Quando Totò perse la vista in scena
Bagnati in "L’ultimo sipario" ricostruisce le tragiche ore in cui il
principe de Curtis capì di diventare cieco.
La prima
persona a rendersi conto, quel 3 maggio 1957, che qualcosa di grave e
irreversibile stava per accadere, fu l’attrice Franca Gandolfi, moglie
di Domenico Modugno, la quale insieme con Franca May e Yvonne Menard
rappresentava l’élite femminile della compagnia teatrale. Incontrando,
di buon mattino Totò nella hall dell’albergo di Villa Igiea di Palermo,
e salutandolo con molte effusioni, Franca Gandolfi si sentì rispondere:
«Signora, lo so che lei è bellissima, ma lei non può credere come la
vedo. Io la vedo come un mostro».
Traggo questa
rivelazione, perché di tale si tratta, dal volume di Giuseppe Bagnati
“Totò, l’ultimo sipario” (Nuova Ipsa editore, p. 132 euro 12). La
bibliografia sul principe del sorriso è ormai vastissima e si apre anzi
nel 1972 con un libro del sottoscritto; ma questo or ora scritto da
Giuseppe Bagnati si differenzia da tutti gli altri per un nient’affatto
trascurabile motivo: esso ricostruisce infatti, con una infinità di
particolari, tutte le fasi talvolta perfino irritanti, di una malattia
che condurrà il grande attore napoletano alla cecità quasi totale.
Datosi
completamente al cinema, Totò mancava da sette anni dal teatro quando,
nel 1956, l’impresario Remigio Paone gli propose di capeggiare una
rivista dal titolo A prescindere scritta dai napoletani Nelli e Mangini.
Dopo un’anteprima a Perugia, la compagnia passò a Milano, e fu qui che
Totò avvertì dolori lancinanti agli occhi. Gli furono prescritti
quindici giorni di riposo, ma lui ne fece soltanto quattro. Finalmente
il viaggio a Palermo. E qui Totò ebbe sulle prime l’impressione di star
meglio e ne attribuì il merito, racconta Bagnati, alla protezione che
dal cielo gli veniva da sua madre. Anna Clemente, madre di Totò, era
infatti nata a Palermo.
Il 3 maggio
1957, “prima” di A prescindere al Politeama di Palermo. Il pubblico
interpretò certi sbandamenti di Totò come previsti dal copione, ma
dietro il palcoscenico esplose il dramma: «Sono cieco!» urlava l’attore.
L’oculista interpellato gli ordina quindici giorni di riposo, ma Totò l’indopodomani
è di nuovo in scena. È il 5 maggio 1957, e questo giorno segna la fine
definitiva dell’attività teatrale di Totò. Il 6 maggio il direttore
della clinica oculistica dell’università di Palermo, visita Totò e
dichiara che non è in grado di lavorare. L’impresario Remigio Paone è
furibondo e corre a chiedere aiuto al cattedratico di oculistica a
Napoli, suo amico. Tanto per accontentarlo questi telefona al suo
collega di Palermo, ma sposa le sue ragioni. Paone si “vendica” facendo
sequestrare il materiale scenografico al Politeama, mentre impresari
teatrali di Catania minacciano azioni giudiziarie contro Totò. Altri
arrivano a offrire cinque milioni di lire al direttore della clinica
oculistica purché affermi il falso, cioè che Totò può recitare. Vengono
messi alla porta.
Insieme con
la compagna Franca Faldini, Totò abbandona Palermo e fa ritorno a Roma.
Sette mesi di convalescenza, con un occhio completamente cieco e un
altro che ogni tanto avverte un po’ di bagliore. Ma nell’autunno del
1957 Totò torna al lavoro cinematografico. Suoi colleghi lo accompagnano
sul set tenendolo per mano e lui avrà modo di girare altri 42 film. Poi
l’infarto, il 15 aprile 1967. C’è un’intera città che usa gli occhi solo
per piangere.
Vittorio
Paliotti (da Il MATTINO del 28/07/2013)
Link al video della presentazione del libro a Napoli
L’ultimo sipario quella sera al Politeama
Il dramma di Totò a Palermo, improvvisamente fu il buio...
Il Giornale
di Sicilia del 4 maggio 1957 riporta una locandina sulla serata di addio
di Totò, l’ultima recita della rivista A prescindere a Palermo.
Quella recita, il 6 maggio, non andrà mai in scena. Tre giorni prima,
sul palcoscenico del Politeama Garibaldi, Totò è diventato cieco.
Palermo, la città dove è nata la madre, Anna Clemente, segna un momento
drammatico nella vita del “Principe della risata” che, come vedremo,
affrontò con lacrime e lazzi. Da qui nasce Totò, l’ultimo sipario del
giornalista palermitano Giuseppe Bagnati (Nuova Ipsa editore, 130
pagine, prefazione di Gianni Riotta, 12 euro). Cosa era successo? Quali
furono le conseguenze? Da quel giorno, che sconvolse la vita dell’attore
a Palermo, una ricostruzione puntuale e affettuosa, un’inchiesta che
svela il cuore di quel giallo, attraverso documenti e testimonianze,
immagini dell’epoca.
«Avevo saputo
che Totò aveva smesso di recitare in teatro a Palermo per la cecità –
racconta Bagnati –. Era una storia che nessuno aveva approfondito. E
allora ho iniziato a raccogliere materiale. Una vicenda o un personaggio
tirava l’altro, rendendo tutto sempre più appassionante».
Il 3 maggio
1957 Totò arriva a Palermo con la motonave “Calabria”. Con lui la
compagna Franca Faldini, la figlia Liliana. Dopo sette anni di assenza e
di film esilaranti, è tornato al teatro con una rivista che vive delle
sue macchiette, alternate a splendide ballerine inglesi e soubrette:
Franca May (compagna dell’impresario Remigio Paone), Yvonne Menard delle
Folies Bergère, Franca Gandolfi giovane moglie di Domenico Modugno. La
musica è di Carlo Alberto Rossi, che in futuro firmerà E se domani e Le
mille bolle blu per Mina.
«Quando
facevo teatro – raccontava Totò – volevo molta luce, per vedere la
sala, le facce del pubblico». Ma nella prima recita a Palermo ecco il
buio. «Dopo lo sketch di Napoleone – racconta la figlia Liliana – Totò
piange e si dispera: sono cieco, non vedo più». «L’attore – racconta
Bagnati – riesce a chiudere la serata con una serie di gag e contorsioni
ad altissima velocità per abbreviare i tempi». Il pubblico ride e
applaude, non sa del suo dramma. Riesce addirittura a fare la
passerella, il cappello da bersagliere in testa. Nei giorni seguenti la
situazione non migliora, eppure sale sul palcoscenico con occhiali
scuri, evitando però la passerella finale.
Il libro
riporta la testimonianza dell’oculista palermitano Giuseppe Cascio che
lo visita nello studio in via Meccio, mentre fuori la gente fa festa e
chiede autografi. Totò scherza: «Dall’ombelico in giù sto benissimo,
chiedete a Franca». Ma la diagnosi è di cecità all’occhio destro per una
coroidite essudativa. Totò dal 1938 non vedeva dall’occhio sinistro per
le conseguenze di un distacco di retina, tanto che poneva sempre a
destra in scena la sua storica “spalla” Mario Castellani. L’ultima
recita a Palermo viene annullata. L’attore è costretto a un lungo
periodo di riposo a Roma. Non potrà più recitare davanti al pubblico. Si
dedicherà solo al cinema.
«Totò –
racconta Bagnati – diceva di essere mezzo palermitano perché era la
città di nascita della madre Anna. Non è stato trovato un atto di
nascita ma il fatto è certo perché confermato dai familiari, in
particolare dalla figlia Liliana». Nannina, un donnone che faceva
colazione alle sette con un piatto di spaghetti, sapeva preparare pasta
con le sarde, caponata e parmigiana.
Dal ricordo
di Lando Buzzanca, tra il pubblico in quella sera al Politeama,
all’imitatore Mario Di Gilio, ex carabiniere scampato per un pelo alla
strage di Portella della Ginestra, l’inchiesta di Bagnati va avanti. Il
1957 è l’anno della diffusione della televisione in tutto il Paese,
anche a Palermo. Le riviste d’avanspettacolo, come A prescindere,
lasciano il passo al musical. Totò, il grande guitto, è testimone di un
mondo che sta scomparendo. Vivrà altri dieci anni, dopo quel giorno a
Palermo, tra film improvvisati e rare perle surreali come Uccellacci
uccellini di Pasolini. Lui scherza con la malattia, dice di avere
“l’occhio policlinico” e di prendere vita dopo il ciak come se vedesse.
In effetti gli sono rimasti solo due decimi. Racconta Federico Fellini:
«Totò viene portato nei punti del set dove deve recitare e lì si toglie
gli occhiali ed è il miracolo di Totò che improvvisamente ci vede,
salta, piroetta». Stop, fine della scena tra le risate dalle troupe.
«Totò tende le braccia in attesa che vengano a prenderlo. È tornato un
essere incorporeo, un dolcissimo fantasma che ritorna nel buio,
nell’oscurità, nella solitudine».
Guido Fiorito
(da Il Giornale di Sicilia del 02/07/2013)
Totò, quell'ultima volta
Storia del Principe che non voleva smettere
Un
capitolo della storia del teatro dai numerosi risvolti anche
personali mai del tutto svelati. L'ultima parte della vita sul
palcoscenico di Totò. Il «principe» era in scena al Politeama di
Palermo con «A prescindere», programmato dal 4 al 6 maggio 1957, ma
l'ultima replica saltò per il peggiorare della malattia agli occhi
che da tempo lo tormentava. Furono tre medici della città a
convincere Totò a rinunciare alle rappresentazioni. Troppo
pericoloso stare su un palco con la vista che gli tirava continui
scherzi. Fra quei medici, c'era il professor Giuseppe Cascio, ed è
all'anziano dottore che s'è rivolto Giuseppe Bagnati per ricostruire
quella fase della vita di Totò che lo vide abbandonare per sempre le
scene teatrali.
Palermitano di nascita, una carriera costruita al «Giornale di
Sicilia» e al «Mattino», Bagnati è stato per lungo tempo vice
caporedattore alla «Gazzetta dello Sport» a Roma. Alla passione per
il calcio, su cui ha scritto libri, ha sempre accompagnato un
interesse per la figura del grande comico napoletano. «Ma scrivere
un altro volume su Totò avrebbe avuto poco senso - spiega - così
sono andato a cercare le cose mai dette».
«Totò,
l'ultimo sipario» (edito da Nuova Ipsa, con prefazione di Gianni
Riotta, sarà presentato oggi alle 17.30 alla libreria Koob, in via
Luigi Poletti 2), interroga alcuni personaggi, e il loro racconto si
tinge di folklore, umori popolari, sfondi d'epoca. Un'ala di folla
accompagnò l'ingresso di Totò nello studio del professor Cascio.
Fiori, applausi.
Il
responso medico fu senza appello: Cascio non concesse a Totò
l'ultima replica, troppo rischioso. E non tentennò neppure un
attimo, il professore, quando impresari teatrali bussarono alla sua
porta, cinque milioni di lire in mano, perché il certificato venisse
cambiato. Uscendo dal palazzo - pure questo è scritto nel libro -
Totò lasciò lauta mancia al portiere, 5.000 lire. E per non aver
compiuto quell'ultimo recita, il produttore intentò una causa
all'attore, cui una perizia di parte diede però ragione.
Di quegli
anni parlano nel libro Franca Gandolfi, moglie di Domenico Modugno,
nella compagnia dello spettacolo con Franca Faldini, compagna di
Totò anche lei oggi alla presentazione, l'attore Mario Di Gilio,
Lando Buzzanca che ebbe la fortuna di assistere dal loggione a una
delle tre repliche e conserva alcune immagini, l'acclamazione del
pubblico, «Totò guarda quassù», «Totò sei grande!».
Il bello
della rivista. «Storie e destini s'incrociano - fa notare Bagnati -.
In Capriccio all'italiana, l'ultima sua pellicola, Totò canta
Cosa sono le nuvole, testo di Pasolini e musiche di Domenico
Modugno, marito di Franca.
L'incontro con la figlia Liliana De Curtis mi ha consentito di
descrivere un'altra figura poco nota, quella della mamma Anna, nata
a Palermo e morta a Napoli. Donna imponente, quanto esile era invece
il papà. La signora annotava ricette, in cui è evidente l'influenza
palermitana».
In «Totò,
l'ultimo sipario» anche il programma di sala, immagini da quelle
tournée di sorrisi e belle donne, riferimenti alla tesi di laurea di
un dottore di Chieti sulla malattia agli occhi di Totò. E documenti,
rintracciati «non senza mille difficoltà» nelle biblioteche, insieme
a quattro codici a barre per vedere filmati su smartphone.
Ma come
convisse Totò con la malattia? «Sopportò sempre con grande dignità -
racconta Bagnati - e alla sua maniera. Ciò che lo faceva più
arrabbiare era non entrare più nel suo frac di scena per l'aumento
di peso dovuto alle cure».
Martellini Laura (dal Corriere della Sera 21 ottobre 2013)
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