Nella
tumultuosa Europa del XVIII secolo la Spagna ricoprì un ruolo da
protagonista espandendo la propria influenza nel Mediterraneo e
assicurandosi territori specialmente in Italia.
Ma
l’operazione più prestigiosa fu quella di riconoscere “l’Infante”
Carlo figlio del re Filippo V di Borbone e di Elisabetta, ultima di
casa Farnese, quale erede del Ducato di Parma nel 1731 -
possedimento dei Farnese – e poi sette anni dopo sovrano del Regno
di Napoli e Sicilia, riconoscimento quest’ultimo che ha dato a
quella che fu per 134 anni la più grande nazione della penisola
italiana e la terza potenza europea, una dinastia attenta alle
esigenze dei suoi sudditi, oggi giustamente rivalutata nella sua
luce dai moderni storici.
Carlo non
risparmiò energie per raggiungere tali traguardi: durante la guerra
di successione polacca assunse il comando delle truppe spagnole in
Italia riuscendo ad occupare l’Italia meridionale, l’ex vicereame
spagnolo che dal 1704 al 1734 era stato dominio austriaco,
scacciandone gli Asburgo. Infatti nel 1738, quattro anni dopo la sua
conquista, venne riconosciuto re di Napoli con il nome di Carlo VII
dal trattato di Vienna. Durante la guerra di successione austriaca,
fu di nuovo avversario degli Asburgo, conducendo con indomito valore
una fortunata campagna militare in Italia Settentrionale e battendo
definitivamente gli “Imperiali” nel 1744 a Velletri che avevano
tentato di nuovo di invadere il Regno.
L’esercito di Carlo ebbe qui il suo primo vero collaudo, come prova
di fusione fra gli elementi autoctoni e quelli stranieri; la
battaglia, in se stessa, segnò la prima grande vittoria
dell’Esercito Borbonico, vi parteciparono reggimenti interamente
Napoletani: il Reggimento “Corona” e il “Terra di Lavoro” comandati
dal duca di Ariccia, che seppero magnificamente reggere il paragone
con i reggimenti stranieri di più consolidata tradizione.
Carlo
dotato di grandi capacità organizzative e dinamismo nel suo periodo
“napoletano” che va dal 1734 al 1759, si dedicò anima e corpo al
progresso dello Stato e delle Forze Armate con una forte spinta
riformatrice, privilegiando l’inserimento degli Italiani, intesi
come cittadini della penisola italica al di sopra dei vari Stati,
nella gestione pubblica.
Quando
morì il fratellastro Ferdinando re di Spagna, rientrò in Spagna per
essere incoronato Re con il nome di Carlo III, lasciando al
terzogenito Ferdinando i Regni di Napoli e di Sicilia, non senza
aver organizzato l’esercito; già nel 1750 era stata quasi portata a
temine l’evoluzione in senso “nazionale”, anche se lo stile delle
divise e la lingua in cui erano impartiti i comandi militari era
ancora lo spagnolo, come in spagnolo erano trascritti i “Libretti di
Vita e Costumi” ossia i fogli matricolari di ogni militare, uso che
verrà poi definitivamente abbandonato dal 1800.
Le
milizie erano in prevalenza “Italiane” ( napoletani o figli di
nativi del Regno) e mercenarie (svizzeri, albanesi, inglesi),
essendo la componente spagnola, che era venuta in Italia seguendo il
Sovrano, rientrata in Patria, mentre gli ufficiali rimasero per
istruire i reparti e garantirne la fedeltà e lealtà.
Sin dal
1735 vennero emanati provvedimenti tesi ad avviare la
nazionalizzazione dell’Armata, poiché il suo obiettivo principale
era quello di affrancarsi del tutto dalla Spagna sia in campo
militare che civile, da formarsi così uno Stato Nazionale
“Napoletano”, altri ve ne furono in seguito per potenziare le unità
ed arruolare “regnicoli” in numero crescente. Vennero poi costituiti
nel novembre del 1743 i “Reggimenti Provinciali” – in servizio per
alcuni periodi di tempo – che dovevano essere delle “scuole
militari” di disciplina e attaccamento a casa Borbone.
L’Esercito e la Marina divennero il risultato dell’intensa attività
riformatrice voluta da Carlo, che va maggiormente apprezzata proprio
per le condizioni sociali ed economiche in cui versavano le province
del nuovo regno prima della conquista Borbonica. Non citerò tutti i
reparti in organico perché sarebbe solo un lungo elenco di nomi di
compagnie, reggimenti e battaglioni, ma parlerò delle uniformi, cosa
molto più interessante e poco nota.
Le truppe
erano dotate, su modello spagnolo, di una “giamberga” – giacca lunga
– con una sola fila di bottoni, falde rialzate ed ampi risvolti alle
maniche, un “giamberghino” – gilet, calzoni al ginocchio, cravatta,
camicia, alte ghette o calze, tricorno nero, mentre la Cavalleria
adottava alti stivali e gambiere. L’identificazione dei reparti
avveniva tramite il colore della giamberga, dei risvolti dei
paramani e dei calzoni, anche dal nastro posto sul tricorno.
Gli
Ufficiali si distinguevano per la migliore fattura e pregio delle
stoffe, ornamenti e dall’uso della “gorgiera” (dal francese gorge =
gola) dorata con giglio d’argento – simile ad una mezzaluna
metallica posta ad uso di collare. Per i corpi della Guardia Reale,
di quelli addetti alla persona del Sovrano e del “Real Corpo
Macedonia” (che comprendeva militari di origine slavo-albanese) le
uniformi erano particolarmente ricche di ornamenti. La coccarda era
scarlatta, colore simbolo di casa Borbone. Le “buffetterie” o
equipaggiamento erano in cuoio naturale, l’armamento per gli
ufficiali appiedati era costituito da spade e spuntoni – corta
lancia; fucile con baionetta per i fanti, gli ufficiali di
cavalleria dotati di spade e pistole con fondine in sella o dette
“all’arcione”, i soldati di cavalleria di un corto fucile detto
“moschettone” e spada.
Per
quanto attiene alle bandiere si sa ben poco per carenza di fonti
documentarie, cosa che si è ripetuta anche per quelle dell’ultimo
periodo del Regno delle Due Sicilie, di certo ricalcavano i modelli
spagnoli, ma con stemmi e ornamenti diversi. La fanteria adottava
una grande bandiera la “Colonnella” – con le insegne reali di casa
Borbone – e due “sensiglie” (nel verso le insegne del reparto e nel
recto la Croce dell’Ordine Costantiniano);le “banderuole di
allineamento” dette guide o “guide generali” che in effetti avevano
la funzione di assestamento o serrafile, usate sui lati e sul centro
di ogni battaglione dei corpi a piedi per guidare le manovre,
allineare la truppa ed anche per indicare gli alloggiamenti, erano
in numero di tre per ogni battaglione: a destra per i Granatieri, al
centro per i Fucilieri e a sinistra per i Cacciatori.
Invito i
lettori a fare una visita presso la “Società di Storia Patria” sita
in Castel Nuovo (Maschio Angioino) in Napoli, dov’è conservata la
fonte primaria per la conoscenza della realtà militare nel periodo
di Carlo a Napoli: la collezione “Divisas Y Antiguedades”
pubblicazione acquerellata del XVIII secolo.
Ciro La
Rosa
febbraio
2008 |