dalla prefazione di Rita Melillo
Debbo essere sincera! Quando decisi di partecipare a questo progetto e
di imbarcarmi in questa avventura non ne ero del tutto convinta.
Tuttavia, ero spinta dalla sana curiosità intellettuale a percorrere una
via per me insolita. Non mi riferisco, naturalmente, alla filosofia -
bene o male - da me frequentata da vari anni, ormai; ma non avevo mai
pensato di proporla ad un manager, che ritenevo impegnato nel risolvere
i numerosi problemi che si possono verificare sul posto di lavoro.
La filosofia è contemplazione, mentre l’arte del dirigere è soluzione:
ero convinta di tale dicotomia. L’incontro con l’autore della parte più
specificamente operativa e tecnica dell’opera mi ha portato a riflettere
sul significato profondo della filosofia da una parte, e del management
dall’altra, dandomi la possibilità di rendermi personalmente conto di
quanto esse siano in effetti vicine. Potrei dire che sono il braccio e
la mente e, di conseguenza, non possono fare a meno l’una dell’altra.
Ma come è mai possibile questo abbinamento strano, si dirà? Da secoli si
ritiene che la filosofia non sia capace di risolvere i problemi della
vita quotidiana, che non è compito suo: dalla sua immacolata torre
d’avorio essa spazia su infiniti orizzonti, ma senza sporcarsi della
polvere del guerriero, al quale non è concesso di teorizzare sulla
guerra, bensì di lottare.
Dopo dieci anni di studio sull’argomento debbo ammettere che ho dovuto
mutar parere: il management mi appare, ora, come la naturale conseguenza
della filosofia. Il pensiero deve pur tramutarsi in azione se vuole
incidere sulla realtà che lo circonda: la filosofia è la nostra capacità
di riflettere sulla realtà per poter poi agire avvedutamente. Con ciò
non voglio dire che essa non abbia un suo vocabolario specifico,
questioni particolari da affrontare, un linguaggio a volte ermetico da
iniziati, ed è naturale che sia così, perché nel mondo della
specializzazione nel quale viviamo essa non può fare a meno di avere una
sua ben precisa identità. D’altra parte, la filosofia deve elevarsi al
di sopra della realtà per poter, distaccandosene nell’ozio contemplativo
(si ricordi che l’otium non significa affatto inoperosità), giudicarla
ed interpretarla ai fini dell’azione futura.
Con ciò non è mia intenzione rifarmi al concetto latino della storia
come magistra vitae - questa è una pura illusione che sarebbe molto
meglio abbandonare -, perché l’essere umano è irripetibile, e quindi
sempre di fronte al nuovo. Il passato non ci insegna nulla, anche se non
possiamo saltare al di là di esso: conoscere la nostra storia è
indispensabile per comprendere la realtà. Ma non è mia intenzione
addentrarmi adesso in una difficile disquisizione filosofica, che
potrebbe sortire l’effetto di spaventare il lettore ed indurlo a
ritenere d’aver fatto un pessimo acquisto.
Scopo prioritario di questo mio contributo al presente volume è di
mostrare che la filosofia deve scendere dagli scaffali delle biblioteche
e uscire all’esterno per diffondere il senso critico, la capacità di
distinguere tra vero e falso, tra giusto ed ingiusto, tra bello e
brutto, tra male e bene: questo è filosofia. È fondamentale, per la
stessa sopravvivenza dell’essere umano, che si riesca a capire che essa
è l’unica possibilità che abbiamo per renderci conto di come stiano le
cose e ricorrere ai ripari, finché siamo ancora in tempo. È proprio un
pensare errato o superficiale che ci ha portato sull’orlo dell’abisso, è
dunque esattamente la separazione tra pensiero ed azione, tra filosofia
e management, tra l’uomo intellettuale e l’uomo operativo - come se
nell’uomo si potessero scindere le sue varie manifestazioni d’attività,
invece di considerarlo come un tutto unico -, che ha causato la nostra
involuzione ed il nostro smarrimento.
Quindi, se siamo capaci di tornare alla phrónesis greca, nel significato
profondo di saggezza del vivere, allora il gioco è fatto, le nebbie che
offuscano la nostra mente si dipaneranno e vi potrà essere la speranza
della salvezza. Dopo lungo ed attento studio mi pare di poter affermare
che i maggiori pensatori ed i migliori managers concordino nel non porre
barriere di sorta tra i loro mondi, perché sono convinti che abbiamo
bisogno di un pensiero che sappia essere incisivo nella realtà concreta,
o di un’operatività illuminata: a me pare che queste espressioni siano
il retaggio di un retroterra culturale differente, ma che nella sostanza
sostengano la medesima cosa: la necessità che pensiero ed azione
lavorino in équipe.
Come annotazione ultima voglio solo chiarire che per dare conferma della
mia tesi - cioè che filosofia e management non sono affatto estranee
l’una all’altra - ho pensato di proporre al manager di oggi questa sorta
di antologia commentata di alcuni testi filosofici antichi e recenti: in
primo luogo si può così rendere conto che le due discipline non sono
affatto distanti, bensì nate ad un parto; inoltre, che più che mai oggi
abbiamo bisogno di riflettere su noi stessi e sulla realtà che ci
circonda. Certamente, non potevo non proporre alla sua attenzione i
brani che a me sono sembrati più interessanti, ma vi sono tanti altri
autori che potrebbero arricchire il quadro: in questi casi è fortemente
limitante il gusto personale e lo spazio che si ha a disposizione. La
mia viva speranza, oltre quella che la responsabilità diventi il
principio operativo per il futuro, è che una volta dato il via a tale
gioco ognuno possa poi dare ampio sfogo alla sua fantasia per trovare i
legami più efficaci e stimolanti, purché finalmente si usi la nostra
testa in modo creativo.
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In quarta di copertina: Albero della Scienza dall’Ars Magna del filosofo
e teologo catalano Raimondo Lullo (Ramón Llull, 1235-1315) |