L’avventura garibaldina aveva lasciato in Sicilia un clima di grande
conflittualità, di cui approfittarono, come al solito, i “nobilotti”
chiamati “cutrara”.
I
“cutrara” s’individuano negli approfittatori senza scrupoli ed in
coloro che si dividono la “coltre” del dominio con i loro maneggi
politici, che danno ricchezza e potere con il supporto della
delinquenza organizzata, che i piemontesi occupanti chiamarono “mafia”,
ma a cui si appoggiarono per mantenere un presunto ordine pubblico,
decretandone così un salto di qualità.
La
scintilla di quei moti popolari contro casa Savoia, che la storia
ufficiale ha deciso di ignorare, fu data dall’introduzione in
Sicilia della leva militare obbligatoria, la cui legge fu pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale del 30 giugno 1861. La norma, fin
dall’inizio fu irrisa dal popolo siciliano, che non era avvezzo a
questo arruolamento (che con i Borbone non esisteva), imposto da un
esercito straniero per servire un ideale completamente avulso dal
contesto isolano. Il servizio di leva, oltretutto, teneva lontani,
per 7 lunghi anni, tanti giovani siciliani dalle loro famiglie e
dalle loro terre, dalla cui coltivazione essi traevano il loro unico
sostentamento. Partendo i giovani, per le famiglie che rimanevano
era la fame e quindi la morte. Inoltre i figli dei ricchi “cutrara”
pagando erano esonerati dal servizio militare, venendosi così ad
instaurare un forte risentimento contro le classi privilegiate che
si erano appropriate di tutte le terre demaniali e della Chiesa.
Ne seguì
che quasi tutti i giovani chiamati alle armi furono costretti a
darsi alla macchia, preferendo alla coscrizione obbligatoria, la
vita da perseguitati sulle montagne che sovrastano Castellammare del
Golfo, piene di anfratti naturali e grotte. Ma non potendo vivere a
lungo nel freddo e nei disagi di una vita senza scopo e da
ricercati, i giovani renitenti alla leva, considerati
disertori, decisero di
inaugurare il 1862 insorgendo contro il vessatorio potere straniero.
Radunatisi, armati come capitava, nella contrada Fraginesi, a
sud-ovest dell’abitato di Castellammare, 400 giovani circa,
verso le 2 del pomeriggio del 2 gennaio
1862 entrarono senza paura in paese preceduti dai due
popolani Francesco Frazzitta e Vincenzo Chiofalo che portavano una
bandiera rossa che poi piantarono su un muro del corso principale,
indi assalirono l’abitazione di Bartolomeo Asaro che era il
Commissario di leva e del Comandante della Guardia Nazionale
Borruso: due emblemi dell’odiato governo che furono trucidati e le
loro case bruciate.
Ma la
furia vendicativa dei piemontesi non si fece attendere e l’indomani,
mentre un drappello di soldati si dirigeva verso Castellammare, due
navi da guerra sbarcarono al porto centinaia di bersaglieri che
diedero la caccia agli insorti mentre, dalle stesse navi, i cannoni
sparavano maggiormente verso la montagna sovrastante il paese.
Le truppe
regie, nei loro frenetici rastrellamenti riuscirono a trovare
soltanto in contrada “Villa Falconeria”, un gruppetto di gente che
si era ritirato in quella campagna forse per non trovarsi coinvolto
negli scontri che avvenivano in paese.
E qui i
bravi bersaglieri piemontesi, non avendo altri sottomano, adempirono
al loro “compito di giustizia” fucilando tutta quella gente, senza
processo e senza tanti complimenti.
Furono
uccise 7 persone:
-
Mariana Crociata
cieca, analfabeta, di anni 30;
-
Marco Randisi di
anni 45, storpio, bracciante agricolo, analfabeta;
-
Benedetto Palermo di
anni 46, sacerdote;
-
Angela Catalano
contadina, zoppa, analfabeta, di anni 50;
-
Angela Calamia di
anni 70, handicappata, analfabeta;
-
Antonino Corona,
handicappato di anni 70
e poi:
Contributo al sito del cav. Alfonso
Maria Cerrati
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