Io sono un reduce della battaglia che si svolse a Cefalonia tra l’8 ed il 25 settembre 1943. Avevo 21 anni e prima avevo lavorato in campagna. Partii per la guerra il 1° luglio 1943, venni istruito radio-telegrafista,
perché nel mio paese della Lucania si parla albanese antico, che nemmeno gli albanesi veri capiscono: quello che dicevamo non poteva essere intercettato dagli Alleati. A Cefalonia all'inizio stavamo bene ed eravamo amici pure con i tedeschi.
Poi con la caduta del Duce avevamo sperato di tornare a casa, e l’8 settembre ancora di più. Ma il comando supremo si ritirò a Brindisi e mandava messaggi diversi e poi quello di non cedere le armi ai tedeschi.
Noi resistemmo, ma i tedeschi avevano gli Stukas, e ci fecero a pezzi, e fucilarono gli ufficiali, mentre Brindisi taceva ai nostri disperati appelli. Io mi salvai dalle mitraglie, ma la nave che mi portava in prigionia fu colpita da un sottomarino. Fui salvato dai greci e restai a lungo lì.
Io sono vissuto con il pentimento di non essere morto anch’io come i miei camerati. Adesso sono vecchio e stanco, non voglio discutere con chi non ha visto morire tutti intorno a se, senza un motivo,
perché non fu una guerra, quello fu invece un massacro.