le
radici del mito
Nel Paleolitico una grande dea madre, senza volto, raffigurata con
simboli che si sono profondamente radicati nell'inconscio
collettivo, ha abitato l'immaginario umano.
L’insopprimibile esigenza dell’uomo di ricercare un “principio”, una
fonte di vita, ebbe come esito la creazione di un archetipo
“femminino", una divinità onnipotente, onnisciente, che crea da se
stessa, per partogenesi: la Grande Madre, dea senza volto,
personificazione sia della Terra, che porta in grembo le messi da
cui nasce il nuovo grano, sia della fertilità della donna, la sola a
possedere il segreto della vita.
Principio assoluto la “Grande Madre” è la divinità che ispirò le
Veneri del Paleolitico e i graffiti rinvenuti in varie grotte, ove è
raffigurata con particolari tratti iconografici che, al fine di
sottolineare il suo potere di generare, nutrire, ed accudire,
enfatizzano gli attributi sessuali femminili e la ritraggono
gravida. Una dea partenogenica, che crea dal nulla.
Nel Paleolitico, infatti, l'uomo non era ancora consapevole del suo
ruolo nel processo di creazione di una vita, tant'è che agenti
fecondanti erano ritenuti i raggi della luna, il vento e le acque
come è attestato in alcune tavolette di argilla.
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Statuetta di Venere |
Col passaggio dal Paleolitico al Neolitico, l’uomo matura la
capacità di allevare il bestiame, e di coltivare i campi
trasformandosi da “raccoglitore di cibo” in agricoltore; è in
questo periodo che prende coscienza del suo ruolo nella creazione di
una vita. Si tratta di una rivoluzione epocale che non poteva non
ripercuotersi nel mondo delle divinità. La figura dell’antica Madre,
senza volto, viene rielaborata, trasformandosi in una divinità
poliedrica che si carica di valenze simboliche nuove e assume i
volti ora di Signora del destino dispensatrice di vita e di morte,
Signora degli animali, Signora della vegetazione; a lei sono legati
simboli tratti dal mondo vegetale e animale: frutti, erbe, serpenti,
vacche. In India e in Egitto il fiore di loto, nel mondo greco il
melograno o la capsula di papavero, fino alla raffigurazione della
greca Cerere che tiene in mano un mazzo di spighe. Al confine tra
mondo animale e mondo vegetale si pone l’ape, come messaggera della
grande madre simbolicamente associata a Demetra, Artemide e
Persefone; l’ape simboleggia l’operosità incessante e provvidenziale
tipica del femminile, il continuo prodigarsi per nutrire ed
accudire.
Nell'agricoltura comincia ad essere preso in considerazione il ciclo
delle stagioni, probabilmente, a questo periodo risalgono le prime
feste rituali che ne segnano l’inizio e la fine. In questo momento
nasce una figura divina maschile: il "paredro” della dea, suo figlio
e fecondatore che muore come spirito della vegetazione, per
rinascere la primavera successiva.. L'idea di un dio maschile risale
approssimativamente al 5° millennio a.C., anche se ancora si tratta
di un dio minore, prelude al passaggio dalla società matriarcale a
quella patriarcale.
demetra
e kore. Il mito
Demetra era figlia di Kronos e di Rhea e sorella di Zeus, da questi
ebbe una figlia: Persefone, chiamata anche Kore.
Il mito narra che mentre Persefone raccoglieva fiori, nella pianura
sotto il monte Nysa, venne rapita da Ade. Demetra, la madre, cercò
la figlia per nove giorni, girando per tutto il mondo conosciuto.
Esausta, alla fine, si fermò ad Eleusi, presso il pozzo di
Callicoro, per riposare lì prese le sembianze di una vecchia.
Vedendola affranta, la figlia del re Celeo, danzò per distrarla, e
la portò alla reggia del padre, dove fu accolta con grande
benevolenza. In cambio la dea donò a Trittolemo, primogenito del re,
un chicco di grano che nessun altro mortale aveva mai visto, e gli
rivelò il modo per farlo fruttare, gettando le basi per lo sviluppo
dell'agricoltura. Elios, rivale di Ade, rivelò alla dea che la
figlia era stata rapita da quest’ultimo e che Zeus aveva deciso di
dargliela in sposa. La dea irata, fece appassire ogni pianta e
provocò una terribile siccità, minacciando ogni forma di vita. Zeus
tentò convincere la dea a riprendere il suo posto, ma lei rispose
che non l'avrebbe fatto fino a quando Kore fosse stata costretta a
vivere nel mondo sotterraneo. Messo alle strette, Zeus chiese ad Ade
di restituire la giovane, Ade acconsentì, ma indusse la fanciulla a
mangiare un chicco di melograno, cibo dei morti, di conseguenza,
Persefone, avrebbe dovuto trascorrere, almeno una parte dell’anno,
nel mondo sotterraneo, proprio come il seme, che vive nel
sottosuolo, per germogliare, poi, alla luce del sole e portare
frutti. Kore venne quindi restituita alla madre, con la condizione
che un terzo dell'anno avrebbe dovuto trascorrerlo con Ade nel regno
dei morti. Il ritorno di Kore sulla terra pose fine alla siccità, il
grano tornò a germogliare. Questo il mito.
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Il ratto di Kore |
demetra
e kore. all’origine
dei misteri eleusini
Alla radice dei misteri eleusini sta la ricerca disperata di Kore da
parte della madre, Demetra. Kore altri non rappresenta se non il
soffio vitale, colei che dà vita, che fa germogliare, rinascere. Si
tratta di riti propiziatori, che simboleggiavano il superamento
della morte e la rinascita e comprendevano sia la sepoltura del seme
del grano, sia la raccolta. Già nel VII sec. a. C., li ritroviamo
attestati nelle fonti, ma sembra che la loro origine risalga tra il
XVIII e il XV secolo a.C. Parecchi studiosi concordano
nell’affermare che sono di età pre-ellenica, legate al culto delle
grandi Dee Madri, presenti in tutto il Mediterraneo da tempi
immemorabili.
Alla sua nascita, il rito venne officiato soltanto ad Eleusi, ove
sorgeva l’Eleusinio, santuario sacro a Demetra, successivamente si
estese a tutta la Grecia perdurando fino al 392 d.C., anno in cui
l’imperatore Teodosio lo mise al bando. Nel 396 Eleusi venne
saccheggiata dai Visigoti di Alarico, il tempio venne distrutto,
2000 anni di storia cancellati.
I Mysteria erano periodi di festa durante i quali si svolgevano riti
atti a consentire agli iniziandi di entrare nell’oscurità della
morte di vincerla e di risalire alla luce della vita; ricorrevano
due volte l’anno: a metà febbraio (Anthesterion), e da
settembre a ottobre (Boedromion).
La festa durava otto giorni, iniziava il 16 di Boedromion (1
ottobre), giorno in cui i puri, cioè gli iniziandi venivano riuniti.
Successivamente, con un porcellino destinato al sacrificio, si
immergevano in acqua per purificarsi, dopo la catarsi, diventavano
membri effettivi della comunità e potevano accedere alla definitiva
consacrazione. Il 19 di Boedromion aveva luogo una
processione ed un’altra cerimonia di purificazione, la notte era
dedicata a danze e canti in onore di Demetra e Kore. Il 20
Boedromion gli iniziandi digiunavano e offrivano sacrifici, chi
si accingeva sottoporsi ai misteri non poteva bere vino
(probabilmente il rito è anteriore all’introduzione della coltura
della vite in Grecia).
Il 21 si dava un banchetto a base di cereali, si beveva il
kykeon, bevanda sacra a Demetra, composto da acqua, farina
d’orzo e menta, durante il banchetto veniva messo in scena il mito
di Demetra e Kore.
La festa raggiungeva il culmine nelle notti tra il 21 e 23 coloro
che non erano iniziati dovevano allontanarsi, mentre gli iniziandi
si sottoponevano a cerimonie segrete, che si svolgevano nel
telesterion, per rinascere simbolicamente. Il rito di
iniziazione si concludeva con un grande fuoco ed una luce
sfolgorante, gli officianti o mystes recitavano alcune parole
sacre: “hye” (piovi) guardando il cielo e “kye” (accogli, porta
frutti) guardando la terra.
Mysteria,
mystes o mystikos erano termini che indicavano una
festa notturna, il rito era segreto, era espresso il divieto di
rivelare le forme del culto. Scrive Proclo: “forse
per l’indicibilità dell’esperienza (i mysteria) provocano consonanza
delle anime con il rito in una maniera che risulta a noi
incomprensibile, alcuni iniziandi sono presi dal panico colmi di
divino orrore, altri si identificavano con i simboli sacri,
abbandonano la loro identità, acquistano familiarità con gli dei”.
(Proclo in Remp. II 108).
demetra
e kore
a Henna
Se la posizione geografica della Sicilia giocò un ruolo di primo
piano nel determinare le rotte commerciali dei primi popoli
navigatori, sicuramente anche la capacità produttiva dell'Isola,
specie nel settore cerealicolo dell' area centro-meridonale, ebbe un
peso non trascurabile nel determinarne l'importanza, tant'è che i
Romani, dopo le guerre puniche ne fecero una provincia, e, in certi
momenti, la loro principale fonte per l'approvvigionamento del
grano. Considerando questa condizione era inevitabile, per il
"granaio di Roma", non accogliere il mito di Demetra, dea del Grano.
Proprio a Enna, nel cuore della Sicilia, il mito e il culto di
Demetra e Kore erano profondamente sentiti. Dionigi d'Alicarnasso
(Epitome 5, 5) ci informa che Enna, già nel 552 a.C., era abitata
dai greci e che la città antica occupava una rocca naturale situata
proprio nel centro della Sicilia. Nel 403 a.C., Dionigi il Vecchio
conquistò la città, che successivamente passò dalle mani degli
agrigentini a quelle dei Cartaginesi per pervenire poi, nel 258
a,C., a quelle dei Romani e infine a quelle degli Arabi e dei
Normanni. Due episodi drammatici segnarono l'inizio della decadenza
di Enna: il massacro degli abitanti perpetrato a tradimento dalla
guarnigione romana, nel 214 (durante la seconda guerra punica), e le
due
guerre servili che ne segnarono poi il crollo definitivo. Dopo
quest'ultimo tragico evento, la città non si riprese più ne è
testimonianza la modesta quantità di grano che versava allo stato
romano (Cicerone, Verrine II, 3). Dopo la conquista araba, Enna,
prese il nome di Kars Janna, deformato in Castrogiovanni, con questo
nome è stata indicata fino a tempi, relativamente, recenti quando si
ritornò ad indicarla con l'antica denominazione.
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Calascibetta (Enna) |
Enna, Santuario di demetra
e kore
L’acropoli di Enna corrispondeva al luogo ora occupato dal normanno
Castello di Lombardia, all’estremità orientale del pianoro; a nord
di questo è un roccione lungo circa 60 m, detto Rocca Di Cerere,
qui, probabilmente va situato un celebre santuario della divinità,
il cui culto aveva reso Enna nota in tutto il mondo antico. In
merito non abbiamo fonti dirette, né consistenti evidenze
archeologiche ma solo memorie tramandateci da alcuni scrittori;
Cicerone ne ha lasciato una descrizione nelle Verrine, a proposito
delle ruberie di Verre, scrive: “questi, non potendo asportare le
due gigantesche statue di Demetra (la dea greca corrisponde alla
Cerere romana) e di Trittolemo, si contentò di impadronirsi della
statua di Vittoria, che la dea teneva in mano”; oggi nessuna
traccia antica è visibile sulla roccia, ma la localizzazione su di
essa del santuario, oltre che da descrizioni antiche, è confermata
da una iscrizione con dedica a Demetra, incisa su un masso ai suoi
piedi.
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Enna, castello Lombardia |
Lo splendido panorama, su gran parte della Sicilia centrale, che si
gode da questo luogo eccelso, esercita una intensa suggestione che
rimanda al mito localizzato in questo luogo, il mito del ratto di
Persefone da parte di Ade. Cicerone, che conosceva bene la zona, ce
lo racconta così: “Enna è un luogo altissimo e dominante, alla
sommità del quale è un pianoro con fonti perenni, a picco e tagliato
fuori da ogni accesso. Intorno a essa sono un lago e numerosi
boschi, e sbocciano, in ogni stagione, i fiori più belli: lo stesso
luogo sembra proclamare il ratto della fanciulla, di cui tanto
abbiamo udito parlare, fin da bambini. E, infatti, nei pressi è una
grotta rivolta a nord, di profondità incommensurabile, dalla quale,
si dice che Ade uscisse fuori all’improvviso col suo carro, e,
avendo rapita la vergine la portasse via con sé e subito dopo, non
lontano da Siracusa, scomparisse nuovamente sotto terra; in quel
punto apparve improvvisamente un lago: qui i Siracusani celebrano
feste annuali, con grande affluenza di uomini e donne” (Verrine, II 4.)
È interessante notare come il luogo descritto da Cicerone richiami,
inevitabilmente, alla memoria la Dittianna cretese e l’antro di
Ditte, sul monte Ida, sede del culto della dea, anche a Creta la Dea
viene raffigurata, in posizione eretta su un monte.
demetra
e kore a Morgantina
Morgantina si trova nel cuore della Sicilia, in provincia di Enna.
La localizzazione dell’antico centro, fondato, secondo quanto
riferisce Strabone, dai Morgeti è rimasta a lungo problematica.
Sembra che l’antica città sorgesse a Serra Orlando, ampio pianoro
ondulato culminante nella collina di Cittadella. Proprio incuneata
tra Cittadella e Serra Orlando, si trova la contrada San Francesco
Bisconti, territorio caratterizzato morfologicamente da ripidi e
scoscesi terrazzamenti. La zona est di quest’area, prossima al fiume
Gornalunga, è occupata da un monumentale santuario costituito da
numerosi sacelli cultuali e da edifici utili allo svolgimento dei
rituali ctoni, disposti lungo i terrazzamenti. In prossimità non
mancano alcune sorgenti, la presenza dell’acqua, nel mondo greco e
siceliota, è sempre connessa allo svolgimento del culto ctonio.
I primi scavi archeologici, iniziati nel 1979, hanno evidenziato una
complessa articolazione planimetrica, il santuario, infatti, si
sviluppa, a diversi livelli, lungo un pendio; sembra essere sorto
alla fine del VI secolo, mentre la continuità del culto è
testimoniata fino al III sec a.C. Il materiale archeologico
rinvenuto fa supporre tre fasi di vita: la prima, testimoniata da
deposizioni votive di età arcaica, da riferire a culti ctoni
praticati all’aperto; la seconda di età classica, in questo momento
si sarebbe avuta la monumentalizzazione dell’area e la costruzione
dei primi “naiskoi”. Sporadiche presenze di età romana
caratterizzano la terza fase e documentano la frequentazione del
santuario fino alla fine del I secolo d.C.
Tra il 1987 e il 1989, in seguito alle indagini giudiziarie
intraprese dalla procura di Enna, in ragione del fatto che al Museo
Getty di Malibu erano comparsi diversi acroliti in marmo,
provenienti sicuramente da Morgantina, ebbe luogo una nuova campagna
di scavi. (Già nel 1977 erano stati segnalati devastanti scavi
clandestini).
Nel 2002, momento in cui il governo italiano portava avanti una
trattativa con gli Stati Uniti, finalizzata a tornare in possesso
dei famosi acroliti arcaici in marmo, provenienti dal suolo di
Morgantina e, raffiguranti certamente Demetra e Kore, la
Soprintendenza di Enna e l’assessorato regionale ai BB.CC., con
l’intento di acquisire dati utili a dimostrare la provenienza
siciliana di quei marmi, danno inizio a una nuova campagna di scavi,
avviata nel 2002, nel terrazzo settentrionale.
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Acroliti |
È opportuno ricordare che il santuario di Morgantina si sviluppa
lungo un pendio che presenta tre terrazzamenti, in ognuno dei quali
sono ancora visibili diversi sacelli, adibiti al culto.
Il dato archeologico più significativo, che è emerso ha rivelato due
fasi di vita nel sacello B; risulta, infatti, che le fondazioni
dell’edificio erano poste al di sopra di quelle di un naiskos
più antico, di dimensioni più ridotte. Questo autorizza a pensare
che i primi sacelli votivi fossero sorti già nella seconda metà del
VI sec. a.C.(prima
fase edilizia)
Sul pavimento di questo naiskos più antico sono stati
rinvenuti: una statuetta fittile, un ago in bronzo, frammenti di
statuette di offerenti con porcellino.
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Ago bronzeo |
La seconda fase edilizia del naiskos corrisponde alla
realizzazione di un sacello di forma rettangolare, in questo momento
le strutture murarie precedenti vengono obliterate, viene costruito
un nuovo pavimento; il materiale usato per questa nuova
pavimentazione costituisce un ottimo indicatore cronologico che
permette di collocare l'intervento in piena epoca ellenistica.
Nel,
terrazzo mediano,
dedicato alle cerimonie all'aperto, è stato rinvenuto un altare di
forma circolare con botros centrale, attorno a questo
numerose deposizioni votive e tracce di bruciato. Questo terrazzo
costituisce il “cuore idelogico” del culto alle divinità ctonie, lo
sottolinea tra l'altro anche la centralità strutturale dell'area.
In esso aveva luogo il momento più significativo del rito, che
consisteva in una "processione” notturna con ceri e spighe tra le
mani, seguendo un percorso ascensionale tra le scoscese balze
collinari; il momento più importante consisteva in una sosta attorno
all'altare di forma circolare. Qui, infatti sono stati rinvenuti
phialai bronzee del tipo rinvenuto ad Agrigento, piccole olpai e
lucerne. Sono evidenze archeologiche che consentono la ricostruzione
di un rituale che comprendeva anche pasti collettivi, seguiti dalla
deposizione del vasellame utilizzato, a dimostrarlo è una grande
quantità di coppe miniaturistiche rinvenute impilate e capovolte.
Nel terrazzo tre
si trova un temenos, anche questo di forma circolare, che è
stato, per tanti versi, la chiave di lettura utile a interpretare la
funzione di questo spazio cultuale. L'interno dell'edificio, di
dimensioni notevoli, è costituito da un grande botros ricco
di depositi archeologici tra cui numerose figure di offerenti,
questi rinvenimenti fanno pensare che l'area sia stata destinata per
lungo tempo o alla rideposizione votiva delle ceneri e delle offerte
provenienti dalla sgombero periodico dei materiali consacrati, o
alle offerte votive spesso associate ai resti del pasto rituale.
La Dea di Morgantina: Afrodite, Demetra o Kore?
Restituita all’Italia nel 2002, questa scultura del V sec. a.C.
rilancia ancora oggi e con prepotenza interrogativi
sull’identificazione del personaggio. A contendersela sono Afrodite,
Demetra e Kore. Si era in un primo momento affermata la convinzione
che la scultura identificasse Afrodite, ma l’ipotesi è stata
confutata da alcuni specialisti che hanno sottolineato come alla dea
di Morgantina manchi quella prorompente sensualità, quel chitone
maliziosamente scivolato sulla spalla che caratterizzano tutte le
sculture di Afrodite. La fisicità matura della dea di Morgantina,
lontana dalla snellezza giovanile della dea dell’amore, ha orientato
la ricerca su Demetra o Kore e tra queste due: sembra che la
prepotente fisicità, ed il movimento della figura alludano a
Demetra, scolpita nel momento in cui si lancia alla ricerca
disperata di Persefone. Del resto l’ipotesi resta convincente in
quanto Demetra che insegue la figlia rapita da Ades costituisce il
nucleo centrale del mito.
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Dea di Morgantina con segni di archeomafia |
demetra
e kore
a Gela
Nella vasta area della Sicilia centro-meridionale, si era insediata,
nel VII sec a.C., una colonia rodio -cretese; è noto che a Creta,
dove l'agricoltura, in quel secolo, era già conosciuta, il culto
della Grande Dea Madre, Dittianna per loro, Rhea madre di Demetra,
per i popoli ellenici, era profondamente sentito. Attraverso i rodio
- cretesi prima e i greci dopo il culto di Demetra si radicò
profondamente e si diffuse capillarmente anche in Sicilia e, in modo
particolare, in quelle aree feraci di messi che facevano della
Sicilia una delle terre più note per la produzione di grano.
Erodoto scrive che Teline, discendente dall'ecista rodio-gelone,
era sacerdote di Demetra ed in seguito ad un episodio di lotta
intestina tra le fazioni di Gela sarebbe stato costretto a fuggire
dalla città, ove poi sarebbe ritornato grazie al carisma del suo
prestigioso sacerdozio. Questo episodio si colloca verso la metà del VI sec. a.C., momento di crescita per Gela e della costruzione del
primo edificio in pietra: il santuario tesmoforico di Bitalemi.
La Gela arcaica aveva la sua acropoli sul versante orientale della
collina, in località Molino a Vento; se di questo primo nucleo poco
ci rimane, parecchie testimonianze abbiamo ancora circa le aree
sacre extraurbane, site sulle pendici meridionali della collina. Di
particolare interesse risulta il complesso di Predio Sola, nato in
un primo momento( VII sec. a.C.), come culto sub divo e officiato
poi in un sacello a partire dal VI sec. a.C.. Dalla tipologia delle
offerte votive si evince che la divinità venerata era indubbiamente
Demetra alla quale, in territorio geloo, erano dedicati altri
santuari come quello presso lo scalo ferroviario e l'altro in
località Carrubbazza.
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Altare circolare |
Ma il più importante santuario della dea eleusina si trova sulla
riva sinistra del fiume Gela, esattamente su quella collinetta che
reca il nome di Bitalemi, dalla chiesetta della Madonna di Betlemme
che la sovrasta. Si tratta di un santuario antichissimo che ha
restituito anche testimonianze indigene che, sicuramente non
indicano una preesistenza di culto locale, ma solo una
frequentazione sicula coeva a quella greca. Questo santuario
comprende resti di piccoli edifici della metà del VI sec. a.C.,
creati dopo una prima fase di culto all'aperto e, ricostruiti nel V
sec a.C. e inoltre una stratificazione ricca di deposizioni votive
spesso sigillate in vasi capovolti e infissi nel terreno sabbioso.
Non meno significativi sono i doni votivi di idrie, che troviamo
sempre collegate al culto di Demetra, e il frammento di un vaso
attico del V sec a.C. con l'iscrizione: “hiarà tesmophoro ek tas
Dikaios skanas” cioè: “sacro a Demetra tesmophoros dalla tenda di
Dikaios". L'iscrizione è fino a questo momento la prima testimonianza
archeologica ed epigrafica del rituale delle tesmophorie, feste
durante le quali le donne (in questo caso) Dikaios ) solevano
isolarsi all'interno di una tenda. Il santuario ha rivelato strati
che giungono alla conquista di Cartagine 405a.C. È probabile che il
culto, nonostante l'abbandono di Gela, sia proseguito a lungo fino
ad epoca cristiana, tutto lascia supporre che la Madonna di Bitalemi
sostituiisca l'antica venerazione di Demetra.
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Demetra a Gela |
demetra
e kore
ad Agrigento
Akragas, odierna Agrigento, venne fondata nel 528 a.C., da coloni
rodio–cretesi di Gela guidati dagli ecisti Aristonoo e Pistilo.
Quella vasta area della Sicilia meridionale, ove sorge Agrigento,
era abitata, come si apprende dalla tradizione, dai Sicani presso
cui non si esclude, a dire degli specialisti, il culto di divinità
ctonie e delle acque; culto che sicuramente si è ancor più radicato
con l’arrivo dei cretesi, venuti in Sicilia con Minosse, a questi
ultimi si attribuisce uno dei più grandi santuari dell’Isola :quello
delle “Meteres”, che assieme a quello dei Palici, presso Mineo, e a
quello di Demetra e Kore, a Enna, fu uno dei poli essenziali della
vita non solo religiosa ma anche economica e politica delle prime
popolazioni della Sicilia centrale. Ma sicuramente il culto di
Demetra e Kore penetrò in Sicilia attraverso i Greci, nel periodo
della precolonizzazione prima e della colonizzazione dopo. Il
santuario rupestre di Agrigento, è, per la sua singolare struttura,
uno dei più complessi tra quelli della Sicilia, tant’è che, ancora
in periodo relativamente recente, era chiamato “casa delle fonti”.
Per fare un po’ di chiarezza è necessario tenere presente che si
tratta di un antico impianto per l’adduzione delle acque, senza però
tralasciare che, fino ad età ellenistica avanzata, in Grecia è
impossibile dissociare funzioni sacrali e funzioni utilitarie nei
complessi idraulici, soprattutto se sorti in età arcaica o classica.
Il grande santuario rupestre è costituito da due grotte in parte
ricavate, in parte addossate alla parete a picco sul dorsale est
della Rupe Atenea, da queste due cavità, attraverso una tubazione in
cotto, l’acqua si incanalava verso l’esterno riversandosi poi in
apposite vasche. A nord delle grotte si trova un tunnel,
interpretato come sostituto delle originali condutture costituite
dalle grotte.
Addossato alle due cavità si trova un edificio, una stanza divisa in
due piani, non perfettamente allineati sullo stesso asse verticale.
Nel piano superiore si raccoglievano in preghiera i pellegrini,
quello inferiore fungeva da cisterna raccogliendo le acque sgorganti
dalla grotta destra. Al di sotto della vasca inferiore si
riscontrano, lungo il pendio, a vari livelli, altre cisterne
intercomunicanti.
L’edificio addossato alla grotte presenta poderose mura sormontate
da una semplice cornice e arricchite da protomi leonine. Sul lato a
valle è la terrazza sulla quale è costruito il santuario, è
delimitata da un muro di cinta, l’accesso è favorito da due strade,
scavate nella roccia e da qualche gradino.
Sul lato nord del tempio sono due altari circolari, uno per i
sacrifici, l’altro, che presenta una cavità centrale, per le offerte
votive. Il ritrovamento, nell’area, di busti fittili e statuette
tipiche del culto di Demetra insieme alla forma circolare tipica
degli altari della dea eleusina consentono di attribuire il
santuario alla coppia delle divinità infere, tanto popolari, sia a
Gela che nella sua colonia Agrigento. da poter fare affermare a
Pindaro che Agrigento era un vero e proprio “Persephonas hedo” trono
di Persefone.
La struttura della fontana, sicuramente progettata da Feace, ha
subito continui restauri ed aggiunte almeno fino all’epoca
ellenistica. Il ritrovamento di ceramiche indigene anteriori al 528
a.C., data di fondazione di Agrigento, conferma l’uso della fonte in
età protostorica, fatto che avvalora la tesi secondo cui l’aspetto
religioso non era disgiunto dallo sfruttamento utilitaristico della
preziosa fonte del bene primario sia per gli autoctoni che per i
coloni greci. A questo riguardo non si può parlare di sincretismo
religioso ma di una continuità d’uso tra fase pre-greca e fase
coloniale. Recenti studi di Waele tendono a datare la struttura
della fontana al l’inizio del v sec. a.C. collegandola all’intensa
attività idraulica del greco Feace, con restauri che si protraggono
fino ad epoca ellenistica.
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Agrigento, chiesa di San Biagio |
Le feste dedicate a demetra
e kore
Diverse erano le feste dedicate alla dea eleusina e alla giovane
Persefone.
Le Tesmophorie celebravano
Demetra Tesmophoros o legislatrice. Diodoro Siculo scrive che
Demetra era detta tesmophoros perché aveva inventato oltre
all’agricoltura, le prime leggi sociali. Quindi dea che, in quanto
protettrice della legge, veniva invocata nei giuramenti. Il culto
derivava dall’idea di fecondità della terra messa in rapporto con la
maternità, Demetra legislatrice rappresenta la legge dell’unione
coniugale. Lo stesso storico ci informa che durante i festeggiamenti
si usava un linguaggio scurrile finalizzato a suscitare il sorriso
della Dea .Ancora a proposito di Demetra Ateneo scrive che in quella
festa, a Siracusa, si preparavano dolci, con miele e sesamo,
raffiguranti i genitali femminili per offrirli alla dea come simbolo
di maternità, a queste feste partecipavano solo le donne.
Ancora c’erano le feste dell’Anodos,
che ricordavano il ritorno di Kore dall’Ade. Nelle sculture Kore è
ritratta sul carro assieme alla madre che la porta via.
La Katagoge invece
rievocava la discesa di Kore nell’Ade.
Glossario
Philiai = piatti greci poco profondi utilizzati per bere e per le
libagioni.
Protome = Elemento decorativo costituito dal busto o dalla sola
testa di un uomo o di un animale.
Olphai = vasi panciuti con una sola ansa.
Idria = vaso greco usato per contenere acqua.
Temenos = santuario o recinto sacro, che poteva essere costituito
dalla cella dov’era la statua del nume e dai tesori.
Sacello = Luogo sacro recintato.
Bibliografia
-
Rizzo V.
Akragas, in Kokalos, XXI-1978
-
Coarelli F.
Sicilia Ed. Laterza
-
Rangoni L.
La Grande Madre Xenia
-
Kerenyi K.
Miti e Misteri Torino 1980
-
Perrera S.
La Grande Dea Como 1987
-
Bachofen J.
il matriarcato Torino 1988
Articolo
inviato dall'autrice al Portale del Sud, che la ringrazia, nel mese di
luglio 2012. Vietata la riproduzione, anche parziale, del testo e
delle immagini. |