Note e Versi Meridiani


Giuseppe Battista

a cura di Marilena Cavallo

 

Nasceva nel 1610 a Grottaglie il poeta della poesia melica

di Marilena Cavallo

Quattrocento anni fa nasceva Giuseppe Battista. Un anniversario importante. Nato a Grottaglie (Ta) nel 1610 e morto a Napoli nel 1675. Pochi sono stati gli storici della letteratura che hanno contestualizzato e antologizzato l’opera di Battista. Tra i pochi studiosi contemporanei che hanno riproposto la poesia del grottagliese c’è Giacinto Spagnoletti. Infatti nella sua antologia “Otto secoli di Poesia Italiana da San Francesco d’Assisi a Pasolini” (prima edizione del 1993) inserisce due poesie di Battista. Le due poesie dal titolo: “Il caos” e “La materia prima” (entrambe tratte da “Rime”).

A cosa resta legato il nome di Giuseppe Battista? Alle “Poesie meliche” del 1659 – 1670? Alle prose delle “Giornate accademiche” del 1673? All’opera “Epigrammata” del 1653, scritta completamente in lingua latina?  Battista resta certamente un poeta barocco all’interno di una temperie che ha “recitato” la sua trasparente inquietudine sulle traiettorie di un vissuto interiorizzato dentro gli schemi della parola e dell’immagine. Un barocco senza barocchismi perché aveva nel di dentro, quella sua poesia, la capacità di penetrare processi culturali articolati che hanno toccato il mistero e la religiosità stessa di un mistero che ha bisogno della grazia per diventare espressione fondante qual è stata la scuola di pensiero dalla quale proveniva il poeta grottagliese.

Chiaramente il marinismo di primo acchito si fa sentire, ma è  profondamente legato ad una dimensione vichiana, in cui la ciclicità non è soltanto una motivazione del tempo, ovvero un raccordo tra lo spazio, orizzontale e verticale, e il tempo come continuità nella stessa versione della ciclicità. Battista va oltre il marinismo. Utilizza materiale “colto” e immediato e si inserisce in un rapporto che ha una chiave di lettura straordinaria nel gioco tra la struttura mitica (ovvero il recupero del mito nella sua classicità ma anche nella sua modernità post cultura umanistica e pre-illuminista) e quella simbolica.

Battista è come se si servisse di archetipi, la cui “ricercatezza” del verso si riversa nella metafora del fuoco che fa scintille ma non esplora il buio con l’illuminante fiamma. Il verso è depositato nella storia. Meglio sarebbe dire che l’esplosione dell’innesto del mito trova nella storia una decodificazione di un verso che potrebbe leggersi nella sua apparenza realistica.

Il mito c’è e lo si ascolta, lo si avverte, lo si rintraccia. Come in questi versi: "Democrito, tu ridi e col tuo riso/tutte le umane cose a scherno prendi/e, sia del Fato o mesto o lieto il viso, con lieto viso ogni accidente attenti". La poesia, comunque, non è costruzione o ricostruzione di episodi, di eventi, di stati di coscienza. Piuttosto è come se avesse una sua spontaneità e un suo ritorno emozionale proprio attraverso le aperture verso la classicità e soprattutto  verso una ricerca, non capziosa, che centralizza l’allegoria del mito nella intuizione del dato creativo.

In una lettera a Marcantonio Grifoni scrive: "La Poesia è un furore, che viene spontaneamente. Bisogna aspettarlo". Furore anche come passione. Bisogna restare in attesa della parola che si trasforma in rarefazione del linguaggio in una iconografia senza giustificazioni letterarie. Ci sono tutti i temi dell’intreccio tra grecità e romanità. Intrecci che si proiettano in un contemplante mosaico religioso. Ma Battista resta poeta e non, anche nei suoi scritti in prosa si avverte ciò, trasmigra nella remissione del linguaggio lirico per far posto al pensiero filosofico.

Battista resta poeta fino in fondo come nella lezione che spesso sottolinea nei suoi saggi Maria Zambrano: “Perso nella luce, errante nella bellezza, povero per eccesso, folle per troppa ragione, peccatore in stato di grazia”.

Credo che questa della Zambrano sia una motivazione con la quale poter rileggere l’opera di Giuseppe Battista, perché soltanto in questi termini è possibile un approccio dentro la contemporaneità. La sua inquietudine barocca non resta focalizzata, come già si avvertiva, ad un barocchismo ma penetra quei sottosuoli dostoewskjani che toccano le ombre, le luci e gli orizzonti della propria anima. Una religiosità rivelata, comunque, nel tempo mitico vichiano. È questa l’importanza ma potrebbe anche essere una novità interpretativa, partendo, certamente, dalle poesie per attraversare il suo incontro con la figura di San Francesco di Paola.

Un secolo, il Seicento, vissuto come epoca di mezzo ma è stata una età di congiunture sia artistiche sia letterarie oltre che politiche. Battista è stato un riferimento come ebbe a dire Benedetto Croce: "Non solo il Marino fu caposcuola di poesia in quel secolo, ma altri che parvero già rispondenti al crescente bisogno di 'novità', come, in quella sorta di 'secentismo del secentismo' che fiorì nella seconda metà del secolo, Giuseppe Battista e Giuseppe Artale, l'uno capo, l'altro sottocaposcuola".

Ecco perché a 400 anni è necessario rispondere ad una esigenza non solo di riscoperta ma soprattutto di rilettura e ricontestualizzazione.


Marilena Cavallo

Testo messoci a disposizione dalla gentile autrice, che ringraziamo, nel mese di gennaio 2010

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