Le Pagine di Storia

Carlo Pisacane

un illuso, un anarchico o un patriota del Risorgimento?

di Giuseppe Osvaldo Lucera

 

Durante la prima metà degli anni ’80 del secolo breve, dopo aver inalato per anni la retorica risorgimentale, m’imbattei nel testo di Antonio Gramsci dedicato al Risorgimento. Dopo quella lettura, e la successiva, dedicata alla questione meridionale, capii che avevo perso il mio tempo, forse quello migliore. Ma il vero giro di boa si compie quando, su di una bancarella “semi-movente”, in una nebbiosa Milano, nel 1984, per poche lire, comprai il testo di Antonio Lucarelli sul Sergente Romano. Poi venne Molfese, poi Pedìo, poi Soccio e via via tutti gli altri non meno importanti dei primi. Quindi la verità era un’altra? E gli anni di scuola? E i monumenti? Le strade? I sussidiari? Ricordo che il mio aveva sulla pagina di sinistra un disegno che raffigurava Garibaldi e su quella di destra uno che raffigurava Vittorio Emanuele II, in mezzo il titolo del capitolo: Il braccio e la mente. Di colpo tutto era diventato carta straccia.

A conti fatti, però, la mia non fu una delusione, ma dette il via alla molla nascosta della voglia di capire e di conoscere. Ho girato archivi; letto sentenze; studiato libri; interpretato relazioni e consultato uomini di chiara ispirazione liberal-borghese e veri interpretti di quello che oggi chiamano “revisionismo” storico. Sull’invalso uso di questo termine avrei da aggiungere che richiama un chiaro significato negativo ed una chiara accezione semantica di tutto rispetto per chi la storia l’ha sempre manipolata: si revisiona un principio per crearne un altro, ma non si revisione una bugia: quest’ultima dev’essere solo cancellata.

All’inizio del Terzo millennio, dopo tanto penare, decisi di scrivere di brigantaggio e decisi di partire da Josè Borgès, da uno che aveva tentato di sollevare le popolazioni del Meridione, ormai sottomesse dai savojardi. Fu a questo punto che decisi di fare dei paragoni o parallelismi storici tra coloro che quell’impresa l’avevano realmente attuata, o soltanto iniziata, ed il povero catalano. In questo modo mi ritrovai di fronte Carlo Pisacane, già oggetto dei miei studi giovanili e del quale conservavo un ricordo romantico, perdente, decadente, scapigliato, di uno che aveva avuto il coraggio di un folle e la forza che solo una nuova verità può e sa elargire. Mi rilessi il Saggio sulla rivoluzione e il suo testamento politico; rividi i rapporti che ebbe con tutto quel mondo rivoluzionario che stava mettendo le prime radici in terra europea e mi soffermai sulla sua famosissima frase relativa al valore della proprietà, la quale non doveva essere soltanto abolita, ma “dalla legge fulminata come furto”. In lui ho rivisto alcuni concetti e valori rivoluzionari presenti in Ernesto Che Guevara, quando quest’ultimo parlava dei cosiddetti “acceleratori rivoluzionari” e che Pisacane indicava come l’evento scatenante della vittoriosa rivolta dei contadini. Ecco, questo è un altro elemento catalizzante del Pisacane, senza del quale tutto sarebbe stato inutile. Il popolo, i contadini e le ingiustizie su di essi perpetrate per secoli, rappresentava l’elemento rivoluzionario scatenante. Un “acceleratore rivoluzionario” di enorme portata e di dimensioni considerevoli, mai considerato dal Mazzini. E così, ripercorrendo i miei stessi passi “giovanili”, mi sono imbattuto di nuovo sui suoi giudizi sulla dinastia di casa Savoia e di quella che governava mezza Italia del nord, come pure sul regime “paternalistico” dei Borbone che non aveva nulla da invidiare, in senso negativo, a quello cosiddetto “costituzionale” dei Savoia.

Il suo senso dello Stato, repubblicano prima ed anarchico poi, traspare chiaramente da tutti i suoi scritti, come pure dalle sue azioni compiute. Per esempio si arruolò nella Legione Straniera per capire come funzionava la guerriglia, la lotta di liberazione di un popolo nei confronti di un altro che opprime. Si arruolò per carpire i meccanismi, le strategie e la metodica. E da iniziale amico di Mazzini, ai tempi della Repubblica Romana, ideologicamente e politicamente, aveva già compiuto passi da gigante verso una visione più radicale e più definitiva per risolvere i problemi della plebe, del popolo, di coloro che nulla hanno. Mazzini continuava a spedire i suoi giovani in azioni suicide, mentre lui pianificava già la liberazione della sua Patria.

Piaccia o non piaccia, ma per chi fa politica o si occupa di storia. occorre ammettere due valori inamovibili e incorruttibili: il rispetto dell’avversario e la considerazione dell’esistenza di altre persone che non la pensano al tuo stesso modo. Il sud, il Regno delle Due Sicilie, per Pisacane, era uno stato da liberare, ma non per regalarlo al primo monarca di turno, ma per istituirvi una repubblica, anche se in cuor suo sognava un governo di tipo anarchico. In ciò, checché ne dicano gli storici “salariati” si discostava nettamente da Mazzini e dai valori vincenti di quel periodo. Così pure la teoria del dare l’esempio anche nella convinzione di fallire (così cara a Mazzini, tanto erano gli altri a morire) non era un suo credo assoluto. Infatti, quando sbarcò a Sapri e non vide le masse ad incoraggiarlo, non pensò all’esempio, ma capì che il popolo non era pronto per ciò che lui si era sacrificato e cercò in tutti i modi possibili per ritornare indietro, cosa che non accadde.

Rileggendo e studiando di nuovo capii che c’era un legame tra questo strano eroe risorgimentale e i briganti del dopo Unità. Molti valori erano comuni, come ad esempio il riscatto del popolo, il valore del ribellismo contadino, la distribuzione delle terre e l’eliminazione dei privilegi, anche se altri valori contrastavano nella forma, nella configurazione del potere, ma non nel risultato ultimo da ottenere. Eppure … eppure i briganti furono considerati dei delinquenti da quello stesso regime che prese Pisacane e lo inviò, di sana pianta, nel Pantheon degli eroi della Patria, consumando di fatto un enorme falso storico.

Pisacane fu un illuso per i tempi in cui visse, che non consentivano ancora balzi in avanti della portata delle sue idee; fu un anarchico poiché non credeva nelle forme di governo o nelle forme statuali che il suo tempo gli mostrava e non fu mai un patriota risorgimentale, ma dovrebbe essere ascritto tra coloro, utopici quanto si vuole, che combatterono per la libertà del popolo nel suo insieme.

La sua presenza nei libri di storia risorgimentale è una presenza anomala, strumentale, finalizzata a cooptare tra le fila di quegli eroi, anche coloro che, per altri scopi ed altre conquiste da fare, si mossero su quel terreno, in quello specifico lasso di tempo. Il suo posto e nell’enciclopedia dei rivoluzionari e non tra un Garibaldi negriero, un Cavour schizofrenico, un Mazzini divoratore dei propri figli e un Cialdini assassino e feroce razzista come il tanto amato Bixio.

Un aspetto, però, va comunque evidenziato: Pisacane era un meridionale, mentre gli altri provenivano da dove il male alberga: al nord.

Giuseppe Osvaldo Lucera

Agosto 2010

Centro Culturale e di Studi Storici "Brigantino- il Portale del Sud" - Napoli e Palermo admin@ilportaledelsud.org ®copyright 2010: tutti i diritti riservati. Webmaster: Brigantino.

Sito derattizzato e debossizzato