Quel che narro di questo glorioso Ebolitano Benedetto
Giuliani, Beato e Servo del Signore l’ho letto dalle “HISTORIE
SAGRE
DEGLI
HVOMINI ILLVSTRI PER SANTITA’
DELLA
CONGREGATIONE
DE CELESTINI
dell’Ordine di S. Benedetto, RACCOLTE, E
DESCRITTE DA D. CELESTINO TELERA DA MANFREDONIA,
Già Abbate Diffinitore, e poi Abbate Generale
della Congregazione. In Bologna, per Giacomo Monti. 1648
et in NAPOLI, con additione, per Geronimo Fasulo. 1689.
Con licenza de’ Superiori.”
Vita del
Beato Benedetto Giuliani
d’evoli
Monaco Celestino
A. La Nascita la famiglia del Beato Benedetto
Giuliani
Quanto si narra del glorioso Beato Servo del Signore
nella storia della Congregazione Celestina, il Talera
afferma che l’informazioni le ha avute leggendo
scritture antiche, da notizie dei Padri Celestini e dai
suoi compatrioti. … benché altri, è fama che
ne registrassero la vita anche più diffusa della
seguente, ma per essersi smarrita, non può aversi
cognizione nemmeno dell’Autore.
Benedetto Giuliani nacque ad Eboli, in quel tempo detta
Terra d’Evoli, in provincia di Basilicata del
Regno di Napoli nell’anno 1441 sotto il Papato di
Eugenio IV. Notizia ricavata da una scritta su pietra
nel 1570 a fianco della sua sepoltura, in cui attestava
che morì nel 1511.
Il padre Filippo Giuliani ebbe dalla moglie sei figli e
non ostacolò la decisione di Benedetto di entrare nella
famiglia dei Celestini.
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(…) Onde venuto in
età di poter discernere il bene dal male, e lo
stato più sicuro per la salute dell’anima sua, fece
istanza ai suoi parenti, di voler entrare, per
servire al Signore nella Celestina Religione. (…)
La casata Giuliani di Eboli discendeva dalla famiglia
Julia fondata da Ascanio figlio di Enea.
Benedetto indossò la veste Celestiniana nell’anno 1457,
era Abate Generale della Congregazione il P. D. Teofilo
da Bergamo, per le sue brillanti doti spirituali e per
l’adoperarsi verso incarichi gravosi di responsabilità,
i suoi superiori gli affidarono di occuparsi con il
titolo di Priore il governo del Monastero di S. Pietro
d’Evoli posto nella piazza principale della nostra
Città.
Alcuni manoscritti antichi del suo ordine esaltano il
Beato Benedetto riportando come donava con grande
generosità l’impegno di evangelizzatore:
(…) ardeva di
tanta carità verso il prossimo e i suoi compatrioti, che
in tutte le discordie tra costoro nate soleva interporsi
con gran prudenza a beneficio commune e ne riportava
sempre il guadagno della pace e concordia; per la qual
causa fu da tutto quel popolo come Padre universale
sommamente amato e riverito. A’ poveri e bisognosi non
seppe negar cosa veruna, e di più hebbe in costume di
prender informatione di quelle famiglie, che
maggiormente penuriavano, alle quali con le sostanze del
Monastero sovveniva. Dell’osservanza monastica in tempo
de’ suoi governi fu zelantissimo custode, perché di
notte e giorno operò che si salmeggiasse in Chiesa con
molto decoro; e mantenne la ritiratezza dal secolo.
Della sua dottrina non habbiamo altro testimonio; ma sì
bene potremo darci a credere, che havesse quella
sufficienza e letteratura, che gli era necessaria al
buon governo.
B. Costumi e apostolato e morte del Beato Benedetto
Padre Benedetto morì nel suo monastero ad Eboli in
piazza Porta Dogana posto tra il palazzo della famiglia
De Cristofaro e la torre del castello Normanno-svevo,
nell’anno 1511 aveva 70 anni, la sua morte causò dolore
e smarrimento nella popolazione, tanto era amato che i
fratelli Celestini collocarono la salma in un posto dove
il popolo potesse meglio rendergli onore, tutto questo
durò fino al 1570 quando Pio V. con una Bolla (…)
comandò che tutti i cadaveri di qualunque
persona, ch’erano sopra terra sepelliti, si ponessero
nelle profonde sepolture. Il che fu immediatamente da
que’ Padri adempito; poiché essendo quella sola cassa
nella Chiesa contro la dispositione della Bolla, la
fecero smurare per trasferirla nella comune sepoltura.
All’ora, cioè mentre si percosse il muro per estrarne il
sagro corpo, si sentì nella Chiesa un odore più che
naturale, qual poi si diffuse per tutta la Terra; onde
stupiti e ammirati, discorrevano gli huomini da ogni
lato, per poter conoscere l’origine di tal novità; si
accrebbe la maraviglia, perché in quel punto istesso
videro conturbata l’aria, e tosto caddero in terra
horrende piogge di grandini, e fulmini in molta
quantità, ma senza portar oltraggio a cosa veruna. Si
ché, invitati gli habitatori da quel soavissimo odore, e
spaventati dalla tempesta, rimasero tutti confusi, e
disordinati. Ma tirati finalmente da quella fragranza,
verso la Chiesa di San Pietro, in cui sentirono odore
molto più soave, entrarono e furono spettatori dell’inventione
del sagro deposito, che fu l’origine del tutto.
Era il corpo vestito con la cocolla di panno nero fino:
sotto di cui si vide la tonica bianca di panno, detto
ferandina: quali in tutto lo scritto spatio di 59 anni
eransi miracolosamente conservate intatte e sane. Fu
fatta parimente diligenza per osservare il resto del
corpo, e si ritrovò tutta la carne immacolata, bianca, e
molle, senza che nel volto o in altre parti, benché più
esposte alla corruttione, si discernesse difetto alcuno.
Al che si aggiunse la molta fragranza che da quelle
carni meravigliosamente spirava, e era sì stravagante e
insolita, che giammai può paragonarsi ad altro odore di
questa vita. Né solamente in quel luogo si conservò
l’odore del corpo e dei suoi panni, ma anche, strappate
e tagliate alcune piccole parti delle vesti, per
conservarle nei Reliquiari, mantennero l’ istessa
prerogativa. Si ché, da tutte queste gratie, con le
quali Iddio segnalò il Beato Padre, si potrà con
infallibile argomento dedurre, che la vita di lui fosse
stata santa, e grata a Sua D. M. e che di più in tutto
il corso di sua età havesse conservata intatta la
pregiata virtù della verginità, significata
dall’incorruttione della carne, e dall’odore, che da
quella ne veniva. Occorse tutto ciò nel 1570. …
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La congregazione dei Celestini per tenerne in vita la
memoria e l’esempio della sua santa condotta, gli
diedero una degna sepoltura in una medesima cassa ed
eressero questo epitaffio scritto sul marmo:
Hic requiescit corpvs Venerabilis Patris Fratris
Benedicti de Jvliani de Ebulo
Ordinis Coelestinorvm, hvivs Ecclesiae Prioris, qvi
obijt anno Domini 1511.
Indictione cvivs anima divina clementia reqviescat in
coelestibvs aedibvs.
Qvo tempore Pivs V Pontifex Maximvs omnes defvnctorvm
tvmvlos, qvi
svper pavimento, in Ecclesijs extrvebantvr, svb terra
locandos esse
mandavit: ipsvm Reverendi Patris Prioris corpvs agile,
vestimenta, tabvlae
etiam qvibvs tvmvlvs compactvs fvit, ita incorrvpta, ac
sincera omnia,
cvnctis qui concvrrerant admirantibvs, reperta svnt, ac
si recens esset
mortvvs et sepvltvs. Odor mvltvs, cvm tvmvlvs
aperiebatvr, svaniter
emanabat Nonnvlli aegra corporis valetvdine, varijsque
febribvs effecti, qvi e
vestimentis eivs aliqvid excipiebant, se sanatos fvisse
praedicarvnt. Haec ad
fvtvram rei memoriam,
tanta vt viri sanctitas pateat vniversis.
Qui riposa il corpo del venerabile frate Benedetto
Giuliani da Eboli,
dell’ordine dei Celestini, priore di questa chiesa,
morto nell’anno del
signore 1511. La sua anima per divina clemenza riposi in
cielo. In quel
tempo il Sommo Pontefice Pio V ordinò di porre sotto
terra tutti i sepolcri
dei defunti che venivano collocati sui pavimenti nelle
chiese: a tutti coloro
che erano accorsi in quel luogo pieni di ammirazione il
corpo in buono
stato del reverendo padre priore, gli abiti e anche le
tavole su cui il
sepolcro era stato appoggiato apparvero integri e
intatti, come se fosse
morto e fosse stato seppellito da poco. Un intenso e
dolce profumo si
diffondeva con l’apertura della tomba. Alcuni, affetti
da grave malattia
fisica o da febbri di vario tipo, dopo aver preso
qualcosa dai suoi abiti,
affermarono a gran voce di essere guariti. Ciò a futura
memoria dell’evento,
a testimonianza per
tutti della santità così grande di quest’uomo.
C. Fu di nuovo aperta la sepoltura del B. Padre e
avvennero molti miracoli.
Nel 1603 dopo trentacinque anni che Benedetto Giuliani
dormiva il sonno dei Beati nella sua Chiesa di S. Pietro
sotto il marmo con su scolpito il suo Epitaffio, i frati
nel seppellire uno dei confratelli rimasti della sua
generazione nel rompere il pavimento adiacente al suo
sepolcro causarono inconsapevolmente il ritrovamento
della cassa dove riposava il Beato Benedetto, causando
di nuovo l’espandersi per la chiesa il soave odore
sentito trentatre anni prima. Incuriositi sia i frati
che il popolo decisero di aprire la cassa per osservare
gli abiti e le carni che si presentarono ai loro occhi
fresche, con i capelli in testa e con le parti del
ventre e del petto completamente sane, come per appunto
si erano presentate al tempo della Bolla papale di Pio
V. Nella cittadinanza e nei paesi limitrofi si risvegliò
tanta devozione che tanti malati chiesero
l’intercessione del Beato per riaver la salute perduta.
Girolamo Corcione, parente di esso Beato per parte di
donna, havendo nella sua mano sinistra una postema
(ascesso) sì maligna e pericolosa, che dopo haver
adoprati tutti que’ medicamenti, che gli furono ordinati
da Medici, divenne di color nero, e fu stimata
incurabile: sperò nell’intercessione del suo Benedetto,
e con viva fede vi applicò una particella del suo habito,
e senz’altra cura in pochi giorni hebbe la gratia della
salute, senza che rimanesse ne meno vestigio del male.
Della qual gratia, ad effetto d’ inserirla in Processo,
fu richiesto il Corcione da un nostro Padre, che quivi
l’anno seguente venne, e fu registrata con altri
miracoli; i quali con tutta l’informatione, che se ne
prese a fine di mandarla in Roma, per la poca cura non
più si leggono.
Agostino Basile fu per molto tempo maleficiato, e per
tal cagione quasi sempre nel parlare gli si annodava la
lingua, in modo che non poteva proferire. E di più gli
uscì nella mano sinistra un tumore, dentro di cui
sentiva una molestia, e dolore sì grande, come se dentro
vi fossero state tante formiche, né da tale infermità
giamai si liberò. Hebbe ricorso al Beato Padre, e
s’insinuò tanto, che gli riuscì di rubbare un dito della
mano (poiché in que’ primi giorni, che si aperse la
cassa, non fu fatta la debita custodia in guardare quel
santo corpo) applicò la Reliquia sopra la mano inferma,
e incontanente sentì un freddo terribile, qual poi
passato, rimase dal dolore, e dall’enfiatura libero. E
ponendo il dito del Beato dentro una borsetta se
l’appese al collo, con ferma speranza, che per
intercessione di lui havrebbe ricevuta l’altra gratia
del maleficio: e così appunto il benignissimo Beato gli
corrispose, poiché tra poco tempo si conobbe sciolto di
lingua, e totalmente libero, del che ne rese le dovute
gratie al Signore e al suo Servo.
Si pubblicò per tutti que’ paesi la fama di questi
miracoli, da’ quali accesi e stimolati gl’infermi,
contendevano per poter havere qualche parte, benché
minima, delle vesti di lui: e si narra, che moltissimi
febbricitanti al tocco di quelle, furono sani.
Giulia di Clario d’Evoli, moglie di Ferrante del Bruno,
per residuo d’una lunga e mortale infermità, restò nel
volto enfiata, e con dolori acerbissimi nelle braccia,
da’ quali non sapevano i medici liberarla. Andò con gli
altri per adorare il corpo del Beato: e nel pregarlo con
gran spirito e fede di volerle restituire la salute,
baciò il santo habito di lui, senz’altra dimora si
conobbe sgravata, con molta sua meraviglia, e
allegrezza, da tutti que’ mali.
Portia Abbati della medesima Terra d’Evoli, che per
molto tempo fu ammaliata, e dal demonio offesa, essendo
a preghiere de’ suoi parenti esorcizata da uno dei
nostri Padri avanti la tomba del Servo di Dio, con poco
contrasto nell’invocatione del Beato divenne libera.
Era parimenti da maligni spiriti infestato Pietro del
Sacco, ma non fu conosciuto per tale, perché sebbene
tremasse in tutto il corpo, e pativa alcuni altri
insoliti moti, si ascrivevevano però questi effetti ad
infermità naturale. Condotto poscia al sacro corpo, e
odorato ch’ebbe le vesti di quello, subito gli venne il
demonio alla lingua, e cominciò a parlare, e strepitare
per far violenza di partirsi; fu alla fine esorcizzato,
e liberato.
Per tantissimi giorni il corpo del Beato Benedetto
rimase in Chiesa alla vista del popolo che accorse a
venerarlo per i miracoli fatti, poi per decisione del
superiore del convento, venne posto in un’altra cassa e
portato in Sagrestia dove le sue spoglie si mantennero
intatte senza deteriorarsi per tantissimi anni.
Di Benedetto Giuliani il padre Marini della stessa
congregazione che visitò il monastero di Eboli così si
esprime: il padre fra Benedetto morto più di cento anni
fa il cui corpo si conserva ancora intero nel suo
sepolcro ad Eboli, dove è ancora venerato per santità e
per le molte grazie che il popolo riceve grazie alla sua
intercessione. I suoi confratelli hanno preso una grave
e giusta decisione di non mostrarlo più al popolo perché
si sono accorti che gli è stato tagliato e portato via
gran parte dell’ abito talare.
Anni dopo le sue spoglie vennero trasportate dal
monastero di Eboli a quello di San Pietro a Maiella di
Napoli perché luogo più sicuro. Si apprende da una
lettera di don Giuseppe Pisciotta di Eboli canonico
della Collegiata di Santa Maria della Pietà che chiedeva
a Gherardo degli Angeli paolotto a Santa Maria della
Stella di Napoli se voleva scrivere degli elogi ad
alcuni uomini illustri ebolitani il Poeta così rispose
per quanto riguardava l’elogio a fra Benedetto:
(…) Le notizie del B. BENEDETTO GIULIANO
da EBOLI, della Congregazione Celestina, le cui
sacre ossa dall’antichissimo suo Monistero della Città
medesima, in Napoli trasportate, restarono arse, e
distrutte nell’accidentale incendio della
Sacristia di S. Pietro a Majella, mi pajono scarse, e
non bastevoli a formare un’ elogio di un tanto uomo,
proccurate adunque con maggiore studio di investigarne
altre memorie, e non so, se abbiate letto che la sua
stirpe era d’antica nobiltà Romana; e durando in Eboli
per più secoli, colle principali nobilissime famiglie
CLARIO, CRISTOFARO, CAMPAGNA, NOVELLA,
CORCIONE, e MARTUCCI s’imparentò; la quale oggi
D. Diana Madre di D. Gianbatista
Cristofaro sol
rappresenta.
Mariano Pastore
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