1579, ottenne la concessione del titolo
di marchese della Roccella, e, con privilegio dato il 2 aprile 1619
esecutoriato il 14 settembre dello stesso anno, ottenne la
concessione del titolo di principe di Maletto e fu pretore di
Palermo negli anni 1601-3; Federico Spadafora e Moncada,
barone di Venetico, provveditore delle fabbriche del regio palazzo
di Messina nel 1594; Giuseppe Spadafora Branciforti e Moncada,
che, con privilegio dato in Madrid il 23 luglio esecutoriato in
Messina il 22 settembre 1622, ottenne concessione del titolo di
marchese di San Martino; Francesco Spadafora Branciforti
Moncada e Ruffo, marchese di San Martino, che, con privilegio dato
il 10 novembre 1629 esecutoriato il 6 luglio 1630, ottenne la
concessione del titolo di principe di Venetico; Ludovico
capitano di giustizia di Palermo nell’anno 1632-33; Giuseppe
senatore di Messina negli anni 1650-51, 1659-60; Pietro
Spadafora e Moncada, che, con privilegio dato IL 27 febbraio
esecutoriato il 27 marzo 1653, ottenne concessione del titolo di
principe di Mazzarrà; Federico, con privilegio dato in Madrid
il 7 agosto esecutoriato in Messina il 23 settembre 1672, venne
nominato maestro razionale di cappa corta del tribunale del Real
Patrimonio, e, con privilegio dato in Madrid il 29 maggio 1673
esecutoriato in Messina l’11 agosto 1673, ottenne la concessione del
titolo di duca di Spadafora; Muzio Spadafora e Spadafora, con
privilegio dato in Madrid il 7 marzo 1710 esecutoriato in Messina il
4 maggio 1713, ottenne la concessione del titolo di principe di
Spadafora; Matteo senatore di Palermo nel 1715-16; Muzio
Spadafora e Branciforti, principe di Maletto, di Venetico, e
relativi altri titoli, gentiluomo di camera di re Vittorio Amedeo,
capitano di giustizia di Palermo nel 1717-18, maestro razionale del
tribunale del Real Patrimonio, deputato del regno nel 1720, 1723;
Federico Spadafora e Gaetani dei principi di Maletto, cavaliere
gran croce dell’ordine di Malta,deceduto nel 1794; Federico
Spadafora e Moncada, principe di Maletto, ecc., cavaliere
dell’ordine di Malta, ministro della nobile “Compagnia della Carità”
di Palermo nell’anno 1775; Mariano e Salvatore
Spadafora e Monroy dei principi di Spadafora, che, l‘8 agosto 1796,
ottennero attestato di nobiltà dal senato di Palermo. Con rescritto
del 17 aprile 1841 vennero riconosciuti i titoli di principe e duca
di Spadafora a Gaetano Spadafora (di Muzio) padre di Muzio,
riconosciuto con rescritto del 19 maggio 1851 nei detti titoli. Con
Decreto Ministeriale del 22 luglio 1901 vennero riconosciuti in
persona di Pietro Maria, di Michele, Spadafora (Spatafora),
da Palermo i titoli di principe e duca di Spadafora, signore di San
Pietro li Curri, patrizio veneto, quest’ultimo trasmissibile ai
discendenti d’ambo i sessi, per continuata linea retta mascolina, e
gli altri agli eredi e successori, secondo l’antico diritto
siciliano; con D.M. del 22 luglio 1920 i su indicati titoli vennero
riconosciuti al fratello Rodriguez padre di Michele,
podestà di Palermo nel ventennio fascista, che ottenne con D. M. del
4 luglio 1929 l’autorizzazione di usare per anticipata successione
il titolo di duca di Spadafora.
Il casato
è iscritto nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana e nell’Elenco
Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922.
Arma:
di rosso, al braccio armato, tenente una spada, posta in sbarra, il
tutto al naturale.
Originaria
della Grecia con uno Stratigò o Straticò (cognomizzazione di una
professione che indicava in Sicilia la carica di giudice della corte
criminale); insignita della baronia di Galassi e della contea di
Gallitano per successione della famiglia Cozzo, di cui aggiunse il
cognome, che ne aveva avuto il titolo il primo nel 1771 e il secondo
nel 1809. Nella prima metà del XX secolo ne erano titolate
Giuseppina e Caterina, figlie di Niccolò e
Assiotea Cozzo, per eredità materna con RR. LL. PP. (Regie Lettere
Patenti) di Assenso del 16 settembre 1926 e Regio Riconoscimento del
1902.
Iscritta nel
Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco Ufficiale
Nobiliare Italiano anno 1922.
Arma:
partito: d’oro all’aquila al naturale (Stratigoto); troncato d’oro e
di rosso, il secondo a tre monti di rosso (Cozzo).
Si vuole
di origine bizantina giunta a Reggio dopo la caduta di
Costantinopoli (Tradizione familiare vuole che a
simboleggiare tale memoria nell’arma il leone è “rivoltato”
perchè mira ad oriente la patria perduta – il sole). Dette
alla città nel corso dei secoli molti personaggi di toga, d’armi
e di studi partecipando alla vita amministrativa con sindaci,
magistrati e deputati della nobiltà. Il canonico Giuseppe
Morisani, storico insigne, (1720-1777), la indica come la
famiglia che introdusse a Reggio la coltivazione del bergamotto
alla fine del XV secolo (– varie fonti – riportato da:
Mottareali, l’Italia agricola – 1875 ). Il casato appartenne
ad ambedue le confraternite nobili della città, degli Ottimati e
dei Bianchi; titolare di oratorio e cappella nel proprio palazzo
gentilizio in Reggio, come da concessione di Papa Pio VI del 23
aprile 1776 ( F. Russo – Regesto Vaticano per la Calabria –
vol.XII n. 66936). Passò per l’Ordine di Malta quale quarto
(Pasquale Catanoso-Genoese – Cavalieri Gerosolimitani di
Reggio Calabria – processo nobiliare di fra Felice Musitano
cavaliere di Giustizia nell’anno 1774, quarti nobili –
Musitano-Guerrera-Valentino-Monsolino) nell’anno 1794.
Figura tra le famiglie ammesse nella “Compagnia delle Guardie
d’Onore” di Calabria Ultra seconda, in persona di Giovanni
di Felice – (archivio provinciale RC – elenco 1837,
n. 28) Nel 1610 il dottor fisico Giovandomenico, Priore
della Confraternita di S. Nicolò de Puteo, fu Sindaco della
città, sposo della nobile Pompilia Rota e fratello del Regio
Giudice Nicola Maria. Lo Spreti nella sua enciclopedia
araldico-nobiliare ricorda il dottor “utroque” Felice
figlio del dottor “utroque” Alberto ascritto ai ruoli dei
Nobili nei libri del Reggimento dell’Università di Reggio (Libri
del reggimento della Università di Reggio – Archivio di Stato –
anno 1699 – 1721 – 1734 – rif. Notaio Zuccalà – ruoli nobiliari).
Era padre di Domenico sindaco dei Nobili nell’anno
1751/52, (Nei ruoli nobiliari del 1737 – 1742 – 1755 – 1757 –
Archivio di Stato – Spanò Bolani Domenico – storia di Reggio
Calabria) che resse la città in momenti di grande
difficoltà, superando con abilità un periodo caratterizzato da
aspre contese sociali. Dal Catasto Onciario del 1748 si rileva
che la famiglia, oltre ad essere tra le più cospicue, si alleò
con quelle più influenti della città. Inoltre si imparentò con
famiglie nobili della vicina città di Messina. Appartengono al
casato Giuseppe alfiere del 7° Reggimento Fanteria di
Linea “Napoli”, Pasquale alfiere dell'8° battaglione
“Cacciatori” hanno partecipato alla difesa del Regno
dall’invasione piemontese nella campagna del 1860/61. E’ del
1797 il matrimonio tra il patrizio reggino don Giuseppe e
la nobile di Messina Lucrezia Granata, il cui figlio Felice,
magistrato e letterato, sposò la nobile messinese Agata Donato
dei Baroni di Migliardo; patriota fervido, di pensiero ed
azione, visse tra persecuzioni e pericoli, nel 1848 fu
segretario del comitato rivoluzionario locale; durante la
dittatura di Garibaldi fu nominato giudice di Gran Corte e dopo
l’Unità d’Italia presiedette a Catanzaro la prima Gran Corte
Criminale che funzionò nell’Italia meridionale. Il figlio On.
Giuseppe, avvocato e oratore insigne, entrò nella vita
pubblica: fu eletto la prima volta consigliere comunale a 24
anni e venne sempre riconfermato fino alla istituzione del
podestà. Più volte assessore e sindaco della sua città;
consigliere e Presidente dell’Amministrazione Provinciale;
deputato del Regno al Parlamento. Unico sindaco nella storia di
Reggio Calabria ad essere eletto unanimemente dall’intero
Consiglio. Il suo nome resta indissolubilmente legato alla
ricostruzione di Reggio, dopo il catastrofico terremoto del 28
dicembre 1908. Famiglia riconosciuta nobile col titolo di nobile
di Reggio Calabria con D. M. del 7 giugno 1928.
Iscritta
nel Libro d’Oro della Nobiltà Italiana, iscritta nell’Elenco
Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922.
N.d.A.: si ringrazia il signor Francesco Valentino per le
ulteriori notizie fornite che hanno ampliato la storia del
casato
Arma:
d’azzurro al leone al naturale rivoltato, movente dalla cima
di un monte di verde, mirante il sole nel cantone sinistro del
capo (Riconoscimento del 7 giugno 1928).
Si crede che questa famiglia
discenda dai Paleologo, imperatori dell’impero Romano d’Oriente,
e sia discesa due volte in Sicilia, la prima volta ai tempi di
Federico II d’Aragona, poi con Alfonso; Vassallo, figlio
di Giacomo, possessore del feudo di Bavuso nel 1296;
Giovanni giurato di Siracusa negli anni 1403/4 e 1406/7;
Stefano senatore di Palermo anni 1517/8 1526/7; Giovan
Matteo capitano d’arme nel 1601; Ludovico governatore
del Monte di Pietà di Palermo anni 1611/13, governatore della
Tavola Pecuniaria (Banca centrale) nel 1616, senatore in Palermo
1615/6; LUIGI con privilegio del 3 settembre 1670 ottenne il
titolo di barone di San Bartolomeo; Nicolò barone di Lago
di Scicli in data 3 marzo 1778; Bartolomeo senatore di
Palermo anni 1756/76, rettore ospedale Grande, rettore
dell’Opera di Navarro nel 1777, governatore della Tavola
Pecuniara 1785; Giuseppe Maria cavaliere dell’Ordine di
Malta; Ignazio senatore di Palermo 1824.
Iscritta nell’Elenco
Ufficiale Nobiliare Italiano anno 1922.
Arma:
d’azzurro troncato da un filetto di nero: nel 1° alla croce
d’oro, caricata nella parte superiore del monogramma
costantiniano di rosso, ed accostata in punta da due mezzelune
montanti d’argento; nel 2° al leone accompagnato in punta da due
gigli ed attraversato da una sbarra, il tutto d’oro. Intorno
allo scudo la bordura d’oro carica del motto “In hoc signo
vinces” di nero, intramezzato da quattro torri dello stesso
cimate da una bandiera d’argento, crociata di rosso, svolazzante
a sinistra.
Di origine ellenica, venuta nel
Napoletano nel XIII secolo a seguito dell’invasione turca
dell’Epiro. La prime notizie certe si hanno dal 1255 con
l’iscrizione del casato al seggio di Porto tra le famiglie
Acquarie. Egidio giustiziere di Terra di Lavoro e del
Contado del Molise nel 1268; Alfonso “familiare” di re
Carlo II d’Angiò, giustiziere di Terra di Bari; Cola tra
i diplomatici inviati da Napoli in Francia per chiamare Renato
d’Angiò alla successione della regina Giovanna II; Paolo
familiare del Re, ambasciatore in Roma, Francia, Polonia, ed
Ungheria,giustiziere in Abruzzo, provveditore generale
dell’esercito nella guerra contro Carlo VIII di Francia;
Luigi tra i cavalieri che parteciparono alla riconquista di
Gaeta nel 1496. Ferrante capitano di ventura nelle
Fiandre nel 1594; Pietro cavaliere dell’Ordine di San
Giacomo nel 1624. Il casato ricevuto nell’Ordine di Malta dal
1644. Francesco Antonio capitano i galee morì eroicamente
in combattimento nella battaglia di Lepanto del 5 ottobre 1571.
Arma: di
verde al leone d’argento a tre bande di rosso attraversante il
tutto.
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