Le Pagine di Storia

El Alamein, la sfortuna e il valore degli italiani

di Marco Liguori

El Alamein 1942. Sono passati sessant’anni dalla battaglia che decise le sorti, insieme a Stalingrado sul fronte russo e Midway nel Pacifico, della Seconda Guerra mondiale in favore degli Alleati. Una località fino a quell’epoca sconosciuta, segnata solo nelle carte geografiche più dettagliate. In pratica è solo una piccola stazione ferroviaria posta in prossimità della costa prospiciente il Golfo degli Arabi con alle spalle l’invalicabile depressione di Quattara, a soli 102 chilometri da Alessandria. Il suo nome in arabo vuol dire “le due bandiere”, ma nelle tre grandi battaglie svoltesi a El Alamein di bandiere ce n’erano più di due: oltre al Tricolore Sabaudo italiano e alla bandiera con la svastica tedesca c’era anche l’Union Jack inglese, sotto cui militavano i soldati di diverse etnie dell’Impero britannico australiani, indiani e neozelandesi. Oltre agli inglesi e alle truppe dei loro dominion combatterono anche i soldati della Francia libera, facenti capo al governo in esilio del generale De Gaulle, e quelli greci.

Prima della descrizione dei tre scontri, bisogna premettere un errore strategico che si rivelerà fatale per le sorti delle armi italo-tedesche in Africa Settentrionale. Ciò è costituito dalla mancata conquista di Malta, la spina nel fianco dei convogli italiani che partivano da Napoli e dalla Sicilia diretti in Libia. Lo stato maggiore italiano aveva elaborato fino dai primi giorni del conflitto l’opzione C3, poi trasformata in operazione Hercules, che prevedeva l’invasione dell’isola posta tra Tripoli e la Sicilia. A questo scopo erano state predestinati l’utilizzo della divisione paracadutisti Folgore, ben armata ed equipaggiata, insieme ai marò del battaglione San Marco: ma il comando tedesco ritenne che era sufficiente tenere sotto bombardamento Malta per renderla inoffensiva. Primo fautore di questa strategia perdente era Adolf Hitler: gli italiani cercarono di fargli cambiare idea, ma ogni tentativo fu vano. La Folgore fu spedita in Libia e utilizzata come truppa di fanteria nel deserto. Per togliere ogni dubbio sul suo impiego, i paracadute furono ammassati nei magazzini di Derna e lì restarono a far compagnia ai topi sino alla disfatta di El Alamein. Nonostante questo grave errore strategico, i paracadutisti italiani dimostrarono al nemico tutto il loro valore, riuscendo a respingere le truppe corazzate inglesi costringendoli alla ritirata più volte e cedendo solo per essere giunti allo stremo delle forze.

Ad El Alamein svanì il sogno del Duce del fascismo, Benito Mussolini, di entrare ad Alessandria «con in pugno la spada dell’Islam». Ma soprattutto andò in frantumi l’obiettivo dell’Asse di occupare l’Egitto, per poi dirigersi verso i pozzi petroliferi dell’Iraq e occupare di seguito il Caucaso russo, zona anch’essa ricca di greggio. Le truppe italo-tedesche avrebbero attaccato l’impero di Stalin e inferto un duro colpo, ricongiungendosi con le proprie armate presenti a nord, nel cuore dell’allora Unione sovietica.

La prima battaglia (1-31 luglio 1942)

Dal giugno del 1940 fino al luglio del 1942 il fronte dell’Africa Settentrionale era stato caratterizzato da una serie di rovesci improvvisi, che aveva portato le truppe italo-tedesche fino a Sidi El Barrani località posta appena al di là del confine tra la Libia, colonia italiana, e l’Egitto alleato dagli inglesi e da questi presidiato militarmente. Questi ultimi a loro volta si erano spinti nell’interno della Cirenaica, fino a raggiungere Marsa Brega tra il 1940 e il 1941. Mai la linea del fuoco aveva superato fino ad allora Sidi El Barrani. Dopo la riconquista della piazzaforte di Tobruk (in territorio libico) aveva preso vigore la spinta offensiva dell’Afrika Korps del maresciallo Erwin Rommel e delle divisioni italiane. Una dopo l'altra erano cadute le località egiziane di Marsa Matruth, Maaten Bagush, Fuka, El Daba, Sidi Abd el Rahman: sulla strada per Alessandria (distante poco più di cento chilometri) restavano, in fila l’una dietro l’altra, soltanto le località di El Alamein, El Hamman, Buyrg el Arab. In previsione della disfatta dell’esercito inglese, nel porto di Alessandria, le navi della Mediterranean Fleet stavano per salpare, mentre una squadra navale francese - internata nel porto egiziano dal 1940 - si preparava all'autoaffondamento. In un mercoledì di inizio luglio, dall’ambasciata inglese nella capitale egiziane, Il Cairo, si levavano alte colonne di fumo. La giornata fu ribattezzata dagli stessi inglesi “il mercoledì delle ceneri” a causa dell’enorme mole di documenti riservati incendiati dagli addetti, in previsione dell’occupazione delle truppe dell’Asse. Molti clienti, militari e civili, del celebre hotel della capitale egizia, lo Shepheard, cominciarono una ritirata strategica verso l’hotel King David di Gerusalemme.

gen. Erwin Rommel

Il panico regnava sovrano nel campo inglese. Tuttavia il comandante dell’Ottava armata inglese, il generale Claude Auchinleck, pur consapevole della gravità della situazione era più che mai deciso a resistere. Al di la dello shock subito dalle sue truppe, dopo cinque settimane di ininterrotte sconfitte, le unità disponibili per la difesa di Alessandria e del Delta erano comunque abili e arruolabili per la difesa a oltranza. La 50a Divisione britannica e la 1a Divisione sudafricana, dopo oltre mille chilometri di ritirata, da Ain el Gazala a El Alamein, avevano salvato il nerbo dei loro battaglioni. Quasi al completo era la 2a divisione neozelandese, riordinata in fretta e furia nei campi di addestramento in Siria, comandata dal generale Cyril Freyberg, un veterano della battaglia di Creta e di precedenti battaglie nel deserto, rimasto seriamente ferito durante gli scontri per la difesa di Marsa Matruth, la seconda “porta” per la conquista di Alessandria, posta sulla litoranea per la Libia. A disposizione di Auchinleck c’erano oltre alla 18a Brigata indiana, giunta dall'Iraq, anche la 4a Brigata indiana. Entrambe furono poste nello scacchiere di El Alamein: la prima a difesa della posizione di Deir el Shein, la seconda di Abu Weiss, nell'interno, ai margini della depressione di El Qattara, invalicabile sia per la fanteria appiedata, sia per i mezzi cingolati e su ruote. Quanto ai mezzi corazzati e blindati, Auchinleck disponeva ancora di 150 carri della 1a divisione corazzata e aveva creato una Brigata, la 4a corazzata leggera, formata interamente da autoblindo. Il comandante inglese disponeva quindi di una forza combattente ancora in grado di poter sostenere l’urto con le divisioni dell’Asse. In più, disponeva anche dell’appoggio tattico aereo della RAF, con i suoi apparecchi molto moderni ed efficienti.

Contro questo schieramento, l'armata italo-tedesca poteva opporre di una forza che diventava sempre più esigua e flebile, a mano a mano che procedeva verso l’interno del deserto egiziano, anche a causa della difficoltà di creare una consistente ed efficace linea di rifornimento. Le truppe dell’Asse disponevano di una forza corazzata molto ridotta, formata da 35 carri tedeschi e poche decine di carri medi e leggeri delle Divisioni "Ariete", "Littorio" e "Trieste". In considerazione di ciò e della altrettanto scarna consistenza delle unità di fanteria, l'investimento della intera posizione di El Alamein, da nord a sud, non era possibile. E questo senza considerare che lo stesso Rommel comprese soltanto nei giorni successivi che il settore vulnerabile del fronte era quello meridionale. La “Volpe del deserto” fu accusata di aver condotto la sua “galoppata” in Egitto, contando sul fattore entusiasmo delle truppe italiane e tedesche, senza badare alla scarsezza di mezzi in cui si sarebbe ritrovato. Nel campo inglese, Auchinleck cercò di risollevare il morale delle proprie truppe, duramente provato dopo la disfatta che li aveva ricacciati sino alle porte di Alessandria. «C’è un solo ordine: attaccare e inseguire», dirà il generale inglese per rincuorare i propri soldati e per dargli lo slancio necessario a contrattaccare.

Nel pomeriggio del 30 giugno, aveva inizio la prima battaglia di El Alamein. La 90a Divisione leggera tedesca (o meglio, ciò che rimaneva, pari a meno di un sesto dell'organico) urtò contro le difese inglesi. Auchinleck aveva previsto un attacco sul centro-destra del suo schieramento e le brigate erano state disposte sul terreno in conseguenza.

Il generale britannico aveva visto giusto. Il 1° luglio, l’Afrika Korps tentò di forzare la posizione di El Alamein, con una celere progressione; ma venne investito dal fuoco concentrico dell'artiglieria britannica, mentre la Raf interveniva con attacchi a volo radente. L'inizio del processo di disgregazione dei piani di Rommel e con essi della prospettiva di una marcia vittoriosa su Alessandria avvenne a Deir el Shei, tra El Alamein e Bab el Qattara, a ovest dell'altura di Ruweisat. La 18a Brigata indiana oppose per tutto il giorno una tenace resistenza e quando, alla fine, fu sopraffatta, aveva distrutto 18 dei 55 carri coi quali i tedeschi erano entrati in combattimento.

carro italiano M 14

L’attacco delle truppe dell’Asse, privo di truppe fresche per sostenerlo validamente, era destinato a infrangersi sulle linee inglesi. Il 3 luglio la Divisione Corazzata italiana Ariete fu distrutta, in seguito ad un attacco della 2a divisione neozelandese, sostenuta da carri e artiglieria. In realtà, furono distrutte le reliquie dell'Ariete, ridotta a una dozzina di carri, a trenta pezzi di artiglieria e a poche centinaia di uomini.

Il cedimento della divisione corazzata italiana scosse anche Rommel. «Questo colpo ci arrivò del tutto inatteso – scrive il generale tedesco - perché nei combattimenti durati lunghe settimane presso Knights Bridge l'Ariete, sia pure sotto la protezione dell'artiglieria e dei carri tedeschi, si era battuta bene contro tutti gli assalti britannici, sebbene subisse sensibili perdite. Ora gli italiani non erano più in grado di rispondere alle enormi esigenze della situazione».

Dopo l'Ariete fu la volta della divisione di fanteria Sabratha (ricostituita dopo la Campagna di Libia del 1940-41) a essere investita dalla 9a australiana. Poi, furono assaliti i resti della Trieste e delle altre divisioni di fanteria. L'altura di Ruwesait era stata in buona parte occupata dagli italiani, ma a causa del cedimento delle truppe ormai allo stremo, fu perduta in poco tempo. Poiché Ruwsesait, al pari dell'altura di Alam Halfa, con le stesse caratteristiche, era una posizione di primaria importanza, la sua perdita fu grave. Come si è detto all'inizio, il terreno nel settore nord del fronte di El Alamein è piatto e uniforme, per cui rilievi del terreno appena percettibili diventarono di grande importanza tattica.

La seconda battaglia (31 agosto - 6 settembre 1942)

Nel mese di agosto accaddero importanti cambiamenti ai vertici dei due schieramenti, che avranno importanti riflessi sull’esito finale della battaglia di El Alamein.

A partire dal 12 agosto, il Comando Superiore italiano delle Forze Armate dell'Africa Settentrionale mutò la propria denominazione e si chiamò Comando Superiore Forze Armate della Libia, con giurisdizione militare in tutto il territorio della colonia. Nella stessa data, l'Armata italo-tedesca, agli ordini del Maresciallo Rommel, passò alle dirette dipendenze del Comando Supremo italiano e per i contatti con l'Armata venne creata una Delegazione, che prese il nome di Delease: acronimo di Delegazione Africa Settentrionale-Egitto. Il maresciallo Bastico, che era anche Governatore Generale della Libia, ricorda nelle sue memorie il seguente effetto nel campo dell’Asse. «L'unico risultato fu che Rommel assunse piena autonomia e fu libero di agire come meglio credeva. Da quel momento, gli organi italiani in Africa funzionarono come semplici uffici di collegamento con il Comando tedesco, mentre per i rapporti con il Comando supremo a Roma, Rommel si servì soltanto del Generale von Rintelen (addetto militare tedesco a Roma)».

Nel campo britannico si era decisa la sostituzione del comandante in capo. Il primo ministro. Winston Churchill, e il Capo di Stato Maggiore Generale Imperiale, Alan Brook, si fermarono al Cairo, all'andata e al ritorno, prima di dirigersi a Mosca per importanti colloqui con Stalin. In quegli incontri si era di fatto decisa la rimozione del generale Auchinleck dal comando del Medio Oriente. Per cui, inizialmente un altro veterano della guerra nel deserto, il generale Gott, avrebbe dovuto assumere il comando dell'Ottava Armata e il generale Alexander quello del Medio Oriente. Ma Gott morì durante un trasferimento in Egitto: l’aereo sul quale viaggiava fu abbattuto dai caccia dell’Asse. Al comando dell'Ottava Armata fu quindi designato il generale Bernard Law Montgomery: un ufficiale molto prudente, dotato di pochissima audacia. La sua tattica era monotematica. Consisteva nell’attaccare il nemico con forze 10 volte superiori: attese quasi tre mesi, prima di sferrare il colpo decisivo alle divisioni italo-tedesche, già inferiori da tempo nel numero e nei mezzi. Un personaggio molto vanesio nel suo modo d’essere: convocava spesso i giornalisti in conferenze stampa dove esaltava il proprio operato.

gen. Bernard Law Montgomery

La rimozione di Auchinleck fu ingiusta, perché era stato lui a salvare l'Egitto. L'avvicendamento avvenne, ufficialmente, il 15 agosto 1942, quando Auchinleck aveva non soltanto stabilizzato il fronte a El Alamein, ma definito i piani per fermare l'ultima offensiva approntata da Rommel.

Ma nel campo dell’Asse doveva accadere un colpo di scena ancora più clamoroso e decisivo per le sorti dello scontro. Il 22 agosto, infatti, Rommel chiese improvvisamente di essere sostituito per motivi di salute. La Volpe del Deserto era stanca, soffriva di difterite nasale, lamentava disturbi gastroenterici e aveva il volto piagato dal tremendo sole dell’Africa settentrionale.

La scelta per il sostituto cadde sul maresciallo Kesselring. Forse fu proprio questa scelta decisa da Berlino che indusse Rommel ad abbandonare i suoi propositi di lasciare il comando ed a spingerlo ad affrettare l'offensiva. Tra il comandante dell’Afrika Korps e il maresciallo non correva buon sangue, per via di vecchi rancori fra i due. Il 28 agosto la Volpe del deserto diramò l'ordine d'operazione, fissando come data d'inizio dell’offensiva il 30 agosto.

Alla vigilia della seconda battaglia di El Alamein, i due schieramenti erano così composti.

LE FORZE DELL’ASSE

67 battaglioni di fanteria (30 italiani), 536 cannoni (336 italiani), 515 carri armati (281 italiani) 119 autoblindo (72 italiane) e 777 aerei fra bombardieri, caccia e ricognitori.

LE FORZE INGLESI

66 battaglioni di fanteria (a organici completi, mentre non lo erano quelli italo-tedeschi), 576 cannoni, 450 carri armati, 150 autoblindo e 1.200 aerei di tutti i tipi.

L'ultima offensiva dell'Armata italo-tedesca ebbe inizio, come previsto, la sera del 30 agosto, con attacchi diversivi nel settore centro-settentrionale. Ai combattimenti presero parte la Divisione Italiana "Trento", la 164 a Divisione tedesca, reparti di paracadutisti della Divisione "Folgore" e della Brigata "Ramcke". Ma il grosso delle forze dell’Asse puntò ancora una volta nel settore meridionale. Nella zona confinante con la depressione di Quattara si lanciarono all’attacco l’Afrika Korps, il XX Corpo Motorizzato italiano, con le Divisioni corazzate "Ariete" e "Littorio" e la Divisione motorizzata "Trieste", che operavano sulla sinistra della 15 a e 21 a Panzer. Le Divisioni italiane, al pari di quelle germaniche, rimasero subito invischiate nei campi minati, minuziosamente preparati dagli inglesi con maggiore profondità del previsto, mentre la Raf eseguiva attacchi notturni micidiali e il fuoco di reazione delle artiglierie, delle armi automatiche e dei mortai era diretto con grande maestria dagli inglesi, che bloccarono l’offensiva italo-tedesca.

Alla fine di agosto del 1942, l'Afrika Korps era stato posto sotto il comando del generale Wlather Nehring. Il 31 agosto Nehring rimase seriamente ferito sul campo e il comando venne assunto dal generale von Vaerst: tuttavia, fu il generale Bayerlein ad avere nelle mani la direzione tattica delle operazioni. Questo ordinamento molto complesso e burocratico, creò non poche complicazioni per le operazioni delle truppe dell’Asse, impegnate nella cosidetta "corsa dei sei giorni". In questo arco temporale si giocò l'ultimo tentativo dell'Asse di sfondare in direzione di Alessandria e del Delta del Nilo. Occorre ricordare però due aspetti molto importanti. Il primo consiteva nel fatto che i tedeschi non sospettavano minimamente che il loro codice segreto di telecomunicazione era stato decrittato dai servizi segreti inglesi sin dal primo anno di guerra, tramite “Ultra”, la macchina creata appositamente per spiare i messaggi tra le unità e i comandi nazisti. Gli inglesi quindi erano a conoscenza dei movimenti delle truppe ad El Alamein. In pratica, i tedeschi si trovavano nella situazione del giocatore di poker, cui è stato posto uno specchio alle sue spalle: l’avversario, cioè il generale Montgomery, riusciva a vedere tutte le carte.

Inoltre alla fine di agosto era avvenuto un importante preliminare scambio di comunicazioni tra il capo di stato maggiore italiano Cavallero, Kesselring e Rommel, per quanto concerneva l'alimentazione dell'imminente battaglia. Per la riuscita dell’offensiva, Rommel aveva chiesta 6.000 tonnellate di carburante. Cavallero aveva allora comunicato alla Volpe del deserto: «Lei può cominciare la battaglia, il carburante è in viaggio». Ma gran parte del carburante finirà in mare, a causa del solito attacco degli aerei inglesi levatisi in volo da Malta che bombardarono e silurarono le petroliere italiane salpate dal porto di Napoli.

Il 30 agosto, quando fu buio, i reparti corazzati tedeschi investirono il settore meridionale del fronte, con l'obiettivo di superare di slancio la fascia minata, aggirare l'intero schieramento inglese e piombare sulla costa all'altezza di El Hamman, aggirando il grosso dell'Ottava Armata. La 15 a divisione panzer entrava in battaglia con 70 carri tipo Panzer III e IV e la 21^ panzer attaccava con altri 120 carri armati. Il numero dei Panzer a disposizione di Rommel era nettamente inferiore a quello col quale aveva combattuto la precedente battaglia di Ain el Gazala e di Tobruk. Ciò costituiva un primo grave handicap per l’offensiva dell’Asse.

Prima di mezzanotte, lo schieramento più avanzato della 15 a Panzer urtò contro la difesa britannica della cintura minata, contando di attaccare il punto più debole dello schieramento avversario. Invece i tedeschi trovavarono profondi campi minati e una difesa molto agguerrita. Il I battaglione del 115° reggimento granatieri corazzato, comandato dal Maggiore Busch, capitò in uno sbarramento di artiglieria e fanteria britannica, e si trovò in notevole difficoltà. Il successivo arrivo del II battaglione, guidato dal Capitano Weichsel, riuscì tuttavia a salvare la situazione: attaccò a piedi, superò lo sbarramento minato, costituì una testa di ponte e rese possibile la creazione di un passaggio per i carri della 15 a Panzer.

Il generale Nehring, comandante dell'Afrika Korps, seguì l’attacco della 21a Panzer a bordo della sua autoblindo, mentre i proiettili dell’artiglieri a inglese scoppiano tutt'intorno. Nehring riceve la prima triste notizia: il comandante della 21a, generale Georg von Bismarck, un valente ufficiale mentre tentava di attraversare la fascia minata fu ferito a morte dal fuoco nemico. Passata la mezzanotte del 31 agosto, le divisioni dell’Asse continuavano a combattere nei vasti campi minati. Dall'alto, le bombe e le armi di bordo degli aerei britannici martellavano le forze motorizzate italiane e tedesche. Gli inglesi usavano un nuovo metodo per illuminare il terreno, lanciando un materiale infiammabile contenente anche magnesio che si incendia soltanto quanto è a terra e che è difficile spegnere. Il campo di battaglia è conseguentemente illuminato a giorno. Ciò consentiva un grande vantaggio per i difensori, che riuscivano a dirigere efficacemente il tiro delle artiglierie verso le posizioni nemiche e a inviare con sicurezza gli aerei sugli obiettivi.

Dopo von Bismarck, la struttura di comando dell'Afrika Korps perse anche Nehring, che rimane ferito nel corso di un bombardamento aereo. E’ Bayerlein che quindi prende il comando delle operazioni. Poco prima dell'alba, la resistenza dei britannici nella fascia minata si affievoliva. In tal modo, le punte corazzate dell’Afrika Korps raggiungevano, nelle prime ore di luce del 31 agosto, un settore posto a 12-15 chilometri dalle posizioni di partenza, invece dei 50 chilometri previsti.

Il piano di Rommel, che era quello di penetrare profondamente verso est e di "ruotare" all'alba verso la costa, era praticamente fallito. «Riflettemmo se interrompere la battaglia - narra nelle sue memorie Bayerlein - perché gli inglesi sapevano ormai dove eravamo. Rommel parlò con me della situazione e giungemmo alla decisione di continuare l'attacco. Ma una cosa era evidente: la "grande soluzione", ossia il vasto aggiramento dell'Ottava Armata, non era più possibile, in quanto l'avversario aveva avuto il tempo sufficiente per preparare le sue contrazioni. L'avversario ci costringeva dunque alla "piccola soluzione": essa consisteva nel fatto che noi dovevamo girare verso nord assai prima di quanto progettato e, in tal modo, urtare direttamente contro il dorso dell'altura di Alam Halfa, con l'importante quota 132, che doveva essere conquistata mediante un attacco diretto».

A questa fase cruciale della battaglia di Alam Halfa è legato il mancato arrivo della benzina. I bombardieri e gli aerosiluranti inglesi decollati da Malta avevano affondato o gravemente danneggiato le petroliere Sanandrea, Pozarica, Picci Fassio e Abruzzi, tutte dotate di scorta insufficiente aerea e marina. Nonostante la scarsezza di carburante, i Panzer attaccarono la cresta di Alam Halfa, presidiata nel settore centro-orientale dalla 44 a Divisione di fanteria britannica e dalla 10 a divisione corazzata britannica nel settore. Nel frattempo, si levò una tempesta di sabbia, che impedì agli apparecchi della Raf di decollare. Approfittando di questa insperata circostanza, i carri tedeschi attaccarono immediatamente a sud della cresta, affrontati dai 92 carri Grant (inferiori come armamento ai Panzer tedeschi) della 22 a Brigata corazzata inglese, che doveva rallentare l’offensiva tedesca. Gli attaccanti dovevano essere bombardati dall'artiglieria e soprattutto dai numerosi pezzi controcarro da 57 mm.  Ma l’affondo tedesco non riuscì e, a sera, i carri della 15 a e 21 a ripiegarono verso sud.

Montgomery, in quelle ore, non sbilanciò il proprio schieramento, ma tolse soltanto una brigata sudafricana dalla posizione principale del fronte e la trasferì sul costone di Ruweisat, mentre un'altra brigata affluiva dal Delta per rinforzare il dispositivo difensivo britannico. Il 1° settembre, la 15 a divisione corazzata fu lanciata contro l'altura di Alam Halfa e, dopo una durissima lotta, giunse quasi fino alla fatale quota 132. la battaglia era nella fase risolutiva. Infatti se i carri tedeschi fossero riusciti a superare lo sbarramento inglese posto a quota 132, avrebbero potuto avanzare verso il mare. L'8° reggimento corazzato tedesco è già riuscito a penetrare nelle linee avversarie e, nel pomeriggio del 1° settembre, giunge con alcuni reparti avanzati a circa 8 chilometri dalla costa, dietro il fronte principale di El Alamein. Ma, a sinistra, il 5° reggimento corazzato è rimasto impigliato e non riesce a superare le posizioni difensive britanniche: intanto, durante la giornata la RAF colpisce duramente i carri e la fanteria motorizzata.

Nel solo Stato Maggiore dell’Afrika Korps morirono ben sette ufficiali. Il rifornimento di munizioni e carburante diventò estremamente difficile. La sera stessa, Rommel decise di sospendere l'offensiva e di indietreggiare in modo ordinato verso la base di partenza. Dopo tre giorni di combattimenti e poi la "corsa dei sei giorni" si concluse. Si è sempre sostenuto che quest’ultima offensiva fallì a causa della mancanza di carburante. Ma ciò è vero solo in parte. Il carburante era scarso, ma, anche durante il ripiegamento, nessun automezzo restò sul terreno immobilizzato per mancanza di benzina. Italiani e tedeschi erano riusciti a razionalizzare il poco carburante rimasto.

Invece risultò importante la profondità dei campi minati inglesi al momento dell'assalto iniziale. In secondo luogo, Montgomery si attenne al criterio di una rigida difesa del crinale di Alam Halfa. Il 7 settembre, gli ultimi spari si spensero nel settore meridionale del fronte, lasciando gli italo-tedeschi in possesso della posizione di Himeimat, coi suoi 217 metri di altezza. Ciò preoccupava molto i comandanti inglesi perché da quell’altura preziosa gli italiani e i tedeschi potevano osservare tutto quanto avveniva a sud di El Alamein.

Il 23 settembre, Rommel, stanco e provato dagli ultimi combattimenti, lasciò il comando dell'Armata, per un periodo di cure e di riposo in Germania. Lo sostituì il Generale Georg Stumme, che vantava una esperienza sul fronte russo.

Intanto gli inglesi avevano tentato tra il 13 e il 14 settembre un colpo di mano in grande stile contro Tobruk, con un attacco congiunto dall'entroterra, con i reparti del Long Range Desert Group, e dal mare, con i reparti dei Royal Marines, appoggiati da una squadra navale. L'attacco si risolse in uno disastro. I fanti, gli artiglieri e i marò del battaglione "San Marco", i carabinieri e le batterie di Marina reagirono energicamente, appoggiati dalla Regia Aeronautica italiana e dalla Luftwaffe. Gli inglesi persero oltre cinquecento uomini dei reparti speciali: furono affondati anche l'incrociatore contraerei Coventry, i cacciatorpediniere Sikh e Zulu e alcune motosiluranti. Pochi giorni dopo, come un sinistro presagio, cadde nel cielo di El Alamein l'asso dell'avizione tedesca, il giovane Capitano Joachim Marseille, l'"astro dell'Africa", con le sue 158 vittorie omologate.

L'Aeronautica italiana e la Luftwaffe, erano sempre duramente impegnate, non soltanto in Africa. In considerazione della crescente, rinnovata minaccia rappresentata da Malta, venne decisa una nuova offensiva aerea contro l'isola, che iniziò il 10 ottobre. Questa offensiva venne sospesa dopo pochi giorni, a causa delle severe perdite lamentate dai reparti aerei italo-tedeschi. Anche a Malta, l'iniziativa era ormai saldamente nelle mani degli inglesi, che l’avevano munita di contraeree e di una nutrita schiera di caccia Spitfire, modello II e III, e Hurricane che consentivano di rispondere alle offensive aeree dell’Asse. Tali apparecchi erano decisamente superiori alla “caccia” italiana, che, nonostante l’arrivo di nuovi aerei Macchi 202 e Reggiane 2001, presentava ancora aerei obsoleti. In alcuni reparti erano presenti addirittura i biplani Fiat Cr 42, mentre in altri dominavano gli inutili Fiat G50 (costruiti senza il tettuccio con il vetro antiproiettile), Macchi 200 e Reggiane 2000, tuti dotati di appena due mitragliatrici da 12,7 mm, contro le 4 mitragliatrici da 12,7 mm e i cannoncini da 20 mm degli Spitfire. Solo mitico bombardiere e aerosilurante Savoia Marchetti SM 79 “Sparviero” dava ottima prova contro i convogli inglesi nel mediterraneo e nei bombardamenti su Malta. Ma nel 1942 cominciava ad essere superato, a causa dei suoi tre motori Piaggio da 1250 Cv, che gli consentivano di raggiungere solo i 435 km/h, velocità inadeguata per sfuggire agi oltre 500 km/h dei caccia inglesi.

Spitfire inglese

Fiat G 50 italiano

Gli inglesi sperimentarono ad El Alamein una versione particolare anticarro del caccia Hurricane, dotato di due cannoni da 40 mm. Tale apparecchio fu soprannominato scherzosamente “apriscatole”, per la sua efficacia nel distruggere i carri armati italiani e tedeschi.

La terza e definitiva battaglia (23 ottobre - 4 novembre 1942)

A fine settembre erano giunti attraverso il Canale di Suez una serie di convogli navali, che complessivamente raggiungevano l’impressionante cifra di oltre 200mila tonnellate. Le navi sbarcarono sui moli dei porti egiziani carri armati, artiglierie, automezzi, montagne di munizioni e milioni di litri di carburante. Era questo l’effetto della legge “Affitti e prestiti”, varata nel corso del 1942 dal Parlamento degli Stati Uniti, su proposta del presidente Franklin Delano Roosvelt, per appoggiare gli alleati inglesi e sovietici nella lotta contro le potenze dell’Asse. Gli Usa erano entrati in guerra dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour il 7 dicembre 1941. Ai primi del 1942, la Germania nazista e l’Italia fascista avevano dichiarato guerra all’«arsenale delle democrazie», come Roosvelt amava definire il proprio Paese.

Nel deserto egiziano, proseguiva intanto l'addestramento degli equipaggi con i 300 carri armati Sherman forniti dagli americani e con i 100 semoventi da 105 millimetri, sempre forniti dagli Stati Uniti. Erano giunti sul fronte egiziano anche i veivoli della US Air Force e avrebbe partecipato con un buon numero di missioni alla prossima offensiva inglese.

La partenza di Rommel aggravò la situazione dello schieramento dell’Asse e il nuovo comandante Stumme non volle o non seppe farsi valere con gli Alti Comandi di Berlino e di Roma. Fatto sta che le truppe italo-tedesche alla vigilia dello scontro finale erano mal ridotte e Stumme non reclamò a viva forza i rinforzi necessari, com’era logico che facesse un comandante avveduto.

A ciò bisogna aggiungere l’irrigidimento della strenua resistenza sovietica nel fronte del Don. Per questo l'Alto Comando tedesco decise di non privarsi di reparti corazzati da inviare in Africa. Durante la licenza in Germania, furono mostrati a Rommel i nuovi carri pesanti Tiger (dotati di un micidiale cannone da 88 mm, ma molto lenti e vulnerabili a causa della spessa e pesante corazzatura), i lanciarazzi multipli Nebelwerfer e altri nuovi mezzi da battaglia, facendogli credere in un potenziamento dell’Afrika Korps, che da due anni combatteva in Africa settentrionale. Tuttavia, pochi carri Tiger fecero la loro comparsa nel teatro di guerra africano e soltanto nella fase finale della lotta per la Tunisia, quando ormai era troppo tardi per rovesciare le sorti del conflitto nel settore mediterraneo.

caccia italiano CR 32

Questo era lo schieramento dell'ACIT (Armata Corazzata Italo-Tedesca) e dell'Ottava Armata britannica, la sera del 23 ottobre. Alle 20,45 infatti scattò l’operazione Lightfoot (piede leggero) che segnerà la fine dell’Asse in Africa settentrionale.

L'ACIT, nel settore settentrionale, in prima linea, schierava il XXI Corpo d'Armata, composto dal 7° reggimento bersaglieri e dalle divisioni di fanteria Trento e Bologna. In considerazione dell'insufficiente armamento italiano, Rommel aveva disposto sul terreno reparti misti alternati, italiani e tedeschi, organizzati in gruppi o "zone" (in tedesco raum). Nei capisaldi, a nord, si alternavano infatti i battaglioni italiani, quelli tedeschi della 164a Divisione tedesca e due battaglioni della Brigata paracadutisti "Ramcke", tutti trincerati al riparto dei "giardini del diavolo", ampi rettangoli di terreno imbottiti di mine e trappole esplosive. Questa trappola infernale era stata preparata dai guastatori del colonnello Paolo Caccia Dominioni, uno dei più valorosi e geniali combattenti italiani ad El Alamein.

In seconda schiera, sempre nel settore settentrionale, erano disposte la 15a Panzer e la Divisione corazzata "Littorio". Il settore meridionale era invece presidiato dal X Corpo d'Armata italiano, con il 9° reggimento bersaglieri, le divisioni di fanteria Brescia e Pavia, la divisione paracadutisti Folgore e altri due battaglioni paracadutisti della brigata Ramcke. Alle spalle di queste unità, c'erano la 21a Panzer e la divisione corazzata Ariete, pronte a intervenire per difendere lo schieramento da un eventuale assalto di carri armati inglesi. Come riserve, nel terreno retrostante a nord del fronte, c’erano la 90a divisione leggera tedesca e la divisione motorizzata Trieste. In aggiunta a queste ultime, erano presenti anche alcune unità minori (gruppi tattici e reparti esploranti).

L'Ottava Armata inglese aveva invece, nel settore settentrionale, in prima linea, il XXX corpo d'Armata, con la 9a divisione australiana, la 51a divisione Highlanders, la 2a divisione neozelandese, la 1a divisione sudafricana e la 4a divisione indiana. A sud, era schierato il XIII Corpo d'Armata, con la 50a divisione britannica (più un gruppo di brigata greco e il II gruppo di brigata della "Francia Libera"), la 44a divisione britannica e, a sinistra di quest'ultima, il I gruppo di brigata della "Francia Libera", dipendente dalla 7a Divisione corazzata. In seconda schiera, alle spalle del XXX corpo, c'era il X corpo d'armata, con le divisioni corazzate 1a e 10a, mentre alle spalle del XIII corpo era disposto il grosso della 7a divisione corazzata. Alle dirette dipendenze del comando d'armata c'erano, inoltre, una brigata indiana dotata di attrezzature per l’apertura di varchi tra i campi minati, una brigata corazzata, due brigate di artiglieria contraerea e una brigata di fanteria indiana.

A El Alamein, quindi, la sera del 23 settembre si trovavano contrapposte 12 Divisioni italo-tedesche, 4 delle quali corazzate, e 10 Divisioni inglesi e del Commonwealth, di cui 3 corazzate. Le tre Divisioni corazzate inglesi ed i reparti autonomi di carri allineavano: 285 Sherman, 246 Grant, 421 Crusader, 167 Stuarf, 223 Valentine IV e 6 Matilda II. Inoltre c’erano anche 3 carri da fanteria Churchill, i primi esemplari inviati in Africa.

Su 497 carri dell'Asse, 239 erano carri medi e 20 carri leggeri italiani, assolutamente inidonei a reggere il confronto con i carri Sherman e Grant di costruzione americana e nemmeno da contrapporre ai Crusader, tutti armati di cannoni con un calibro da 50 mm a tiro rapido. Inefficaci risultavano anche i 30 carri leggeri Panzer II tedeschi, dotati di un armamento nettamente inferiore, mentre dei 170 Panzer III, avevano un qualche peso quelli armati con cannone da 50 "lungo" (50/60 mm). Sul piano statistico, gli unici carri validi erano i 38 Panzer IV tedeschi ultimo modello, alcuni dei quali armati con il 75 "lungo" (75/43). Erano validi anche i pochi semoventi italiani da 75/18, assegnati all'Ariete e alla Littorio, gli unici che potevano perforare al primo colpo le corazze degli Sherman e dei Crusader.

Ai numerosi controcarro inglesi da 57 mm gli italiani contrapponevano gli oramai superati 47/32 ed i tedeschi gli altrettanto inefficaci (contro i carri americani) 50/35. L’unico elemento dell’artiglieria dell’Asse veramente ottimo era il pezzo da 88/55 tedesco: era impiegato sia come contraerea che come anticarro e riusciva perfettamente in entrambi gli scopi. Eccellente anche il pezzo italiano da 90/53, però presente in poche unità. Schiacciante la superiorità quantitativa e qualitativa dell'artiglieria campale inglese, tanto più che il parco di artiglieria italiano era ancora basato su vecchi cannoni, alcuni risalenti anche alla Prima guerra mondiale, e che i complessi moderni erano pochissimi.

La superiorità della RAF era devastante, con i suoi 1.200 aerei (800 di prima linea) contrastati da 700 aerei italiani e tedeschi (150 caccia, 180 bombardieri a tutto e caccia-bombardieri e 400 velivoli di altro tipo).

Alle 20.45 (ora italiana) del 23 ottobre 1942, circa mille pezzi da campagna inglesi aprirono contemporaneamente il fuoco contro le posizioni italo-tedesche ad El Alamein. Un vero e proprio “ombrello” di fuoco, classico della strategia di Montgomery per sorprendere l’avversario. Lo ripeterà in diverse altre occasioni, anche in quell’inutile enorme spreco di proiettili contro la costa calabra nel settembre 1943 effettuato prima dello sbarco. Infatti i tedeschi avevano già ripiegato da giorni verso il nord della Calabria.

La sorte regalò a Montgomery un’altra possibilità, in quanto Stumme, nelle prime ore del 24 ottobre, recatosi in prima linea per rendersi conto della situazione, finì sotto il fuoco nemico e morì per colpo apoplettico, cadendo dalla sua autovettura, alla quale era rimasto aggrappato per uscire rapidamente dalla zona pericolosa. Dunque, con Rommel assente all'inizio dell'offensiva, con la morte di Stumme e la schiacciante superiorità dell'Ottava Armata e della RAF si poteva pensare ad una immediata rottura della prima linea italo-tedesca. Ma non accadde nulla di simile.

A questo punto, occorre fare un passo indietro con la “moviola” della storia. Nel pomeriggio del 24 ottobre, Rommel, ancora in convalescenza in Austria, era stato raggiunto da una telefonata di un suo aiutante, con la quale gli veniva comunicato l'inizio dell'offensiva inglese. Il maresciallo non esitò un attimo a salire su un aereo, messogli a disposizione. L’indomani era a Roma, ragguagliato sulla situazione del Generale von Rintelen. Rommel rimase esterrefatto quando apprese che l'Armata disponeva di pochissimo carburante e che non aveva ricevuto durante la sua assenza di circa un mese alcun significativo rinforzo. Da Roma, Rommel raggiunse Creta e di lì il fronte. Alle 23.25 del 25 ottobre, tutti i reparti impegnati a El Alamein ricevettero il seguente messaggio: «Ho ripreso il comando della PanzerarmeeRommel».

L'operazione Lightfoot studiata dallo Stato Maggiore di Montgomery prevedeva, nel settore settentrionale, che quattro Divisioni del XXX Corpo e le due Divisioni corazzate del X Corpo, sovrapposte alle prime, superati i campi minati, dilagassero celermente in campo aperto. Due corridoi dovevano essere aperti dalla fanteria, in direzione dei rilievi di Kidney Ridge e di Miteiriya, per consentire l’azione delle unità corazzate.
Nel settore meridionale, intanto, il XIII Corpo avrebbe impegnato le divisioni avversarie con un attacco diversivo, per ingannare gli italo-tedeschi sulla direttrice principale dell'offensiva. A sud, c'erano le divisioni italiane Brescia, Pavia e Folgore e un loro eventuale cedimento avrebbe consentito l'aggiramento della intera linea, appunto da sud. Come sempre c’era la convinzione nel campo inglese, di battere con relativa facilità i soldati italiani.

La resistenza e l’epopea della Folgore

Nella relazione sulla battaglia, scritta dal Tenente Colonnello paracadutista Alberto Bechi Luserna (comandante del 187° reggimento della Folgore, insignito della medaglia d'oro al valore) si legge in data 25 ottobre: «Con i rinforzi affluiti l'avversario si era ricostituito una massa d'urto, valutabile in cinque-sei battaglioni e in due brigate corazzate, e mirava con essa ad allargare la fessura dischiusasi nel settore centrale della Folgore, gravando verso meridione sopra il 186° presidiante le posizioni di Qaret el Himeimat. Lo scardinamento di questo pilastro difensivo avrebbe probabilmente consentito, secondo i calcoli dell'avversario, di iniziare il movimento aggirante destinato a far cadere per manovra l'intero fronte di El Alamein».

Se si deve accettare che lo sforzo principale dell'Ottava Armata avvenne nel settore settentrionale (dove alla fine, si verificò effettivamente lo sfondamento finale, in corrispondenza delle posizioni tenute dalla 164^ tedesca) le fonti inglesi tacciono o minimizzano le possibilità offerte da un eventuale sfondamento nel settore meridionale. Ma occorre ribadire un verità inoppugnabile a distanza di cinquant'anni. All'alba del 24 ottobre l'Ottava Armata, nonostante i suoi poderosi mezzi, si trovò in forte crisi a causa della resistenza a oltranza delle forze dell’Asse. Furono necessari ben dodici giorni di violenti combattimenti per sbriciolare, una ad una, le posizioni dell'Asse ed eliminare le Divisioni di fanteria e quelle corazzate e motorizzate italo-tedesche, che non volevano abbandonare le postazioni e non avevano alcuna intenzione di arrendersi.

Bisogna inoltre sottolineare che l'attacco diversivo inglese a sud del fronte, fu letteralmente fermato dalla violenta reazione della Folgore, composta da soli quattromila uomini. Tale resistenza degli eroici paracadutisti fu sostenuta dall'artiglieria della Pavia, in quanto l'armamento principale della Folgore era formato dai controcarro da 47/32. I “leoni” (come appellò i paracadutisti il premieri inglese Winston Churchill dopo la battaglia, a cui disse che «bisognava inchinarsi») non mollarono neppure quando due autoblindo inglesi si avvicinarono allo schieramento con una bandiera bianca, chiedendone la resa. Per tutta risposta, dalle posizioni della Folgore partirono dei colpi di mitragliatrice e di artiglieria contro i due mezzi blindati, costringendoli a una precipitosa ritirata. E risuonò più volte nel deserto l’urlo «Folgore!», mentre i paracadutisti attaccavano i carri inglesi lanciando bottiglie Molotov. Inoltre, i parà si nascondevano nelle buche lasciate dai proiettili dell’artiglieria: in questo modo applicavano le mine magnetiche sotto lo scafo dei mezzi corazzati.

Contro tutte le previsioni, nonostante la superiorità terrestre e aerea inglese, gli ultimi giorni di ottobre del 1942 trascorsero senza la sperata vittoria immediata dell'Ottava Armata. In compenso, la Raf picchiava duro e ciò ebbe un ruolo decisivo nel piegare la resistenza dei soldati dell’Asse. A questo riguardo, bisogna segnalare l’eroismo dimostrato dal 4° e 5° stormo caccia e dal 50° stormo d'assalto, dotato dei superati biplani Cr 42 della Regia Aeronautica, che riuscì a contenere la massacrante superiorità aerea della Raf. C’è da pensare però che se l’Asse avesse disposto di un minimo di forze fresche in più, gli inglesi non sarebbero riusciti a sfondare il fronte e avrebbero incassato un clamoroso fiasco e la tanto decantata superiorità sarebbe andata a farsi benedire.

Nella fornace della battaglia, si stavano progressivamente spegnendo le forze delle divisioni del X, XXI e XX corpo italiano e quelle dell’Afrika Korps, impegnate in una strenua resistenza. Nel settore meridionale gli inglesi, tra il 23 e il 29 ottobre, perdevano davanti alle posizioni della Folgore più di una settantina di carri e centinaia di uomini dei migliori reggimenti, mentre a nord, continuavano ad essere richiamate tutte le unità corazzate italo-tedesche. Rommel, che ventiquattro ore dopo aver riassunto il comando dell'Armata aveva guidato un disperato e immediato contrattacco, mettendo in campo meno di 150 carri, vedeva le sue formazioni assottigliarsi ora per ora. Ma Montgomery non era ancora riuscito a passare!

Intanto proseguiva il tentativo eroico della Marina italiana di far affluire i rifornimenti ai combattenti al fronte. Ma ancora una volta la presenza aerea di Malta colpiva ripetutamente. Giorno per giorno, finivano in fondo al Mediterraneo motonavi, piroscafi e petroliere italiane, con preziosi carichi di carri armati, armi, rifornimenti e carburante. Il 23 ottobre, affondò l'Amsterdam; il 25, il Tergestea e la petroliera Proserpina; il 29, la petroliera Luisiano; il 1° e 2 novembre, il Tripolino, l'Ostia e lo Zara. C’è da dire che resta un mistero la mancanza di scorta adeguata ai convogli: probabilmente la Marina e la Regia Aeronautica soffrivano già alla fine del 1942 della mancanza di nafta e carburante per far salpare cacciatorpediniere e aerei da caccia.

Intanto Montgomery, stava preparando l'"operazione Supercharge" (sovralimentazione). Era in pratica l’attacco decisivo per lo sfondamento della linea di El Alamein, con 400 carri armati pesanti, appoggiati da 15 reggimenti di artiglieria e tutta l'aviazione disponibile. Nell’ambito di quest’ultimo piano, a Tel el Aqqaqir, si combatté una delle ultime battaglie di carri e Rommel, dando fondo a tutte le sue indiscusse qualità di comandante, fece, ancora una volta, segnare il passo ai carri assegnati da Montgomery all'"operazione Supercharge". Oramai, per salvare i resti dell'armata, si imponeva la ritirata all'altezza del meridiano di Fuka, verso la Libia italiana. Gli ordini furono diramati ed erano in corso di esecuzione, quando giunse a Rommel l’ordine dal comando supremo di resistere sul posto. Era una chiara interferenza politica, la prima nella guerra in Nord Africa, uno “sgambetto” alla Volpe del Deserto che costerà la distruzione dello schieramento dell’Asse. I reparti sospesero il ripiegamento ma si generò molta confusione. Alla fine, Rommel si sottrasse agli ordini superiori e ciò avvenne il 4 novembre. Lo stesso giorno, si compì il destino della divisione corazzata Ariete, che rappresentava l'ultima riserva dell'Armata. E’ rimasto famoso l'ultimo messaggio radio del comndante della divisione Ariete. «Carri armati nemici fatta irruzione a sud dell'Ariete; con ciò Ariete accerchiata. Trovasi circa 5 chilometri nord-est Bir el-Abd. Carri Ariete combattono». I carri italiani si sacrificarono fino all'ultimo. Nel suo libro di memorie, Caccia Dominioni racconta di un carro italiano che si lancia in fiamme contro i mezzi inglesi, colpendone uno di essi in pieno. I componenti dell’equipaggio erano tutti morti, ma il carrista conducente prima di spirare aveva fermato con un filo l’acceleratore del mezzo cingolato, lanciandolo così verso i nemici.

L'Armata italo-tedesca non esisteva più. I resti dell’Afrika Korps e un fiume di automezzi ripiegavano lungo la litoranea, verso occidente, «col sole alle spalle e il viso rivolto alla notte», per raggiungere la via Balbia dopo il confine libico-egiziano.

L'Ottava Armata tentò di incalzare le poche unità mobili tedesche e italiane che erano riuscite a uscire dalla fornace. Ma fortunatamente la forte pioggia caduta il 7 novembre, trasformando il deserto in un pantano, bloccò i movimenti di Montgomery, già molto incerti nonostante la vittoria conseguita.

Nel settore meridionale, si era compiuto il destino anche del X Corpo d'Armata italiano, con l'annientamento delle divisioni Brescia, Pavia e Folgore. La divisione paracadutisti e quelle di fanteria contavano i morti, compresi i fratelli Ruspoli, Marescotti e Costantino, medaglie d'oro sul campo. L’epopea della resistenza della Folgore resta ancora oggi viva.

cap. Ruspoli, Folgore

Quando vincitori e vinti contarono le rispettive perdite, si accertò che l'Armata italo-tedesca lamentava 25.000 uomini, tra morti, feriti e dispersi, oltre a 30.000 prigionieri: tra quest ultimi anche 10.724 tedeschi, compreso il comandante dell'Afrika Korps, Generale von Thoma. Gli inglesi, lamentavano a loro volta l’enorme e inattesa perdita di 13.560 uomini, tra morti, dispersi e feriti e 600 carri armati distrutti oppure messi fuori combattimento. Un prezzo troppo alto per l'Ottava Armata, che avrebbe dovuto eliminare l'avversario con facilità, in considerazione della enorme sproporzione delle forze in campo.

I tre cimiteri costruiti presso il teatro El Alamein sono la muta testimonianza della durezza dello scontro e della resistenza delle forse dell’Asse. Un prato verde all'inglese, custodisce i resti mortali dei combattenti del Commonwealth. Un castello svevo è stato eretto in memoria dei combattenti tedeschi. In un bianco Sacrario sono raccolti i resti dei combattenti italiani. Poco distante, c'è la torre di Quota 33, costruita a proprie spese dal conte Caccia Dominioni, per anni impegnato nella pietosa ricerca delle povere ossa di quanti, sotto tutte le bandiere, si affrontarono in armi, sessant'anni fa, nel deserto di El Alamein.

Marco Liguori

Tratto da www.storiainrete.com

Questo è il testo della lettera inviata dal conte Paolo Caccia Dominioni al visconte di El Alamein sir Bernard Law Montgomery e pubblicata nel suo libro di memorie "Alamein 1933-1962".

Paolo Caccia Dominioni comandante del 31° Battaglione guastatori del Genio nelle battaglie di El Alamein, Medaglia d'Oro

Lettera aperta a Montgomery, da "Alamein 1933-1962" di Paolo Caccia Dominioni

Mio Lord,

quando Ella pubblicò le Sue memorie Le scrissi che avrebbe fatto meglio a tacere, perché le rodomontate possono anche piacere nel caporale che poi le deve giustificare a esclusivo rischio della propria pelle, non in un capo arrivato ai massimi onori e tuttavia compiaciuto di mescolare il forsennato orgoglio a un livore da portinaia parigina. Tutto ciò manca di stile, non è da Lord.
[…]
Le scrivo proprio da Alamein, mio Lord, dove Ella fece indubbiamente una importante esperienza nei nostri riguardi, vorrei ragionare un po’ di queste cose. Chiedo venia se parlo di me, modesto capo di un buon battaglione; ma poi ebbi il privilegio di tornare qui e vi ho trascorso complessivamente, tra il 1948 e oggi, circa dieci anni, assieme a Renato Chiodini, mio soldato di allora. Gli inglesi addetti al ricupero delle Salme d’ogni nazione, anziché compiere l’opera iniziata nel 1943, l’avevano considerata esaurita soltanto quattro anni dopo. La riprese il governo italiano, e così molte altre migliaia di caduti italiani, tedeschi e alleati furono ritrovate a cura di noi due. Questo lungo lavoro ci ha fatto capire bene la battaglia, molto meglio delle documentazioni segrete, perché abbiamo estratto dalla sabbia i plotoni, le compagnie e i reggimenti. Non ci è mancato il tempo di imparare la esatta verità.
[…]
Qualche cosa abbiamo letto, anche sopra la guerra. Il generale Freddy De Guingand, Suo capo di stato maggiore, mentì quando scrisse che l’attacco britannico ad Alamein fu risolutivo verso il mare e dimostrativo a sud. È l’affermazione ufficiale, ribadita anche nei documenti a firma di Lord Alexander e Sua. Essa mi ha fatto, ogni volta, fremere di sdegno perché ambedue gli attacchi furono risolutivi.
A nord furono travolti, la notte stessa sul 24 ottobre 1942, due battaglioni tedeschi e tre italiani, ma una resistenza furiosa, a tergo, per otto giorni impedì a Lei di avanzare nonostante la documentata proporzione di uno a sei in Suo favore. Al centro, mio Lord, fu piccola giostra, ma quando quel settore ripiegò, la Bologna e l’Ariete Le dettero molto lavoro, come gliel’avevano dato, a nord, la Trento, la Trieste e la Littorio. A sud il Suo generale Horrocks, comandante il XIII corpo d’armata, avrebbe dunque avuto da Lei l’ordine di fare un’azione dimostrativa. Un ordine che vorrei proprio vedere con questi occhi miei. Laggiù non c’era bisogno che Ella cercasse la sutura tra tedeschi e italiani, in modo di attaccare solo i secondi, cioè quelli che non avevano voglia di combattere. Pensi che fortuna, mio Lord: niente tedeschi, tutti italiani, proprio come voleva Lei. La Folgore, con altri reparti minori, tra cui il mio. Nel Suo volume Da Alamein al fiume Sangro, Ella ebbe la impudenza di affermare che Horrocks trovò un ostacolo impensato, i campi minati: e toglie implicitamente qualsiasi merito alla difesa fatta dall’uomo; vuol ignorare che quei campi erano stati creati anni prima dagli stessi inglesi, che vi esistevano strisce di sicurezza non minate e segrete, a noi ignote, che permisero ai Suoi carri di piombarci addosso in un baleno, accompagnati da fanterie poderose. Eppure l’enorme valanga, per quattro giorni e quattro notti, fu ributtata alla baionetta, con le pietre, le bombe a mano e le bottiglie incendiarie fabbricate in famiglia. La Folgore si ridusse a un terzo, ma la linea non cedette neppure dove era ridotta a un velo. Nel breve tratto di tre battaglioni attaccati, Ella lasciò in quei pochi giorni seicento morti accertati, senza contare quelli che furono ricuperati subito e i feriti gravi che spirarono poi in retrovia. E questa è strage da attacco dimostrativo? Come può osare affermarlo? Fu poi Lei a dichiararlo tale, dopo che Le era finalmente apparsa una verità solare: mai sarebbe riuscito a sloggiarci dalle nostre posizioni (che abbandonammo poi senza combattere, d’ordine di Rommel, ma questa è faccenda che non riguarda Lei), e preferì spedire il Suo Horrocks a nord, per completare lo sfondamento già in atto. La sua malafede, mio Lord, è flagrante. Ella da noi le prese di santa ragione. Io che scrivo e i miei compagni fummo e restiamo Suoi vincitori.

PAOLO CACCIA DOMINIONI

Tratto da www.storiainrete.com

Bibliografia su Internet

  • http://www.folgore.com – sito ufficiale della divisione paracadutisti Folgore. E’ possibile trovare materiale sull’epopea della divisione a El Alamein e la sua attività attuale.

  • http://www.cronologia.it/battaglie/batta20.htm – sito riportante alcune testimonianze della battaglia, comprese anche le memorie del maresciallo Rommel.

  • Inoltre, attraverso il motore di ricerca http://www.google.it/ è possibile rintracciare attraverso la parola chiave «El Alamein» una serie di siti in lingua inglese. Il motore offre anche la loro traduzione in italiano.

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2004: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato