Le Pagine di Storia

La Chiesa calabrese e l’agricoltura dal primo Novecento alla caduta del Fascismo:

mons. Gaetano Mauro e don Carlo De Cardona al fianco dei contadini calabresi

di Francesco Rizza

Il Duomo di Cosenza

Quelli a cavallo delle due guerre mondiali furono anni travagliati nel rapporto fra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Quest’ultima era impegnata nella stipula di quei concordati che le avrebbero sancito libertà d’azione nelle Nazioni europee, dopo che la prima grande Guerra aveva ridisegnato confini ed idealità dei vari Stati. Per quanto riguarda l’Italia, i “Patti Lateranensi” del 1929 non solo decretarono la nascita dello Stato del Vaticano, ma riuscirono a chiudere la cosiddetta “Questione Romana” conseguente alla “Bercia di Porta Pia” del 1871 ultimo atto del Risorgimento italiano. Negli stessi anni, in Italia come in altre Nazioni europee, fin dai primi anni del fascismo si fossero appalesate differenze fra il magistero della Chiesa ed alcune idealità dei nuovi regimi totalitari, come l’esaltazione della violenza e del nazionalismo, ma ciò nonostante fu forte l’attrazione della gerarchia ecclesiastica verso il fascismo, come scriveva Arturo Carlo Jemolo secondo cui quello del fascismo rappresentava per il Vaticano una sorta di “male minore” rispetto a forme “altre” di potere.

Il fascismo, infatti, a detta di Jemolo era “un movimento che si presentava come una rivincita non solo contro i socialisti, non solo contro i liberali, ma mirando più lontano ancora contro giacobini e girondini, contro enciclopedisti ed illuministi, contro i valori e le affermazioni della rivoluzione francese, tanto che era difficile che lo stesso Partito fascista apparisse ai Cattolici come inconciliabile con la propria fede”. [1]

“Di fronte al pericolo dell’Ateismo e del Comunismo – aggiunge Guido Verrucci – la Chiesa guardava come baluardo del Cattolicesimo a quegli Stati come l’Italia, l’Austria, il Portogallo, più tardi la Spagna franchista, dotati di regimi autoritari o dittatoriali in grado di contenere quel pericolo”. [2]              

Se per lo stesso periodo storico si guarda alle provincie della periferia italiana, la situazione ecclesiale rimaneva estremamente complicata. In Calabria, emblematica la “Relazione ad Limina” che mons. Saturnino Peri invia al Vaticano relativamente alla diocesi di Crotone, ampia poco più dei confini cittadini, nell’estate del 1916. Relativamente ali sacerdoti presenti in diocesi, il Presule sardo osserva nel suo latino ecclesiastico che “generalmente il clero della nostra Diocesi è considerato male”.

“Sono, infatti, pochi – osserva il vescovo - i sacerdoti che, secondo il sentire comune sono di vita integra. In vero, negli ultimi quindici anni sono cinque quelli che hanno lasciato la vita religiosa, di questi tre si sono redenti pur vivendo fuori dalla diocesi. La maggior parte del clero ha poca dottrina e spirito sacerdotale”. [3]

Il Duomo di Crotone

In una cittadina dove la Chiesa era osteggiata anche da una presenza massonica, il Presule osserva come lo stesso clero diocesano era diviso in due fazioni contrapposte, una delle quali contraria allo stesso Vescovo che, infatti, dopo aver subito l’oltraggio di un ceffone da parte del padre di un sacerdote fu trasferito ad Iglesias, nella nativa Sardegna. Finito il Regime fascista il Crotonese, da sempre terra di fermenti socialisti, registrò l’esperienza di un “prete operaio” che tanto clamore suscitò nella diocesi di Cariati. È questo il caso di don Claudio Vitale che operò per qualche anno a Zinga, di Casabona.

“La scelta di fare il bracciante agricolo – scrive don Pietro Pontieri – aiutando chi aveva bisogno nei lavori dei campi, in mezzo ad un paese di piccoli coltivatori diretti, non solo non fu condivisa dai benpensanti, ma il suo gesto apparve provocatorio”. [4]

Prima del trasferimento nell’Italia settentrionale, continua don Pietro Pontieri, giornalista e storico della Chiesa crotonese, un motivo di imbarazzo nel clero calabrese fu suscitato dallo stesso sacerdote nella città di san Francesco, il celeste patrono della Calabria.

“Durante il primo Convegno ecclesiale regionale a Paola, tra i delegati nella città di San Francesco da Paola era anche don Claudio, ma ad un certo punto lasciò il convegno e salì sul primo treno per partecipare alla marcia dei duecentomila disoccupati a Roma”.

Lo stesso don Pontieri, nella medesima pubblicazione, racconta un’altra vicenda che ben descrive il rapporto fra la Chiesa cattolica e quel Comunismo che ebbe proprio nel Crotonese una delle zone di maggiore forza. Ed ecco apparire nelle cronache di don Pontieri la sospensione a divinis subita da don Antonio Maone per lunghi anni parroco ed arciprete a Savelli.

“Quando il signor Antonio Gentile – racconta il sacerdote – si era ammalato, sua moglie Mariantonia aveva chiamato il prete e, da donna di fede qual era, con una famiglia numerosa ed in tenera età, aveva confessato a don Antonio la sua posizione matrimoniale”. “Erano sposati solo al civile – spiega il sacerdote - perché prima del Concordato si faceva prima il civile e poi il matrimonio religioso”. “Le misere condizioni familiari – aggiunge don Pontieri - la chiamata in guerra del marito avevano impedito questo passo, a cui si erano aggiunte a guerra finita le diatribe partitiche, e suo marito compagno di partito non si era mai preoccupato di ricevere il Sacramento. Ora era disposto a farlo, e se doveva morire voleva farlo da cristiano. Confessione, matrimonio, comunione e viatico”.

Ai funerali che quindi si svolsero in chiesa, aggiunge don Pietro Pontieri: “c’era una grande folla di parenti ed amici, e naturalmente di compagni, ma nessun segno di partito, né manifesti, allora non si usavano. Questa partecipazione di massa urtò gli sviscerati anticomunisti e ci fu qualcuno che espose al vescovo l’accaduto dell’arciprete, ma in termini tali che quel vescovo dalla “sospensione facile” che era mons. Fagiano comminò la sospensione A Divinis per una settimana, compresa la domenica”.

In questo contesto, a fianco dei contadini calabresi, spiccano le figure di due sacerdoti impegnati col proprio apostolato a rendere più facile la vita dei campi. Si tratta di mons. Gaetano Mauro e di don Carlo De Cordona, entrambi del clero diocesano cosentino che fecero della difesa delle classi subalterne la ragione prioritaria della propria vita di sacerdoti.

“La vita rurale – osservava mons. Mauro - o è vita di fede o è vita di tormento. Le privazioni che impone il vivere tra i campi, se non sono confortate, impreziosite dalla fede, diventano insopportabile strazio. La solitudine dei casolari deserti, se non è riempita di Dio, è desolante deserto”. “Le stesse opere sociali e ricreative, create per l’elevazione per il sollievo degli abitanti delle campagne - aggiungeva mons. Mauro - sono, da sole, insufficienti. Noi siamo stati chiamati per riempire questa solitudine, portando a chi tanto ne ha bisogno, fin nel suo casolare, il pensiero di Dio, la parola di Dio, la presenza di Dio”. [5]

Mons. Gaetano Mauro

Era il novembre del 1939 quando mons. Gaetano Mauro, fondatore dei Missionari Ardorini, in un numero di “Sempre più in alto” bollettino curato dallo stesso sacerdote, spiegava così le finalità della stessa comunità religiosa. Erano passati appena 12 anni da quando, nel 1927, l’allora Arcivescovo di Cosenza aveva approvato la regola dell’“A.R.D.O.R.” acronimo di Associazione Religiosa degli Oratori Rurali che, prima di espandersi essere riconosciuta anche dal Vaticano, nel 1928 sarebbe divenuto Istituto di diritto diocesano e le finalità della nuova famiglia religiosa, dedicata all’educazione dei giovani e all’apostolato nel mondo rurale erano già ben delineate. [6]

“All’affacciarsi sul campo di don Mauro nel profondo Sud della sua Calabria – osserva il domenicano p. Vincenzo Romano – accanto a preti pieni di iniziative, c’era anche un clero fiacco, carente per zelo e per cultura, tutto ripiegato sulla propria vita quieta e senza preoccupazioni, che si limitava ad amministrare i Sacramenti. Oltretutto, erano ritenute fortunate le famiglie i cui figli entravano nello stato clericale, perché così facendo garantivano loro un futuro, moderato ma socialmente vantaggioso”.

Per padre Romano, dunque, “c’era solo da guardarsi attorno per accorgersi del bisogno di riqualificarsi, in ordine all’apostolato parrocchiale e pastorale, ma anche di inserirsi adeguatamente nella nuova realtà socio religiosa, presente ormai anche in tutto il Meridione d’Italia con caratteri di preoccupante urgenza”. [7]

“Prima che don Mauro se ne facesse carico – aggiunge lo storico domenicano – fondando per loro uno speciale Istituto di Missionari rurali, i contadini rimanevano “esclusi” dai benefici della cultura e della civiltà, e persino della stessa pastorale della Chiesa organizzata, com’è noto, solo all’interno dei centri urbani, trovandosi a vivere nei loro casolari, “dispersi” nei vasti territori lontani da tutto e da tutti”.

Nato a Rogliano il 13 aprile 1888, Gaetano Mauro fu ordinato sacerdote il 14 aprile del 1912. Dopo una breve presenza a San Giovanni in Fiore, don Gaetano Mauro arriva a Montalto Uffugo nel 1914 dove fu nominato parroco della parrocchia di Santa Maria Assunta e decano della Collegiata. In vero, il primo rapporto con la cittadina, famosa per l’opera “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo musicata da Pietro Mascagni, dove rimase sino alla morte del 31 dicembre 1969, non fu affatto facile. Ciò a causa della presenza alquanto forte della massoneria, ma anche a causa di lunghe liti nel clero cittadino che avevano sfiduciato i fedeli. Dopo la parentesi della prima guerra mondiale che lo vide prigioniero in Germania nel campo di sterminio di Katzenau, don Mauro intensificò a Montalto quell’apostolato in favore della gioventù che gli meritò il titolo di “don Bosco della Calabria” e della gente dei campi avvicinata, sostenuta e catechizzata nei casolari.

Montalto Uffugo (Cs)

Descrivendo le motivazioni che lo avevano spinto a una nuova Congregazione religiosa, mons. Mauro osservava anche l’impossibilità per i sacerdoti del suo tempo di ben operare in solitudine in favore del mondo rurale.

“Uno dei motivi che ispirò al principio la nostra opera fu il pensiero di tanti cari confratelli nostri che spesso isolati, incompresi, privi di mezzi in paeselli di campagna, trovano gravissime difficoltà ad esercitare con efficacia il proprio ministero e a sopportare pene inevitabili di un apostolato complesso e faticoso, sogniamo di poter venire incontro a tante difficoltà”. [8]

A questo scopo, fin dal 1926 il progetto di don Mauro era stato quello di “riunire sacerdoti, professionisti, operai e contadini che si consacrino interamente ad una intensa azione apostolica morale e religiosa ed organizzare un metodo pratico e costante di insegnamento catechistico”. Era il 7 ottobre 1938 quando a Petilia Policastro, nel Marchesato crotonese, veniva aperta la seconda casa dei Missionari Ardorini su invito dell’allora arcivescovo Santa Severina mons. Antonio Galati e grazie alle donazioni delle signorine Ferrari su iniziativa dell’arciprete cittadino don Salvatore Venneri. Iniziò così fra mons. Mauro e Petilia Policastro un fervido rapporto di reciprocità. I Missionari Ardorini furono da subito impegnati nell’apostolato rurale e nell’educazione giovanile e Petilia, nel corso degli anni, donò numerose vocazioni religiose alla stessa Congregazione.

D. Carlo De Cardona

Di qualche anno più anziano di mons. Gaetano Mauro, un altro sacerdote che impegnò la propria vita al fianco delle classi più deboli della Calabria del primo Novecento fu don Carlo De Cardona, nato a Morano Calabro il 4 maggio 1871 che focalizzò la propria missione in favore delle genti delle campagne cosentine con un impegno religioso e politico nello stesso tempo. Si era laureato in Filosofia e Teologia alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, dove era entrato in contatto col movimento democratico cristiano di Romolo Murri. Ordinato sacerdote il 7 luglio 1895, fu nominato segretario particolare del vescovo cosentino mons. Camillo Sorgente. Nel 1899 diventa direttore del settimanale “La Voce Cattolica” che aveva fondato nell’anno precedente e che ospitava una sua rubrica “La Domenica del Popolo” in cui, sotto il pseudonimo di Demofilo, affrontava i problemi del lavoro, dei contadini, degli operai e degli emigrati. E’, invece, del 1901 la fondazione della “Lega del Lavoro” che, aderendo all’Opera dei Congressi, voleva rappresentare la voce della Chiesa in quel mondo del lavoro che già a quei tempi vedeva sorgere in Calabria le prime leghe socialiste. Figlie della “Lega del Lavoro” furono quelle “Casse Rurali” che, partendo da Cosenza, rappresentarono un’innovativa novità nella Calabria del tempo. Infatti, spiega lo storico Luigi Interi, se al tempo dell’impegno di don Carlo De Cardona in Calabria già vi lavoravano alcune banche, come osserva lo stesso storico non erano nello condizioni di offrire un reale sostegno agli stessi contadini.

“Queste istituzioni erano in buona parte delle operative; tuttavia esse erano in prevalenza espressioni dei piccoli industriali e commercianti e quindi non soddisfacevano le attese dei contadini, soprattutto non li svincolavano dallo stato di sudditanza politica e sociale, dipendente dalla sudditanza economica. Rivolgendosi a questi istituti i contadini sfuggono certamente dall’usura, ma continuavano a rimanere dipendenti sul piano politico e sociale”. “Si poneva pertanto – aggiunge Intrieri - l’esigenza di un passo ulteriore delle istituzioni creditizie che li trasformasse in protagonisti del loro riscatto e li rendesse liberi economicamente e politicamente”. [9]

A motivare il coraggioso intervento in questo senso di don Carlo De Cardona, il profondo amore dello stesso sacerdote per le classi subalterne ed emarginate del suo tempo.

“ll fatto – osservava in un suo articolo – è che noi perché amiamo fortemente il popolo in Gesù Cristo non possiamo mirare con sguardo sofferente a coloro, che oltre ad essere nostri fratelli, sono nella chiesa la parte migliore e, nella società i fattori veri e propri della ricchezza pubblica”. [10]           

Per quanto riguarda, invece, la “Lega del Lavoro”, una descrizione della stessa ci arriva dalla storica Emanuela Catalucci.

La stessa Lega, scrive, “era composta da gruppi professionali e univa, in sezioni distinte, operai e contadini, con l'esclusione di possidenti e borghesi: era inoltre articolata in sezioni locali, dipendenti da un consiglio centrale. La lega si proponeva l'istruzione degli operai, il miglioramento delle condizioni morali, economiche ed igieniche del lavoro, l'incentivazione della cooperazione ed il collocamento dei disoccupati”. [11]

Guardando agli stessi contadini e partendo dalle idealità della “Rerum Novarum” di Leone XIII, don Carlo De Cardona riuscì ad essere percussore del Concilio Vaticano II; con degli scritti molto vicini alle idealità della “Gaudium et Spes”, ma anche al pensiero di Giovanni XXIII e Paolo VI.

“Il Cristianesimo – osserva, infatti, il sacerdote cosentino - è stato fatto dal suo divino Istitutore, per salvare l’uomo soprannaturalmente: l’uomo intero con la sua intelligenza, col suo sentimento, coi suoi bisogni, col suo provvidenziale istinto alla socialità, al progresso. Di modo che è semplicemente un assurdo oltre che un’eresia il concepire un Cristianesimo non informatore di tutto l’uomo e della sua civiltà, ma di una parte soltanto, di quella che forse che desse meno fastidi”. [12]              

Furono questi i presupposti di un impegno sociale e politico che, fra l’altro, vide lo stesso Sacerdote consigliere comunale e provinciale nel Partito cattolico ed assessore comunale alle finanze.

“Nell'azione sociale del De Cardona la “Rerum Novarum” – continua la Catalucci - rappresentò il punto di partenza per un radicale rinnovamento della Chiesa, attraverso l'alleanza con le masse popolari. Per lui democrazia cristiana non era solo un movimento di idee e di fatti nel campo economico, ma un radicale rinnovamento nelle coscienze, nella economia, nella civiltà, secondo lo spirito cristiano. Nel 1906 promosse il primo congresso provinciale operaio, che si tenne a Cosenza nel marzo; il congresso si proponeva di dare all'organizzazione una precisa base economica, costituendo una Cooperativa in ogni Lega. Fu in questa occasione ribadito il concetto fondamentale che tutte le leghe dovessero essere composte di soli lavoratori, principio che il De Cardona difendeva anche l'anno seguente, al congresso dei giovani cattolici a Benevento”.

Papa Leone XIII

Se con l’enciclica “Pieni L’animo” pubblicata nel 1906 da Pio X, la Lega democratica fu condannata ed il Sacerdote cosentino dovette abbandonare l’insegnamento di filosofia nel seminario, i problemi aumentarono con la salita al potere del fascismo. Il nuovo Regime, infatti, liquidò ben presto le Leghe del Lavoro, il Partito Popolare e le Casse Rurali. Capita così che il De Cordona, anche su invito dell’arcivescovo consentino mons. Roberto Nogara, abbandonò Cosenza; ritirandosi a Todi dove viveva fratello Ulisse.

“Nei confronti della Cassa Rurale federativa di Cosenza – osserva nel proprio citato saggio Luigi Intrieri – l’intervento del fascismo fu pesante: la banca d’Italia prima impedì la concessione di un prestito della Banca dell’Agricoltura negandole l’apertura di un’agenzia a Cosenza, infine infierì anche nella liquidazione estromettendo il comitato nominato regolarmente, dall’assemblea sociale”.

In un sol colpo, dunque, i contadini calabresi persero non solo un loro paladino nel mondo politico del tempo, ma anche quelle “Banche Rurali” e quella “Lega del Lavoro” che essendo state pensate dal basso avrebbero potuto rappresentare una positiva risposta ai loro problemi.

Francesco Rizza


Note

[1] Arturo Carlo Jemolo “Chiesa e Stato in Italia negli ultimi 100 anni”. Enaudi (To), 1948.

[2] Guido Varrucci “La Chiesa nella società contemporanea” Editori Laterza 1988.

[3] Saturnino Perri in “Saturnino Peri un vescovo incompreso (1909 1920)” di don Pietro Pontieri “Editoriale Paesi Silani” novembre 2008.

[4] Pietro Pontieri “Santi senza aureola. Ritratti di preti vissuti fra Jonio cosentino e Marchesato Crotonese”. Editoriale “Progetto 2000” Cosenza agosto 2004.

[5] Francesco Martino “Quando parli tu, o Signore” Edizioni Paoline Bari (1986).

[6] Il 28 giugno del 1943, Pio XII decreta l’unione della famiglia ardorina con la Congregazione dei “Pii Operai” del venerabile Carlo Caraffa”.

[7] padre Vincenzo Romano, O.P. “Don Gaetano Mauro fondatore dei Missionari Ardorini” (volume 1) Pubblisicula (Pa) maggio 2007

[8] mons. Gaetano Mauro bollettino “Sempre più in Alto”, giugno 1930

[9] Luigi Intrieri in “Don Carlo De Cardona e il Movimento delle Casse Rurali in Calabria”,l edito da “Effesette” Cosenza 1985.

[10] Don Carlo De Cardona in “Il Lavoro” del 17 febbraio 1906.

[11] Emanuela Catalucci in “Dizionario Biografico degli Italiani” Volume 33, (1987) Treccani editore.

[12] In “la Voce Cattolica” n°32 del 25 novembre 1902.


Pubblicato da Il Portale del Sud nel giugno 2012

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