Proponiamo, come commento, un articolo di Andrea Camilleri apparso su
LIMES di febbraio 2006
Camilleri: dietro la nuova filibusta, il solito
virus fascista
Il narratore
siciliano rilegge l’ultimo libro del procuratore Caselli
Nel 1945, che
era appena finita la guerra, mi capitò di leggere su una delle prime
riviste politico-culturali dell’epoca un lungo articolo di un importante
giornalista politico inglese, Herbert Matthews.
Nell’articolo, che si intitolava “Non l’avete ucciso” ed era rivolto
agli italiani, si
sosteneva
che tutti coloro che credevano esser finito il fascismo con l’uccisione
di Mussolini e dei suoi gerarchi si sbagliavano di grosso, in quanto il
fascismo era stato un virus oltretutto mutante iniettato nelle nostre
vene e del quale per decenni e decenni saremmo stati affetti. Allora
avevo vent’anni e quella tesi mi sembrò non pessimistica, ma addirittura
errata. Oggi, a ottant’anni compiuti, quella tesi non solo mi appare del
tutto condivisibile, ma addirittura mi fa credere che quel virus non sia
mai stato iniettato nelle nostre vene, c’era già, latente e che il
fascismo l’abbia solo reso attivo.
Negli anni
che vennero dopo, segnati dal predominio della Democrazia Cristiana, il
virus ebbe fasi alterne, conobbe epifanie e eclissi apparenti.
Un’epifania
esemplare fu il lungo esercizio della censura culturale in campo
cinematografico e teatrale e io non posso dimenticare il visto
d’ingresso negato al Berliner di Brecht, la proibizione dell’Arialda di
Testori o della Governante di Brancati, e di decine di altre opere
teatrali, l’ostracismo e gli attacchi alla Terra trema di Visconti e ad
altri film… Potrei continuare per ore. Per fatto personale: mi venne
proibita, alla vigilia dell’andata in scena, la rappresentazione del
Pellicano di un classico come Strindberg perché “opera contraria ai
principi cristiani della famiglia”.
E non
parliamo di come il virus si manifestò in tutta la sua virulenza
all’apparire della televisione. Ma l’infezione era evidente anche in
quel principio “o con noi o contro di noi”, in quel clima di guerra
santa contro il comunismo, che durante il periodo del potere
democristiano e dei suoi alleati regolò promozioni, avanzamenti di
carriera, prebende, ostracismi, esclusioni, arricchimenti illeciti, voti
di scambio, l’ingresso della mafia nella politica, uso politico dei
processi (uno per tutti, il caso Montesi) e via di questo passo.
Con Mani
pulite pensammo che la profezia di Matthews avesse trovato fine. Ci
illudevamo ancora una volta. In questi ultimissimi anni il virus mutante
è tornato ad esplodere. E non tanto perché i postfascisti facciano parte
del governo assieme ai cripto fascisti inconsapevoli padani col loro
celodurismo, col loro razzismo, con le loro manifestazioni
d’intolleranza da fascismo di strapaese. No. Dietro lo schermo del
rinnovamento e delle riforme si sta consumando il più esplicito attacco
di stampo fascista alle istituzioni che reggono e formano uno stato
democratico. Dalla stessa costituzione alla scuola, dal federalismo
trasformato in devolution alle leggi sul lavoro, dalla libertà di stampa
alla giustizia, non c’è stato un elemento costitutivo di uno Stato
democratico, uno solo, che non sia stato stravolto in un’ottica
sostanzialmente antidemocratica.
E poiché
siamo qui per parlare del libro di un alto magistrato, che si
autodefinisce fuorilegge in quanto messo fuori con apposita legge, mi
soffermerò su quello che a me, semplice cittadino, appare sia successo,
e ancora succede, nel campo della giustizia.
Quando il
fascismo, quello di Mussolini per intenderci, chiese il giuramento di
fedeltà al partito, non allo Stato, intendiamoci bene, tutti, magistrati
e docenti universitari, professori e impiegati, giurarono senza batter
ciglio. Solo dodici si rifiutarono e vennero allontanati dagli
incarichi. Persero il posto, ma salvarono la loro dignità e, in minima
parte, anche quella nostra.
Con la
democrazia cristiana e alleati alla giustizia si chiese e si ottenne una
sorta di allineamento quasi totale, una tacita acquiescenza, pena
rivalse, rappresaglie, trasferimenti, ostacoli alla carriera. Del resto,
il codice Rocco, quello fascista, non era stato abolito, se ne era
modificato solo qualche articolo. E così venne l’epoca degli
insabbiamenti, del porto delle nebbie, oppure dei processi di comodo.
Cominciarono
a reagire i cosiddetti pretori d’assalto, ve li ricordate?
Poi esplose
Mani pulite. A mio parere, Mani pulite non fu la rivincita della
magistratura contro la politica, ma semplicemente capitò che la politica
cominciò a scricchiolare, a traballare paurosamente sotto il peso della
sua stessa corruzione e la magistratura si venne a trovare nella
situazione di poter finalmente fare quello che non aveva potuto fare
tanto tempo prima.
Cioè,
semplicemente, il suo dovere. E quel semplice fare, dopo anni e anni di
totale non fare, ci sembrò addirittura una mezza rivoluzione. E non lo
era, era, semmai, un ritorno alla normalità. Che durò assai poco, perché
dalle sue stesse ceneri il peggio della prima repubblica rinacque come
la Fenice, stavolta travestita coi panni della filibusta, secondo
l’appropriata definizione del professor Cordero. Ed è inutile elencare
quali antileggi possa escogitare la testa di un capo della filibusta che
ha sempre navigato border line per favorire se stesso e i suoi. Ed è
stato un crescendo, dalla legge sul falso in bilancio al legittimo
sospetto, dalla Cirielli all’accorciamento dei termini di prescrizione
alla legittima difesa, tutte leggi ad personam, in un perfetto stile
fascista.
Si è fatta
una legge apposita, su misura, contro un magistrato per escluderlo da un
concorso che avrebbe sicuramente vinto. Il relatore, tale Bobbio (al
quale non dovrebbe esser consentito di portar quel cognome che fu di
Norberto), postfascista, ex magistrato, ha esplicitamente dichiarato che
la legge era fatta per escludere quel magistrato. L’incarico in concorso
era quello di capo dell’antimafia e Caselli quindi non era l’uomo
adatto.
Sinceramente,
trovo corretta la posizione di Bobbio, che non solo è la cinghia di
trasmissione del capo filibusta, ma, secondo ultimissime risultanze
dell’altrieri, sarebbe stato interessato in prima persona, in quanto,
secondo l’atto d’accusa del procuratore generale di Napoli, quando era
pm alla Dda, avrebbe compiuto una serie di omissioni nelle indagini su
alcuni clan camorristici, al punto tale, scrive il procuratore generale
Galgano, che “è possibile ravvisare, senza impegno di fantasia e senza
ricorso a strumenti logici e giuridici sofisticati, i possibili estremi
di numerose fattispecie criminose”.
Perché chi fa
volute omissioni nelle indagini su clan camorristici o chi ha come
fraterno amico e collaboratore d’affari un uomo condannato, sia pure non
definitivamente, per collusioni mafiose, chi inoltre si è tenuto in casa
un mafioso e con lui quotidianamente ha praticato, è inevitabile che
della mafia e della camorra abbiano una visione leggermente diversa da
chi la delinquenza organizzata l’ha severamente combattuta e senza fare
proclami, ma fatti.
Insomma, cosa
deve scontare Caselli? Il suo rigore, la sua onestà, il suo coraggio, il
suo senso morale, la sua fedeltà alle leggi e allo Stato, la sua
intransigenza? Tutte cose che una volta da qualche parte furono di segno
positivo ed oggi invece vengono giudicate, nella migliore delle ipotesi,
cose d’antiquariato e, nella peggiore, come fanatismo, parzialità,
partito preso.
E così si
spiega come Caselli, per la filibusta, rappresenti un vero e proprio
pericolo. E si deve quindi tentare non solo di escluderlo dai posti dove
possa in qualche modo tirar fuori le sue qualità, ma anche colpendolo in
quanto giudice guidato, secondo loro, non dal codice, ma da un’idea
politica.
Valga per
tutti la trista faccenda del processo Andreotti.
Tra
parentesi, credo che Caselli stia pagando anche per quel processo. Mi
pare che dalla sentenza della Cassazione emerga in tutta chiarezza che
“l’autentica, stabile ed amichevole disponibilità dell’imputato verso i
mafiosi non si sia protratta oltre la primavera del 1980”. Ergo,
Andreotti è stato amico autentico, stabile e disponibile dei mafiosi,
almeno nel decennio precedente.
Avete mai
fatto il conto di quante persone sono state ammazzate in Sicilia dalla
mafia in quel decennio? Avete mai fatto mente locale sul fatto che
Andreotti era stato avvertito dal mafioso Bontade in persona che
Piersanti Mattarella, democristiano e presidente della regione Sicilia,
non la finiva con la lotta alla mafia, andava incontro alla morte? Avete
mai fatto mente locale che Mattarella venne ammazzato il 6 gennaio 1980?
Vale a dire quando ancora Andreotti era con la mafia in amichevoli e
disponibili rapporti? Avete mai fatto mente locale che il Presidente
Andreotti non avvertì né Mattarella né un qualsiasi maresciallo dei
carabinieri di quella morte annunciata? Avete mai fatto mente locale su
cosa significhi questo rapporto tra un Presidente del consiglio e un
mafioso pluriomicida? Quanto sia devastante?
Poiché siamo
di memoria corta, faccio qualche nome: Mauro De Mauro, giornalista de
L’Ora; Pietro Scaglione, Procuratore capo di Palermo; Giuseppe Russo,
l’ufficiale dei carabinieri che indagava sul caso De Mauro; Mario
Francese, cronista giudiziario del Giornale di Sicilia; Michele Reina,
segretario della Dc di Palermo; Boris Giuliano, capo della squadra
mobile di Palermo; Cesare Terranova, magistrato. Mi fermo qui per non
tediarvi.
Ma su tutto
ciò, vale a dire l’associazione per delinquere, reato che la sentenza
dice “commesso”, è caduta la prescrizione. Per quello che riguarda
l’attività successiva, Andreotti è stato assolto in base a un articolo
sostitutivo di quello sull’insufficienza di prove. Immediatamente questa
sentenza è stata stravolta, per i giornali e le Tv il senatore è stato
semplicemente “assolto”, qualcuno ha detto che gli è stato restituito
l’onore e tanti altri hanno affermato che avendo Caselli sbagliato,
avrebbe dovuto pagare per l’errore. I media, insomma, ancora una volta
hanno dimostrato di essersi trasformati da fabbriche del consenso in
fabbriche del credere. E infatti a Caselli gliela hanno fatto pagare. E
hanno voluto impedire che facesse qualche altro “errore” come quello
fatto con Andreotti.
In
conclusione, cos’è questo libro di Caselli? Il suo valore è quello di
non essere né un lacrimoso cahier de doléance né un’invettiva, ma una
oggettiva, equilibrata esposizione dei fatti.
Ma l’ultimo
capitolo, quello intitolato Orgoglio e gratitudine, va letto da chi alla
filibusta non appartiene proprio con l’orgoglio da italiani di avere
ancora dei magistrati come lui e con la gratitudine, sempre da italiani,
per l’esempio che egli ci ha dato e continua a darci di un fermo agire
secondo l’autonomia, l’indipendenza, la libertà di giudizio, e senza mai
timore di entrare in rotta di collisione con il potere corrotto. Con
persone come lui, si può finalmente cominciare a pensare di poterlo
finalmente uccidere, il fascismo.
Gian Carlo
Caselli, Un magistrato fuori legge pp. 120 € 10,00
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