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I vinti del Risorgimento

Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli  

Gigi Di Fiore

UTET De Agostini

 

Quasi tremila morti, migliaia di dispersi e deportati: fu questo il Risorgimento per i vinti nel Mezzogiorno d’Italia.

Dallo sbarco di Garibaldi fino alla capitolazione dell’esercito delle Due Sicilie a Gaeta passarono appena nove mesi. Tanto bastò a sfaldare un regno, che la dinastia dei Borbone aveva guidato per 127 anni.

Su quel tracollo solo ora emerge, finalmente nella sua interezza, uno spaccato da conquista militare: diplomazia, forza delle armi e politica riuscirono a creare le condizioni per un’annessione al Piemonte, che violava le norme del diritto internazionale, realizzata con i fucili senza il consenso delle popolazioni. In poco tempo le regioni meridionali, con 9 milioni di abitanti, furono «italianizzate»: azzerati monete, codici penali e civili, burocrazie.

Tra il 1860 e il 1861, come mette in luce l’autore con sapienza narrativa e una documentazione inedita e ricca di particolari, gli sconfitti, protagonisti di questa dettagliata ricostruzione storica, furono soprattutto migliaia di pastori, carbonari e contadini del Matese, delle Puglie, delle campagne salernitane, della Sicilia, dei Tre Abruzzi, del contado del Molise, della Calabria, di Napoli. Un esercito di oltre 50 mila uomini: meridionali, a difendere quella che allora era la loro Patria. Su quei mesi, sui militari, sulla generazione che realizzò in concreto il Risorgimento, sia nella vittoria sia nella sconfitta, l’Archivio Borbone è una miniera ancora poco esplorata.

E da quelle carte, come da molte altre fonti esaminate negli anni da Di Fiore (memorie autobiografiche di ufficiali borbonici, piemontesi e garibaldini, la collezione della «Gazzetta di Gaeta», documenti in parte trascurati negli archivi di mezza Italia) emergono anche piccoli drammi personali, storie di eroismi, opportunismi e miserie, comuni a tutti i trapassi di epoche e di poteri, che arricchiscono questo affresco sugli ultimi giorni dell’esercito borbonico e del Regno delle Due Sicilie.

Gigi Di Fiore Già redattore al «Giornale» di Montanelli, è oggi inviato al «Mattino» (Premio Saint Vincent per il giornalismo nel 2001; tre volte Premio speciale cronista) e storico. Tra le sue pubblicazioni: Il Palazzo dei misteri (1992); 1861 Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato (1998).


7 aprile 2005

Presentazione dell'opera presso al Nunziatella

Una prima ristampa ad appena due mesi dall'uscita nelle librerie, un ulteriore prossimo esaurimento delle copie in commercio: "I vinti del Risorgimento" del giornalista-storico napoletano Gigi Di Fiore è nel 2004 la pubblicazione più venduta della collana Utetlibreria. Una storia del Risorgimento lontana dalle agiografie, dai "falsi miti" costruiti a tavolino, dal passato raccontato usando categorie etiche e non il rigoroso esame dei documenti. Cosa fu realmente la conquista delle regioni meridionali (allora Regno autonomo delle Due Sicilie) dal punto di vista militare, ma anche economico e sociale? Quanto furono determinanti Inghilterra e Francia, le potenze straniere dell'epoca? Chi erano e cosa pensavano quei 50 mila uomini che decisero di combattere per sei mesi a difesa di quella che consideravano la loro Patria? Sono alcune curiosità cui cerca di rispondere il libro, con stile scorrevole e "raccontato". Senza polemiche, nella consapevolezza che proprio dalle diversità, dalla comprensione del cinismo con cui fu "costruita" l'Italia unita, può trarre forza un autentico spirito unitario nazionale. Il rispetto per quegli italiani, l'omaggio alle loro scelte può smussare le divisioni tra nord e sud, non alimentarle. Il corredo al testo di ben 80 pagine di note fornisce la misura del rigore scientifico e documentale su cui si è basata la ricerca dell'autore, protrattasi per oltre due anni: l'Archivio Borbone a Napoli; la sezione militare dell'Archivio di Stato di Napoli; l'Archivio di Stato di Torino; l'Ufficio storico dell'Esercito; archivi privati e memorie familiari sono le fonti principali cui ha attinto Di Fiore. Riuscendo a scoprire documenti inediti e storie individuali sconosciute. Ma il successo dell'opera nasce da lontano: dall'interesse che i destini individuali dei vinti riscuotono; dalla curiosità di sapere come nove milioni di meridionali furono fatti "italiani"; dal rendersi conto che solo l'un per cento degli italiani di allora fu artefice attivo del Risorgimento, decidendo i destini di 20 milioni di persone. Per giustificare una conquista dall'alto, si bollarono i Borbone ed il Mezzogiorno con feroci pamphlet ed etichette negative. Anche a posteriori. Eppure, solo la conoscenza delle vicende dei meridionali che difesero quello che allora era il loro Regno può far comprendere le diversità degli italiani in uno spirito unitario. E proprio nel racconto di una storia non convenzionale, con verità non apodittiche, ma documentate, nella smitizzazione di bugie e mitologie che hanno alimentato per decenni il Risorgimento risiede il successo del libro. Non un'opera revisionista, ma di verità, che sposta il punro di osservazione dai vincitori ai vinti. Decine di recensioni nazionali, presenze su siti Internet, interesse continuo di facoltà universitarie ed associazioni culturali hanno, in pochi mesi, accompagnato il libro. E sarebbe auspicabile che anche nelle scuole, dove per decenni è stata condensata in poche righe la storia dei sei mesi (settembre 1860-marzo1861) fondamentali nel Mezzogiorno d'Italia, con bugie e  verità parziali, si comincino ad introdurre progetti di studio anche su quegli italiani che, del Risorgimento, per scelta e convinzione, furono i vinti. Soprattutto nel sud d'Italia.

Qualche curiosità…

Lo sapevate che i soldati svizzeri hanno giocato un ruolo chiave nelle vicende del Regno delle Due Sicilie? Gigi Di Fiore nel suo libro evidenzia, sulla base di numerosi documenti inediti, un legame molto stretto tra la Svizzera ed il Regno guidato dai Borbone di Napoli: imprenditori manifatturieri (Egg, Meyer, Hassler), famiglie prestigiose (Meuricoffre) , artisti (Kauffmann) si trasferirono nelle regioni italiane meridionali per le loro attività. I quattro reggimenti svizzeri che militarono a Napoli ebbero un’importanza particolare nell’esercito borbonico. Un intero paragrafo (il terzo del primo capitolo) intitolato “La misteriosa ribellione degli svizzeri”, sottolinea una vicenda oscura del Regno legata proprio a questi militari, in gran parte delle famiglie nobili della Svizzera tedesca, mentre in diverse altre pagine si raccontano le storie di alcuni ufficiali che morirono in battaglia per i Borbone a difesa del Regno tra il 1860 ed il 1861: Aloisio Migy, Errico Fevot, Pietro Grosselique, Emilio Von Mechel.

Nel corso della ricerca, durata un paio d’anni, l’autore ha esaminato centinaia di documenti all’Archivio di Stato di Napoli, sezione militare, in cui sono contenuti decine e decine di nomi di soldati svizzeri, anche di illustri famiglie. Una vera miniera, purtroppo non sempre in buone condizioni di conservazione, per un eventuale storico svizzero, che voglia approfondire le vicende di quei militari che, con convenzioni siglate dalla Confederazione elvetica ed i sovrani Borbone, combatterono nelle Due Sicilie, si trasferirono lì, alcuni sposarono donne napoletane. A Napoli, si introdussero usanze (soprattutto della Svizzera tedesca), si aprirono luoghi di culto protestanti. Esistono, al museo Penthes di Ginevra, cimeli e divise appartenuti ad ufficiali elvetici che combatterono nelle Due Sicilie ancora ben conservati, a  testimoniare un momento della storia della Svizzera ancora poco approfondito. Solo attraverso quei cimeli è stato possibile ricostruire un’iconografia documentata sulle divise dell’esercito borbonico.


Numerosi incontri si sono già svolti a Napoli, a Roma, al Parco della Grancia vicino a  Potenza, a Pontelandolfo, a Salerno, a Rionero in Vulture: un grande successo di pubblico ed ottime commenti sulla stampa, una rinnovata attenzione ad un periodo storico troppo poco discusso negli ultimi anni.


Gigi Di Fiore, inviato del “Mattino” (premio Saint Vincent per il giornalismo nel 2000) e storico. Tra le sue pubblicazioni: 1861. Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato (2000); Il Palazzo dei misteri (1992); Potere camorrista. Quattro secoli di malanapoli (1993).


La recensione della De Agostini

Un libro sulla ricostruzione dell’annessione del Regno delle due Sicilie al resto dell’Italia, con tutti i problemi e le difficoltà militari, politiche e diplomatiche che comportò, con una particolare attenzione per gli ufficiali e gli uomini che si schierarono con i loro soldati per i Borbone di Napoli contro i garibaldini e l’esercito piemontese.

Un saggio originale, polemico e ricco di documenti e storie inedite, come quella sulla ribellione dei soldati svizzeri a Napoli nel 1859, o sull’eccidio di Pontelandolfo compiuto dai bersaglieri piemontesi.

Migliaia di morti, di dispersi e deportati: fu questo il Risorgimento dei vinti? Dallo sbarco di Garibaldi a Marsala fino alla capitolazione dell’esercito delle due Sicilie passarono appena nove mesi. Tanto bastò a sfaldare un regno dalle tradizioni secolari, guidato dalla dinastia Borbone per 127 anni. Sulle cause del tracollo tanto è stato già scritto, ma solo ora emerge nella sua interezza uno scenario da conquista militare.

Su quei mesi, sui militari, sulla generazione che realizzò in concreto il Risorgimento, sia nella vittoria che nella sconfitta, dagli archivi esaminati dall’autore, dall’Archivio Borbonico alla collezione della “Gazzetta di Gaeta”, emergono anche piccoli drammi personali, storie di eroismi, opportunismi e miserie, comuni a tutti i trapassi di epoche e poteri, che contribuiscono ad arricchire questo affresco degli ultimi giorni dell’esercito borbonico e del Regno delle Due Sicilie.

Gigi Di Fiore, inviato del “Mattino” (premio Saint Vincent per il giornalismo nel 2000) e storico. Tra le sue pubblicazioni: 1861. Pontelandolfo e Casalduni: un massacro dimenticato (2000); Il Palazzo dei misteri (1992); Potere camorrista. Quattro secoli di malanapoli (1993).

Pagine: 362 - Prezzo: € 19,00 - Collana: Tracce - In libreria dal 15 luglio 2004


La recensione de "Il Mattino"

MEZZOGIORNO E UNITÀ
Attraverso documenti inediti Di Fiore rilegge il Risorgimento e racconta il crollo delle Due Sicilie in un saggio pubblicato dalla Utet

La storia la scrivono i vincitori ma poi, nel sedimento del tempo, si riesce sempre a intravedere le ragioni e il valore degli sconfitti. L’ha fatto Giampaolo Pansa per i caduti dall’altra parte della guerra di liberazione del 1943-1945, lo fa ora Gigi Di Fiore con I vinti del Risorgimento. Storia e storie di chi combatté per i Borbone di Napoli (pagg. 368, € 19), bello e determinante saggio appena uscito per l’Utet.

In nove mesi - il breve arco di tempo dallo sbarco di Garibaldi alla caduta di Francesco II a Gaeta - morirono sotto la bandiera del re napoletano quasi tremila uomini, e molte migliaia furono i dispersi e i deportati. Erano, quasi tutti, persone senza fortuna: pastori, contadini, artigiani. Proto duca di Maddaloni, quando il loro sangue era ancora caldo, il 20 novembre 1861, denunciò al Parlamento italiano la codardia dei generali per esaltare il valore di un esercito ingiustamente detto «di Franceschiello». Quelle cifre, quei dati, li hanno dimenticati tutti a lungo. Di Fiore ci spiega perché ciò avvenne, fin dalla prima pagina: la voglia di blandire i Savoia al potere, l’interesse del fascismo a enfatizzare il Risorgimento per consolidare il mito nazionalistico su cui si reggeva, la miopia di storici patentati, accademici e politici (con le eccezioni di Nitti, di Gramsci, di Croce che riconobbe la dignità di quei vinti). Si è fatta una gran confusione tra valori di fondo e verità dei fatti, tra morale e storia. Lo scenario degli studi tuttavia sta cambiando e il contributo di Gigi Di Fiore è importante, anche perché egli ha avuto modo di consultare inedite carte di archivio e documenti e memorie di famiglia finora tenuti riservati.

Difendere l’indissolubilità dell’Italia, Di Fiore lo chiarisce bene, non può annullare il dovere di narrare i fatti come avvennero, dando voce a coloro cui è stata negata, sottolineando gli errori e i soprusi dei Savoia. A partire dal fatto che quella piemontese fu una conquista militare senza legittimità giuridica, un’annessione frutto di una guerra non dichiarata e poi di una «creatività istituzionale» frettolosa e approssimativa. Il prezzo per i meridionali, non solo per quelli schierati sul campo con il loro re, fu alto. Se i combattenti subirono carcere, esilio, epurazioni, agli altri toccò un repentino cambio di moneta, una burocrazia sconosciuta, il saccheggio delle risorse. Se è esagerata la descrizione, fatta dai nostalgici, delle meraviglie finanziarie e industriali dei Borbone, è un fatto che dal Sud lo Stato piemontese diventato italiano ricavò conforto per le sue casse languenti; al Sud trovò i soldati delle guerre nuove e i mercati per piazzare i propri prodotti. La storia, come sapete, si è ripetuta e in certi casi si ripete.

Ebbe molti alleati, in questa operazione, Cavour, il vero stratega. Ottenne il favore, per diversi motivi, di potenze straniere e godette perfino dell’appoggio di meridionali, non solo degli esuli antiborbonici, ma anche di larga parte della borghesia, soprattutto dei latifondisti che vedevano nuove possibilità di arricchimento. Nacque il meccanismo di controllo del voto - del consenso - che diede frutti marci ma di lunga durata. La reazione dei così detti «briganti» si risolse in un nuovo massacro: 5512 ammazzati. Di Fiore mette in evidenza che dalla sinistra partirono subito obiezioni e proteste per le condizioni sociali del Mezzogiorno nel nuovo assetto. E invano si chiese a Vittorio Emanuele di rinunciare a quel dinastico II che ribadiva anche dal punto di vista formale l’immagine dell’ annessione. Ragionando di grandi temi; esibendo prove; gettando luce sulla misteriosa ribellione di due battaglioni di soldati svizzeri un anno prima di Garibaldi; illustrando nel dettaglio la sventurata epopea di Gaeta che si concluse con la tragica beffa di bruciare le bandiere per impedire che i piemontesi le usassero come trofei, Di Fiore non dimentica le vite, impastate nel bene e nel male. Quelle di chi mancò al dovere, come il generale Landi che a Calatafimi fece suonare la ritirata di fronte a un nemico stremato. Soprattutto quelle di chi scelse la dignità estrema. Ad esempio, il generale Matteo Negri, colpito in prima linea a cavallo sul ferreo ponte del Garigliano. Ad esempio, il capitano Ludovico Quandel che lasciò l’esercito piuttosto che firmare le umilianti clausole del patto di capitolazione.

Tutto questo Di Fiore racconta col rigore dello studioso, con la sciolta chiarezza del giornalista che è, con una scrittura agile e sorvegliata. La stessa struttura del libro è concepita per tenere avvinto il lettore: la storia che scorre e un apparato imponente di note, ottanta pagine preziose a chi vuole sapere nel dettaglio. La parte narrata si chiude con la profezia di Maria Sofia, l’ultima regina di Napoli: «I Savoia non sono stati chic con noi Borbone... Dio non voglia che anche loro non abbiano da difendere, dall’esilio, i loro patrimoni personali». Avvenne 85 anni dopo.

da "il Mattino" del 13 Luglio 2004

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