Una
ripresa, se ci sarà, tutta a carico delle masse popolari
altro che professori, dignitari di coorte ed apprendisti stregoni...
di Antonio Casolaro
Il
fondo
di questo mese del “Portale del Sud” affronta con precisione e chiarezza
i punti nevralgici della Società umana. Solidarietà ed uguaglianza sociale
sono quelli con i quali il consesso umano può sviluppare la propria
emancipazione, pena la barbarie in cui si dibatte.
Giustamente gli autori de “L’umanità ed il socialismo” individuano nella
ragione la forza ispiratrice e regolatrice del processo accennato
all’inizio.
Cade
a proposito quest’anno l’anniversario del 250° della pubblicazione del
Contrat Social di Jean-Jacques Rousseau subito messo all’indice, come si
ricorda, dal Piccolo Consiglio che governava la città di Ginevra perché le
sue teorie furono considerate “temerarie, scandalose ed empie: tese a
distruggere la religione cristiana e ogni governo” sol perché in effetti
J.J. propose e postulò il primato “della ragione e dell’interesse comune”.
Tuttavia ben presto l’autore anche dell’Emilio si rese conto
che la volontà generale se pur “retta e tesa alla pubblica utilità” e quindi
proprio per questi motivi “sempre costante, inalterabile e pura” sul piano
pratico sarà ammutolita dai particolarismi esercitati nelle assemblee, per
cui l’interesse del popolo è e sarà del tutto disatteso e dirottato.
Emerge da questa constatazione il problema politico che poi in Marx troverà
sostanziale compiutezza e cioè che la forma politica realmente democratica e
quindi concretamente rivolta al superamento delle disuguaglianze sociali
risiede nel cambiamento della struttura sociale della società. Il grande
vecchio nella “Questione ebraica” rileva che la costituzione giacobina del
1793 aboliva la proprietà privata annullando il censo come distinzione nel
diritto di eleggere ed essere eletti, ma la discriminazione tra cittadini
con o senza censo, che non avviene più a livello della società politica dove
in via formale tutti sono uguali, si riproduce a livello della società
civile ossia nella realtà sociale.
A
partire dalla seconda metà del XIX secolo come già osservano gli autori di
“Umanità e Socialismo” si sono contrapposte due ideologie: quella liberista
e quella socialista. La prima con “l’esperimento profano” come ha chiamato
di recente Rita di Leo (Ed. Ediesse 2012) il tentativo di dar corso alla
costruzione della società degli eguali, conclusosi in buona sostanza nel
1991 con il totale fallimento dell’esperimento iniziato nell’ottobre del
’17, ha di fatto imposto il suo credo basato sul mercato e sull’egemonia del
privato.
I
risultati della supremazia del liberismo sono sotto gli occhi di tutti a
cominciare tra i tanti esempi quello conseguente alla decisione del Giappone
di chiudere l’ultimo reattore nucleare, quasi come risposta all’apologia
dell’uranio apparsa sul Messaggero di Roma il giorno dopo il terremoto del
12 marzo 2011 che aveva colpito la centrale di Fukushima. Dalle 23 del 5
maggio 2012 il Giappone ha abbandonato il credo dell’atomo buono e produce
l’elettricità solo con le centrali tradizionali.
Ma è
tutta l’impostazione liberista che fa acqua da tutte le parti. E ciò, come
giustamente si sottolinea nell’editoriale del “Portale”, perché gli uomini e
le donne del pianeta terra – i sette miliardi di persone – sono strumento e
attori derivati del primato dello sviluppo del profitto, mentre nella
concezione “dell’ a ciascuno secondo i propri bisogni” l’umanità assume il
ruolo centrale del progredire della società.
Non
è quindi per nulla giustificabile, è fuori da ogni concezione politica, nel
suo significato nobile dell’Agorà, che pone al centro del proprio cammino
l’emancipazione della persona umana, il rispetto dell’ambiente e quindi
delle foreste, dei mari, dei fiumi, degli animali (quello che non ha capito
l’attuale re di Spagna) assistere incapaci, ma soprattutto inerti,
insensibili alla distruzione del pianeta terra nel nome dell’individualismo
sfrenato come quello perseguito negli ultimi trent’anni e che ha prodotto le
diseguaglianze più estreme e dolorose che sono all’origine dei suicidi che
si succedono quasi quotidianamente nei paesi più colpiti dalla crisi in atto
a cominciare da Grecia, Italia, Spagna e Portogallo tanto per limitarci
all’Europa.
Nel
nostro paese la scelta liberista nelle sue versioni cd moderata del csx di
Prodi e discepoli successivi ed in quella violenta del “teatro burlesque” di
Arcore ha prodotto essenzialmente ricchi e super-ricchi a spese delle masse
popolari. La prova di ciò sta nel coefficiente di Gini che è la principale
misura di sbandamento statistico ed è generalmente utilizzato per misurare
il grado di disparità, di disuguaglianza o forte concentrazione per
indicatori quali reddito, benessere, voci di spesa.
Il
coefficiente di Gini può variare tra 0 a 1. Quanto più si avvicina allo 0
maggiore è la tendenza all’equidistribuzione, mentre di contro valori che si
avvicinano a 1 denunciano distribuzioni diseguali.
L’Italia secondo un dato del 2008 ricavato da Human Development Reports
dello UNDP (Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo) raggiungeva un
indice dello 0,36 che risultava più alto rispetto allo 0,33 del 2005, anno
in cui l’Italia si collocava al 37mo posto dopo la Grecia e prima della
Moldavia, lontanissima dallo 0,23 della Svezia.
Così
stanno le cose ed i risultati che usciranno fuori dalle urne francesi,
greche od italiane potranno forse mitigare gli eccessi della cancelliera
d’acciaio, dopo quelli introdotti dalla lady di ferro anche se Holland ha
rassicurato la Merkel sul Fiscal compact, che è e resta la discriminante
insuperabile per il superamento della crisi. Infatti come ha affermato di
recente l’economista e premio Nobel Paul Krugman inserire nelle
Costituzioni, come prevede uno dei 16 articoli del Trattato sulla Stabilità
sottoscritto dagli stati membri dell’Unione Europea il 2 marzo scorso, il
vincolo di pareggio del bilancio vuol dire con molta probabilità portare
alla dissoluzione dello stato sociale.
E’
chiaro in conclusione che non ci saranno l’equa distribuzione del reddito
prodotto, l’assoggettamento delle ricchezze ad un fisco progressivo, la
rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la
libertà e l’eguaglianza dei cittadini come recita nel nostro paese l’art.3
della Costituzione, fino a quando non saranno recuperati innanzitutto i
principi solidaristici e la futura umanità dell’Internazionale. Principi del
tutto assenti nell’alternarsi dei governi degli ultimi trent’anni del
Belpaese tutti folgorati chi in maggior misura chi in maniera come dire più
soft, ma tutti funzionali alla nirvana della “bellezza del privato” a
cominciare dalla svendita decisa il 2 giugno 1992 sul panfilo Britannia di
proprietà della Regina Elisabetta allorquando furono privatizzate a prezzi
stracciati peraltro la SIP, le Autostrade, l’ENI, le Ferrovie dello Stato,
le Poste ed addirittura la Banca d’Italia. La SIP è diventata Telecon, le
Poste sono diventate Poste Italiane, le Ferrovie sono diventate Trenitalia e
così via con l’aggravante però che le spese più imponenti continuano ad
essere a carico dei contribuenti italiani perché se ne fa carico lo Stato
italiano come il buco di bilancio di Trenitalia, mentre gli utili se li
dividono i nuovi proprietari.
Se è
possibile esprimere una disinteressata considerazione ha molto deluso la
capacità dei professori bocconiani. Alle Università private continuiamo a
preferire quelle pubbliche dove è ancora possibile incontrare i figli dei
borghesi e quelli dei proletari.
06
maggio 2012
Antonio Casolaro - Caserta
|