Le Pagine di Storia

Le guerre servili in Sicilia

di Rosa Casano Del Puglia

Calascibetta (Enna)

 

A sessant’anni dalla prima guerra punica, la Sicilia fu teatro di una guerra “servile”. Posidonio la cui tradizione è seguita da Diodoro siculo, ne ritrovava la causa nella ricchezza raggiunta dai grandi proprietari terrieri, i quali avevano acquistato schiere numerose di schiavi, sottoponendoli a trattamento disumano. Floro, che trasmette la tradizione di Livio che a sua volta si rifà a Posidonio, scrive: “La Sicilia terra ferace di messi […] era occupata dai latifondi dei cittadini romani. Qui i numerosi ergastoli schiavili, per la coltivazione dei campi, e i lavoratori incatenati offrirono alimento alla guerra”. Studiosi come Pareti e A.J. Toynbee hanno accolto la formula posidoniana definendo il latifondo siciliano come destinato prevalentemente al pascolo, oltre che all’arboricoltura. A riprova hanno aggiunto che Rupilio nel 131, volendo eliminare le cause che avevano promosso la rivolta servile, si sarebbe adoperato per “spezzare il latifondo con la trasformazione graduale dei pascoli in campi produttivi”. Questa tesi è stata messa in dubbio da altre considerazioni. Si ritiene, infatti, che Posidonio abbia trasferito in Sicilia la figura del latifondista italico, operando così una deformazione dell’ambiente storico. Deve essere, infatti, escluso che in Sicilia intorno al 150 a.C., si sia realizzato un latifondo di tipo italico, cioè “industrializzato”, che richiedeva l’impiego di grossi capitali, quali l’agricoltura siciliana non poteva da sola procurarsi. L’afflusso di esponenti della borghesia italica e latina è diventato significativo in Sicilia solo dopo Verre. Nessuno dei latifondisti ricordati da Diodoro porta un nome che non sia greco!! Anzi è vero che i protagonisti della trasformazione agraria in Italia non potevano avere interessi a sperimentarla anche in Sicilia: il latifondo industrializzato fu reso possibile in Italia dal fatto che il peso dell’annona di Roma poté essere scaricato sulle province, come la Sicilia o la Sardegna. Se in Sicilia si fosse costituito un latifondo di tipo italico, esso sarebbe persistito anche dopo la rivolta di Euno, “è assurdo pensare – scrive Vallet - che la piccola proprietà delle Sicilia di Verre sia il risultato della politica antilatifondistica di Rupilio e non piuttosto la continuazione di condizioni anteriori.”

Va inoltre tenuto presente che la pastorizia di tipo tradizionale, alla quale sarebbero stati destinati i presunti latifondi in Sicilia, avrebbe assorbito una manodopera limitata soprattutto perché essa doveva essere praticata in terre di montagna e comunque restare marginale nell’economia del latifondo a sfruttamento cerealicolo, il solo che poteva giustificare un impiego più largo di schiavi. Le ragioni dell’aumento del numero di schiavi in Sicilia, intorno al 140 a.C., vanno ricercate non in un cambiamento della struttura agraria, ma nella situazione in cui venne a trovarsi il produttore di grano, non più interessato all’acquisto di vino rodio o ceramica straniera, infatti la produzione locale di ceramica e il buon vino italico soddisfacevano le richieste del mercato, egli si trovò, dunque, di fronte all’offerta allettante di schiavi greci a buon mercato, conseguente alla riduzione in schiavitù di intere popolazioni (basta pensare alla sorte di Corinto e di Cartagine).

La rivolta di Salvio Tryphon e di Atenion

Conclusa vittoriosamente la prima guerra servile, il console P. Rupilio nel 131 a.C., rimase in Sicilia, come proconsole, allo scopo di riorganizzare la provincia. Le città compromesse nella rivolta furono reintegrate nel precedente stato giuridico, sicuramente per mano delle borghesie filoromane, che non avevano preso parte ad essa e anzi avevano sofferto i maggiori danni. Rupilio si preoccupò di ripopolare alcuni centri demograficamente decaduti, come Eraclea, in cui dedusse, sulla linea di quanto era accaduto ad Agrigento tra il 197 e il 193 a.C., nuovi coloni; lo stesso deve aver concesso l’autonomia cittadina ad alcuni centri legati amministrativamente a qualche città vicina, ciò avvenne per Netum, che probabilmente da Rupilio venne staccata da Akrai. La Sicilia si ricompose nel suo plesso cittadino alquanto accresciuto, la presenza di elementi latini e italici aumentò, se è vero, come si legge nel racconto posidoniano della seconda rivolta servile, che proprietario di una tenuta con 80 schiavi era Publio Clonio, cavaliere romano, e che parecchi schiavi recavano nomi latini.

Questa, a grandi linee, la situazione della Sicilia alla vigilia della seconda guerra servile.

Le cause di questa nuova carneficina vanno ricercate nella minaccia che i Cimbri costituivano per Roma.

Questo popolo, di origine germanica, si era spinto nel Norico (attuale Austria) e per ben tre volte aveva sconfitto gli eserciti romani che avevano tentato di assalirli di sorpresa. In quel momento Mario dopo il trionfo nella guerra giugurtina, era rientrato in Roma, il popolo per la seconda volta gli aveva conferito il consolato e ora gli affidava la direzione della guerra contro i Cimbri. Nel 104, per affrontare la nuova impresa militare Mario aveva chiesto milizie agli alleati di Roma, il re di Bitinia Niccomede III aveva protestato, in quanto molti suoi sudditi “fatti rapire dai pubblicani” erano schiavi nelle provincie romane. La compagnia dei pubblicani, che si occupava dell’affitto dell’ager publicus e che molto spesso subaffittava ai decumani sicelioti l’imposta da esigere in natura, favoriva le razzie di uomini ad opera dei pirati, loro abituali fornitori di schiavi; il senato romano allora decretò che i governatori provvedessero a restituire la libertà a quanti, nati liberi in città alleate, si trovassero in schiavitù nelle rispettive province.

Fu allora che Licinio Nerva, propretore della Sicilia, procedette alla liberazione di 800 schiavi, si trattava di uomini che erano nati liberi, il provvedimento causò un tale fermento che Nerva, anche per la pressione esercitata dai padroni di schiavi, fu costretto a rimandare gli altri schiavi. Molti di questi si rifugiarono nel santuario di Palikoi, presso Mineo, che godeva della inviolabilità, altri si rifugiarono nelle montagne o in luoghi poco accessibili. Questa situazione accese la scintilla. Scoppiarono rivolte di piccoli gruppi di schiavi, in varie zone dell’Isola. In territorio di Eraclea, gli schiavi, impiccato il latifondista romano P. Clonio, si organizzarono sotto la guida di Salvio, riuscendo a vincere il drappello inviato da Nerva. Intorno a Salvio si raccolse un esercito di 20 mila fanti e 2 mila cavalieri con cui Salvio assediò Morgantina. La risposta di Roma fu immediata, Nerva, infatti, arruolò, nell’isola, un esercito composto da Sicelioti ed Italici, ma venne rapidamente sconfitto da Salvio, che promise la salvezza a quanti si sarebbero arresi, facendo così 4.000 prigionieri. Immediatamente dopo, Salvio tentò senza successo di guadagnarsi gli schiavi entro Morgantina, ma questi resistettero dietro la promessa della libertà, poi non mantenuta, di Nerva (Diod., XXXVI 4, 6-8). Presto Salvio assunse il titolo di re “ Tryphono”.

Intanto nella zona di Lilibeo e Segesta il cilicio Atenione organizzava un esercito di schiavi robusti, mandando gli altri al lavoro dei campi e si univa a Salvio Tryphon.

Nel 103 e nel 102 a.C. Roma inviò, in Sicilia, prima il propretore Lucullo e poi Servilio, ma entrambi furono sconfitti.

Intanto alla morte di Salvio – Tryphon, Atenione diveniva il nuovo re, in questo momento i ribelli estesero le loro razzie fino alle campagne di Leontinoi. Il 101 fu l’anno favorevole per Roma che inviato in Sicilia il console Manlio Aquillio sconfisse, in duello, Atenione. Grossi contingenti di ribelli, che non saranno stati tutti schiavi, si asserragliarono in zone fortificate, presto espugnate, gli ultimi mille, comandati da Satyros, si arresero ad Aquillio, che li mandò a Roma per il circo. La partecipazione anche a questa rivolta di nullatenenti liberi, gli “aporoi”, contribuì a prolungare lo stato di guerra, accrescendo le perdite di vite umane e di risorse economiche. Un indice delle perdite economiche per questa e per la precedente rivolta servile, è costituito da ripostigli di denari romani, riferibili sicuramente alla borghesia e a quelli più numerosi di monete bronzee siceliote, riferibili a piccoli risparmiatori, si tratta di gente che aveva affidato i propri gruzzoli alla terra, e che fu violentemente eliminata nelle guerre servili.


Bibliografia

  • R .Vallet Guerre servili in Sicilia GLF Ed. Laterza.

  • F. Coarelli Economia nella Sicilia centrale. Ed. Laterza.

  • V. Rizzo Profilo economico della Sicilia antica Università di Palermo (Istituto di Storia antica)


Testo ed immagini di Rosa Casano Del Puglia. Riproduzione, anche parziale, vietata. Pubblicato dal Portale del Sud nel mese di giugno dell'anno 2012

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