Cielo d’Irlanda
di Antonio Casolaro
Cielo d’Irlanda,
canta una impegnata pop star italiana e ti ricorda che si può
essere indipendenti ed avere successo; che la propria autonomia talvolta
deve soccombere alle mafie dello spettacolo e del circo Barnum della TV.
C’è un’analogia, un’assonanza, un possibile paragone con la
libertà delle scelte, dell’impegno nel sociale, del non cedere nulla delle
proprie convinzioni, ma soprattutto della verità attuale quella non filtrata
dal palazzo e dai suoi lacchè, e l’articolo “Cieli
d’autunno” che “Il Portale” ha postato per Ottobre. La storia, il
racconto dell’”editoriale” ti induce a non confonderti con il traffico
anonimo senza meta che mezzo paese segue insieme ai suoi cantori e
saltimbanchi. Questo percorso è esaltato perché chi lo sceglie, chi
s’incolonna nella sua moltitudine non vuol essere individuato: c’è anche
questo purtroppo!
È tutto vero quello che è stato scritto nell’editoriale
richiamato. Questo paese pur in possesso degli strumenti della critica
sembra annebbiato dal nirvana dell’ultimo giocoliere, del fregoli del XXI
secolo, del re mida delle cialtronerie, quello che sarebbe capace, come ha
fatto fino ad ora, di vendere pezzi di vetro colorato per rubini, diamanti e
zaffiri. Quello del domani non si paga e giù le tasse all’impresa
innanzitutto ed intanto il debito e lo spread salivano (l’11 novembre 2011
quando fu costretto ad andarsene in modo poco decente lo spread, il
maledetto spread la croce e la delizia del paese era salito a 575 punti).
Quello che secondo l’Economist nel commentare la recente decisione del
tribunale di Milano di respingere il ricorso in appello prodotto dal “ghe
pensi mi” ha concluso che “In tutti gli anni in cui il nostro è stato
al potere, l’economia italiana è cresciuta più lentamente di qualsiasi altro
paese del mondo eccetto la Libia e lo Zimbabwe”.
Quello che riempirebbe le già delegittimate istituzioni a
tutti i livelli di sale da divertimento con formose e disponibili belle
figlie pagate a seconda delle prestazioni dall’erario per intrattenere ormai
impresentabili “rappresentanti” del popolo più propensi ed inclini a
baccanali da postriboli della Napoli delle signorine, del capitolo della
“Vergine” di Malaparte, della Napoli che tuttavia è stata la prima città
libera d’Europa e la sola che ha avuto la decenza di liberarsi da sola e
proprio in questi giorni (27-30 settembre 1943) ricorre il 69° anno delle
“Quattro giornate”.
Che fare di fronte a questa deriva? Qui sta il busillis.
Letino è un paese dell’alto Matese casertano a 1050 mt sul
l.m. Letino è ricordato tra l’altro perché l’8 aprile 1877 Carlo Cafiero ed
Enrico Malatesta insieme ad altri internazionalisti entrarono in armi nel
paese, dichiarando decaduta la monarchia sabauda. Gli anarchici, perché di
anarchici si trattava distrussero i ritratti di Vittorio Emanuele, dando
alle fiamme, tra il giubilo degli abitanti di Letino, sia i registri fiscali
che tutte le carte dell’archivio comunale. Vennero distrutti i titoli di
proprietà (catasto, ipoteche, gravami a favore della Chiesa) e ufficialmente
fu proclamata la rivoluzione sociale.
Dopo le operazioni di distruzione descritte il popolo
letinese chiese ai rivoluzionari di completare l’opera iniziata confiscando
le terre e ridistribuendole.
Ma Malatesta, a nome della Banda, rifiutò decisamente perché
i contadini dovevano imparare a far da soli, sfruttando le loro forze ed
aggiunse: “I fucili e le scuri ve li aviamo dati, i
coltelli li avite – se vulite facite e si no, vi futtite.”
Ecco a me pare che le parole di Malatesta non hanno tempo,
nel senso che i cittadini e le cittadine di questo paese hanno visto e
verificato in quale stato di decadenza il paese è precipitato, per cui
hanno tutti gli strumenti per liberarsi. Mai come oggi è giusto concludere
“se vulite facite e si no, vi futtite”: Letino conta poco più di
ottocento abitanti eppure ci sono via Carlo Cafiero e via Enrico Malatesta.
Antonio Casolaro - Caserta
2
ottobre 2012 |