Durante la prima metà degli anni ’80 del secolo breve,
dopo aver inalato per anni la retorica risorgimentale, m’imbattei nel testo
di Antonio Gramsci dedicato al Risorgimento. Dopo quella lettura, e la
successiva, dedicata alla questione meridionale, capii che avevo perso il
mio tempo, forse quello migliore. Ma il vero giro di boa si compie quando,
su di una bancarella “semi-movente”, in una nebbiosa Milano, nel 1984, per
poche lire, comprai il testo di Antonio Lucarelli sul Sergente Romano. Poi
venne Molfese, poi Pedìo, poi Soccio e via via tutti gli altri non meno
importanti dei primi. Quindi la verità era un’altra? E gli anni di scuola? E
i monumenti? Le strade? I sussidiari? Ricordo che il mio aveva sulla pagina
di sinistra un disegno che raffigurava Garibaldi e su quella di destra uno
che raffigurava Vittorio Emanuele II, in mezzo il titolo del capitolo: Il
braccio e la mente. Di colpo tutto era diventato carta straccia.
A conti fatti, però, la mia non fu una delusione, ma
dette il via alla molla nascosta della voglia di capire e di conoscere. Ho
girato archivi; letto sentenze; studiato libri; interpretato relazioni e
consultato uomini di chiara ispirazione liberal-borghese e veri interpretti
di quello che oggi chiamano “revisionismo” storico. Sull’invalso uso di
questo termine avrei da aggiungere che richiama un chiaro significato
negativo ed una chiara accezione semantica di tutto rispetto per chi la
storia l’ha sempre manipolata: si revisiona un principio per crearne un
altro, ma non si revisione una bugia: quest’ultima dev’essere solo
cancellata.
All’inizio del Terzo millennio, dopo tanto penare,
decisi di scrivere di brigantaggio e decisi di partire da Josè Borgès, da
uno che aveva tentato di sollevare le popolazioni del Meridione, ormai
sottomesse dai savojardi. Fu a questo punto che decisi di fare dei paragoni
o parallelismi storici tra coloro che quell’impresa l’avevano realmente
attuata, o soltanto iniziata, ed il povero catalano. In questo modo mi
ritrovai di fronte Carlo Pisacane, già oggetto dei miei studi giovanili e
del quale conservavo un ricordo romantico, perdente, decadente, scapigliato,
di uno che aveva avuto il coraggio di un folle e la forza che solo una nuova
verità può e sa elargire. Mi rilessi il Saggio sulla rivoluzione e il
suo testamento politico; rividi i rapporti che ebbe con tutto quel mondo
rivoluzionario che stava mettendo le prime radici in terra europea e mi
soffermai sulla sua famosissima frase relativa al valore della proprietà, la
quale non doveva essere soltanto abolita, ma “dalla legge fulminata come
furto”. In lui ho rivisto alcuni concetti e valori rivoluzionari
presenti in Ernesto Che Guevara, quando quest’ultimo parlava dei cosiddetti
“acceleratori rivoluzionari” e che Pisacane indicava come l’evento
scatenante della vittoriosa rivolta dei contadini. Ecco, questo è un altro
elemento catalizzante del Pisacane, senza del quale tutto sarebbe stato
inutile. Il popolo, i contadini e le ingiustizie su di essi perpetrate per
secoli, rappresentava l’elemento rivoluzionario scatenante. Un “acceleratore
rivoluzionario” di enorme portata e di dimensioni considerevoli, mai
considerato dal Mazzini. E così, ripercorrendo i miei stessi passi
“giovanili”, mi sono imbattuto di nuovo sui suoi giudizi sulla dinastia di
casa Savoia e di quella che governava mezza Italia del nord, come pure sul
regime “paternalistico” dei Borbone che non aveva nulla da invidiare, in
senso negativo, a quello cosiddetto “costituzionale” dei Savoia.
Il suo senso dello Stato, repubblicano prima ed
anarchico poi, traspare chiaramente da tutti i suoi scritti, come pure dalle
sue azioni compiute. Per esempio si arruolò nella Legione Straniera per
capire come funzionava la guerriglia, la lotta di liberazione di un popolo
nei confronti di un altro che opprime. Si arruolò per carpire i meccanismi,
le strategie e la metodica. E da iniziale amico di Mazzini, ai tempi della
Repubblica Romana, ideologicamente e politicamente, aveva già compiuto passi
da gigante verso una visione più radicale e più definitiva per risolvere i
problemi della plebe, del popolo, di coloro che nulla hanno. Mazzini
continuava a spedire i suoi giovani in azioni suicide, mentre lui
pianificava già la liberazione della sua Patria.
Piaccia o non piaccia, ma per chi fa politica o si
occupa di storia. occorre ammettere due valori inamovibili e incorruttibili:
il rispetto dell’avversario e la considerazione dell’esistenza di altre
persone che non la pensano al tuo stesso modo. Il sud, il Regno delle Due
Sicilie, per Pisacane, era uno stato da liberare, ma non per regalarlo al
primo monarca di turno, ma per istituirvi una repubblica, anche se in cuor
suo sognava un governo di tipo anarchico. In ciò, checché ne dicano gli
storici “salariati” si discostava nettamente da Mazzini e dai valori
vincenti di quel periodo. Così pure la teoria del dare l’esempio anche nella
convinzione di fallire (così cara a Mazzini, tanto erano gli altri a morire)
non era un suo credo assoluto. Infatti, quando sbarcò a Sapri e non vide le
masse ad incoraggiarlo, non pensò all’esempio, ma capì che il popolo non era
pronto per ciò che lui si era sacrificato e cercò in tutti i modi possibili
per ritornare indietro, cosa che non accadde.
Rileggendo e studiando di nuovo capii che c’era un
legame tra questo strano eroe risorgimentale e i briganti del dopo Unità.
Molti valori erano comuni, come ad esempio il riscatto del popolo, il valore
del ribellismo contadino, la distribuzione delle terre e l’eliminazione dei
privilegi, anche se altri valori contrastavano nella forma, nella
configurazione del potere, ma non nel risultato ultimo da ottenere. Eppure …
eppure i briganti furono considerati dei delinquenti da quello stesso regime
che prese Pisacane e lo inviò, di sana pianta, nel Pantheon degli eroi della
Patria, consumando di fatto un enorme falso storico.
Pisacane fu un illuso per i tempi in cui visse, che
non consentivano ancora balzi in avanti della portata delle sue idee; fu un
anarchico poiché non credeva nelle forme di governo o nelle forme statuali
che il suo tempo gli mostrava e non fu mai un patriota risorgimentale, ma
dovrebbe essere ascritto tra coloro, utopici quanto si vuole, che
combatterono per la libertà del popolo nel suo insieme.
La sua presenza nei libri di storia risorgimentale è
una presenza anomala, strumentale, finalizzata a cooptare tra le fila di
quegli eroi, anche coloro che, per altri scopi ed altre conquiste da fare,
si mossero su quel terreno, in quello specifico lasso di tempo. Il suo posto
e nell’enciclopedia dei rivoluzionari e non tra un Garibaldi negriero, un
Cavour schizofrenico, un Mazzini divoratore dei propri figli e un Cialdini
assassino e feroce razzista come il tanto amato Bixio.
Un aspetto, però, va comunque evidenziato: Pisacane
era un meridionale, mentre gli altri provenivano da dove il male alberga: al
nord.
Giuseppe Osvaldo Lucera
Agosto 2010 |