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Dirigere non è solo essere a capo!

Rita Melillo e Benito Scopa

Con presentazione-intervista del Presidente Nicola Mancino

© 1996 by Pro Press Editrice - Associazione Culturale, 1996 - Monteforte Irpino

apri il file del libro in formato pdf (2,5 M)

 

dalla prefazione di Rita Melillo

Debbo essere sincera! Quando decisi di partecipare a questo progetto e di imbarcarmi in questa avventura non ne ero del tutto convinta. Tuttavia, ero spinta dalla sana curiosità intellettuale a percorrere una via per me insolita. Non mi riferisco, naturalmente, alla filosofia - bene o male - da me frequentata da vari anni, ormai; ma non avevo mai pensato di proporla ad un manager, che ritenevo impegnato nel risolvere i numerosi problemi che si possono verificare sul posto di lavoro.

La filosofia è contemplazione, mentre l’arte del dirigere è soluzione: ero convinta di tale dicotomia. L’incontro con l’autore della parte più specificamente operativa e tecnica dell’opera mi ha portato a riflettere sul significato profondo della filosofia da una parte, e del management dall’altra, dandomi la possibilità di rendermi personalmente conto di quanto esse siano in effetti vicine. Potrei dire che sono il braccio e la mente e, di conseguenza, non possono fare a meno l’una dell’altra.

Ma come è mai possibile questo abbinamento strano, si dirà? Da secoli si ritiene che la filosofia non sia capace di risolvere i problemi della vita quotidiana, che non è compito suo: dalla sua immacolata torre d’avorio essa spazia su infiniti orizzonti, ma senza sporcarsi della polvere del guerriero, al quale non è concesso di teorizzare sulla guerra, bensì di lottare.

Dopo dieci anni di studio sull’argomento debbo ammettere che ho dovuto mutar parere: il management mi appare, ora, come la naturale conseguenza della filosofia. Il pensiero deve pur tramutarsi in azione se vuole incidere sulla realtà che lo circonda: la filosofia è la nostra capacità di riflettere sulla realtà per poter poi agire avvedutamente. Con ciò non voglio dire che essa non abbia un suo vocabolario specifico, questioni particolari da affrontare, un linguaggio a volte ermetico da iniziati, ed è naturale che sia così, perché nel mondo della specializzazione nel quale viviamo essa non può fare a meno di avere una sua ben precisa identità. D’altra parte, la filosofia deve elevarsi al di sopra della realtà per poter, distaccandosene nell’ozio contemplativo (si ricordi che l’otium non significa affatto inoperosità), giudicarla ed interpretarla ai fini dell’azione futura.

Con ciò non è mia intenzione rifarmi al concetto latino della storia come magistra vitae - questa è una pura illusione che sarebbe molto meglio abbandonare -, perché l’essere umano è irripetibile, e quindi sempre di fronte al nuovo. Il passato non ci insegna nulla, anche se non possiamo saltare al di là di esso: conoscere la nostra storia è indispensabile per comprendere la realtà. Ma non è mia intenzione addentrarmi adesso in una difficile disquisizione filosofica, che potrebbe sortire l’effetto di spaventare il lettore ed indurlo a ritenere d’aver fatto un pessimo acquisto.

Scopo prioritario di questo mio contributo al presente volume è di mostrare che la filosofia deve scendere dagli scaffali delle biblioteche e uscire all’esterno per diffondere il senso critico, la capacità di distinguere tra vero e falso, tra giusto ed ingiusto, tra bello e brutto, tra male e bene: questo è filosofia. È fondamentale, per la stessa sopravvivenza dell’essere umano, che si riesca a capire che essa è l’unica possibilità che abbiamo per renderci conto di come stiano le cose e ricorrere ai ripari, finché siamo ancora in tempo. È proprio un pensare errato o superficiale che ci ha portato sull’orlo dell’abisso, è dunque esattamente la separazione tra pensiero ed azione, tra filosofia e management, tra l’uomo intellettuale e l’uomo operativo - come se nell’uomo si potessero scindere le sue varie manifestazioni d’attività, invece di considerarlo come un tutto unico -, che ha causato la nostra involuzione ed il nostro smarrimento.

Quindi, se siamo capaci di tornare alla phrónesis greca, nel significato profondo di saggezza del vivere, allora il gioco è fatto, le nebbie che offuscano la nostra mente si dipaneranno e vi potrà essere la speranza della salvezza. Dopo lungo ed attento studio mi pare di poter affermare che i maggiori pensatori ed i migliori managers concordino nel non porre barriere di sorta tra i loro mondi, perché sono convinti che abbiamo bisogno di un pensiero che sappia essere incisivo nella realtà concreta, o di un’operatività illuminata: a me pare che queste espressioni siano il retaggio di un retroterra culturale differente, ma che nella sostanza sostengano la medesima cosa: la necessità che pensiero ed azione lavorino in équipe.

Come annotazione ultima voglio solo chiarire che per dare conferma della mia tesi - cioè che filosofia e management non sono affatto estranee l’una all’altra - ho pensato di proporre al manager di oggi questa sorta di antologia commentata di alcuni testi filosofici antichi e recenti: in primo luogo si può così rendere conto che le due discipline non sono affatto distanti, bensì nate ad un parto; inoltre, che più che mai oggi abbiamo bisogno di riflettere su noi stessi e sulla realtà che ci circonda. Certamente, non potevo non proporre alla sua attenzione i brani che a me sono sembrati più interessanti, ma vi sono tanti altri autori che potrebbero arricchire il quadro: in questi casi è fortemente limitante il gusto personale e lo spazio che si ha a disposizione. La mia viva speranza, oltre quella che la responsabilità diventi il principio operativo per il futuro, è che una volta dato il via a tale gioco ognuno possa poi dare ampio sfogo alla sua fantasia per trovare i legami più efficaci e stimolanti, purché finalmente si usi la nostra testa in modo creativo.

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In quarta di copertina: Albero della Scienza dall’Ars Magna del filosofo e teologo catalano Raimondo Lullo (Ramón Llull, 1235-1315)

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