Giuseppe Battista:
dalla poesia - melanconia alla maschera
come utopia e menzogna nel Barocco
dell’estetica ritrovata
A 400 anni dalla nascita
di
Pierfranco Bruni
La poesia barocca è una dimensione
della cultura del Seicento che ha caratterizzato modelli non solo
letterari ma anche artistici e filosofici. La cultura meridionale ha
trovato nel barocco una testimonianza di forte espressività artistica.
Nella poesia ci sono elementi non solo lirici ma anche problematici e
filosofici. Un rappresentante della poesia barocca, in contesto in cui
la visione della cultura mediterranea esprimeva valori profondamente
etici, è stato certamente Giuseppe Battista nato a Grottaglie 400 anni
fa.
Ma chi era Giuseppe Battista?
Giuseppe Battista, il poeta "secentista" - barocco - grottagliese -
napoletano - avellinese (di una Puglia barocca e forse anche decadente
ma profondamente radicata in un profilo religioso che diventava una
proposta progettuale sul piano etico e formativo e di una Napoli fedele
agli "Oziosi"), nato nel 1610 a Grottaglie, in provincia di Taranto.
Giuseppe Battista è certamente un
poeta che si inserisce nel quadro storico del Seicento ma le sue
proiezioni in termini lirici si sono ascoltati, soprattutto in una
eredità religiosa, sino al secolo Decimonono. (Significativi sono, tra i
vari scritti sul Battista pubblicati in Puglia, le riflessioni di P.
Marti del 1903 e di M. Rigillo del 1914 su "Rassegna Pugliese" il primo
e "Apulia" il secondo, oltre al saggio di Girolamo Mariella del 1995,
dove è possibile recuperare altri riscontri bibliografici, nel quale è
tracciato un profilo storico - biografico) oltre, chiaramente, allo
studio articolato di Gino Rizzo.
In una sottolineatura di Mario Sechi,
si osserva: "Ad un'esemplare distanza dal Marino si colloca
l''estremismo' di Giuseppe Battista, poeta meridionale di piene
Seicento, che opera all'interno della Weltanschaung barocca e con i soli
strumenti culturali da essa offerti, un radicale rovesciamento dei suoi
fondamenti ideologici. Non soltanto - per restare sul piano delle
constatazioni più agevoli - la vena sensuale - descrittiva (così
importante per i marinisti delle prime generazioni) si inaridisce nei
suoi versi a tutto vantaggio di una rigorosa tensione morale, capace di
subordinare a sé la tradizionale varietà dei temi e dei materiali
poetabili; ma la stessa poetica della meraviglia svincolata dalle sue
originarie destinazioni politiche - culturali (la battaglia per la
learderschip europea, la rivendicazione di un agibile spazio storico per
il moderno intellettuale), e di conseguenza privata del suo implicito
valore di rottura (l'antiregolismo, la mercificazione della letteratura
e il risolutivo appello al pubblico), finisce per adeguarsi ad un
tessuto ideologico estraneo, di altra origine e di altro segno, e per
omogeneizzarne la singole componenti in un prevalente impegno di analisi
sulle condizioni della 'poesia' contemporanea" (Mario Sechi, in "La
Rassegna della letteratura italiana", N. 1-2, gennaio - Agosto 1971).
Tra le diverse espressioni estetiche
e le proposte tematiche il concetto di Mediterraneo trova in Battista un
interprete moderno. Senza correre a metafore Battista sostiene: "Le
nazioni più da noi rimote furono bugiarde. Degli egiziani disse
Alessandro Napoletano: 'presso gli egiziani non c'è limite al mentire, e
totale è l'impunità quando si mente'. I greci, continua sempre Battista,
perché mancano di fede, mancano di verità; perché la perfidia s'appoggia
su la bugia. I candiotti furono celebri per le menzogne, tanto che erano
in bocca di tutti: 'Cretenses mendaces'".
Battista, il canonico, un poeta che
faceva parte dell'Accademia napoletana degli Oziosi. (Muore proprio a
Napoli il 1675). Rivestiva una carica importante, ovvero era censore
della lingua volgare e latina. Ma amava i paradossi. E non disdegnava le
utopie. Forse anche per questo oggi una sua rilettura è necessaria
partendo da alcuni scritti meno conosciuti o addirittura non conosciuti.
Si ricorda una polemica esplosa tre anni prima della sua morte in
riferimento alla sua poesia. Trovò delle "opposizioni" sulla sua poesia
proprio nella sua terra natìa.
E.N. Girardi nel Dizionario della
Treccani così la racconta: "il poeta grottagliese D. Giovanni
Cicinelli aveva composto una Censura del parlar moderno, Napoli 1672,
contro i traslati e lo stile turgido degli scrittori contemporanei e
specialmente del Battista. Questi, credendo che la censura fosse opera
di Federico Meninni, scrisse, o, come vuole il Pedio, fece scrivere da
un amico, contro il gravinese, gli Affetti caritativi di N.N. (Padova
s.d.), suscitando prima una Risposta del Sig. F. Meninni agli Affetti
caritativi del petulante ludimagistro G. Battista (stampata falsamente
in Padova s.d.) e poi, anonimi, ma dello stesso Mennini, i Furti svelati
nelle poesie meliche e negli epigrammi di G.B. (s.n.t.). Contro il
Meninni si mossero gli amici del B., capeggiati dal principe Caracciolo;
ma il poeta, seguace anche in questo del Marino che aveva interceduto in
favore del Murtola, li pregò di perdonare l'avversario".
Battista, tra l’altro, fu il
sostenitore di Ovidio, di quell'Ovidio che cantava: "…bugiarda, Creta
che sostiene cento città". Ma la storia dei greci, che mancano di
verità perché sono privi di fede è una bella e pungente risposta al
tempo moderno. Ovvero, ed è qui che gli intrecci si complicano, "Non
è bugiarda l'aria se, tornando da man sinistra, promette felicità a'
latini; infelicità a' greci? Quando poi tuona da man destra, prosperi
avvenimenti a' greci; calamità a' latini?". E così via di seguito.
C'è, in realtà, in Battista un
progetto che non è soltanto di natura letteraria. La sua tensione etica
va oltre una questione puramente ontologica perché si inserisce nella
temperie politica del suo tempo. Da questo punto di vista la sua
posizione ha una straordinaria attualità. Quando afferma, nel suo
scritto sulla menzogna “Apologia della menzogna”, che "Vedete bugia
solenne! Vantavano d'aver il sepolcro di Giove, e pur adoravano Giove
come dio immortale. Gli africani, gente come di due facce, così di due
lingue". E poi aggiunge ancora: "Ciarloni gli alessandrini. E chi
non sa troppo mentisce, chi troppo favella?".
Ebbene, il Seicento barocco, pugliese
e napoletano, di Battista, pur partendo da elementi che sono
profondamente metafisici e lirici (nei quali si colloca la sua poesia
melica), resta un Secolo di attraversamento ma anche di deposizioni
culturali profondi. Lo stesso Mario Sansone traccia una linea in questa
direzione. Si serve di strumenti letterari "colti" che hanno derivazioni
ellenica. Si pensi addirittura ai versi di "Democrito ed Eraclito".
Ovvero: "Democrito, tu ridi e col tuo riso/tutte le umane cose a
scherno prendi/e, sia del Fato o mesto o lieto il viso, con lieto viso
ogni accidente attenti".
Poesia “morale” nel recupero della
classicità? Il tema dominante è sì il recupero di una identità classica
sia nello spirito poetico che nel modello linguistico ma questa identità
è anche una lettura i cui tracciati sono greci e romani. Battista, in
fondo, anche in tali contesti non è solo un poeta. E' anche un poeta che
intreccia storie e personaggi. Ridefinisce i personaggi attraverso una
coloritura linguistica emblematica. Tra l'altro è uno studioso di miti e
di poesia. In una lettera a Marcantonio Grifoni scrive: "La Poesia è
un furore, che viene spontaneamente. Bisogna aspettarlo".
Battista politico? Ma le metafore
sono anche dei paradossi che non disdegnano appunto le utopie. "Se la
verità… è madre dell'odio… genitrice dell'affetto sarà la menzogna".
Le corti. Il potere. "Se vi dà l'animo di porr nella soglia delle
corti il piede, non ferirà altro suono le vostre orecchie che di
cacalecci bugiardi. O si fanno encomi al vizio, o invettive alla virtù.
Le adulazioni grondano mèle, o vomitano veleno le accuse". Ecco il
Battista, dunque, de “L'apologia della menzogna”.
Il Battista, poeta, è anche in queste
sottilissime venature ironiche di natura etica. Non si smentisce. Ma
oltre questo affiora, come sottolineato da Sechi, un "ideale stilistico"
il cui rapporto fondamentale con la vita è giocato sui riferimenti
estetici e su quelli morali che sono verifiche etiche.
Il poeta che "regola" e comprende i
processi culturali di un'epoca che si intaglia in una civiltà non solo
letteraria e artistica ma anche politica ricca di significati qual è
stata la cultura espressa nel Regno di Napoli.
Pietro Marti nel 1903 così ne
parlava: "Un solo poeta salentino ebbe, a mio giudizio, la forza di
affermare la propria dignità d'uomo e di artista, e di obbedire alle
vergini ispirazioni del cuore: Giuseppe Battista". E poi:
"Nell'animo del Battista due sentimenti dominarono sovrani: l'amore di
libertà e la coscienza dell'io, che gli veniva in parte dalla natura, in
parte dallo studio profondo dei Greci" (in "Rassegna Pugliese", Num.
6-7, Luglio 1903).
Il richiamo alla grecità che
significa fondamentalmente dimensione mediterranea in Battista si
coniuga, in fondo, con una profonda classicità dalla quale deriva anche
il sentimento dell'esistere. Questo respiro mediterraneo lo si avverte
persino nelle lettere. Si portava dietro la malinconia di una cultura i
cui radicamenti erano profondamente legati ad un identità greco -
romana. In una lettera indirizzata a Settimio Foglia si legge: "…I
Filosofanti sono emuli di Platone, d'Aristotele. I Poeti d'Omero, di
Virgilio. Gli Storici d'Erodoto, di Livio. I Capitani d'Alessandro, di
Cesare…".
In un’altra lettera a Giavambattista
Manso annota: "Dimoro in Sorrento, che vuol dire nella città delle
Sirene. Quindi è che favolosa mi pare l'opinion di coloro che la
vogliono edificata da Ulisse, il quale fuggiva le Sirene. Aveva io letto
l'amenità di questa regione, ma la credeva colorita da pennelli poetici.
Ora che ci sono presente, appena la veggo abbozzata, tanto mi sembra di
gran lunga maggiore. E' tutta un giardino, dalle mani di Pomona piantato
per delizie della vita umana. Teti non ha recesso, dove goda quiete più
tranquilla".
In un'altra lettera ancora
indirizzata sempre a Giovambattista Manso si legge: "Così va agli
umili sassi d'Itaca Ulisse, come Agamennone alle superbe mura di Micene.
Niuno ama la patria perché è grande, ma perché è sua". Il tema
omerico è significativo. Questo sentimento della Patria (Itaca non è
soltanto un simbolo) è fortemente sentito. Muore lontano dalla propria
patria. Muore lontano da quel paese che, secondo il poeta, aveva dato i
natali ad Ennio.
Alla sua morte l'accademico
Trasformato Donato Antonio Gravillo con grande dolore disse: "Ios.
Baptista gutta moritur:/Heu guttis Baptista perit, qui fulserat
alter/Sol; Phoebus guttas quo cadat inter habet". Una sua poesia dal
titolo: "Conforta se stesso a non temer la morte" così recita: "Un
viaggio è la vita, ed è sudato,/tutti siam peregrini, ed è felice/chi
dell'ospizio pria giugne alle porte".
Il sentimento del “peregrino” è uno
dei temi affascinanti che apre una interpretazione completamente
estetica che riguarda certamente gran parte delle sue lezioni ma incide
in molti tracciati poetici e nelle pagine non trascurabili in cui la
menzogna entra nel contesto barocco come fenomeno apologetico o forse
come modello di un “elogio” o meglio ancora un elogio alla utopia (o
forse follia) della maschera.
Testo messoci a disposizione dall'autore, che ringraziamo,
nel mese di marzo 2010 |
Giuseppe Battista,
a 400 anni dalla morte, oltre le Accademie, in un confronto con il
linguaggio delle Avanguardie del Barocco
di
Pierfranco Bruni
L’arte del Seicento quando non fu
arte di corte esplose in una sensualità che conobbe forma, linguaggi e
immagini caratterizzanti tanto da realizzare un intreccio tra
l’immaginario definito nella pittura e quello strutturato attraverso i
versi o il linguaggio in prosa. Anche lo stesso Torquato Tasso,
formatosi alla scuola dei Gesuiti non accettando la controriforma creò
un percorso tematico e lirico marcatamente estetico in una linea
malinconica sul fluire di una voluttuosità che lo ha definito
cavalleresco.
Ma uno dei poeti rappresentativi
della scuola della sensualità resta certamente lo spagnolo Luis de
Gòngora (1561-1627) sia con le sue “Solitudini” e soprattutto con Favola
di Polifemo e Galatea. Gòngora non fu solo un poeta ma un agitatore di
coscienze. Fu riscoperto da Garcia Lorca e ne fece conoscere la
modernità. Il rapporto tra le figure e le opere di Gòngora e i poeti
dell’Accademia napoletana fu estremamente interessante. Due profili
completamente diversi.
Il Barocco spagnolo, vera anima di un
Seicento poetico ed europeo, che si rapporta con la cultura russa
americana e francese, è un Barocco che non conosce gli schemi e le
etichette di quella melanconia che sfiora a volte l’assurdo ben
costruita in Giambattista Marino (1569-1625) o in un Giuseppe Battista
(1610-1675) che pur nella sua complessità rimane privo di una profondità
drammatica tanto che venne definito: “Scaltro manipolatore di
argutezza, non sempre fredde, e d’iperboli” (Cfr. Poeti dell’età
Barocca, Guanda, 1961, vol. I, pag.353).
La mancanza di drammaticità la si
trova sostanzialmente in Marino mentre nel Gòngora si avverte un
costante gioco il cui pensiero poetico si intreccia con la metafisica
dell’infinito. Ed è quella metafisica del tempo che a volte diventa
eresia poetica che si legge in un poeta come John Donne (1573-1631). Una
metafisica straziante nella quale si comprende il passaggio dolorante di
una vita mondana ad una contemplante. Infatti, Donne dopo belle
esperienze lontane decide di prendere gli ordini religiosi e muore
addirittura come Decano di San Paolo.
Giuseppe Battista vive l’atmosfera
delle Accademie tanto che nei suoi versi struttura e costruzione
risentono di una manifestazione che a volte è priva di slanci di forte
originalità.
Eppure siamo in una temperie in cui
si scontrano Rinascimento e contro Riforma, in cui il rivoluzionario
Giordano Bruno (1548-1600) recita il suo senso tragico nel nome di una
eresia a Campo dei Fiori e Tommaso Campanella (1568-1663) si rinchiude
nella sua città del sole in una utopia che recita la cristianità come
follia e Galileo Galilei (1564-1642) disputa lo sguardo verso il cielo
convinto che luce e manto stellare siano dimensioni della natura.
Il Barocco supera il Rinascimento e
traccia il tempo di una decadenza non come caduta di valori ma come una
nuova estetica del fare arte e letteratura. Quella decadenza in cui il
recupero della classicità greco-romana è un intreccio con lo scenario
teatralizzato di un Miguel de Cervantes (1547-1616) in cui l’amore o il
concetto dell’inquietudine dell’amore diventa abolizione della visione
del peccato.
È la follia che prende il sopravvento
e il Barocco non può leggersi senza le manifestazioni donchisciottesche
o della ricerca di un senno perduto che si cerca tra le ombre dei cieli
e le stelle appuntate nelle notti lunari.
Il Barocco trova la sua originalità
nell’abolizione del concetto di peccato perché la poesia che esce dalle
Accademie pur nella sua metafisicità si intreccia in un post
Rinascimento onirico e illuminante che toccherà successivamente le
stagioni della stagione della drammaticità foscoliana.
Ma sono gli spiriti eretici oppure
l’elogia del sogno (Pedro Calderon de La Barca, 1600-1681) che si
innervano in quel tessuto Barocco, che faranno del Barocco stesso, non
una età da ripostiglio ma vitale che condizionerà i secoli successivi.
D’altronde il Novecento poetico
europeo (da quello italiano a quello spagnolo) avrà sempre dei tasselli
che rimandano a pensatori come Giordano Bruno, Tommaso Campanella,
Galileo Galilei, Pedro Calderon de la Barca, Francisco De Quevedo, Luis
de Gòngora sino ai sonetti di Jines de la Cruz.
Credo che comprendere o cercare di
capire la funzione di un poeta come Giuseppe Battista deve permettere,
soprattutto, di scavare in quell’articolato mosaico che è stato il
barocco europeo e internazionale altrimenti si corre il rischio di
consegnarlo allo storicismo provincialista chiuso nella demagogia di una
italietta senza senso in una temperie in cui la letteratura è soltanto
se tocca le corde di una universalizzazione sia dal punto di vista
sentimentale che marcatamente estetico.
La letteratura potrebbe fare a meno
di Giuseppe Battista? Certamente sì se lo si colloca e lo si studia in
un quadro di impressionismi retorici ma invece la sua funzione va oltre
le Accademie o meglio dovrebbe andare oltre le Accademie e il suo datato
classicismo non può che fare i conti con le età rinascimentali e con
quelle post barocche.
In una decadenza barocca la
sperimentazione linguistica gioca una sua filosofia del linguaggio in
cui la teatralità del monologare diventa non sintesi descrittiva e tanto
meno melodramma quanto senso del tragico e dimensione dell’ironico.
Una poesia filigranata, come
d’altronde è la poesia del Barocco universale e la drammaticità non
diventa malinconia sostenibile con la nostalgia ma una energia che trova
la sua forza vitale proprio in una fase che è sperimentale.
In questa sperimentazione applicata a
Battista i personaggi e i luoghi disegnano un destino ma non come
interpretazione storica bensì come definizione di una estetica. In quel
verso: “Dall’isola di Circe usciva il sole” non si dovrebbe
intravedere solo la classicità dei rimandi ma la focalizzazione di una
distinzione che è ben definibile nel personaggio di Circe in quanto non
come mito che entra nella poesia ma come figura archetipica innestata
nel taglio di un verseggiare onirico.
Proprio questo verseggiare onirico
porterebbe Giuseppe Battista ad una poesia del superamento della
tradizione perché il Barocco ha sperimentato diverse forme proprio
attraverso quello che Emilio Cecchi nel 1979 identificava come
“qualificazione fantastica”.
E tra i poeti del Barocco c’è una
forte presenza innovativa che risponde al nome di Robert Angot de
Lepèronniére (1581-1640?) con il testo dal titolo “Le luith” oppure la
testimonianza di George Hembert (1593-1633) con i versi dal titolo
“Easter wings”.
Due autori ai quali hanno fatto
riferimento i percorsi poetici futuristi. Soprattutto, il primo testo ci
rimanda ad una tavola futurista vera e propria in un gioco di immagini
che si definisce come volo e come dinamicità della parola.
Il Barocco è stato anche questo e non
va classificato se vogliamo ragionare seriamente e serenamente
intrappolato nella cella dell’accademismo.
Certo, il Barocco del Regno di Napoli
ha una sua agibilità di azione limitata ed è anche vero che c’è un
linguaggio che si porta dietro tutta una fusione che è quella della
scienza che ritrova la natura che è quella della falsità o nel
cosiddetto virtuosismo del Marino o ancora della sensualità e della
voluttà ma anche emerge una poetica dalla varietà petrarchesca che si
interpreta come una irraggiungibilità o come una analogia e altresì come
fissazione di una religiosità.
Ma è naturale che va considerato
nella sua complessità e se oggi si studia Giuseppe Battista il suo
intervento poetico o la sua importante lezione sulla menzogna andrebbe
ricontestualizzati anche attraverso quel Barocco che è stato definito
nella linea ispano americana come Barocco coloniale e non ha alcuna
importanza il fatto che sia vissuto o che si sia formato a Napoli o nel
Salento.
È importante, invece, leggerlo in una
prospettiva che è quella della speculazione europea e soprattutto
all’interno di un quadro in cui il Barocco italiano può avere ancora una
sua durata se si riesce a comprendere che è stato un movimento, una
idea, un processo che ha interessato il mondo intero e in particolare
ridisegnato in una Spagna che lo ha definito come secolo d’oro.
Ebbene, Giuseppe Battista deve fare i
conti con questa realtà o lo si lascia negli archivi delle nostre
provincie. Se è così Battista resterà un affiliato alle patrie storie
locali ma così non deve essere perché tra il Battista di: “Se vestita
di porpora o d’argento…” a Francisco de Quevedo di: “Dama di
scacchi, dama di cera,/dama da tasca,/se volete nascondere il
difetto/cessate di uscir con donne alte…” o al Johan Donne di:
“Ogni regnante è con le favorite…”, il confronto avrebbe una
attualità straordinaria e la sua presenza anche tra gli echi di una
poetica contemporanea la si ascolterebbe non solo nell’Ottocento
leopardiano ma anche nelle religiosità che vibra tra i versi di Mario
Luzi e il suo concetto di finzione-menzogna lo si troverebbe e lo si
trova in quella maschera efficace che diventa il pirandelliano “mal
giocondo”.
E allora sarebbe necessario
restituire la poesia di Giuseppe Battista alla poesia perché la poesia
se è poesia non ha bisogno né della storia e tanto meno ha bisogno delle
Accademie.
Il Battista che si universalizza è
quello che porta il Barocco nella tradizione di un Novecento decadente,
dolorante, inquieto ma profondamente vitale in un trasporto di
linguaggio che annuncia, attraverso la ricerca della parola, le
avanguardie.
Testo messoci a disposizione dall'autore, che ringraziamo,
nel mese di giugno 2010 |