Un paese stanco e la Sicilia lo dimostra
di Antonio Casolaro
L’editoriale
del Portale del Sud di questo mese è pervenuto ad elezioni siciliane
terminate e risultati definitivi diffusi. Una prima considerazione che il
raffronto, tra quanto sottolineato nel saggio e quanto è emerso dalle urne,
induce a fare è l’ampia corrispondenza del risultato politicamente inteso
con l’analisi svolta nel documento in disamina.
Il 28 ottobre è stato presentato come un bivio, uno
spartiacque tra l’oscurantismo delle assemblee e degli esecutivi precedenti
ed il cambiamento che la Sicilia ha bisogno e chiedeva come chiede.
Non a caso e giustamente gli autori dell’editoriale si sono
soffermati all’inizio sui personaggi in gara per la prima poltrona del
palazzo dei Normanni di piazza Indipendenza a Palermo e le coalizioni che li
sostenevano.
Con ragione la domanda non era il riferimento come dire
ideologico, cui univa le alleanze: certo c’era anche quello. Tuttavia
sostanzialmente la richiesta assillante, quella legata al senso comune della
gente smarrita, indifesa ossia le centinaia e centinaia di migliaia di
persone, le quali oggi nel vero senso della parola non arrivano a fine mese,
o, e ce ne sono pure, e tante, non hanno i mezzi minimi per il sostentamento
quotidiano, era la risposta politica nella sua materialità, la polis come
arte del possibile, come capacità nell’amministrare la città, come fare,
come azione rivolta a tradurre in fatti, in percorsi materiali il
soddisfacimento dei bisogni delle comunità dell’Isola. Di qui il cambiamento
come ipostatizzazione concreta di una realtà.
Se ciò è vero, come credo che sia, la disputa tra gli uomini
non c’è stata perché per le cose già dette la stragrande maggioranza della
comunità siciliana non aveva, come tuttora non ha, alcuna fiducia dei volti
e dei personaggi presentati dai partiti tradizionali, i quali ed anche a
ragione forse sono stati identificati come i responsabili dello stallo,
dello squallore, della decadenza dell’isola.
Il lavoro, la rarefazione di esso che significa chiusura di
migliaia e migliaia di posti siano essi connessi alla liquidazione dello
stabilimento Fiat di Termini Imerese, per il quale il governo Berlusconi
aveva assicurato e strombazzato ipotesi d’acquisto da parte d’imprenditori,
rivelatisi incapaci di garantire il lavoro ai 930 ex dipendenti rimasti,
dopo che per 640 era stata decisa la soluzione della mobilità come
“accompagnamento” alla pensione. E poi la crisi della Fincantieri con la
paventata chiusura dei cantieri navali di Palermo ed il possibile
licenziamento di circa 500 lavoratori, e poi la Keller elettromeccanica di
Carini, la cui crisi si trascina ormai da quindici anni e poi l’agricoltura
ed i trasporti assurti agli “onori” della cronaca dall’inizio dell’anno con
le manifestazioni dei “forconi”. La Sicilia detiene insieme alla Calabria il
più alto tasso di disoccupati, che ormai ha raggiunto il 20% con un tragico
36% riferito ai giovani.
In questo contesto ha avuto buon gioco il fenomeno Grillo,
che già in altri territori del paese ha ricevuto e continua a raccogliere
consensi. E non è antipolitica la proposta di Grillo perché è partita da una
constatazione quale è quella che la classe dirigente di questo paese, quella
della cd seconda Repubblica nata dalle ceneri di quella della prima a
partire dal Piemonte e fino appunto alla Sicilia è letteralmente fallita.
Grillo propone la sostituzione totale della classe dirigente attuale e lo fa
presentando volti nuovi, uomini e donne della società civile del tutto
avulsi dalla degenerazione partitocratica, uomini e donne capaci ed
obbligati a rapportarsi in modo diretto con i referenti delle esigenze
quotidiane. Si potrà dire e giustamente come si legge nell’editoriale, ma
qual è il programma di Grillo, quali sono le risposte ai problemi più
pressanti ed eclatanti che investono il paese e nel caso in disamina la
Sicilia ? Grillo auspica la costruzione del/dei programma attraverso
l’inchiesta che il movimento dei grillini e gli eletti nelle istituzioni
possono comporre. Programmi che proprio perché prodotti dalla base possono
essere dialettizzati in modo continuo e quindi controllati fino alla fine.
Questa è la strada del successo delle sue liste, le quali secondo l’Istituto
Cattaneo di Bologna hanno ricevuto parecchi voti da elettori di sx, i quali
non credono o non hanno più creduto alle logiche del PD, di SEL ed altri.
L’altra opzione era l’astensione. Si sa che il non votare è
anch’esso un modo di esprimersi. Per molti aspetti il non votare è un
incrocio tra la nausea del presente e stare alla finestra in attesa di nuovi
referenti convincenti, capaci cioè di provocare interesse e partecipazione.
Tra gli attendisti interessante è stato il dato che emerge dalla lettura del
servizio apparso oggi 2 novembre sull’Espresso e cioè che i mafiosi non
avendo alcun candidato “loro” hanno deciso di disertare le urne. La mafia è
in fase di studio e di attesa pronta a collegarsi con chi accetterà o
chiederà i suoi servigi. Certamente avrà salutato con soddisfazione la
decisione del governo di prolungare per altri due anni di vita il progetto
del Ponte sullo Stretto, che era stato cancellato nella legge di stabilità:
misteri della politica! Certo, ma di quale politica si chiederanno parecchi
aderenti e sostenitori del movimento 5 stelle e di tanti disertori delle
urne? Ecco una conferma delle loro scelte ed un ulteriore allargamento della
distanza con i partiti di dx o di sx che siano !
Ma il 28 ottobre è stata una sorta di coeva ritirata della
Beresina (il 26 novembre prossimo ricorre il 200° anno) di “Napoleone” da
Arcore e del suo stato maggiore a cominciare da “Angelino ed i suoi
strumenti”. Mai sconfitta più cocente e terribilmente vasta è stata quella
sofferta dal PdL in tutte le sue versioni ed articolazioni. Un partito
costituito da “un coacervo di satrapi senza eserciti, che gestiscono il
partito nel territorio a proprio uso e consumo” lo ha definito il Presidente
Regionale Sicilia Occidentale di Giovane Italia. Un partito che non poteva
esorcizzare anche al tifoso più accanito la deriva provocata dagli scandali
in Lombardia, nel Lazio e nel Piemonte, ma anche le faide interne tra le
correnti.
Il 61 a 0 del 2001 ormai appartiene al ricordo, farà parte
senz’altro dei libri di storia della politica siciliana – certo da citare
con poco entusiasmo se messo in relazione all’uso che ne è stato fatto ed i
risultati sono sotto gli occhi di tutti e tutte – un accenno appunto
unidimensionale di alcuna caratura positiva.
La vittoria di Crocetta ha dato nuovo ossigeno alla
coalizione PD-UDC, che in questo risultato intende insistere e costruire
l’alleanza per le politiche nazionali di aprile prossimo. I numeri a Palazzo
dei Normanni non ci sono per una navigazione serena e senza condizionamenti,
ma è anche vero che il 70% dell’elettorato che si è espresso per il
Movimento 5 stelle e per l’astensione è pronto ad esercitare tutte le sue
prerogative di controllo ed intervento, motivo per cui non sarà facile
praticare una opposizione distruttiva del tanto peggio per il tanto meglio
per chi lo produrrebbe. E’ anche vero che le esangui finanze del governo
Monti poco potranno per venire incontro al disastro del bilancio della
Regione Autonoma Siciliana, tuttavia la politica è anche fantasia e
creatività, e ad esse bisognerà fare spesso appello.
La svolta siciliana si riverberà nella politica nazionale ?
Determinerà spostamenti così profondi negli assetti dei partiti maggiori del
paese ? E’ una sorta di fiume carsico quello che si muove nel mondo della
politica del paese. Il suo emergere potrebbe cambiare la geografia dei
partiti con tutte le conseguenze che ne deriverebbero. Una cosa è certa: il
voto siciliano ha detto che il paese non ne può più!
Antonio Casolaro - Caserta
2
novembre 2012 |